6
più disparata varietà di delitti, purché avessero in comune l’elemento
dell’inganno.
4
Poiché il crimen falsi era un “delitto pubblico” e poiché di
conseguenza il suo ambito d’operatività era limitato solo a quelle frodi che
ledessero immediatamente interessi di natura pubblica, tutte le altre frodi,
ossia quelle che ledevano interessi meramente privati, non vi rientravano.
Con le costituzioni imperiali dell’epoca dei Severi,
5
apparve come crimen
extraordinarium una nuova figura criminosa, lo stellionatus, considerata
oggi come il precedente più vicino all’attuale nozione di truffa.
6
Occorre precisare però che la figura dello stellionatus (da stelio, il
nome di un rettile velenoso la cui pelle assume diverse colorazioni in
relazione al mutamento della luce) pur potendo essere considerata un
precedente della truffa, aveva dei confini ampi e imprecisi e abbracciava
tutta una serie di fatti che nulla avevano a che fare con l’odierno delitto in
questione (l’esempio più ricorrente è il profitto conseguito mediante falso
3
SBRICCOLI, op. cit., p. 236 “Il furto romano … può avvenire in molti modi, alcuni dei quali passano
per l’induzione in errore di colui che subisce il danno. E’ così che si presenta come species furti il caso di
colui che si fa consegnare il denaro facendo credere di essere il creditore o l’erede, …”.
4
MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1986, p. 661, in tal senso anche GIUSEPPE LA
CUTE, voce Truffa in Enciclopedia del diritto, Milano 1992, p. 244.
5
Vedesi in proposito E.VOLTERRA, stellionatus (estratto dagli studi sassaresi, vol. VII, 1929) riportato
in MANZINI op. cit., il quale ritiene che il crimen stellionatus comparve con le costituzioni imperiali
dell’epoca dei Severi.
6
In tal senso ANTOLISEI, op. cit., p. 312.
7
giuramento). Essa svolgeva una funzione sussidiaria rispetto alle
incriminazioni del furtum e del falsum.
7
La pena dello stellionatus, come per tutti i crimina extraordinaria,
nonché in considerazione della sua genericità e polivalenza, non era fissa
ma stabilita discrezionalmente dal giudicante nei singoli casi. Essa in ogni
modo non andava oltre i lavori forzati e la relativa condanna comportava,
come pena accessoria, l’infamia.
8
Anche nel diritto germanico mancò una
qualsiasi traccia della truffa (o dello stellionatus) come reato autonomo.
Nel nostro diritto intermedio il crimen stellionatus perdurò non
perdendo quel suo carattere di sussidiarietà, ambiguità (ambiguo era
soprattutto il suo rapporto con il reato di falsum) e genericità, visto che si
trattava di un reato “caratterizzato unicamente dalle forme fraudolente delle
offese ed era posposto a tutela di un qualsiasi interesse per il quale
mancava una specifica incriminazione”.
9
7
Ulpiano in un passo assai noto (D.47,20,3) traccia le linee essenziali di un crimine che chiama
stellionatum, << Sellionatum autem obici posse his, qui dolo quid fecerunt, sciendum est, scilicet si aliud
crimen non sit quod obiciatur: quod enim in privatis iudiciis est de dolo actio, hoc in criminibus
stellionatus persecutio.Ubicumque igitur titulus criminis deficit, illic stellionatus obiciemus>>. È quindi
un delitto che comprendeva tutte quelle lesioni patrimoniali, prodotte con la frode che non fossero state in
precedenza previste da leggi e quindi non perseguibili con le azioni ordinarie. M. Sbriccoli op. cit., p.
237.
8
MOMMSEN, Ròmisches Strafrecht, p. 667, richiamato dal MANZINI op. cit., p. 661.
9
LA CUTE, op. cit., p. 243.
8
2. EVOLUZIONE DEL REATO DI TRUFFA DALLA LEGISLAZIONE
PREUNITARIA ALL’ATTUALE ART. 640 C. P.
Dopo le sia pur sintetiche premesse sull’origine storica della truffa,
credo che sia opportuno, per una più chiara comprensione della medesima
nei suoi vari profili nonché delle problematiche a cui essa dà luogo,
dedicare un pò d’attenzione alla legislazione preunitaria in materia.
Innanzitutto possiamo constatare come non solo nelle leggi dell’Italia
preunitaria, ma anche nella dottrina di tale epoca, il reato che finirà per
chiamarsi truffa non aveva un nome comunemente accettato.
10
Per quanto riguarda tale fenomeno, sotto il profilo dei vari ordinamenti
giuridici preunitari, il codice penale toscano del 1853, in effetti, indicava il
delitto in esame con il nome di frode e all’art. 404 stabiliva <<Incorre,
come colpevole di frode, nella pena del furto semplice: a) chiunque,
attribuendosi un nome, una qualità, o una commissione, che non ha, od
eccitando speranze o temenze chimeriche, ottiene la consegna di qualche
cosa con animo di farla sua; b) chiunque dolosamente vende, permuta dà in
pagamento, o
10
SBRICCOLI, op. cit. p. 241 e ss..
9
impegna cose altrui, come se fossero sue, o cose vili, o non preziose, o men
preziose della loro apparenza, come se fossero preziose, o più preziose di
quello che sono; c) chiunque dolosamente aliena a due diversi acquirenti lo
stesso immobile o aliena o ipoteca come libero o come soggetto a pesi
minori, un immobile vincolato, o sottoposto a pesi maggiori; d) chiunque
dolosamente cede un credito già esatto, o ceduto ad altri; o essendo già
stato pagato del suo credito, si fa dolosamente riconoscere per creditore ed
esige di bel nuovo il pagamento; e) chiunque dolosamente sottrae la cosa
propria al detentore di essa e poi la richiama a restituirla e se ne fa pagare il
prezzo; f) chiunque sorprendendo l’altrui buona fede con artifici maneggi o
raggiri, diversi da quelli contemplati dalle lettere precedenti, o nel seguente
art. 405, si procura un ingiusto guadagno in danno altrui. Nei casi della
lettera c) e del paragrafo precedente si procede a querela di parte>>.
Nell’art. 405, da esso richiamato, erano fatte rientrare nella frode anche le
ipotesi di sottrazione dolosa della cosa propria al sequestro giudiziale o di
chi ritoglieva il pegno al creditore.
Anche il codice penale delle Due Sicilie del 1819 utilizzava il termine
frode per indicare ciò che rientrerà nella futura nozione di truffa.
Il codice penale sardo del 1839, invece, utilizza il termine truffa, nel
suo odierno significato (come già era accaduto nel regolamento pontificio
10
del 1832), e stabilisce una tradizione che attraverso i codici del 1859/65 e
del 1889 arriverà fino al codice penale vigente. Il codice sardo-italiano del
1859, infatti, nell’art.626 stabiliva: <<Chiunque sia facendo uso di falsi
nomi o false qualità, sia impiegando raggiri fraudolenti per far credere
all’esistenza di false imprese, di un potere o di un credito immaginario, o
per far nascere la speranza o il timore di un successo, di un accidente o di
un qualsiasi altro avvenimento chimerico, o con un qualsivoglia altro
artificio o maneggio doloso atto a ingannare o abusare della altrui buona
fede, si sarà fatto consegnare o rilasciare denaro, fondi, mobili,
obbligazioni, disposizioni, biglietti, promesse, quietanze, o liberazioni che
non gli spettino, ed avrà con alcuno di questi mezzi carpito la totalità o
parte degli altrui beni, sarà punito con il carcere o con la multa estensibile a
lire duemila; salve sempre le maggiori pene se vi è il reato di falso>>.
Un’altra fondamentale osservazione, che tra l’altro risulta evidente
dalle due norme sopra riportate inerenti al reato di truffa, seppure
variamente denominato, è la modalità con cui viene delineato il reato
medesimo: è cioè utilizzato un metodo descrittivo analitico-casistico.
Metodo che non mancò di suscitare critiche ed obiezioni, osservandosi
come non solo può nuocere alla interpretazione, ma soprattutto appare del
tutto preferibile, più completa e meno equivoca una formula generale
11
precisa e completa. La formula sintetica, infatti, consente di considerare la
proposizione normativa come clausola generale di tutela nei confronti
d’ogni aggressione dolosa avente determinati caratteri (quelli
specificamente previsti nella proposizione normativa).
11
Il codice Zanardelli del 1889, accogliendo pienamente queste
obiezioni e considerazioni, abbandona il metodo descrittivo analitico-
casistico e all’art. 413 dispone <<Chiunque con artifici o raggiri, atti a
ingannare o a sorprendere l’altrui buona fede, inducendo taluno in errore,
procura a se o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione sino a
tre anni e con la multa oltre le lire cento>>.
Questa scelta fu poi riconfermata dal successivo codice Rocco del
1930, il quale riporta una formulazione della truffa ancora più sintetica di
quella del 1889; quel che viene meno è solo la qualificazione degli artifici e
raggiri, che nel codice Zanardelli dovevano essere <<atti ad ingannare e
sorprendere l’altrui buona fede>>, per il resto, la formula definitoria è
rimasta sostanzialmente invariata. La soppressione apparve doverosa e
necessaria ai compilatori del codice, per coerenza con alcune disposizioni
di parte generale sul tentativo, sul rapporto di causalità e sul concorso di
11
LA CUTE, op. cit., p. 245.
12
cause.
12
Il passaggio da una formulazione analitico casistica ad una
sintetica, nonché, il venir meno nella lettera della legge di quelle
caratteristiche prima richieste espressamente relative all’idoneità degli
artifici e raggiri, costituiscono aspetti evolutivi del delitto di truffa, di cui
non si può ignorare l’importanza ai fini interpretativi e ai quali a volte si fa
riferimento per chiarire la portata, il significato, o il valore di alcuni
elementi, o più genericamente di certi aspetti della fattispecie. Esemplare è
il problema tuttora ancora dibattuto e sul quale ci si soffermerà più avanti,
relativo all’idoneità dei raggiri ad ingannare la vittima: questi raggiri
devono essere idonei o no ad ingannare la vittima? E nel caso di risposta
positiva, qual è il grado di insidiosità –idoneità richiesto affinché si
concretizzi il delitto di truffa? Si tratta di una problematica, la cui risposta
può essere condizionata dal valore che si dà alla soppressione di una parte
della norma di cui trattasi. Anche la più recente modifica apportata dall’art.
98 l. 24 novembre 1981, n.689, con la quale (aggiungendo un secondo
comma all’art. 640 codice penale) la truffa non aggravata è stata resa
perseguibile a querela di parte, costituisce un’importante tappa evolutiva di
questa figura criminosa.
12
Relazione del Guarda sigilli, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale,
V, pt. II, Roma, 1929, p. 459.
13
3. FRODE PENALE (NELLA SPECIE DELLA TRUFFA) E FRODE
CIVILE.
Per lungo tempo nella dottrina e nella giurisprudenza – non solo in
Italia, ma anche all’estero –si è fatta distinzione tra frode civile e frode
penale (nella specie della truffa),
13
e ci si è posti il problema, da un lato del
criterio discretivo tra le due diverse ipotesi, e dall’altro dei rapporti
intercorrenti tra le medesime.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la dottrina ha sempre cercato e
tuttora non ha ancora individuato un criterio distintivo comunemente
accettato e condiviso. La difficoltà che il raggiungimento di tale obiettivo
presenta ha indotto qualche autore del passato a ritenere inesistente, almeno
in linea di principio, una distinzione tra le due frodi;
14
di recente questo
presentimento si è maggiormente consolidato, sostenendosi che la
distinzione è insignificante, inutile e fittizia con la conseguenza che, chi si
mette alla ricerca dell’inesistente –ossia della differenza tra le due frodi e
dei relativi criteri distintivi- non troverà nulla di reale.
15
In effetti questa è
una soluzione che a ben vedere non si allontana troppo dal
13
ANTOLISEI, op. cit., p. 299.
14
IMPALLOMENI, Diritto penale italiano illustrato, III, Torino 1889, p. 292.
15
MANZINI, op. cit. p. 674.
14
vero e sulla quale ci si soffermerà tra breve. Per quanto riguarda invece i
vari criteri che sono stati proposti occorre ricordare quelli più significativi.
Alcuni autori (Carmignani, Buccellati, e altri ancora) impostavano il
problema su un piano meramente quantitativo: tenevano cioè conto del
grado di insidiosità degli artifici o raggiri (magna o parva calliditas); altri
autori
16
invece propendevano per una differenza di tipo qualitativo, nel
senso che mentre per la frode civile era sufficiente un qualsiasi inganno,
prodotto con un qualsiasi mezzo atto a condizionare la libertà del consenso
negoziale, e perciò anche con la semplice menzogna, per la frode penale
occorreva un quid pluris costituito da un vero e proprio apparato esteriore,
da una mise en scène, il cui fine era quello di rendere credibili i fatti
falsamente affermati.
17
Secondo la Scuola positiva, si aveva frode penale e
non civile, quando la condotta dell’agente evidenziava o confermava la
pertinacia, la pericolosità sociale del medesimo; l’attenzione si spostava più
sulla temibilità della personalità del soggetto attivo piuttosto che
sull’evento.
18
Un’altro orientamento considera la frode contrattuale
penalmente rilevante quando il contratto nella sua integrità costituisce il
16
CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, IV, Luca, 1880, § 2345 cit. in O. FANELLI,
Pratica giuridica; la paternità della teoria della mise en scène, sostenuta in Italia dal CARRARA, viene
generalmente attribuita al criminalista tedesco CUCUMUS; in giurisprudenza, v. Cass.28 giugno 1945,
Di Salvo, id. Rep.1943-45.
17
O.FANELLI, Pratica giuridica, Milano, 2000, p.19.
18
SANTORO- FAIELLA, frode civile e frode penale, 1984, 57; MOSCHINI, dolo civile e dolo penale
nella truffa, 733.
15
pretesto per spogliare la controparte. L’Impallomeni individuò la rilevanza
penale della frode nel fatto che la stessa ricada sulla sostanza o
sull’esistenza dell’oggetto, anziché sulle qualità accessorie del
medesimo.
19
Si è anche sostenuto in dottrina che la distinzione in parola
deve essere lasciata alla discrezionalità del giudice, nel senso che spetta ad
esso nell’ambito del suo potere discrezionale, stabilire nei singoli casi
concreti se si tratta di frode penale o civile.
In relazione al secondo aspetto dell’argomento in esame, ossia quello
relativo ai rapporti intercorrenti tra le due frodi, rispettivamente penale
(nella specie della truffa) e civile, occorre innanzitutto fare una premessa di
fondo che tra l’altro costituisce il risultato dell’elaborazione della più
recente dottrina:
20
esso ha una dimensione, una portata, molto più limitata di
quanto possa apparire prima facie. Più che di un problema generalissimo,
relativo ai rapporti tra due illeciti appartenenti a diversi settori
dell’ordinamento giuridico generale, aventi il medesimo oggetto, si tratta di
una questione che attiene solamente a quei casi in cui la truffa verte in
materia negoziale. La truffa in effetti ha una portata assai più ampia della c.
d. frode civile, potendosi realizzare anche fuori dall’area contrattuale-
negoziale come dimostra l’esempio seguente, spesso riportato nella
19
IMPALLOMENI, della frode punibile, in Circ. giu. 1880, XI; anche MASUCI, Intorno alla
16
manualistica: “Tizio proprietario di un raro esemplare di francobollo,
induce altri (che ne possiede uno identico) con artifici o raggiri a
distruggerlo, procurando a costui un danno e a sé un ingiusto profitto
costituito dal conseguente aumento di valore del proprio pezzo
filatelico”.
21
Da ciò appare chiaro che, mentre tutte le situazioni
riconducibili alla frode civile, se ne ricorrono gli estremi, possono integrare
anche un illecito penale (nella specie della truffa), non si può affermare
l’opposto, ossia che tutte le situazioni potenzialmente riconducibili alla
truffa possono eventualmente costituire una frode civile. Il rapporto tra le
due frodi si presenta quindi come asimmetrico, manifesta per così dire delle
sfasature ed è limitato solamente ad alcune ipotesi seppure le più importanti
e frequenti.
Precisata l’effettiva portata della problematica relativa alle relazioni
tra frode civile e frode penale, è opportuno fare un’osservazione di
carattere storico, relativo all’evolversi della medesima, per un quadro più
completo dell’attuale situazione dottrinale. Dalla seconda metà del XIX
secolo fino ai primi anni del XX, la dottrina di ispirazione liberale-
illuminista dominante in questo periodo, nell’ambito delle due frodi dava
una prevalenza assoluta a quella civile rispetto a quella penale, nel senso
incriminabilità delle frodi contrattuali, in Riv. pen., 1898, 432.
17
che veniva sostenuta una interpretazione prevalentemente restrittiva della
truffa; e ciò sul presupposto che fosse sufficiente la tutela civilistica tutte le
volte che la vittima avrebbe potuto con una maggiore avvedutezza evitare
l’inganno. Di conseguenza la distinzione tra i due tipi di frodi veniva
fondata tenendo in speciale considerazione il ruolo della vittima, e
corrispondentemente il grado di insidiosità-pericolosità dei raggiri e degli
artifici.
22
Nessuno, si diceva, deve credere ciecamente o comunque
facilmente alle parole altrui, e se vi crede imputet sibi. Ricorrente era la
frase, abbastanza rappresentativa di queste idee secondo cui lo Stato non
deve farsi paladino di ogni imbecille.
23
L’esigenza che stava alla base di
questa posizione allora dominante era quella di salvaguardare la libertà dei
traffici, di evitare eccessive ingerenze nei rapporti e nelle contrattazioni tra
privati, onde non intralciarli. Questa esigenza era talmente sentita che
costituì anche la ragion d’essere, la scaturigine della distinzione tra le due
frodi.
Con la dottrina successiva di stampo non più liberale-illuminista ma
tendenzialmente autoritario-statualistico, anche alla stregua di nuove è più
intense esigenze repressive in funzione di mantenimento dell’ordine
20
MARINI, Digesto cit., voce Truffa, Torino,1999.
21
MARINI, Profili della truffa nell’ordinamento penale italiano, Milano, 1970, p. 7.
22
O. FANELLI, op. cit., p. 20.
23
ANTOLISEI, op. cit., p. 299.
18
costituito, si verificò un’estensione interpretativa della nozione di truffa. Il
ruolo della vittima perse la sua importanza, la sua centralità, in quanto
residuo di superate concezioni individualistiche, che poco spazio ormai
vantavano rispetto ad una nuova e cresciuta coscienza di tipo solidaristico;
dal ruolo della vittima l’attenzione si spostò sulla condotta
fraudolenta.
24
Questa tendenza ad estendere la nozione di truffa ebbe
qualche ripercussione anche a livello normativo, come si è osservato a
proposito del passaggio dal codice Zanardelli al codice Rocco; nella nuova
formulazione legislativa del delitto vennero a mancare i requisiti della
attitudine a ingannare e a sorprendere l’altrui buona fede, prima
espressamente richiesti nel passato.
Da parecchi decenni il tema dei rapporti tra frode civile e
24
O. FANELLI, op. cit., p. 20.
19
frode penale (per quanto qui ci interessa nella specie della truffa) ha perso
credito,
25
ha assunto le sembianze di un relitto del passato.
26
Innanzitutto,
come poc’anzi è stato precisato, ci si è resi conto che la sua portata è molto
più limitata di quanto sia sembrato nel passato: il Marini ha infatti precisato
come il problema dei rapporti tra truffa e frode civile non si pone come una
questione generale, relativa ai rapporti fra le due qualifiche astratte, ma
come un problema di accertamento in una certa serie di fatti –rientranti in
materia negoziale – degli elementi tipicizzati dall’640 c.p. Per l’autore
quindi la discussione in parola, può assumere rilevanza solo come mero
invito a individuare in certi casi concreti - costituenti illeciti extra-penali -
gli eventuali requisiti ed estremi di tipicità anche per la rilevanza penale.
Non manca in dottrina chi ritiene il problema del tutto insignificante e
privo di una qualsiasi attinenza con la realtà.
Fondamentale a questo proposito è la posizione del Manzini, il quale
non solo ritiene inutile, superflua e arbitraria la distinzione, ma addirittura
la giudica nociva in quanto fonte di gravi e dannosissime confusioni.
L’autore argomenta la sua drastica posizione partendo da una
constatazione: “è da tenersi per certo che se in un determinato fatto si
25
ANTOLISEI, op. cit., p. 299.
26
Cfr. ANTOLISEI, op. cit., p. 261, il quale riconosce ormai la distinzione priva di ogni valore;
O.FANELLI op. cit. p. 21, ritiene che ci sia un ritorno all’attualità della distinzione tra frode civile e frode
penale.