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SOMMARIO
La tesi, dal titolo La trasposizione linguistica e culturale attraverso prodotti audiovisivi –
Doppiaggio e critica sociale in un’opera postmoderna: I Simpson, è suddivisa in tre parti
che riguardano:
Il doppiaggio di opere audiovisive.
La cultura americana e la critica sociale viste attraverso la tv postmoderna, in
particolare attraverso la serie animata I Simpson.
L'analisi del doppiaggio ne I Simpson - Il film.
Nel primo capitolo, dedicato al doppiaggio, viene presentata la storia del doppiaggio nel
mondo e in Italia, con particolare riferimento alla diffusione di un italiano standard
attraverso i mezzi di comunicazione audiovisivi, su tutti il cinema e la televisione. Un
linguaggio che presenta caratteristiche ben precise e che, nonostante fosse nato per ragioni
prettamente commerciali, è arrivato ad influenzare il parlato comune. Inoltre vengono
presentati i mestieri che ruotano intorno alla sala di doppiaggio e le problematiche che un
adattatore/dialoghista si può trovare ad affrontare nella traduzione di elementi propri di una
cultura estranea.
Il secondo capitolo è dedicato a una serie animata televisiva, I Simpson, che grazie alla sua
spinta innovativa è divenuta uno dei simboli della televisione dell'era postmoderna, un'era
dominata da incertezze e ambiguità. Nella prima parte del capitolo viene affrontato il
dibattito sulle caratteristiche e la diffusione del postmoderno nella cultura contemporanea;
ciò si lega alla nascita della sitcom animata I Simpson, evoluzione postmoderna del
cartoon: nella seconda parte del capitolo, viene affrontata la rappresentazione stereotipata
della famiglia media e della società americana viste attraverso gli occhi dei creatori della
serie tv. Inoltre viene introdotto il discorso sul linguaggio innovativo utilizzato nella
sitcom.
Il terzo ed ultimo capitolo lega i due capitoli precedenti ed è dedicato all'analisi del
doppiaggio de I Simpson, attraverso il confronto tra alcuni dialoghi nella versione originale
ed italiana tratti da I Simpson - Il film, trasposizione cinematografica della serie tv. In
particolare vengono sottolineate le difficoltà che si possono incontrare nella traduzione di
elementi comici, ironici o culturospecifici e gli stratagemmi adottati per superarle.
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INTRODUZIONE
L’idea di una tesi che comprendesse l’analisi del doppiaggio del cartone animato I Simpson
nasce da una “semplice” domanda che per anni mi ha perseguitato durante la visione della
serie: come è possibile trasporre da una lingua all’altra tutti gli elementi culturali, le
citazioni e le parodie con protagonisti personaggi conosciuti negli Stati Uniti, ma
sconosciuti in Italia, riuscendo a mantenere intatti il forte senso critico nei confronti della
società americana, gli aspetti comici, ironici e linguistici di un programma tanto innovativo
e particolare? Prima di dare una risposta al quesito, di cui principalmente si occupa il terzo
capitolo della tesi, è stato necessario partire da delle importanti “premesse”, sviluppate nel
corso dei primi due capitoli.
Il primo capitolo riguarda tutto ciò che ruota intorno al mondo del doppiaggio, che negli
ultimi anni è divenuto un importante oggetto di studio in ambito traduttologico, e si basa
fondamentalmente su due testi di riferimento: Tradurre per il doppiaggio. La trasposizione
linguistica dell’audiovisivo: teoria e pratica di un’arte imperfetta di Mario Paolinelli ed
Eleonora Di Fortunato (2005) e La traduzione filmica: aspetti del parlato doppiato
dall’inglese all’italiano di Maria Pavesi (2005). Partendo dalla spiegazione del significato
del termine “doppiaggio”, trasposizione finale di un sistema semiotico complesso quale
un’opera audiovisiva, e dal dibattito sulla sua natura di “traduzione totale”, il discorso si
sposta sulle origini di questa tecnica e sulla nascita della celebre industria del doppiaggio
italiana: nel nostro Paese, infatti, il fenomeno di tradurre i film è storicamente radicato. La
grande tradizione della scuola italiana del doppiaggio ha permesso la creazione di un vero
e proprio linguaggio standard irreale e uniforme, il cosiddetto “italiano del doppiaggio” o
(per i più critici nei confronti del fenomeno) “doppiaggese”, diverso ma fortemente legato
all’italiano del cinema e della televisione. Nel corso del capitolo viene presentato questo
nuovo linguaggio, che nel corso del tempo ha subito notevoli variazioni ed evoluzioni, e
ormai può essere considerato una vera e propria lingua a sé con regole, caratteristiche e
clichés che hanno avuto la forza di entrare a far parte del parlato comune (sia a livello
grammaticale, sia a livello lessicale). L’ultima parte del capitolo, prima di occuparsi del
dibattito che vede contrapposti i sostenitori del doppiaggio ai sostenitori del sottotitolaggio,
presenta i mestieri del dialoghista-adattatore e delle altre figure professionali che ruotano
intorno a questo mondo; in particolare vengono affrontati i problemi di natura tecnica
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(sincronismo) e traduttiva (come l’adattamento di elementi e termini culturospecifici) e le
strategie che possono essere adottate per superare le difficoltà da parte dei dialoghisti.
Il secondo capitolo è divisibile in due parti: nella prima viene presentata la cultura
postmoderna, con le caratteristiche che la contraddistinguono; il testo di riferimento è il
saggio di Remo Ceserani Raccontare il postmoderno (1997). Emergono posizioni
favorevoli e contrarie alla diffusione della svolta postmoderna, sviluppatasi a partire dagli
anni Sessanta del XX secolo, e un nuovo modo di pensare e concepire la cultura e la
società: in una scena economica globalizzata e dominata dal consumo e non più dalla
produzione, anche la cultura diviene un mero fatto commerciale e si apre alle masse. In
questo contesto anche il concetto di “tempo” viene rivisto: un angoscioso senso di eterno
presente fa rinunciare alla ricerca storica da una parte, al pensiero di un futuro dall’altra; a
livello artistico tutto ciò si manifesta con la morte delle avanguardie e con la mescolanza di
generi e codici, con una particolare diffusione del mondo simbolico delle immagini, del
cinema, del fumetto e della canzone popolare. In questo contesto, dominato da un forte
senso ironico e di rimando alla cultura popolare, può essere inserita la serie animata I
Simpson, nata alla fine degli anni ’80 dal genio dell’americano Matt Groening.
I Simpson, primo esempio di sitcom animata, ottennero fin da subito un notevole successo,
sia per il linguaggio non convenzionale utilizzato, sia per le tematiche sociali affrontate
con forte senso critico (ma lette in chiave comica e ironica). Partendo da due testi di
riferimento, come Benvenuti in casa Simpson. Fenomenologia di una famiglia americana
di Francesca Barbolini (2005) e la raccolta di saggi a cura di Corrado Peperoni intitolata I
Simpson. Il ventre onnivoro della tv postmoderna (2007), nella seconda parte del secondo
capitolo vengono proposte e analizzate le tematiche principali affrontate dalla serie che,
dato il grande successo del cartone a livello mondiale, veicolano con ironia e senso critico
l’immagine della società e della famiglia media americana in tutto il pianeta: tra i temi
proposti troviamo la famiglia, la religione, il consumismo, la corruzione nel mondo
politico, la decadenza dei sistemi sanitario e scolastico, l’accettazione del diverso e la forte
influenza esercitata sulle persone dal mondo della comunicazione. Infine, viene dato uno
sguardo al linguaggio (e al metalinguaggio) innovativo e provocatorio utilizzato nella serie.
Il terzo capitolo è quasi interamente dedicato all’analisi del doppiaggio della versione
cinematografica della serie animata, I Simpson – Il film (2007, titolo originale The
Simpsons Movie). Dopo la presentazione di dati tecnici, trama e riferimenti culturali
presenti nella pellicola, è presente il confronto-analisi di alcuni dialoghi e stralci di dialogo
nelle versioni originale e italiana: partendo dai transcript (trascrizione dei dialoghi) in
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lingua inglese tratti dal sito internet
http://simpsonswiki.net/wiki/The_Simpsons_Movie/Transcript e dopo aver trascritto i
dialoghi del film in italiano, ho voluto analizzare alcuni aspetti particolari del linguaggio e
delle tecniche adottate per la traduzione dei testi; in particolare è presente un
approfondimento sul cosiddetto “doppiaggio creativo” utilizzato dagli adattatori italiani per
fare in modo di mantenere alto il tasso di comicità del linguaggio. Inoltre, viene affrontato
il problema della traduzione di alcuni aspetti culturospecifici, come modi di dire, unità di
misura e riferimenti ironici a situazioni e problematiche sociali conosciute dal pubblico
statunitense, ma non da quello italiano. Infine, è presente l’analisi della traduzione di
alcune canzoni presenti nel film.
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1. IL DOPPIAGGIO
1.1 Che cosa significa doppiare opere audiovisive?
Nell’ambito degli studi traduttologici, negli ultimi anni sta prendendo sempre più campo
l’interesse rivolto alla traduzione di opere audiovisive. Questo interesse è dovuto alla
penetrazione ormai globale dei prodotti multimediali che, proprio per vedere facilitata la
loro diffusione su così larga scala, hanno bisogno di essere comprensibili a più gente
possibile.
Come riportato da Mario Paolinelli ed Eleonora Di Fortunato in Tradurre per il
doppiaggio. La trasposizione linguistica dell’audiovisivo: teoria e pratica di un’arte
imperfetta (2005:1-2), il problema del superamento delle barriere linguistiche e culturali,
ostacoli alla commercializzazione dei prodotti a livello internazionale, è presente fin dalla
nascita del cinema sonoro: il doppiaggio si è imposto, negli anni, come lo strumento
principale utile ad abbattere tali barriere.
Ma cosa si intende per traduzione di opere audiovisive? Se ci si fermasse ad una prima
impressione, la risposta sarebbe semplice: il doppiaggio filmico (almeno quello
interlinguistico
1
) consiste nella cancellazione della voce originale di un attore, sostituita in
seguito attraverso la postsincronizzazione con la voce registrata di un’altra persona, come
spiega Bruno Osimo nel suo Manuale del traduttore (2004:133).
In realtà tradurre per il cinema significa avere a che fare con un prodotto, il film, la cui
componente verbale è solo una delle parti di un sistema semiotico ben più complesso
costituito, oltre che dal codice verbale, da un codice visivo e da un codice sonoro: non si
deve ricostruire solo la comprensibilità del testo recitato, ma anche – soprattutto – il suo
rapporto con le immagini che scorrono sullo schermo. La traduzione dell’opera filmica
deve quindi confrontarsi con la presenza di canali e codici differenti anche se, come
sottolinea Maria Pavesi nel saggio La traduzione filmica: aspetti del parlato doppiato
1
Il celebre linguista russo naturalizzato statunitense Roman Jakobson (1896-1982), nel saggio del 1959
Aspetti linguistici della traduzione, distinse tre tipi di traduzione: (1) la traduzione intralinguistica, che
riguarda la riformulazione di un testo con altre parole della stessa lingua del testo; (2) la traduzione
interlinguistica, ossia la traduzione vera e propria di un testo da una lingua di partenza alla lingua di arrivo;
(3) la traduzione intersemiotica, ovvero il passaggio dal codice orale a quello scritto e dal codice delle
immagini al codice linguistico (Osimo, 2004:107; Pavesi, 2005:21).
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dall’inglese all’italiano, “il parlato è l’unica componente modificabile e manipolabile del
prodotto audiovisivo nel suo passaggio da una comunità linguistica all’altra” (2005:9).
1.2 Traduzione totale o traduzione vincolata?
La particolarità del prodotto filmico di essere un sistema semiotico complesso costituito da
diversi codici comunicativi, porta con sé significative differenze nell’approccio alla sua
traduzione rispetto alla traduzione di opere scritte.
Il linguista francese Edmond Cary, in un saggio del 1960, ha definito il doppiaggio come
“traduzione totale
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”: rispetto alla narrativa dove tutte le informazioni passano attraverso la
parola, nella traduzione per il cinema bisogna tenere conto dell’insieme di tutti gli elementi
(parole, immagini, suoni, immagini scritte) per rispettare la volontà originale dell’autore
dell’opera e per mantenere il senso del testo nella sua integrità.
Dunque, per ottenere una corrispondenza la più fedele possibile tra l’opera originale e la
versione doppiata, non bisogna solo saper tradurre il senso delle parole, della fonetica,
dell’intonazione e del ritmo delle frasi, ma anche tutte le connotazioni pragmatiche, sociali,
culturali, storiche, politiche, economiche, psicologiche che un testo scritto per il cinema
contiene: l’adattamento audiovisivo non è solo una traduzione, ma una vera e propria opera
di ricodificazione.
La definizione data da Cary, negli ultimi decenni, è stata rivista da diversi studiosi del
settore: se per tradurre un film bisogna trasferire in un’altra lingua un’espressione orale
che, però, è soggetta alla dipendenza di altri codici, allora è meglio definire l’adattamento
cinematografico come “traduzione vincolata” e non come “traduzione totale”; infatti, la
presenza dei canali sonoro e visivo, fondamentale per la comprensione del mondo
rappresentato sullo schermo, condiziona e vincola fortemente il raggio d’azione dei
traduttori (Paolinelli e Di Fortunato, 2005:40; Pavesi, 2005:10-12).
2
«La particularité du doublage est donc d’être le genre de traduction doué d’une vertu de fidélité totale. […]
Tous le autres genres ne connaissent qu’une de facettes du langage: le doublage accepte d’être fidèle à
toutes» (cit. in Pavesi, 2005:12).
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1.3 Finzione nella finzione.
Analizzando velocemente il termine “doppiaggio”, già ad un primo sguardo si nota la
presenza nella sua radice di “doppio” che, a sua volta, può essere interpretata in due
maniere differenti: da una parte affiora il significato di trucco, artificio, inganno, finzione,
ambiguità; dall’altra, però, si può leggere come raddoppiamento, rafforzamento
3
.
Insomma, il doppiaggio è un’arte che si propone di sostituire parole, frasi e voci che le
pronunciano da una lingua all’altra, con l’obiettivo e l’ambizione di mantenere intatta la
magia e l’illusione che il prodotto cinematografico produce.
Proprio per il fatto che il cinema è già di sua natura finzione, si può affermare che il
doppiaggio aggiunge altra finzione alla finzione, pur con la possibilità di apportare delle
modifiche che possono risultare originali.
A questo riguardo è significativa la presa di posizione di Oreste Lionello
4
che, durante un
intervento all’incontro su Il doppiaggio. Trasposizioni linguistiche e culturali svoltosi a
Forlì nel giugno 1993 (raccolto nell’omonima pubblicazione dell’anno successivo a cura
di Raffaella Baccolini, Rosa Maria Bollettieri Bosinelli e Laura Gavioli), sostenne la
presenza di una valenza innovativa nei testi doppiati, nonostante questi siano dei non-
originali derivati da altri testi: infatti, il doppiaggio presenta l’opera “sotto una forma
duplice: prima offre l’originale, poi offre il dubbio che quello che tu senti sia qualcosa di
diverso rispetto all’opera primaria”; dunque, fino a quando il testo doppiato mantiene una
sua distanza e una sua spinta innovativa rispetto al testo di partenza da cui deriva, può
essere considerato una forma d’arte (secondaria e vincolata dal bisogno di assecondare le
esigenze del testo di partenza, ma comunque forma d’arte) che va ad integrarsi all’opera
originale. Lionello concluse il suo intervento con le seguenti affermazioni:
“Per il doppiaggio vorrei arrivare a questa conclusione: il doppiaggio non è assolutamente
l’originale, anche se è uguale. Però il doppiaggio, per sua natura, deve essere falso per risultare
3
“Nell’etimo di doppiare (doppione, doppiezza) è insito il significato di inganno, simulazione, doppio senso,
trucco. C’è però anche quello di aumentare, accrescere, ingrandire. […] C’è il senso dell’artificio retorico
(raddoppiamento) e dell’ambiguità. […] Il doppiaggio è proprio un trucco, uno di più di quanti già
compongono il messaggio filmico.” (Comuzio, 1993 cit. in Bolletieri Bolinelli, 1994:25, Malaguti:2001,74).
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Oreste Lionello (1927-2009) è stato attore e regista di teatro, cinema e televisione, nonché direttore del
doppiaggio e doppiatore di innumerevoli personaggi: sua la voce “storica” italiana di Woody Allen, ha
doppiato anche – tra gli altri – Jerry Lewis, Peter Falk, Peter Sellers e, tra i cartoni animati, Paperino,
Topolino, Bugs Bunny e Gatto Silvestro (Baccolini et al. 1994:189).
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vero. Perché se tenta di essere vero, allora appare in tutta la sua modestia, in tutta la sua povertà.
[…] Il doppiaggio deve essere assolutamente falso. […] Quando un funzionario della RAI mi
dice: «Abbiamo fatto un film che sembrava l’originale!» la mia reazione è «Bella porcheria
avete fatto: prendete in giro la gente». Perché il falso, purtroppo, non porta con sé la figura del
doppio, ma porta con sé, legato al guinzaglio, l’imbecille che ci ha creduto” (Lionello, 1994:50).
Queste conclusioni hanno il merito di ricordare allo spettatore che, quando guarda un film
o un’opera audiovisiva, deve tenere presente che sta assistendo a qualcosa di finto
(doppiamente tale nel caso di un lavoro doppiato).
1.4 Dal cinema muto al cinema sonoro: le origini del doppiaggio e la nascita
dell’industria del doppiaggio italiana.
Prima di proseguire il discorso sul doppiaggio come strumento di trasposizione linguistica
e culturale, è necessario inquadrare storicamente le origini del fenomeno (particolarmente
radicato in Italia).
1.4.1 La nascita del cinema: dal muto al sonoro.
La nascita del cinema
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, inteso come proiezione in sala di una pellicola stampata, risale al
1° marzo 1895 quando, a Parigi, i fratelli Louis e Auguste Lumière presentarono il loro
primo lavoro (Arroseur en arrosè) proiettato attraverso un apparecchio da loro brevettato,
il cinématographe (cinematografo). Fin da quel momento la nascente industria
cinematografica ha tentato di realizzare dei sistemi di sincronismo per permettere la
sovrapposizione di una colonna sonora alle immagini che venivano proiettate.
Proprio tra la fine del XIX secolo e i primi anni del Novecento, sono da segnalare i primi
esperimenti di “doppiaggio in diretta”: come riportato da Paolinelli e Di Fortunato (2005:4)
l’attore e regista italiano Leopoldo Fregoli dava voce ai personaggi cinematografici
parlando e cantando nascosto dietro le quinte, mentre un cinema napoletano ingaggiò degli
attori che, posti accanto allo schermo, recitavano delle didascalie seguendo il movimento
delle labbra degli attori. Nello stesso periodo anche a Venezia venivano proiettati dei film
con il commento di filodrammatici nascosti dietro lo schermo.
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Le informazioni riportate sulla nascita del cinema sono state tratte dalla rivista cinematografica online
Cinema del silenzio all’indirizzo http://www.cinemadelsilenzio.it/index.php?mod=history#11. [Data ultima
consultazione 22 novembre 2011].