5
studio teorico della buona lingua e la spiegazione dei poeti classici. L’edificio non
era molto diverso da quello della scuola primaria, essendo sempre una bottega del
foro chiusa da una tenda, nella quale il ripetitore, subdoctor o proscholus, svolgeva
anche l’ufficio del bidello
3
. Occupa un posto nettamente superiore rispetto alle
precedenti, la scuola retorica (rhetoris schola). Svetonio ci riferisce che
inizialmente la retorica incontrò diverse critiche nella Roma repubblicana, in
quanto accusata di abituare i giovani all’ozio
4
. Ma con l’impero, e la nuova società
colta e raffinata che lo caratterizzava, raggiunse la sua acme
5
. L’insegnamento del
retore, che si svolgeva anche esso all’ombra dei portici, consisteva in lezioni
sull’arte oratoria che preparava i giovani all’avvocatura. Si trattava essenzialmente
di scuole di diritto, un tipo d’insegnamento superiore originale, l’unico si può dire,
rispetto ai greci
6
.
Con il passaggio dall’età
repubblicana all’età
imperiale si verificarono
altri cambiamenti
importanti nell’ambito
scolastico romano.
Mentre infatti nel
periodo repubblicano
l’educazione era quasi
esclusivamente a carico
delle famiglie, in età imperiale lo stato si interesserà sempre più di creare e
promuovere un’istituzione scolastica
7
. La maggior parte delle informazioni sulla
politica culturale degli imperatori romani proviene dalle Vite dei Cesari di
Svetonio. Qui leggiamo che Augusto, seguendo l’esempio di Cesare, istituì diverse
3
Cfr. ibidem, pp. 364-365.
4
Cfr. B. Mariano, Scuola e contro scuola nell’antica Roma, Sansoni, Firenze, 1974, p. 3.
5
Cfr. ibidem.
6
Cfr. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, cit., p. 380.
7
Cfr. G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, volume I, Il Medioevo, Arnaldo Forni,
Bologna, 1978, p. 1.
Figura 2 Rilievo del tardo impero raffigurante un
insegnante e tre allievi.
6
biblioteche sia greche che latine nella capitale, ma si può iniziare a parlare di una
vera politica scolastica imperiale solo a partire da Vespasiano. Egli concesse a tutti
i professori delle scuole secondarie e superiori di beneficiare delle esenzioni dagli
obblighi municipali, munera, che precedentemente Augusto aveva accordato ai soli
medici. Con Vespasiano nasce così una vera politica d’immunità fiscale per gli
insegnanti. Un altro aspetto importante della politica scolastica di questo
imperatore fu l’istituzione delle cattedre di Stato
8
. Fu il primo infatti, a istituire
delle cattedre ufficiali di retorica latina e greca, con uno stipendio statale annuale
pari a centomila sesterzi: «Primus e fisco Latinis Graecisque retetoribus annua
centina constituit; praestantis poetars nec non et artifices… insigni conciario
magnaque mercede donavit»
9
. Vespasiano in questo modo eliminava la figura del
libero professionista e sanciva la nascita del funzionario imperiale. Si trattava di
una grande innovazione, ma soprattutto rispecchiava l’esigenza dello stato di avere
persone istruite indipendentemente dalle disponibilità finanziarie delle famiglie
10
.
Bisogna però chiarire che questa iniziativa diede pochi frutti. Solo due cattedre
furono infatti istituite: una di retorica latina e una di retorica greca nella capitale. La
politica inaugurata da Vespasiano fu ripresa ad Atene da Marco Aurelio, che istituì
una cattedra di retorica e quattro cattedre di filosofia, sovvenzionandole con le
casse dello stato. Importanti ai fini del nostro discorso, furono anche le istituzioni
alimentarie create da Traiano. Queste «erano fondazioni originali finanziate con gli
interessi pagati dai beneficiari d’un sistema di credito fondiario, e destinate ad
assicurare l’educazione d’un certo numero di fanciulli, ragazzi e ragazze, legittimi
e naturali. Queste istituzioni avevano lo scopo di reagire, sul piano economico e
demografico, contro la decadenza dell’Italia; celebri iscrizioni ci permettono di
costatarne l’effettivo funzionamento»
11
.
Nell’età dei Severi (III secolo d.C.) la scuola era ormai ramificata in tutto l’impero.
La ragione di ciò era da una parte dovuta alla crescente burocratizzazione dello
8
Cfr. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, cit., pp. 97-398.
9
Svetonio, Vite dei Cesari, Vesp., 18, citate in Mariano, Scuola e contro scuola, cit., p. 40.
10
Cfr. Mariano, Scuola e contro scuola, cit., p. 7.
11
Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, cit., p. 398.
7
stato, e all’esigenza quindi di avere a disposizione personale qualificato, e dall’altra
all’economia sempre più complessa, che esigeva dalla maggior parte dei sudditi la
capacità di leggere, scrivere e far di conto. Lo stato spendeva somme immense per
l’istruzione. Significativa in proposito è la testimonianza di Eumenio, retore che nel
298 compose la Pro istaurandis scholis oratio, un panegirico con il quale ringrazia
gli imperatori Diocleziano e Massimiano per aver restaurato la scuola di Autun
nella Gallia
12
. Altre preziose informazioni in merito alla politica scolastica degli
imperatori romani le abbiamo grazie all’opera Historia Augusta di Elio Sparziano,
che voleva essere una continuazione dell’opera di Svetonio. Qui leggiamo che
l’imperatore Adriano istituì una pensione per i maestri di età avanzata
13
.
Non abbiamo poi altre informazioni sulla scuola imperiale fino al IV secolo,
quando Giuliano l’Apostata emanò l’Edictum de professoribus nel 362: «Magistros
studiorum doctoresque execellere oportet moribus primis, deinde facondia. Sed
quia singulis civitatibus adesse ipse non possum, iubeo, quisque docere vult, non
repente nec temere prosiliat ad hoc munus, sed sudicio ordinis probatus decretum
curialium mereatur optimorum conspirante consensu. Hoc enim decretum ad me
tractandum referetur, ut altiore quodam honore nostro iudicio studiis civitatum
accedant»
14
.
Questa legge prevedeva che i candidati che volessero accedere all’insegnamento
pubblico dovevano sottomettersi ad una prova dei loro talenti, probatio, che doveva
essere giudicata da una commissione di notabili: optimorum conspirante
consensu
15
.
Siamo in un periodo in cui il contrasto tra cristiani e pagani raggiunge il suo apice,
e con questa legge l’imperatore Giuliano, accanito oppositore dei cristiani, si
preoccupava anche di precludere a quest’ultimi l’insegnamento nelle scuole di
stato, ritenendo una incoerenza etica per essi insegnare cose (come la mitologia
12
Cfr. Mariano, Scuola e contro scuola, cit., pp. 7-8.
13
Cfr. ibidem, p. 7.
14
E. Sparziano, Historia Augusta, Giuliano, Edictum de professoribus, Cod. Theodos. XIII, 3, 5,
citato in Mariano, Scuola e contro scuola, cit., p. 42.
15
Cfr. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, cit., pp. 401-402.
8
pagana) in cui non credevano
16
. L’atmosfera di neutralità che era durata fino al quel
momento nell’insegnamento viene caricata con una zavorra anti-cristiana del tutto
nuova, investita da una missione di propaganda religiosa.
L’imperatore Giuliano si era inoltre accorto che molti maestri, anche quelli di
cattedra, preferivano alla scuola pubblica, la scuola libera da loro mantenuta, la
quale dava oltre che più denaro anche più indipendenza e fama. Temendo tale
concorrenza, l’imperatore sancì che tali scuole dovessero essere approvate dal
municipio
17
. Dopo morte di Giuliano l’editto venne revocato, e i Cristiani vennero
riammessi all’insegnamento con la costituzione imperiale del 364, (Cod. Theodos.,
XIIII, 3, 6). Nonostante ciò, lo spirito dell’editto de professoribus non venne
sostanzialmente modificato: la scuola si fa sempre più affare di stato
18
.
Nel 370, l’imperatore Valentiniano I darà disposizioni al governatore di Roma,
Olibrio, perché sorvegli con metodi polizieschi gli studenti che vengono dalle
province. Costoro dovevano munirsi di autorizzazione rilasciata dalla loro città
d’origine e dovevano inoltre farsi iscrivere negli uffici del prefetto, che ogni mese li
recensiva, li sorvegliava e nel caso di rinnovati disordini li poteva espellere
facendoli rimpatriare. Il loro soggiorno non doveva prolungarsi oltre il loro
ventesimo anno d’età
19
.
La complessa e stratificata istituzione scolastica romana durerà fino alla fine
dell’impero, quando nuovi popoli riusciranno a conquistare il potere politico ma
non a mantenere in vita il secolare sistema di trasmissione della cultura classica.
16
Cfr. Mariano, Scuola e contro scuola, cit., p. 42.
17
Cfr. Manacorda, Storia della scuola in Italia, volume I, cit., p. 4.
18
Cfr. Mariano, Scuola e contro scuola, cit., p. 43.
19
Cfr. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, cit., p. 397.
9
1.2 I PRIMI REGNI ROMANO-BARBARICI E IL LORO RAPPORTO CON
LA SCUOLA
Nel mondo antico il termine barbaro era un espressione: «dalle forti connotazioni
negative di origine onomatopeica, che nella Grecia classica prima, nel mondo
romano poi, indicava in modo dispregiativo coloro che non parlavano il greco o il
latino ma delle lingue ritenute ridicole e incomprensibili: rappresentate
dall’espressione bar-bar»
20
. Popolazioni barbariche di diversa composizione nel
corso del V sec. invaderanno i territori dell’immenso impero di Roma,
decretandone il definitivo tracollo. Non bisogna però pensare che questi popoli si
scontrarono improvvisamente con i romani e si insinuarono tutto d’un tratto nei
territori dell’impero. I rapporti tra mondo romano ed “esterni” furono per diversi
secoli di convivenza e di collaborazione. Sappiamo infatti che nel III secolo molti
barbari facevano parte dell’esercito romano, assumendo a volte anche delle cariche
militari molto importanti. Questo equilibrio però, a partire dalla seconda metà del
IV secolo, entrerà in crisi insieme con l’indebolimento politico e militare che stava
colpendo l’impero romano. Alcune popolazioni ne approfittarono per varcare il
limes, alla ricerca di nuove terre su cui stanziarsi, e spinte ad occidente dal
movimento di altri gruppi. Queste migrazioni segnarono la caduta dell’oramai in
sfacelo impero romano d’Occidente
21
. Sulle sue rovine si formarono i cosiddetti
regni romano-barbarici: il regno dei Vandali nell’Africa settentrionale, il regno dei
Visigoti in Spagna, il regno dei Burgundi e dei Franchi in Gallia, il regno degli
Anglo-Sassoni in Britannia ed il regno degli Ostrogoti in Italia
22
. Si pone a questo
punto il problema della convivenza tra i Barbari e i Romani, i primi detentori del
potere politico, mentre i secondi erano ancora gli unici a poter far funzionare ciò
che restava degli apparati burocratici dell’impero. Il problema viene risolto, nella
maggior parte dei casi, attraverso il mantenimento delle tradizioni giuridiche e
20
M. Montanari, Storia medievale, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 21.
21
Cfr. ibidem, pp. 22-23.
22
Cfr. P. Riché, Le scuole e l’insegnamento nell’Occidente cristiano dalla fine del V secolo alla
metà dell’XI secolo, Jouvence, Roma, 1984, p. 17.
10
amministrative precedenti, che venivano affiancate a quelle barbariche. I romani
continuavano così a gestire la parte amministrativa, mentre i barbari si occupavano
dell’esercito, della difesa militare
23
.
Il crollo dell’impero ebbe un effetto disastroso sulla trasmissione della cultura. Le
popolazioni barbariche era nella stragrande maggioranza analfabete. I nuovi
detentori del potere non avevano alcuno interesse nella salvaguardia della cultura
classica, ed anzi, per quanto riguarda l’istruzione dei giovani, contrapponevano la
loro educazione militare a quella classica
24
. L’ovvia conseguenza di tale
atteggiamento fu il quasi totale sfacelo dell’istituzione scolastica imperiale in molti
paesi. In Gallia ad esempio: «lasciarono vegetare, poi morire le scuole municipali
che esistevano ancora alla metà del V secolo in alcune città»
25
. Sempre in Gallia,
quando i municipi non potettero più assumersi l’onere di un professore, i genitori
dovettero ricorrere a maestri privati per l’istruzione dei propri figli. L’Africa
rappresenta invece una parziale eccezione. Quando Giustiniano conquisterà
l’Africa dei Vandali, vi troverà scuole ancora attive che si impegnerà a mantenere
tali
26
. Qui la cultura classica sopravvivrà fino all’arrivo degli Arabi nel 698. In
Italia, le scuole romane riusciranno fortunatamente a continuare le loro attività
grazie alla politica di Teodorico, re degli Ostrogoti. Dal momento in cui si
stabilisce a Ravenna (nel 493), si mostra subito un uomo colto. S’interessa di
salvare i monumenti romani dalla distruzione, di proteggere gli scrittori e di
assicurare uno stipendio ai professori delle scuole romane. Tale politica gli fece
meritare l’appellativo di nuovo Traiano dai letterati romani
27
. Questo ruolo di
mecenate fu reso più semplice dalla collaborazione di due dei più illustri letterati
del tempo: Boezio e Cassiodoro. Quest’ultimo in particolare, ebbe un ruolo
importante nella storia dell’istruzione. Egli si rese conto che l’educazione doveva
essere sostenuta istituzionalmente, ma sapeva anche di non poter contare sui
sovrani e decise di rivolgersi al pontefice Agapito. Non ricevendo alcuna risposta,
23
Cfr. Montanari, Storia medievale, cit., p. 25.
24
Cfr. Riché, Le scuole e l’insegnamento nell’Occidente cristiano, cit., p. 18.
25
Ibidem.
26
Cfr. ibidem, p. 20.
27
Cfr. ibidem.
11
decise di procedere da solo: sfruttando le proprie ricchezze, fondò un’accademia
monastica a Vivarese, in Calabria, e ad essa dedicò tutta la vita
28
. Il successore di
Teodorico, Atalarico, non fu da meno nel ruolo di patrono della cultura. Anche egli
s’interessò del reclutamento e del pagamento dei maestri. In una sua lettera ai
senatori si legge: «vogliamo che ogni professore di Belle Lettere, così i grammatici
come i retori e i professori di diritto, riceva lo stesso stipendio che riceveva il suo
predecessore senza alcuna riduzione. Poiché se paghiamo degli attori per divertire
il popolo, a maggior ragione bisogna mantenere coloro che danno lustro ai
costumi e fanno nascere l’eloquenza nel nostro palazzo»
29
. Dopo la guerra con
l’impero bizantino cessa il dominio gotico in Italia, e l’imperatore Giustiniano, nel
554, con la Prammatica Sanzione estenderà la legislazione imperiale anche alla
penisola. Importante ai fini del nostro discorso è l’articolo 22 di tale documento,
riguardo alla retribuzione dei maestri, in cui Giustiniano si riallaccia esplicitamente
a Teodorico: «Così l’annona che Teoderico era solito dare, e che anche noi
abbiamo concesso ai Romani, ordiniamo che sia data anche in futuro, e così pure
ordiniamo che le annone, che precedentemente si solevano dare ai grammatici e
agli oratori, e anche ai medici e ai giurisperiti, continuino ad essere erogate,
naturalmente a quelli fra loro che esercitano la loro professione, affinché i giovani
eruditi negli studi liberali possano fiorire nel nostro stato»
30
. Famoso è però anche
il provvedimento che chiuse la celebre scuola filosofica di Atene, dal quale si
evince come Giustiniano non possa essenzialmente essere considerato un difensore
e un promotore della cultura.
Le scuole italiane furono tra le poche nell’impero a mantenere le annone. Nella
Prammatica Sanzione si esplicita soprattutto la volontà dello stato bizantino ad
esercitare un controllo completo sull’istruzione superiore, a cui era affidato il
compito di formare funzionari esperti per le sue complesse necessità
28
Marcia L. Colish, La cultura nel medioevo, il Mulino, Bologna, 2001, pp. 93-94.
29
Cassiodoro, Variae, 21, citate in Riché, Le scuole e l’insegnamento nell’Occidente cristiano,
cit., p. 357.
30
Giustiniano, Prammatica Sanctio in Monumenta Germaniae Historica, Leges, V, p.174 citata
in C. Frova, Istruzione e educazione nel medioevo, Loescher, Torino 1973, p. 21.
12
amministrative
31
. Attenzione particolare fu infatti data alle scuole di diritto.
Giustiniano volle, attraverso le Istituzioni fatte compilare da Triboniano,
«procurare un manuale ufficiale alle scuole di diritto, e soppresse le varie scuole
giuridiche esistenti nell’impero. Riconobbe solo quelle di Roma, di Costantinopoli
e di Berito: chi oserà insegnare il diritto fuori di quelle tre città – disse – sarà
condannato alla multa di dieci libre d’oro»
32
. Tutte le iniziative didattiche
divennero appannaggio dell’impero che si preoccupò anche di distribuire gli allievi
nelle classi e fissare i programmi classe per classe
33
.
Per quanto riguarda invece l’insegnamento elementare, al tempo di Giustiniano
esso era oramai riservato unicamente agli aristocratici, e si esplicava
esclusivamente nell’ambito familiare. In questo periodo abbiamo la fase più critica
dell’educazione antica, «non solo dal punto di vista delle istituzioni, ma per quanto
riguarda i contenuti e i fini stessi dell’istruzione»
34
. La cultura classica continuerà
a far sentire la sua presenza nei secoli successivi, alle corti dei sovrani merovingi e
longobardi, dove i giovani aristocratici, insieme all’educazione militare riceveranno
anche una certa educazione letteraria, ma a questo punto la nostra indagine deve
spostarsi nell’ambito delle scuole ecclesiastiche: monasteri, pievi e vescovadi.
Queste saranno infatti le uniche sedi di scuole propriamente dette, fino quando con
Carlo Magno l’autorità laica affronterà seriamente il problema dell’istruzione
35
.
31
Cfr. Frova, Istruzione e educazione nel medioevo, cit., p. 15.
32
Manacorda, Storia della scuola in Italia, vol. I, cit., p. 15.
33
Cfr. ibidem, p. 16.
34
Frova, Istruzione e educazione nel medioevo, cit., p. 16.
35
Cfr. ibidem.
13
1.3 LA CULTURA SI CHIUDE NEI MONASTERI
Nel tardo impero romano le comunità cristiane non avevano scuole proprie. I
cristiani che desideravano per esempio studiare grammatica, dovevano
obbligatoriamente rivolgersi allo stesso grammaticus che istruiva i giovani laici.
Anche i chierici, che necessitavano di un minimo di cultura letteraria per svolgere
le proprie funzioni, dovevano ricorrere al grammaticus laico. L’istruzione religiosa
vera e propria avveniva nell’ambito familiare, e durante le cerimonie che
coinvolgevano la comunità
36
. La situazione cambia nel VI secolo. Il sostegno della
scuola laica, come abbiamo già accennato, viene gradualmente a mancare, fino a
scomparire del tutto nel secolo successivo. L’istituzione di una forma di scuola
religiosa diventa così una necessità. Il fenomeno fondamentale da questo punto di
vista è il grande sviluppo del monachesimo
37
. Quest’ultimo nasce nel IV secolo, e
pur trovando la sua fonte d’ispirazione nelle forme di ascetismo pagano, si
caratterizza come una delle istituzioni più importanti del medioevo
38
. Il
monachesimo all’inizio non dà origine a strutture scolastiche vere e proprie.
Certamente però, buona parte di coloro che vi entravano, i fanciulli e gli analfabeti,
dovevano ricevere dei rudimenti di cultura letteraria, indispensabili per la lettura
dei testi sacri e per la partecipazione alla vita liturgica. Il monastero rappresenta
così un centro educativo a tutti gli effetti, che monopolizzerà e caratterizzerà buona
parte della trasmissione della cultura nel medioevo. Educazione letteraria ed
ascetica procedevano di pari passo
39
, e i monasteri irlandesi in particolare, come
vedremo, si distingueranno a tal merito i celebri centri di cultura.
Ad ogni modo, la scuola ecclesiastica vera e propria nasce nella metà del secolo VI:
«La Chiesa sente ormai la necessità di dar vita a una organizzazione che provveda
all’istruzione e all’educazione dei propri futuri ministri e presto, con la fine delle
istituzioni scolastiche pubbliche, sarà questa l’unica struttura scolastica
36
Cfr. ibidem, p. 32.
37
Cfr. ibidem, p. 33.
38
Cfr. Colish, La cultura nel medioevo, cit., p. 98.
39
Cfr. Frova, Istruzione e educazione nel medioevo, cit., p. 33.
14
organizzata»
40
. Per sopperire a questa necessità, fu creata una nuova istituzione:
l’organizzazione di internati per i futuri chierici. Gia dal IV e V secolo furono
creati degli internati a Vercelli, a Tours e a Ipponia, dove fu fondato un
monasterium clericorum. All’inizio del VI secolo ve n’era uno in Provenza, ad
Arles fondato dal vescovo Cesareo. Non abbiamo molte notizie sulla vita che vi
conducevano i chierici, ma preziose informazioni le possiamo dedurre dalla opera
di Cesareo, Vita Caesarii. Qui si legge che un piccolo gruppo di chierici viveva
con il vescovo giorno e notte nella domus ecclesiae. Leggevano in privato la
Bibbia, ascoltavano le letture durante i pasti, partecipavano agli uffici di terza,
sesta e nona organizzati nella cattedrale, e c’erano momenti della giornata in cui si
poteva discutere con il vescovo delle Sacre Scritture. Sappiamo inoltre che i
chierici destinati al diaconato dovevano leggere almeno quattro volte e in ordine, il
Vecchio e Nuovo Testamento
41
:«così, possiamo dire che Arles possedeva una
scuola episcopale, dove i chierici non ricevevano soltanto una formazione
professionale, ma dove erano istruiti e educati»
42
. Poco tempo dopo, questa
istituzione viene resa ufficiale in Spagna con il concilio di Toledo del 527. Tale
concilio stabilisce infatti che coloro che intendono intraprendere la carriera
ecclesiastica siano istruiti presso la casa del vescovo, da un chierico, lo scolasticus,
non escludendo però che da questa scuola possano uscire laici istruiti nelle lettere e
nelle scienze sacre, potendo infatti gli allievi rinunciare al ministero all’età di
diciotto anni.
Da questo tipo di scuole però, poteva trarre vantaggio solo una élite molto ristretta.
Le sedi episcopali sorgevano infatti solo nelle città principali. La Chiesa si
interesserà del problema pochi anni dopo, con il concilio di Vaison del 529, che
istituiva le scuole parrocchiali. Qui, sotto la guida del parroco, gli allievi si
esercitavano nella lettura dei testi sacri e del canto: «Tutti i preti che svolgono il
loro ministero nelle parrocchie, seguendo l’uso che a quanto ci consta vige molto
40
Ibidem, p. 35.
41
Cfr. Riché, Educazione e cultura nell’Occidente barbarico, dal VI al VIII secolo, Armando,
Roma, 1966, p.105.
42
Ibidem, p. 106.
15
opportunamente in tutta Italia, accolgano nella propria casa i lettori più giovani,
che siano ancora celibi; educandoli spiritualmente come buoni padri si sforzino di
insegnar loro i salmi, di farli applicare allo studio dei testi sacri e di istruirli nella
legge del Signore. Si prepareranno così successori degni e otterranno il premio
eterno da Dio. Quando poi questi giovani raggiungeranno la maggiore età, se
qualcuno di loro per la debolezza della carne vorrà prender moglie, non gli si
neghi la possibilità di sposarsi»
43
.
Per quanto riguarda i monasteri, essi, fino alla rinascita carolingia, erano destinati
solo a formare i futuri monaci, ma poi grazie alla politica di Carlo Magno, anche i
laici furono ammessi; Eginardo per esempio, pur restando per tutta la vita un laico,
ricevette ugualmente un’istruzione nel monastero di Fulda
44
.
Le disposizioni di Carlo Magno ebbero come effetto un sovraffollamento dei
monasteri, non avendo i giovani aristocratici alternative valide in ambito educativo.
Durante il regno di Ludovico il Pio infatti: «the practice of training non-oblates for
ordination had grown beyond of what monastic writers considered acceptable and
perhaps beyond the bounds of what mostasteries could physically accomodate or
what parishes could support»
45
.
A tal proposito Ludovico il Pio e il suo consigliere Benedetto di Aniane decisero
nell’817 di chiudere la scuola monastica a quanti non fossero destinati alla vita
monastica
46
e di spostare l’istruzione dei laici nelle sedi vescovili, che erano poche
e collocate solo nelle grandi città
47
. Non abbiamo, purtroppo, nessuna
testimonianza archeologica che ci attesti la messa in pratica di queste disposizioni.
Abbiamo invece prova archeologica dell’esistenza, in questo periodo, di “scuole
esterne” nei monasteri, cioè di scuole per i laici separate. Secondo alcuni studiosi
43
Concilium Vasense, can. I, in MGH, Legum Sectio III, Concilia, Tomo I, p. 56, citato in Frova,
Istruzione e educazione nel medioevo, cit., pp. 44-45.
44
Cfr. Riché, Le scuole e l’insegnamento nell’Occidente cristiano, cit., p. 198.
45
M.M. Hildebrandt, The External School in Carolingian Society, E. J. Brill, New York, 1992,
p. 64.
46
Nell’826 papa Eugenio II emise un provvedimento simile, limitando l’accesso dei laici i
monasteri, cfr. ibidem, pp. 63-64.
47
Cfr. ibidem, p. 66.
16
infatti, alcuni abati avrebbero reagito al divieto imposto da Ludovico il Pio
aprendo, accanto alla scuola per gli oblati (scuola interna), una scuola per i laici
(scuola esterna). Un esempio significativo di queste due scuole distinte è la pianta
del monastero di San Gallo (Svizzera), costruito sotto l’abate Gozberto nella prima
metà dell’IX secolo. In questa pianta figura chiaramente una scuola esterna, chiusa,
e separata da un muro dal resto del monastero. Gli abati avevano infatti interesse ad
accogliere anche i laici, a prescindere dai divieti e dalle difficoltà effettive, poiché
l’ingresso di giovani aristocratici nei monasteri comportava la donazione a questi
ultimi di denaro e terreni. La questione della diffusione delle scuole esterne è
controversa, ma vista la scarsità di testimonianze a riguardo non ci sembra possibile
Figura 3 Pianta del monastero di San Gallo (IX secolo).
17
rilevare l’entità del fenomeno
48
. In effetti non è sempre facile capire in che misura
la realtà presa in esame si uniformasse alle disposizioni dei sovrani. Sembra
abbastanza chiaro comunque che dopo Carlo Magno, la riforma dell’istruzione
ebbe un arresto
49
. Frattanto, nel corso del VI secolo, come abbiamo accennato, i
monasteri irlandesi diventano dei centri di studio molto importanti che
influenzeranno la Gallia, l’Italia e l’Inghilterra. In Gallia, verso il 590, il monaco
irlandese Colombano, fondò infatti il monastero di Luxeuil nei Vosgi, frequentato
anche dai figli degli aristocratici. In Italia nel 614, sempre Colombano fonderà il
monastero di Bobbio, che diventerà negli anni successivi uno dei grandi centri
religiosi occidentali e avrà una grande influenza sulle popolazioni longobarde. Per
quanto riguarda l’Inghilterra (divisa in vari regni anglo-sassoni), qui Gregorio
Magno inviò dei monaci che intorno al VII secolo fondarono le prime scuole
monastiche a Londra e a Rochester. In tali istituti si insegnavano le sacre scritture e
il canto romano, che in seguito si chiamerà canto gregoriano. La parte nord
dell’isola sarà influenzata dagli irlandesi, da una cultura caratterizzata dallo studio
della grammatica, del computo e dell’esegesi biblica
50
. Se ci si chiede quanto hanno
inciso queste scuole sulla società del tempo, la risposta è che la loro influenza è
stata sostanzialmente limitata. Abbiamo da un lato pochi monaci, chierici istruiti, e
dall’altro una grande massa di analfabeti, formata in maggioranza dai laici e anche
da monaci che vivono in luoghi isolati, lontani dai centri di cultura
51
.
48
Riché, Le scuole e l’insegnamento nell’Occidente cristiano, cit., p. 199.
49
Cfr. Hildebrandt, The External School in Carolingian Society, cit., p. 68.
50
Cfr. Riché, Le scuole e l’insegnamento nell’Occidente cristiano, cit., pp. 47-50.
51
Cfr. Frova, Istruzione e educazione nel medioevo, cit., p. 36.