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INTRODUZIONE
Questi due commenti fanno riferimento ad un video disponibile su
Youtube e realizzato dal Teatro alla Scala, nel quale vengono
mostrate alcune brevi scene de La Traviata che ha aperto la stagione
lirica del teatro milanese nel 2013, con il nuovo allestimento di
Dmitri Tcherniakov.
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Nel primo, quello dell’utente Paladine777, sono
riportate con grande precisione tutte le critiche sostanziali mosse a
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Video all’url:
https://www.youtube.com/watch?v=69Nk-Q4znic (5 gennaio 2017).
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questa regia, da esperti e non: Alfredo (Piotr Beczala)
“improponibile”, vocalmente non all’altezza di Violetta (Diana
Damrau), che invece non sembra fisicamente adatta al ruolo; “assurde
molte scene”, come quella di Alfredo che stende la pasta e taglia le
verdure, poca passione amorosa tra i due e costumi “brutti”,
quantomeno per il prestigioso evento scaligero. Un simile tono hanno
altre decine di commenti, tra i quali si leggono i sempre
gettonatissimi “Verdi e Piave si rivoltano nella tomba” o
l’equivalente inglese “Poor Verdi, what a shame!”, oppure ancora è
facile trovare chi fa complimenti ai cantanti, ma aggiungendo subito
dopo “peccato per la regia”.
Ma se questo è un sentore “popolare”, da intendersi nella doppia
accezione di riguardante il “popolo”, vale a dire il pubblico di non
addetti ai lavori, e di maggioranza, il successivo commento
dell’utente Tiberius717 sembra manifestare un diverso sentimento.
Questo non parla specificatamente degli elementi della regia, ma,
rivolgendosi in modo polemico alla maggior parte dei commenti
lasciati prima di lui, sintetizza un modus operandi critico così diffuso
da poter essere universalizzato nella frase: “Il solito spettacolo
farsesco e ripetitivo di melomani saputi che hanno sputato i propri
isterismi sulla regia”. Anche se si tratta di un’opinione non certo
largamente condivisa come la precedente, vale la pena evidenziare
una minoranza sparuta, ma esistente.
Entrambi gli utenti partono da premesse legittime, ma giungono a
conclusioni molto diverse. Dal punto di vista di Paladine777,
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evidentemente sostenitore delle regie tradizionali, quello che compie
Tcherniakov nell’allontanarsi così dal libretto è un vero e proprio atto
sacrilego. Allo stesso modo Tiberius717, denuncia una realtà fin
troppo affermata nel panorama critico attuale, esprimendo
implicitamente la voglia di bypassare quest’impostazione critica
castrante, per poter iniziare ad apprezzare quel “resto”, rispetto alle
regie tradizionali, che “non è spazzatura”. In nessun caso si potrà
stabilire se uno dei due ha torto, per lo stesso motivo per cui non si
potrà definitivamente dire chi ha ragione: Verdi non ha lasciato delle
specifiche e programmatiche direttive per la messa in scena. Se anzi
ci dovessimo appellare alla volontà del compositore, l’unica cosa di
cui siamo certi è che avrebbe voluto un’ambientazione
contemporanea per la sua Traviata, essendo “un sogeto dell’epoca”,
la sua epoca.
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Qualora si volesse allargare il campo di indagine e fare la stessa
“ispezione” della sezione commenti dei video d’opera presenti su
Youtube, per quanto riguarda le regie cosiddette “moderne”, che non
si attengono strettamente alle prescrizioni del libretto, si troverà la
stessa situazione dicotomica, con una maggioranza contraria a quello
che viene spesso definito “Eurotrash” ed una minoranza favorevole
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Scrive Verdi a De Sanctis il 1° gennaio del 1853: “A Venezia faccio la Dame aux
camélias, che avrà per titolo, forse, Traviata. Un sogeto dell’epoca. Un altro forse
non l’avrebbe fatto pei costumi, pei tempi e per altri mille altri goffi scrupoli, io lo
faccio con tutto il piacere. Tutti gridavano quando io proposi un gobbo da mettere
in scena. Ebbene: io ero felice di scrivere il Rigoletto”. Cit. in Julian Budden, Le
opere di Verdi, vol.2, Dal “Trovatore” alla “Forza del destino”, Torino, EdT, 1986,
p.128.
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che attacca la maggioranza.
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Similmente si può dire per i blog,
specializzati ed amatoriali, le pagine Facebook e i vari altri social
network, le riviste online e i siti d’opera.
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È importante sottolineare
che non si fa riferimento solo ai commenti in lingua italiana, ma
anche a quelli espressi in altre lingue, soprattutto americani, che non
sono affatto in numero minore, e che dunque si tratta di un fenomeno
ben lungi dall’essere nazionale o di patriottica difesa dell’opera come
prodotto italiano.
Tralasciando le critiche relative all’interpretazione vocale e
musicale che, per ragioni di specificità, non tratto in questa sede, e,
dichiarando a livello del tutto personale di trovarmi d’accordo con
Tiberius717, procederò nell’esplicare il motivo di questa premessa.
Questa tesi si sviluppa a partire dall’analisi di quattro regie cosiddette
“moderne”, nel tentativo di dare spiegazioni pertinenti e convincenti
all’assunto di Tiberius secondo cui non tutto il resto è “spazzatura”.
L’opera che ho deciso di prendere in considerazione è La traviata di
Giuseppe Verdi, negli allestimenti di Robert Carsen al Teatro La
Fenice di Venezia del 2004, di Willy Decker al Festival di Salisburgo
del 2005, di Peter Konwitschny al Teatro dell’Opera di Graz del 2011
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Il termine “Eurotrash” in questo caso viene usato dalla critica americana per
definire gli spettacoli, prodotti in maggioranza in Europa, con regie modernizzanti
che adottano soluzioni lontane dalle prescrizioni del librettista o del compositore,
come pure dalla passata tradizione interpretativa. Si veda a proposito: Fredric
Jameson, Regie Opera or Eurotrash?, «New Left Reviews», LXIV, luglio-agosto
2010, pp.111-129.
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Per fare alcuni esempi, limitandomi a quelli italiani, tengo a segnalare il sito «Il
corriere della Grisi – a tutelar l’antica arte del canto» (http://www.corgrisi.com/) e il
gruppo Facebook «Per una corretta rappresentazione delle opere liriche» (
https://www.facebook.com/groups/35905046772/?fref=ts) (6 gennaio 2017).
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e di Dmitri Tcherniakov al Teatro alla Scala di Milano del 2013.
L’intento è quello di mostrare alcune delle tendenze della regia
contemporanea, tramite la presa in esame di quattro tra gli
allestimenti più famosi e più importanti della storia di quest’opera.
Se fino a vent’anni fa il grado di transitorietà degli allestimenti
operistici avrebbe potuto costituire un effettivo problema ai fini della
realizzazione di questa tesi, ad oggi, grazie al massiccio numero di
registrazioni audiovisive effettuate durante gli spettacoli e alla loro
produzione e diffusione tramite le dirette tv, live o in differita, lo
streaming internet e il supporto fisico del DVD, quest’ostacolo viene
facilmente superato. Il presente elaborato è infatti reso possibile
grazie alla diffusione digitale dei quattro spettacoli che andrò a
trattare nei rispettivi capitoli. Nonostante i problemi di natura
ontologica ed ermeneutica legati alla ricezione degli spettacoli
operistici rimediati in video, sembra più facile farsi strada tra tali
ostacoli ed accettare che il prodotto video che si ha a disposizione è
altra cosa rispetto all’originale messa in scena teatrale, piuttosto che
rifiutarlo del tutto tacciandolo di inautenticità.
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I problemi a cui faccio riferimento sono molteplici. Innanzitutto un video d’opera, a
meno che non lo si veda trasmesso live, viene prodotto in DVD a seguito del
rimontaggio di tre o più giorni di spettacolo, alterando quindi di molto l’hic et nunc
della messa in scena teatrale. Secondo poi, proprio nella sua natura di spettacolo ri-
mediato, il video è un ulteriore prodotto artistico a sé stante, che si somma alla
stratificazione dello spettacolo operistico, che già comprende il livello musicale-
canoro e quello visivo di scene, costumi e regia. A proposito di questo si veda
Emanuele Senici, Il video d’opera “dal vivo”: testualizzazione e liveness nell’era
digitale, «Il Saggiatore musicale», XVI, 2009, pp. 273-312.
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Nonostante quanto detto circa le tendenze “popolari”, contrarie
alla regia contemporanea, per almeno tre di questi spettacoli si può
sicuramente riscontrare un grande successo conseguito all’indomani
della prima rappresentazione, relativo alla diffusione degli spettacoli
nella loro versione audiovisiva. Solo l’allestimento di Tcherniakov
non ha avuto la medesima diffusione degli altri tre, per motivi che
esplicherò meglio nel capitolo relativo a tale spettacolo. Per quel che
riguarda gli altri, la regia di Carsen, oltre ad essere stata prodotta in
DVD, viene riproposta alla Fenice da 13 anni (considerando le recite
in programma per il 2017). Ancor di più lo spettacolo di Decker, nella
sua versione video, è attualmente uno dei DVD d’opera più venduti in
assoluto, oltre ad essere stato messo in scena in molti altri teatri del
mondo viene è tutt’ora riproposto. Similmente la più discussa regia di
Konwitschny è stata prodotta in DVD dopo le performances di Graz e
poi acquistata e diffusa in altri teatri.
Tornando infine ai commenti, poco o per nulla autorevoli, che ho
provocatoriamente riportato, non sono da considerarsi fenomeno
legato unicamente alla ricezione del pubblico e della critica. Come
avrò modo di specificare più avanti, anche molti musicologi si
pongono in posizione polemica o avversativa nei confronti della regia
d’opera contemporanea, quando quest’ultima non viene ignorata del
tutto. La musicologia concentra oggi le proprie energie nella ricerca
filologica, finalizzata alla ricostruzione delle partiture e alla
costituzione di edizioni critiche, lasciando in secondo piano la più
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effimera regia, tenuta in considerazione forse più dai teatrologi e dai
critici.
Ciò che dunque mi prefiggo dalla realizzazione di questa tesi è di
trascendere l’ambito della critica e del giudizio estetico o di merito,
termini con i quali troppo spesso ci si rapporta pregiudizialmente agli
odierni allestimenti, restituendo dignità artistica alla regia d’opera
contemporanea tramite lo strumento dell’analisi sistematica, lo stesso
che viene utilizzato per le regie di film o di spettacoli del teatro di
prosa. L’obiettivo primario è quello di ricercare i legami tra la
drammaturgia dell’opera verdiana e gli espedienti registici utilizzati,
ma senza togliere per questo autonomia alla messa in scena,
considerata comunque come uno spettacolo dal valore estetico
indipendente dall’opera originale e degno per questo di essere
valutato in quanto tale. Per fare questo ho scelto quattro regie diverse
per genere, stile e interpretazione, a sottolineare la varietà degli
approcci possibili all’opera, permettendone ogni volta la creazione di
un prodotto diverso, ma ugualmente valido, che sia questo vicino alla
visione verdiana o meno.
Seguiranno quindi a queste considerazioni preliminari quattro
distinte sezioni. Nella prima verranno inserite alcune informazioni
riguardanti La traviata di Verdi e le sue tematiche discusse dai
musicologi, mentre nella seconda porterò alcuni esempi di regie
critiche particolarmente famose dell’opera. La terza sezione
riguarderà invece le posizioni di musicologi e teatrologi all’interno
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del dibattito sulla regia d’opera contemporanea e nella quarta e ultima
esplicherò la terminologia utilizzata nella stesura dei capitoli.
La traviata di Verdi, dei musicologi e dei registi
Secondo le statistiche di «Operabase» relative alla stagione lirica
2015/2016 La traviata è l’opera in assoluto più rappresentata al
mondo, con 865 allestimenti e 4190 recite complessive; lo stesso
primato spetta al suo compositore, con 16265 rappresentazioni e 3728
allestimenti.
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Un simile duraturo successo a distanza di più di 160
anni non fa che confermare le parole che scrisse Verdi al direttore
Angelo Marini all’indomani del fiasco della prima rappresentazione,
andata in scena alla Fenice di Venezia il 6 marzo del 1853:
La Traviata ha fatto un fiascone, e peggio hanno riso.
Eppure, che vuoi? Non ne sono turbato. Ho torto io, o
hanno torto loro? Per me credo che l’ultima parola sulla
Traviata non sia quella di iersera. La rivedranno… e
vedremo! Intanto, caro Mariani, registra il fiasco.
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Gli stessi primati vengono mantenuti dalla stagione 2008/2009. Statistica all’url:
http://operabase.com/top.cgi?lang=it&splash=t (7 gennaio 2017).
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Cit. in Paolo Gallarati, Eros e charitas nella Traviata, in La traviata, stagione
d’opera 2013/2014, Milano, Teatro alla Scala, p. 93.