funzionamento dell’area considerata come entità politica, economica e strategica.
Esso si riferisce al singolo Stato, per considerarne la coesione, la coerenza fra i
vari fattori di potenza e l’esistenza di vulnerabilità strutturali.
Nel dibattito geopolitico, assai intenso, in una Turchia attenta a definire
una propria identità e un proprio ruolo, abbiamo individuato due principali
tendenze: quella panturca o eurasiatica, e quella europeista o atlantista. La
tendenza panturca, fortemente nazionalista, considera la Turchia patria ancestrale
delle cinque Nazioni turcofone e per questo destinata a svolgere una missione
culturale, politica e religiosa. I fautori di questa tendenza considerano la Turchia,
il paese dalle due anime, quella europea e quella asiatica, una sorta di ponte fra
questi due continenti. Sono contrari agli europeisti, perché ritengono che una
dipendenza anche solo culturale dall’Europa snaturerebbe l’anima turca facendole
perdere la propria identità. Sono, inoltre, persuasi che l’integrazione del paese
nell’Unione Europea non sia realizzabile. I promotori di questa corrente sono stati
sicuramente attratti dal rafforzamento dei legami economici con le nuove
Repubbliche dell’Asia centrale e del Caucaso, dalla promozione degli Stati Uniti
del modello turco e dalla politica di normalizzazione dei rapporti con la Russia,
non più nemica (dopo duecento anni), ancora una potenza competitiva, ma anche
potenziale partner in molti settori, il più importante quello energetico.
La tendenza, europeista ha dominato per tutto il periodo della guerra
fredda e, più in generale, da Kemal Atatürk in poi. Essa considera l’Europa e gli
Stati Uniti come modelli culturali, sociali, politici ed economici a cui dovrebbe
tendere anche l’establishment turco per modernizzarsi. Tale tendenza non ha
subìto una vera e propria crisi, ma è stata posta in discussione dalla possibilità di
orientarsi verso le Repubbliche indipendenti e creare con esse rapporti privilegiati
da media potenza, una sorta di Commonwealth turcofono.
Per analizzare l’incidenza di questi due orientamenti sulla politica estera
turca di quest’ultimo decennio e valutare quale di queste dottrine influisce
maggiormente sulle aspirazioni di potenza della Turchia, abbiamo suddiviso la
ricerca in due parti. La prima parte si articola in 2 capitoli, rispettivamente il
secondo e il terzo (il primo tratta gli aspetti teorici della geopolitica). Nel secondo
capitolo, tracceremo gli effetti della fine della guerra fredda e i contorni del
mutato contesto geopolitico, l’intento è quello di creare una sorta di cornice
essenziale per comprendere gli eventi che si sono succeduti a partire dal 1991. Si
indicheranno anche gli effetti della guerra del Golfo che, per la politica del Medio
Oriente, segna uno spartiacque importante. La seconda parte del capitolo si divide
in tre sezioni. La prima, brevemente, illustra il significato del concetto geopolitico
di Greater Middle East (Grande Medio Oriente), lo scenario in cui la Turchia
opera. La seconda analizza l’intesa con Israele da un punto di vista politico,
militare e strategico. Sottolineando come dietro a quest’intesa, da parte della
Turchia, si celi la volontà di assumere sempre di più una maggiore rilevanza
strategica. Indicheremo come l’orientamento verso lo stato ebraico permetta alla
Turchia di rafforzare il legame con gli Stati Uniti e di assumere un deciso profilo
in Medio Oriente senza dover temere un indebolimento del suo carattere laico e
del progetto di occidentalizzazione imposto da Atatürk. Infine, la terza sezione
valuta la compatibilità della relazione turco-israeliana nel quadro di sicurezza
degli altri attori mediorientali: Siria, Iran e Iraq. Il capitolo si chiude con alcune
considerazioni relative alle dinamiche in corso e su come queste incideranno sul
futuro ruolo della Turchia.
Nel terzo capitolo, la Turchia e la riscoperta dell’Eurasia discuteremo i
nuovi rapporti di Ankara con il Turkestan allo scopo di ottenere un’analisi
esaustiva delle tendenze ed aspirazioni turche e per comprendere come sia il
fattore storico che quello geografico influiscono e determinano le relazioni di
questo paese. Il capitolo è composto da quattro sezioni. La prima sezione analizza
la Turchia come modello sunnita “secolare” alla quale si legano i nuovi Stati in un
comune retaggio storico e religioso. Infatti, da quest’analisi emergerà che la
Turchia simboleggia un modello politico molto valido cui ispirarsi, poiché gli
equilibri fra statualità secolare e forze religiose hanno rappresentato per le
leadership centrasiatiche una delle strade più praticabili verso la modernizzazione.
La seconda sezione traccia una breve storia sulle origini del panturchismo. La
terza sezione è suddivisa in tre parti al fine di analizzare più dettagliatamente i
contenuti, linguistici, religiosi, culturali ed economici del mondo turco. L’insieme
delle politiche, portate avanti da Ankara, denotano la volontà d’impostare, nel
lungo periodo, uno spazio economico uniforme ad essa funzionale, che si fondi su
di un sistema monetario comune e sull’uniformità dei procedimenti di scrittura. La
quarta sezione analizza la necessità della Turchia di ritagliarsi vaste zone
d’influenza, spesso entrando in competizione con l’Iran e la Russia. In questo
paragrafo concentreremo l’attenzione su due organizzazioni, quella di
Cooperazione Economica del Mar Nero che riunisce tutti i paesi dei Balcani, del
Mar Nero, del Caucaso e dell’Asia centrale (BSEC) e l’Organizzazione di
Cooperazione Economica (ECO) cui la Turchia partecipa dagli anni 60’. Nella
quinta e ultima sezione tenteremo di capire, attraverso delle considerazioni
geopolitiche, i motivi del ridimensionamento del ruolo turco all’interno dello
spazio ex sovietico. Le ambizioni d’Ankara, infatti, si sono conseguentemente
ridimensionate passando da un idealismo romantico d’unire tutti i “fratelli turchi”
in un’unica panregione, ad un maggiore realismo.
La seconda parte della ricerca è incentrata sull’analisi dei rapporti euro-
turchi, in particolare per quanto riguarda l’adesione all’Unione Europea e tutti i
problemi con essa legati, e i rapporti turco-americani che si basano principalmente
su obiettivi geostrategici.
Il quarto capitolo si divide in cinque sezioni. Nella prima si mettono a
confronto l’atteggiamento europeo con quello americano per evincere i diversi
interessi che Europa e America nutrono nei confronti della Turchia e come questi
siano cambiati dalla fine della guerra fredda ad oggi. La seconda sezione traccia la
lunga strada che la Turchia dovrà percorrere per entrare in Unione Europea. Si
pone l’accento sul rispetto dei criteri sanciti al vertice di Copenhagen (1993), e su
ciò che è stato ribadito con l’Agenda 2000, per arrivare al Consiglio dei Ministri
di Nizza (dicembre 2000). Seguendo questa evoluzione cercheremo di capire
come è mutato l’atteggiamento dell’Unione nei confronti del partner turco. La
terza sezione illustra la configurazione del “nuovo arco di crisi” e come questo
influenza tutta la politica estera e di sicurezza europea. L’Unione Europea
esercita, a partire dal 1991, un ruolo di maggiore responsabilità, alla base di ciò
giace il fattore geopolitico che si coniuga con gli effetti della guerra fredda e con
la nuova forma di sicurezza denominata dagli studiosi Buzan, Waever e de Wilde:
“securitisation” . Questa sezione si suddivide in un altro paragrafo dove si
affronta direttamente la questione della collocazione turca all’interno
dell’architettura europea. Sono state prese varie iniziative per integrare lo Stato
anatolico all’interno delle sue strutture di sicurezza. La sua partecipazione
all’associazione euro-mediterranea creata all’interno del “Processo di Barcellona”
inaugurato nel 1995 e l’adesione al programma Partnership for Peace promosso
dalla NATO le fanno guadagnare una posizione rilevante all’interno dell’Alleanza
Atlantica. La seconda parte del secondo paragrafo si sofferma sulla questione
curda, in particolare, analizza le reazioni americane ed europee e
conseguentemente l’impasse che il caso Öcalan ha provocato per l’ingresso della
Turchia in Unione Europea. Il paragrafo si conclude con un accenno allo stato
attuale del paese in materia di diritti umani. La terza sezione analizza le relazioni
turco-americane. Secondo gli artefici della politica estera statunitense, nel breve
periodo all’America conviene consolidare il pluralismo geopolitico dell’Eurasia
esistente sulla carta geografica. Di qui la necessità di evitare il ritorno
dell’egemonismo russo, il contenimento dell’espansionismo economico e
culturale dell’Iran e l’obiettivo più importante: la promozione della Turchia come
modello secolare di sviluppo. L’ultima sezione è dedicata alle conclusioni del
quarto capitolo. Il titolo: a cavallo tra Europa e Asia, vuole essere emblematico,
poiché intende lasciare aperto l’interrogativo sul futuro ruolo che la Turchia
occuperà all’interno, rispettivamente, della regione euro-atlantica e eurasiatica.
Il quinto capitolo è composto da cinque sezioni. Si affronteranno due temi
di attualità che coinvolgono tutto lo scenario del Medio Oriente allargato, la
Russia, l’America e l’Europa. Sono il problema della risorsa idrica e la politica
energetica. Nella prima sezione si evidenzia come la Turchia sia tra i più
importanti attori nella “politica dell’acqua”, perché mantiene il suo controllo e lo
strumentalizza facendola diventare moneta di scambio. La questione dello
sfruttamento competitivo delle acque è strettamente legata a problemi politici più
vasti, quali il conflitto curdo e la stabilità politica dell’intera regione. Nella
seconda sezione si analizza il Grande Progetto dell’Anatolia (GAP), nelle sue
parti tecniche e politiche. Nella terza sezione si analizzano tutti i problemi che la
questione dell’acqua comporta. Si elencano, inoltre, i vari tentativi, da parte di
Siria, Iraq e Turchia di istituire commissioni per risolvere i loro attriti e le
incertezze che ne derivano alimentate anche dalla mancanza di precise norme
internazionali in grado di dirimere le controversie attraverso delle leggi e degli
organi super partes. Nella quarta sezione si introduce la questione energetica.
Questo fattore, a metà degli anni novanta, mutava ulteriormente il quadro
geopolitico dell’Eurasia. Dopo la dissoluzione dell’URSS, la Russia e il suo
settore petrolifero rivelavano la loro scarsa concorrenzialità. Al contempo gli Stati
Uniti proclamavano, per la prima volta esplicitamente nel 1994, che la regione del
Caspio rientrava nella propria sfera d’influenza. Da questo momento si apriva
sulla scacchiera eurasiatica il Nuovo Grande Gioco che vedeva impegnati molti
attori (di primo, di secondo e di terzo livello). Nel contesto energetico, la Turchia
è un paese strategico per le rotte di petrolio e di gas naturale che dall’Asia si
dirigono verso i mercati europei, ma è anche subordinata agli obiettivi strategici
degli Stati Uniti. Questa sezione si suddivide in un’altra parte in cui si illustrano le
caratteristiche geostrategiche e geopolitiche del nuovo allineamento di Georgia,
Uzbekistan, Ucraina, Azerbaijan e Moldavia (GUUAM). La quinta sezione offre
una mappa degli assi di trasporto energetici, quelli esistenti, in fase di costruzione
e quelli non ancora realizzati. Nella vicenda dell’ “autostrade petrolifere”, si nota
come entrano in ballo questioni che esulano dalla materia strettamente energetica
e come la partita per il controllo dell’area strategica del Caspio si giochi su
molteplici fronti: da quello economico-strategico (allineamento del GUUAM
all’Occidente), a quello politico-militare (conflitto in Cecenia). Questo paragrafo
è composto da un’altra sezione conclusiva che illustra come il Caspio sia
diventato una nuova frontiera energetica. “Quale sarà il ruolo della Turchia,
all’interno di quello che molti, oggi, definiscono il nuovo Kuwait?”
1 La Geopolitica
1.1 INTRODUZIONE
Il termine geopolitica fu coniato dal politologo svedese Rudolph Kjellèn
all’inizio di questo secolo per indicare una particolare analisi della politica
estera di una nazione condotta in riferimento ai condizionamenti su di essa
esercitati dai fattori spaziali e dai fattori fisici, come la morfologia dello
spazio o il clima, e soprattutto vuole evidenziare le relazioni
d’interdipendenza tra le entità politiche territorialmente definite. Riguarda,
inoltre, l’analisi della politica, secondo il contesto politico interno, cioè della
sintesi politica che la elabora, ed esterno, cioè nelle relazioni dello Stato con
gli altri soggetti che operano sulla scena internazionale. Di conseguenza, come
rileva Yves Lacoste, la geopolitica è la rappresentazione che i soggetti
geopolitici hanno di tali relazioni in funzione dei loro interessi e dei loro diritti
storici (Jean 1995, p.3).
La geopolitica ha conosciuto un periodo di grande popolarità nel primo
dopoguerra, soprattutto per l’impulso datole da studiosi tedeschi, in particolare da
Karl Haushofer, fondatore e direttore della scuola di Monaco di Baviera e della
influente rivista Zeitschrift für Geopolitik. Nel secondo dopoguerra questa
disciplina venne messa al bando, diventando un tabù internazionale perché
associata con i programmi d’espansione territoriale delle teorie naziste della
Germania di Hitler. A partire dagli anni sessanta il termine è stato riutilizzato,
prima timidamente e poi in modo sempre più frequente. Attualmente si assiste ad
una riesplosione dell’interesse di studiosi e dell’opinione pubblica per questo
approccio teso a spiegare gli avvenimenti in un modo nuovo (Jean 1995, p.4). È
altresì evidente che, essendo la geopolitica una disciplina che coniuga la storia
con la geografia e analizza i rapporti geografici con le scelte politiche in termini di
possibilità e di condizionamenti posti dai primi alle seconde, i diplomatici e i
politici l’hanno sempre inconsapevolmente adoperata per pianificare e chiarire i
loro obiettivi strategici.
La ricomparsa sulla scena internazionale di questa disciplina è influenzata
da diversi fattori: la fine dell’ideologia bipolare; la sostituzione dell’ordine di
Yalta con il disordine delle nazioni (Lellouche, 1994); le difficoltà di instaurare
un nuovo ordine mondiale; il frantumarsi dei blocchi; la frammentazione del
sistema internazionale; il contrapporsi del globalismo e le interdipendenze con la
cosiddetta “balcanizzazione” del mondo e la comparsa di nuovi attori
internazionali. In questo processo di “riabilitazione” della geopolitica, un grande
contributo è stato dato dagli Stati nazionali o per meglio dire dai fenomeni da cui
essi sono stati investiti. Infatti, la maggior parte delle nazioni, oggi, sono
sottoposte a due tipi di processi, l’erosione dall’alto dalle istituzioni
sovranazionali, dal basso dai localismi, regionalismi e tribalismi; e dai lati da
poderose forze transnazionali, come quelle economiche, finanziarie e
dell’informazione, i cui effetti congiunti stanno trasformando il contenuto e il
concetto stesso di sovranità statuale che è sostituito sempre più da una visione del
mondo come una rete gerarchizzata, definito da centri e da periferie i cui spazi
hanno perso la rigidità tipica del conflitto bipolare.
Parlando di geopolitica si cerca, da una parte, di fronteggiare le sfide e le
incertezze di tali cambiamenti e dall’altra, di illustrare i nuovi assetti delle
relazioni globali. Si definiscono i propri interessi nazionali nel contesto di un
sistema internazionale profondamente mutato, e le politiche da adottare per
raggiungerli in un modo sempre più incerto e politicamente, strategicamente e
tecnologicamente sempre più competitivo, se non altro perché la tecnologia
moderna lo rende più piccolo e interdipendente, e l’esplosione demografica più
stretto e più caotico (Jean, 1995, Ramonet, 1997).
Non esiste una definizione univoca di geopolitica, né una sua chiara
collocazione disciplinare. È importante effettuare una differenziazione che dopo il
1991 acquista una forte rilevanza, questa riguarda l’estensione territoriale
considerata nell’analisi geopolitica. Le grandi teorie geopolitiche classiche sono
globali e hanno sempre considerato una stretta correlazione fra le grandi
generalizzazioni geografiche e quelle storiche. Esse considerano la
contrapposizione tra terra e mare, fra le potenze continentali e quelle marittime.
Tali teorie ritengono determinanti gli elementi naturali, quali la posizione,
l’estensione territoriale, le distanze, gli spazi e il clima. Viceversa, la geopolitica
contemporanea, quella che si è inaugurata dopo il 1990, è allo stesso tempo
globale, regionale e locale. Ossia, non rifiuta le grandi generalizzazioni, ma si
sofferma sulle particolarità regionali e sul senso dello spazio che hanno acquisito i
vari gruppi nazionali alla ricerca di una propria identità, affermazione e
realizzazione di quelli che essi percepiscono come propri diritti storici. Secondo
Lacoste
1
, la geopolitica riguarda l’individuazione e il confronto sistematico delle
percezioni e dei convincimenti che ogni gruppo politico ha nei riguardi dello
spazio, derivanti non da una valutazione razionale e oggettiva dei suoi interessi,
ma dalla sua cultura e della sua esperienza storica. In generale “la nuova
geopolitica” attribuisce, rispetto a quella tradizionale, maggiore rilevanza ai fattori
geografici umani, come la demografia, l’economia, l’etnologia, la sociologia ecc.,
rispetto a quelli fisici, il cui flusso è stato modificato dal rapido sviluppo
tecnologico (Jean 1995, p.7). Le rappresentazioni geopolitiche hanno una grande
capacità di influire sulle percezioni e quindi sulle scelte e sul consenso che sia
interno ad uno Stato o internazionale. Possiedono, inoltre, una notevole valenza
propagandistica e informativa.
Giustamente Lacoste rileva che l’utilizzazione della geografia per
conseguire obiettivi politici ha costituito una costante nella storia di molte nazioni.
Non esistono né principi né leggi oggettive a cui è possibile fare riferimento, esse
sono soggettive e legate ad un determinato pensiero geopolitico e vengono
utilizzate per l’elaborazione di ipotesi, teorie, rappresentazioni e scenari politici.
Gli studiosi di geopolitica non sono, per questo motivo, mai neutrali, ma sempre
impegnati. Secondo Jean, lo stesso ricorso al concetto di geopolitica ha espresso
storicamente il desiderio dei geografi di proporsi quali “consiglieri del principe”.
La geopolitica, in definitiva non è che la geografia del principe, una “geografia
volontarista” con cui si vogliono individuare gli interessi e definire le politiche per
modificare gli assetti geografici esistenti. Il Generale considera la geopolitica
come un particolare approccio alla politica stessa, una particolare riflessione, non
unica ed esclusiva, che precede la decisione politica. Questa disciplina non tende a
descrivere in modo statico la distribuzione geografica del potere politico
1
Vedi paragrafo 1.2
strategico di un particolare momento storico e neppure a prevederne le possibili
evoluzioni. Tende, invece, ad individuare gli interessi e gli obiettivi di un
particolare soggetto politico, in relazione al livello di potenza e di libertà d’azione
a lui disponibili, selezionandoli fra quelli possibili e tenendo conto
dell’interazione con gli altri attori e delle relazioni internazionali (Jean 1995, p.8).
Quanto detto sopra ci rivela che le ipotesi geopolitiche non sono né
neutrali né oggettive. Dipendono da assunzioni di base e da concezioni che si
possono definire “metapolitiche”, quali, i sistemi di valore che ispirano la
valutazione dei propri interessi, dell’ambiente, del destino proprio e di quello del
Sistema Internazionale. Sono in pratica gli scenari dei futuri possibili e delle vie
alternative per plasmare il futuro secondo i propri fini, principi e valori. In questa
accezione di geopolitica è evidente che l’enfasi cade su “politica” più che su
“geo”, e che il fattore geografico non viene considerato in sé, ma perde la sua
individualità, per essere considerato insieme agli altri fattori. È però
costantemente presente: come opportunità e condizionamento; come fattore di
potenza e come condizione di vulnerabilità e come teatro. Le scelte dipenderanno
anche da altri fattori, come l’ideologia, la religione, la cultura, il grado di
consenso e di legittimazione interna e internazionale, che vengono tutti
incorporati nell’elaborazione di ipotesi e scenari geopolitici complessivi (Jean
1995, p.11).
I fattori che condizionano la possibilità di mobilitare risorse sono la
coesione sociale e la legittimazione dei loro sistemi politici. Quanto più esse sono
deboli, tanto più le risorse disponibili per progetti esterni diminuiscono. Infatti
questi due ingredienti hanno sempre giocato un ruolo determinante. Quando il
popolo è persuaso dell’importanza e della giustizia della propria causa è disposto
ad accettare sacrifici e perdite molto elevate, e ciò gli conferisce una superiorità
strutturale su un avversario non altrettanto determinato. Il consenso dell’opinione
pubblica viene influenzato dal “senso dello spazio” e dalla convinzione dei diritti
storici o della bontà della propria causa politica (teoria delle rappresentazioni). Si
creano perciò delle rappresentazioni geopolitiche che si collocano a livello pre - o
metapolitico che diventano determinanti non solo per la definizione degli
obiettivi, ma anche per il livello di mobilitazione delle risorse materiali (Jean
1995, p.73).
1.2 UN NUOVO MODO DI VEDERE IL MONDO
A partire dagli anni Ottanta, e soprattutto dopo al fine della guerra fredda, la
geopolitica ha conosciuto un crescente successo soprattutto quando i giornalisti
cercavano di spiegare una particolare rivalità territoriale; ma non è solo un affare
per i mezzi di comunicazione, è stata, inoltre adottata da molti studiosi ed
intellettuali specialmente delle Relazioni Internazionali, poiché designa un nuovo
campo di ricerca, in cui oggi c’è molto da fare e un approccio sostanzialmente
nuovo di vedere il mondo politico. Tuttavia la difficoltà è che la geopolitica non è
chiaramente e univocamente definita ed interpretata. Il recente successo ha fatto sì
che si abusasse di questo concetto bandito dopo la seconda guerra mondiale come
concetto “hitleriano”. Per quasi quarant’anni questa parola non è quasi più stata
utilizzata, né dai politici né dai media. Eppure, dopo il 1945, i problemi e i
rivolgimenti che oggi chiameremo senza dubbio geopolitici non sono mancati a
cominciare dagli accordi di Yalta. Quindi il suo oscuramento ha fatto sì che si
etichettasse delle definizioni più svariate (Lorot 1997, p.85). È soprattutto dopo il
1985 che l’uso del termine ha conosciuto il suo maggiore sviluppo. In quanto sono
apparse, in Europa orientale e sul piano mondiale, tutte le notevoli conseguenze
della perestrojka, e in special modo della glasnost - cioè l’esortazione ai
giornalisti di produrre una nuova stampa – si è venuti, in un numero crescente di
paesi, a considerare la geopolitica come un nuovo modo di vedere il mondo.
Infatti, il crollo dei regimi comunisti ha disvelato la molteplicità di rivendicazioni
d’indipendenza nazionale e le loro contraddizioni territoriali nella maggior parte
dell’Europa centrale, orientale, nei Balcani e nell’ex URSS (Lacoste 1993, p.1).
La fine della guerra fredda, lo sviluppo tecnologico, gli enormi squilibri
demografici ed economici e l’aumento del numero degli attori che agiscono sulla
scena internazionale hanno profondamente modificato il sistema mondiale. La
globalizzazione e l’interdipendenza di molti settori – finanziario, tecnologico,
dell’informazione – e la comparsa di forti centri di potere transnazionale, non
controllabili dagli Stati, rendono impossibile trascurare, nelle decisioni, anche
interne, le influenze del contesto internazionale data la porosità delle frontiere che
si è venuta a creare (Jean 1995, p.20). Diventa indispensabile, per uno Stato,
definire la propria collocazione rispetto al mondo. La destrutturazione dell’ordine
bipolare comporta, quindi, maggiori rischi e responsabilità: la politica estera
riacquista autonomia, anche in quegli Stati la cui libertà d’azione era limitata nel
periodo bipolare dalla dipendenza strategica da una Superpotenza. L’approccio
geopolitico riacquista importanza per la sua natura multidisciplinare, poiché è un
ragionamento e un attrattore di discipline diverse, in cui convergono geografia,
economia, tecnologia, storia, demografia e cultura. La geografia rappresenta
tuttora uno dei vincoli più importanti, ma il suo impatto si è modificato in
funzione degli strumenti tecnici e delle capacità organizzative di cui dispone lo
Stato modificando il concetto di spazio (ad esempio la geopolitica elaborata da
Mackinder e da Haushofer, nella prima metà del XX secolo, ha per orizzonte la
guerra e per obiettivo finale il controllo dello spazio), ma l’unione dell’atomo col
missile ha totalmente sconvolto questa problematica. L’arma nucleare ha
rivoluzionato tutto il concetto dello spazio impedendo il verificarsi di quegli
scontri massicci che avevano caratterizzato i due conflitti mondiali. Così, nel
senso classico del termine, lo spazio, i suoi vincoli e le sue opportunità hanno
subìto profondi mutamenti, poiché un missile nucleare avrebbe potuto colpire, da
qualunque luogo della terra, dopo un tragitto di pochi minuti, qualunque bersaglio
(Defarges 1994, p.134). La tecnologia, dunque, ha modificato i parametri e i
vincoli di uno Stato attraverso il cambiamento che ha prodotto sulle dimensioni
ambientali, spaziali e temporali. Il fattore tecnologico costituisce, infatti,
l’elemento più dinamico della geopolitica contemporanea. Modifica il significato
politico, strategico ed economico dei fattori fisici, poiché il suo impatto è tanto
profondo quanto rivoluzionario ed è per questo che, accanto ai fattori della
geopolitica classica - la terra, l’aria e il mare - occorre affiancare dei nuovi fattori:
quello nucleare, quello aereo e extratmosferico. Le nuove tecnologie militari
hanno eroso una delle principali funzioni dello Stato territoriale, che con le
frontiere, difendibili con facilità, garantiva ai cittadini protezione e sicurezza.
Hanno modificato anche il significato strategico dell’insularità, quello degli Stati
cuscinetto e quello della posizione e della distanza. Da quanto detto risulta che la
geopolitica è diventata più complessa e deve pertanto considerare un numero di
fattori più elevato che in passato, quando dominavano le dimensioni naturali, in
particolare la posizione, la distanza e l’estensione dello spazio (Jean 1995, p.80).
I fattori che influenzano la geopolitica contemporanea non sono solo legati
ad aspetti strategici-militari della vita di un paese, vi sono altresì aspetti culturali
che danno il loro contributo. Infatti, molti geografi e geopolitici contemporanei
(Lacoste, Jean, Defarges e Ó Tuathail) sono concordi nel ritenere l’importanza
determinante che i media hanno assunto nelle decisioni politiche di ogni Stato. Le
tecniche moderne di creazione di scenari, di effetti e di realtà virtuali fanno sì che
sia molto più credibile la propaganda che non la verità razionale. Ad esempio, il
mezzo televisivo si presta a fornire una grande quantità di particolari, lo si è visto
nella guerra del Golfo e anche in quella del Kossovo che influiscono sulla
percezione dell’opinione pubblica e spingono la classe politica a dover prendere
delle misure. Secondo Ó Tuathail, gli effetti geopolitici della rivoluzione dei
media sono estremamente rilevanti. In Primo luogo, la selezione delle notizie ha
un forte impatto politico, una guerra civile che non viene trasmessa dai circuiti
televisivi internazionali non esiste (è il caso della poca e cattiva informazione
riguardo ai problemi dell’Africa). In secondo luogo, si generano fortissime
pressioni sull’opinione pubblica che inducono i governi a reagire
immediatamente, con iniziative non sempre ben meditate. In terzo luogo,
un’azione di disinformazione può essere più efficace del contrario (Jean 1995,
p.97). Il simbolo della spettacolarizzazione dei conflitti geopolitici è stata la
“discussione globale” del maggio del 1994. In questa occasione l’ex Presidente
americano, Bill Clinton, parlò al mondo da uno studio della CNN. Clinton rispose
alle domande di 160 giornalisti collegati via satellite da otto paesi, compresi
Sarajevo, Gerusalemme, Johannesburg e Seoul. Fu un evento che indicava come
le nuove condizioni dello spazio e del tempo avrebbero interferito sul
comportamento della politica estera americana, ma anche su quella di tutti gli altri
Stati (Ó Tuathail 1996, p.187). Il controllo dei media, dunque, nell’età
contemporanea, assumeva, da quel momento, un’importanza rilevante per
qualsiasi iniziativa geopolitica.
Nonostante tutti i mutamenti che sono avvenuti con la fine della guerra
fredda ad oggi, una corretta geopolitica, secondo Lacoste, dovrebbe in primo
luogo proporsi di individuare le rappresentazioni geografiche che esprimano le
percezioni profonde circa gli interessi nazionali e il senso dello spazio proprio di
ciascun popolo e che affondano le loro radici nella storia e nella sua cultura e
valori. In secondo luogo, come afferma Jean, dovrebbe elaborare scenari
geopolitici particolari e generali allo scopo di individuare le tendenze e le
dinamiche che probabilmente si verificheranno per l’evoluzione naturale dei
fattori in gioco. Infine dovrebbe porre in evidenza le opzioni politiche alternative
disponibili per influire sul cambiamento in maniera coerente con i propri interessi
e valori (Jean 1995, p.21). L’utilità della geopolitica è aumentata per il fatto che
dopo la scomparsa del mondo bipolare, si è riaperta la lotta per il domino dello
spazio e per la creazione di zone d’influenza; questo tipo particolare d’approccio
serve, dunque, a concettualizzare lo spazio, operazione che precede e che è
finalizzata all’individuazione degli interessi nazionali e alle grandi scelte politiche
in un mondo che è sempre più globale e frammentato. Secondo Jean, le analisi
geopolitiche, sia che la loro utilizzazione sia descrittiva, predittiva o propositiva,
determinano una maggiore razionalizzazione e consapevolezza delle poste in
gioco. Pertanto, come afferma, Lacoste, costituiscono la base per qualsiasi
dibattito sulla politica estera e sulla definizione degli interessi, degli obiettivi e del
ruolo internazionale di uno Stato. Il suo ritorno sulla scena politica mondiale ha
coinciso con il sintomo del riacutizzarsi della lotta per il dominio dello spazio e un
invito a ridefinire i propri particolari interessi nazionali (Jean 1995, p.23; p.50).
Per alcuni la geopolitica è una “pseudoscienza” giacché è bollata come
politica dell’imperialismo e dei regimi totalitari; per altri, al contrario, si tratta di
una scienza nuova o, almeno, di un nuovo modo di vedere il mondo e di porre i
problemi che fino ad oggi erano stati occultati dallo scontro bipolare (Lacoste
1993, p.27). La storia di questo termine non è dunque semplice, oggi si parla di
geopolitica a proposito delle moltiplicazioni di problemi tanto diversi quanto la
comparsa di nuovi Stati, il tracciato delle loro frontiere i loro conflitti territoriali,
l’espansione di certe ideologie religiose come l’islamismo radicale
2
, o le
rivendicazioni dei popoli che vogliono ottenere l’indipendenza; ma si parla di
geopolitica anche per denotare problemi interni ai singoli Stati, del problema
migratorio e delle rivendicazioni regionalistiche (Lacoste 1993, p.15). Per quanto
riguarda la nostra analisi utilizzeremo questo tipo di definizione geopolitica:
“scienza che studia i rapporti tra la geografia degli Stati e la loro politica”, ma
ancora più attentamente, cercheremo di analizzare la relazione che esiste tra la
politica internazionale e di potenza e il quadro geografico in cui essa si esercita
(Lacoste 1993, p.297). Per Saul Cohen, l’essenza della geopolitica è lo studio
della relazione esistente tra la politica internazionale di potenza e le
corrispondenti caratteristiche della geografia (Lorot 1997, p.57). Secondo
l’interpretazione data da Lacoste, i fenomeni geopolitici sono essenzialmente
rivalità di potere dei territori caratterizzate da differenti rappresentazioni che i
gruppi in conflitto hanno del territorio in questione (Lorot 1997, p.89). Lorot la
definisce: “una metodologia che individua, identifica e analizza i fenomeni
conflittuali e le strategie offensive e difensive incentrate sul possesso di un
territorio sotto il triplice sguardo dell’influenza dell’ambiente geografico, sia
fisico che umano, delle argomentazioni politiche dei contendenti e delle tendenze
poderose e costanti della storia” (Lorot 1997, p.91). Per Gearòid Ó Tuathail,
geopolitico contemporaneo, il termine geopolitica rappresenta una comoda
finzione, un termine imperfetto per descrivere una serie di pratiche all’interno
delle grandi potenze che cercano di spiegare il significato delle nuove condizioni
globali dello spazio, del potere e della tecnologia. Questa disciplina comprende un
ensemble di sforzi intellettuali eterogenei per pensare attraverso la dimensione
geografica e l’implicazione degli effetti del progresso tecnologico (Ó Tuathail
1996, p.15). Secondo lo studioso, la fine della guerra fredda ha portato un periodo
di “smarrimento geopolitico” ossia una sorta di caos mondiale dovuto
all’implosione geopolitica dello scontro bipolare che ha fatto entrare in crisi il
significato dell’Occidente (Europa e Stati Uniti), inteso come entità socio-spaziale
(Ó Tuathail 1996, p.230).
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Per intendere il fondamentalismo islamico, abbiamo utilizzato la locuzione d’islamismo radicale.