INTRODUZIONE
“Si può fare della letteratura un valore assertivo, sia nel
riempimento, accordandolo ai valori di conservazione
della società, sia nella tensione, facendone lo strumento
di una lotta di liberazione; si può invece accordare alla
letteratura un valore essenzialmente interrogativo; la
letteratura diventa allora il segno (e forse il solo segno
possibile) di quella opacità storica in cui viviamo
soggettivamente; servito mirabilmente da quel sistema
di significante decettivo che a mio avviso costituisce la
letteratura, lo scrittore può allora impegnare
profondamente la sua opera nel mondo, nei problemi del
mondo, ma al tempo stesso sospendere questo impegno
proprio dove le dottrine, i partiti, i gruppi e le culture gli
suggeriscono una risposta”
Roland Barthes, La letteratura oggi
Tanto nell’immaginario del pubblico quanto negli ambienti accademici, il fantastico
è stato a lungo considerato il genere d’evasione per eccellenza, sulla base di
un’assimilazione frettolosa all’universo, attiguo al fantastico ma da esso radicalmente
distinto, della fiaba e del modo meraviglioso che lo sottende. In modo particolare, il
sospetto o l’avversione nei confronti del fantastico come genere dell’irresponsabilità
etica, sociale e politica sono andati acuendosi in tempi di ‘emergenza’ storica, in cui il
silenzio della letteratura sul reale è stato fatto coincidere con il suo avallo, come
valgono a dimostrare la scomoda posizione occupata, nell’Italia degli anni Quaranta e in
piena fioritura neorealista, da uno scrittore anomalo quale Dino Buzzati, o l’incessante
accusa di torre d’avorio scagliata contro i fondatori del genere in America Latina, primo
tra tutti Jorge Luis Borges.
Se l’equazione silenzio-consenso poggia su un sostanziale fraintendimento del ruolo
della creazione artistica che la critica sembra essersi definitivamente lasciato alle spalle,
il preteso conservatorismo del genere appare invece, su un altro piano del discorso e per
motivi molto diversi da quelli tradizionalmente addotti, un’attribuzione non priva di
fondamento: un’osservazione attenta del fenomeno permette infatti di individuare nella
regressione verso modelli conoscitivi superati la logica intrinseca a larga parte del
fantastico più tradizionale, e di riconoscere in tale dinamica non già un’istanza
sovversiva rispetto ai codici culturali vigenti, ma al contrario una tendenza orientata, per
le modalità attraverso cui opera nei testi, alla loro conservazione.
A questa inclinazione − svincolata da rapporti diretti con i contenuti dei racconti e
con i loro presunti ‘messaggi’, come vorrebbe un pregiudizio tenace, banalizzante e
1
riduttivo sotto tutti i punti di vista, e risultante invece, come si è accennato, da più
complesse tensioni di ordine culturale ed epistemologico − si oppone, sul fronte più
avanzato del fantastico contemporaneo, un movimento di segno opposto: l’ipotesi da cui
questo studio prende, euristicamente, le mosse, e che si propone di verificare quanto più
rigorosamente possibile in sede di analisi testuale, è che numerose manifestazioni
fantastiche contemporanee detengano una carica autenticamente eversiva, e che in
questa vocazione quasi costitutiva alla trasgressione risieda uno degli scarti più
significativi tra le manifestazioni recenti del genere e i loro antecedenti ottocenteschi.
Come suggerisce Claudio Guillén al termine della sua riflessione sull’oggetto
d’indagine e la funzione specifica della letteratura comparata, la struttura diacronica o
modello cui il comparatista tende non può costituire, per l’analisi, né un a priori
inviolabile né un desideratum perseguito in totale assenza di premesse o scommesse
teoriche: “Non limitato alle sole varianti, né dipendente da totalità assenti o
congetturali, il modello esige la costruzione di schemi provvisori e rettificabili. Come
1
ogni ipotesi di lavoro, il modello non è meramente induttivo”. Il problema si pone con
tanta maggiore evidenza se la struttura eletta a tema d’indagine è quella, articolata e
sopranazionale, di un genere letterario, i cui limiti, scrive Guillén adducendo l’esempio
del genere picaresco, “dipendono non da un approccio induttivo a un certo corpus di
narrazioni − poiché il numero di narrazioni considerate come picaresche dipende dalla
delimitazione previa − ma dalla scelta di certe qualità generali, suscettibili di condurre a
particolari risultati; o dalla costruzione di modelli ipotetici di descrizione che in un
secondo momento procediamo a riferire a tutte le situazioni empiriche e ai dati
2
osservabili che ci interessano”. Tracciare i confini del genere e proporne una
definizione previa, che giustifichi i criteri di inclusione ed esclusione osservati nel corso
dell’indagine appare, in effetti, indispensabile, tanto più nei confronti di una categoria
problematica come quella del fantastico, rispetto alla quale l’assillo della definizione si
è imposto ai critici, nel tempo, con un’impellenza e una perentorietà maggiore che
3
altrove.
1
Claudio Guillén, Entre lo uno y lo diverso. Introducción a la literatura comparada (1985), trad. it. di
Antonio Gargano, L’uno e il molteplice. Introduzione alla letteratura comparata, Bologna, Il Mulino,
1992, p. 463. D’ora in avanti, dove non diversamente indicato le traduzioni sono mie.
2
Ivi, p. 96.
3
A questo riguardo viene fatto di domandarsi, come fa Ferdinando Amigoni all’inizio del suo saggio:
“Perché, è lecito chiedersi, il fatto che il fantastico si comporti esattamente come qualsiasi altro genere
letterario disturba la tranquillità dei critici? Dopotutto è parimenti impossibile fornire la formula
assiomatica della tragedia, del romanzo realistico, dell’idillio o del poema cavalleresco”. Ferdinando
Amigoni, Fantasmi del Novecento, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, p. 9.
2
Benché il dibattito circa la definizione e i confini del fantastico sia sorto in
4
concomitanza con le prime manifestazioni del genere, giustamente definito da Lazzarin
5
uno dei più autocoscienti fra i generi e i modi letterari, è soprattutto nel corso del
Novecento che i critici prendono coscienza del fenomeno e ne fanno un oggetto di
indagine specifica: dopo gli studi pionieristici di Castex, Penzoldt, Caillois, Vax, il
saggio Introduction à la littérature fantastique (1970) di Tzvetan Todorov, attirando
prepotentemente l’attenzione su questioni teoriche fondamentali con una tesi incisiva
6
quanto controversa, dà nuovo impulso a un contendere di cui si stenta a intravedere la
fine, contrassegnato da un interesse critico sempre rinnovato e da un incessante
moltiplicarsi delle prospettive, entro il quale la definizione dello studioso bulgaro
continua a rappresentare, a oltre trent’anni di distanza, un’inaggirabile pietra di
paragone.
Non si ha qui la possibilità di passare in rassegna tutte le definizioni proposte e
7
suffragate, negli anni, dagli studiosi confrontatisi con il fantastico, né il problema della
definizione costituisce la meta di questo studio: accogliamo pertanto operativamente la
definizione minima di Roger Caillois, che in accordo con altre formulazioni ha il pregio
di individuare nello scarto l’ubi consistam del genere, senza però appellarsi all’ambigua
4
Si vedano in particolare le riflessioni, oggetto di saggi o intercalate ai racconti, di narratori fantastici
quali E. T. A. Hoffmann, Charles Nodier, Edgar Allan Poe, Théophile Gautier, Guy de Maupassant,
Henry James, H. P. Lovecraft. Cfr. in particolare Remo Ceserani, Il fantastico, Bologna, Il Mulino, 1996,
pp. 54-56.
5
Stefano Lazzarin, Il modo fantastico, Roma, Laterza, 2000.
6
Eccone, in sintesi, le linee essenziali: essa individua l’essenza del fantastico in quella particolare
hésitation tra l’étrange e il marveilleux provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali di
fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale. Evanescente, il fantastico esisterebbe solo nel
breve spazio di questa esitazione, costituendo nulla più che un crinale, una linea di divisione tra lo strano
(storie in cui l’elemento impossibile viene ricondotto a una spiegazione razionale. Es.: follia del
narratore-protagonista), da un lato, e il meraviglioso (storie in cui vigono leggi diverse da quelle comuni,
in cui il soprannaturale è elevato a struttura narrativa. Es.: la fiaba) dall’altro. A realizzare compiutamente
quello che lo studioso denomina fantastico puro sarebbero quindi, di fatto, pochissime opere, mentre la
maggior parte dei testi ricadrebbe nell’ambito delle categorie intermedie del fantastico-strano e del
fantastico-meraviglioso. Vd. Tzvetan Todorov, Introduction à la littérature fantastique (1970), trad. it. di
Elina Klersy Imberciadori, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 2000.
7
Si vedano soprattutto: Pierre-George Castex, Le conte fantastique en France de Nodier à Maupassant,
Paris, Corti, 1951; Peter Penzoldt, The Supernatural in fiction, London, Nevill, 1952; Roger Caillois, Au
cœur du fantastique (1965), trad. it. di Laura Guarino, Nel cuore del fantastico, Milano, Abscondita,
2004; Idem, De la féerie à la science fiction (1966), ed. it. a cura di Paolo Repetti, Dalla fiaba alla
fantascienza, Roma, Theoria, 1985; Louis Vax, La séduction de l’étrange, Paris, PUF, 1965; Idem, Les
Chefs-d’oeuvre de la littérature fantastique (1979), trad. it. La natura del fantastico, Roma-Napoli,
Teoria, 1987; Irène Bessière, Le récit fantastique. La poétique de l’incertain, Paris, Larousse, 1973;
Jacques Finné, La littérature fantastique. Essai sur l’organisation surnaturelle, Bruxelles, Éditions de
l’Université de Bruxelles, 1980; Rosemary Jackson, Fantasy. The literature of subversion (1981), ed. it. a
cura di Rosario Berardi, Il fantastico. La letteratura della trasgressione, Napoli, Pironti, 1986. In Italia:
Neuro Bonifazi, Teoria del fantastico e il racconto fantastico in Italia: Tarchetti-Pirandello-Buzzati,
Ravenna, Longo, 1982; Remo Ceserani, Il fantastico, cit.; Remo Ceserani et al., La narrazione fantastica,
Pisa, Nistri-Lischi, 1983; Ferdinando Amigoni, op. cit.
3
categoria di soprannaturale e fornendo, del fenomeno, un modello abbastanza ‘vuoto’ da
poter essere riempito con contenuti diversi:
“Il fantastico manifesta uno scandalo, una lacerazione, un’irruzione insolita, quasi
insopportabile nel mondo della realtà […] è dunque rottura dell’ordine riconosciuto,
8
irruzione dell’inammissibile all’interno dell’inalterabile legalità quotidiana”.
All’ambiguo termine ‘realtà’ − sufficiente, da solo, a sollevare problemi teorici
vertiginosi − riteniamo tuttavia preferibile e molto più proficuo sostituire il concetto di
9
“paradigma di realtà” proposto da Lucio Lugnani, più adeguato a rendere conto del
carattere convenzionale e mutevole di ciò che una data cultura tende a considerare ‘la
norma’ e in grado di far luce su quella che potremmo definire la peculiare storicità del
genere, o la sua intensa deperibilità.
10
Quale via di fuga al rigido schematismo introdotto da Todorov, inoltre, proponiamo
di impiegare come criterio di riconoscimento della ‘fantasticità’ di un testo quello,
piuttosto ampio ma niente affatto scontato, della problematizzazione e messa in crisi del
concetto di reale e della nozione, ad essa conseguente, di possibile: i racconti privi di
tale criticità − perché i mondi che vi sono accampati si manifestano sin dall’incipit
come radicalmente distinti da quello del lettore, o perché il testo vi è a tal punto cifrato
da mancare di una vera funzione referenziale e fungere esclusivamente da rimando a un
senso secondo, o perché l’impossibile trova in essi un’esplicita giustificazione
psicologica, religiosa, pseudo-scientifica, ecc., − senza dubbio comunicano, ai margini,
con il modo fantastico, ma non ne occupano il centro.
A fare da spartiacque tra il fantastico vero e proprio e le numerosissime forme
limitrofe è lo scarto che intercorre tra il fantastico e il frastagliato territorio del
11
meraviglioso, nel cui ambito farei ricadere tanto la fiaba, quanto il genere utopico e
8
Roger Caillois, Nel cuore del fantastico, cit., pp. 150-152.
9
Lucio Lugnani, Per una delimitazione del ‘genere’, in Remo Ceserani et al., La narrazione fantastica,
cit. Per paradigma di realtà si intende l’insieme, determinato nello spazio e nel tempo, delle nozioni
scientifiche e assiologiche che dominano una data cultura, nonché la nozione stessa di realtà, che essa
elabora sulla base delle proprie concezioni spaziale, temporale e causale. Il rapporto tra il paradigma di
realtà e i diversi codici, precisa Lugnani, è di tipo meramente gerarchico, “in quanto il paradigma presiede
ad ogni codice”: “In pratica è il paradigma di realtà il codice dei codici, il luogo semantico e assiologico
di tutti i codici”. Cfr. Idem, Verità e disordine: il dispositivo dell’oggetto mediatore, in Remo Ceserani et
al., La narrazione fantastica, cit., p. 195.
10
Le principali critiche mosse alla classificazione proposta da Todorov sono indirizzate, abbastanza
unanimemente, al rigore eccessivo in nome del quale essa forza una pluralità multiforme di testi in reparti
teorici troppo angusti e insoddisfacenti dal punto di vista analitico. Sacrificando la specificità dei racconti
a esigenze di esaustività e simmetria, la trattazione dello studioso perde di vista in più occasioni il suo
reale oggetto d’indagine, con esiti paradossali come l’esclusione della pressoché totale produzione di Poe
dal genere fantastico, e la sua attribuzione alla categoria − niente affatto rigorosa perché basata, come si è
notato da più parti, su un elemento di ascendenza extraletteraria (gli effetti psicologici) − dello ‘strano’.
11
Il riferimento è all’utopia intesa come genere letterario specifico, considerato da Darko Suvin come il
“sottogenere sociopolitico della fantascienza” (Darko Suvin, Metamorphoses of Science Fiction. On the
4
buona parte della scrittura fantascientifica. Se nella pratica la contiguità tra queste forme
assomiglia più alle acque di due fiumi che si mescolino all’altezza degli affluenti che ai
due lati incomunicabili di una frontiera, e la transizione dall’una all’altra appare la
regione più popolata, continuum di forme intermedie, improntate alla contaminazione
tra i mondi e a diverse gradazioni di irrealtà, nondimeno è possibile individuare, tra le
due logiche che le sottendono, alcune divergenze fondamentali. Il problema dei mondi
finzionali e delle loro possibili ibridazioni sarà affrontato dettagliatamente nel capitolo
2: per il momento ci limiteremo ad enunciare, previamente, gli elementi assunti come
criteri distintivi nel corso dell’indagine e fatti valere quali strumenti di selezione o
esclusione.
Rosemary Jackson propone di collegare i tre stati mentali descritti da Carroll in
Sylvie and Bruno a tre modalità narrative dominanti: al mimetico corrisponderebbe la
condizione ‘ordinaria’, al fantastico quella ‘perturbante’, al meraviglioso quella
12
‘ipnotica’: lo spunto è suggestivo e individua un aspetto centrale della questione, ma
non si spinge oltre l’osservazione, psicologica, degli effetti e non offre alcun valido
appiglio per operare effettive distinzioni. In linea generale, la maggior parte dei critici
concorda nel definire meraviglioso un modo o genere narrativo il cui mondo finzionale
si presenta come radicalmente distinto da quello in cui viviamo, regolato da leggi
alternative che il lettore conosce sin dall’inizio o acquisisce nel corso della lettura
mediante rivelazioni o inferenze non problematiche, e in ogni caso privo, al suo interno,
13
di qualsivoglia contraddizione logica o ontologica. Tale modalità − che Caillois
vedeva già esauritasi con l’avvento, tra fine Settecento e inizio Ottocento, della
letteratura fantastica, in accordo con una visione lineare dell’evolversi dei desideri e
dell’immaginazione umana che la storia della letteratura smentisce categoricamente − è
più che mai viva ai giorni nostri, benché soprattutto nelle forme, spesso epigonali e
caduche, della paraletteratura, come dimostra il clamoroso successo di pubblico di quel
supergenere cui l’industria editoriale ha imposto l’etichetta di fantasy.
La distinzione tra il fantastico e la science fiction, che per buona parte della sua
produzione può essere considerata un sottogenere del meraviglioso, risulta ancora più
ardua, e i casi incerti, alternatamente accolti dagli studiosi in trattazioni sull’una o
Poetics and History of a Literary Genre [1979], trad. it. di Lia Guerra, Le metamorfosi della fantascienza.
Poetica e storia di un genere letterario, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 79) e da Roger Bozzetto additato
quale una delle sue principali anticipatrici (Roger Bozzetto, L’obscur objet d’un savoir. Fantastique et
science fiction: deux littératures de l’imaginaire, Aix en Provence, Publications de l’Université de
Provence, 1992). L’utopia nella sua accezione più ampia, come vocazione o orientamento generale della
scrittura, è invece prerogativa dei modi e dei generi letterari più disparati, non ultimo lo stesso fantastico.
12
Rosemary Jackson, op. cit, p. 33.
13
Roger Caillois, Dalla fiaba alla fantascienza, cit.
5
14
sull’altra modalità, sono numerosissismi. Basare l’identificazione della fantascienza
sulla realizzabilità o meglio sulla non-impossibilità, in relazione alle acquisizioni del
sapere, degli avvenimenti che vi si narrano, può essere fuorviante, dato il carattere
geograficamente e storicamente relativo della nozione stessa di possibile: maggior
precisione consente la definizione di Darko Suvin, che nel suo studio ormai classico sul
genere rintraccia la differenza specifica della narrazione fantascientifica nel “dominio o
egemonia narrativa di un ‘novum’ (novità, innovazione) funzionale convalidato dalla
15
logica cognitiva”. Avvalorato dal metodo scientifico post-cartesiano e post-baconiano
16
e improntato a una totale fiducia nella traducibilità del mondo in termini razionali , il
novum può coincidere tanto con una singola invenzione, quanto con un intero locus
spazio-temporale, con un personaggio, ecc.; a prescindere dalla sua specifica
declinazione, tuttavia, esso deve essere giustificato, nel testo, da una spiegazione
efficace, condotta in termini concreti e persuasivi, pena la ricaduta
nell’indeterminatezza dell’immaginazione fantastica, che non solo non ha l’obbligo di
spiegare razionalmente i propri enigmi, ma neanche può farlo.
Tale spiegazione, anche laddove il testo realizzi ed estenda una possibilità soltanto
ideale (cioè concettualmente priva di contraddizioni intrinseche, ma mai esperita
empiricamente, per esempio il viaggio intergalattico), deve mantenersi necessariamente
entro i confini della physis, gli agenti in senso lato ‘metafisici’ che travalicano tale
confine essendo esclusivo appannaggio della narrativa fiabesca e fantastica. Sul diverso
rapporto che realismo, fantastico e fantascienza intrattengono con la scienza,
particolarmente pregnante appare la formula di Philmus accolta da Suvin nel suo saggio,
che possiamo far valere − estendendone il concetto di ‘spiegazione scientifica’ alla più
ampia nozione di ratio e integrando le premesse svolte sopra − quale discrimine
14
Valgano come esempi di frontiera The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr Hyde (Lo strano caso del
Dottor Jekyll e del Signor Hyde, 1886) di Stevenson; i racconti ottocenteschi improntati a teorie
scientifiche attualmente invalidate quali il cosiddetto magnetismo animale o mesmerismo, al centro di
racconti quali The facts in the case of Mr. Valdemar (La verità sulla vicenda del Signor Valdemar, 1845)
di Poe e Avatar (1856) di Gautier; racconti basati su teorie pseudoscientifiche e condotti ben oltre la loro
giustificazione razionale, quali lo splendido Yzur di Leopoldo Lugones (in Las fuerzas extrañas, 1906), i
racconti Rokovye jajza (Le uova fatali, 1924) e Sobač 'e serdze (Cuore di cane, 1925) di Michail
Bulgakov, il romanzo La invención de Morel (L’invenzione di Morel, 1949) di Adolfo Bioy Casares e il
racconto lungo Cancroregina (1950) di Tommaso Landolfi.
15
Darko Suvin, op. cit., p. 82.
16
L’ubi consistam della science fiction andrebbe ricercato precisamente, secondo Roger Bozzetto, nella
megalomania e nel desiderio di magnificazione della ragione (Roger Bozzetto, op. cit.). In uno studio
dedicato al fantastico ma ricco di acute riflessioni sulla fantascienza, Sergio Solmi ha messo in luce come
tale esaltazione della scienza inclini a trasformarsi, nei prodotti deteriori del genere, in una vera e propria
mistica della scienza, sintomo del malessere “di una società delusa nel suo inconscio da tutto il suo attuale
condizionamento, e in disperata ricerca di nuovi miti e di nuovi mondi in cui sfuggire”. A detta del
critico, “la science-fiction, sotto il modulo razionalistico, sfuma continuamente in una pura fantasy e il
mito scientifico si perde e si ritrova attraverso le ombre tradizionali del miracolo e della magia”. Sergio
Solmi, Saggi sul Fantastico. Dall’antichità alle prospettive del futuro, Torino, Einaudi, 1978, pp. 68 e 71.
6
operativo tra le controverse modalità narrative in questione. Parafrasa Suvin: “C’è
un’utilissima distinzione tra narrativa ‘naturalistica’, fantastica e fantascientifica,
formulata da Robert Philmus, secondo cui la narrativa naturalistica non richiede
spiegazione scientifica, la narrativa fantastica non la consente e la fantascienza la
17
richiede e la consente”.
In linea generale, l’identità del fantastico è riconducibile, nelle sue concrete
realizzazioni testuali, alla compresenza e interazione di due componenti: una di ordine
18
tematico (la presenza dell’elemento soprannaturale o, in senso lato, inammissibile) e
una di ordine stilistico-formale (il particolare trattamento narrativo cui quella tematica è
sottoposta). Se è vero che un’analoga intersezione presiede alla definizione della
maggior parte dei generi letterari, essa si dimostra oltremodo perentoria nel caso del
fantastico, a istituire il quale non può valere né una ragione puramente tematica (la
rappresentazione del soprannaturale secondo altri codici approda facilmente, come si è
detto, al cosiddetto meraviglioso), né una squisitamente formale (le principali strategie
narrative cui si deve, in concorso con una data tematica, la creazione dell’effetto
fantastico sono comuni, come si vedrà, a larga parte della narrativa postmoderna non
fantastica). Alla luce di queste considerazioni, la presente analisi si vedrà pertanto
costretta ad accantonare qualsivoglia ambizione di separatezza e simmetria e ad
aggredire il suo oggetto da più fronti, facendo interagire costantemente aspetti formali e
tematici, nel tentativo di individuare, all’incrocio tra i livelli e nella tensione interna alla
stratificazione, la logica peculiare del fantastico.
Prima di passare a esaminare le più significative tra le riflessioni teoriche che si sono
concentrate sulla letteratura fantastica contemporanea, occorre dirimere un’ultima
questione che ha affaccendato non poco gli studiosi e che una trattazione sul fantastico
orientata a una prospettiva comparatistica non può permettersi di eludere: ci riferiamo
17
Darko Suvin, op. cit. p. 87.
18
Urge, a questo riguardo, una precisazione fondamentale: un racconto fantastico è tale se l’elemento
soprannaturale o impossibile vi svolge un ruolo strutturante rispetto all’intera narrazione, convogliandone
il senso o le peculiari tensioni interne. I casi in cui in una vicenda realistica faccia la sua comparsa, in
modo accessorio, una componente a rigore non ammissibile dal codice, fanno certamente uso di elementi
fantastici ma non ricadono all’interno del genere. Stabilire la natura accessoria o centrale della
componente fantastica non è, naturalmente, un’impresa facile, né esistono ricette infallibili: occorrerà
valutare dunque, caso per caso, la funzione che essa svolge entro il sistema testuale, provando magari a
sopprimerla idealmente per testare l’eventuale tenuta del racconto in sua assenza. Quale esempi notori di
fantastico accessorio, si pensi per esempio alla strabiliante capacità di Oskar Matzerath di infrangere i
vetri gridando, in Die Blechtrommel (Il tamburo di latta, 1959) di Grass, o alla comunicazione mentale,
telepatica, che in Midnight’s Children (I figli della mezzanotte, 1981) di Rushdie vediamo stabilirsi tra il
protagonista e la folla di bambini venuti alla luce nel medesimo istante della sua nascita.
7
alla sua patente di genere o modo letterario. Alcuni studi recenti tendono infatti a
considerare il fantastico, più che un genere storicamente e geograficamente circoscritto,
“un modo letterario, che ha avuto radici storiche precise e si è attuato storicamente in alcuni
generi e sottogeneri, ma ha poi potuto essere utilizzato e continua a essere utilizzato […] in
opere appartenenti a generi del tutto diversi. Elementi e atteggiamenti del modo fantastico,
da quando esso è stato messo a disposizione della comunicazione letteraria, si ritrovano con
grande facilità in opere di impianto mimetico-realistico, romanzesco, patetico-sentimentale,
fiabesco, comico-carnevalesco, e altro ancora. E però c’è una precisa tradizione testuale,
vivissima nel primo Ottocento, che è continuata anche nella seconda metà del secolo e in
tutto quello seguente, nella quale il modo fantastico viene utilizzato per organizzare la
struttura fondamentale della rappresentazione e per trasmettere in maniera forte e originale
19
esperienze inquietanti alla mente del lettore”.
L’ultima precisazione è ciò su cui vorremmo porre l’accento. Anche ammettendo una
continuità tra il fantastico sette-ottocentesco e quello contemporaneo, come oggi fa, in
netta reazione a Todorov, tutta la critica più avveduta, è evidente che un graduale
processo di trasformazione, sia tematico che formale, ha mutato in alcuni casi in modo
radicale la fisionomia del genere, facendolo pervenire a esiti talvolta distantissimi dai
suoi antecedenti romantici. La letteratura fantastica del Novecento costituisce un
panorama estremamente sconnesso, solcato da notevoli divergenze interne e segnato da
un’inclinazione quasi costitutiva all’ibridazione, legata, quest’ultima, al progressivo
declino dell’accezione normativa di genere e indiscutibile cifra di tutta la letteratura
postmoderna: entro il fantastico novecentesco si riscontrano, così, racconti fantastici
perfettamente canonici, i quali replicano, riattivandoli magari con tematiche nuove, ma
anche pedissequamente, gli stessi dispositivi del fantastico à la Hoffmann (esempi di
questo tipo, probabilmente i più numerosi, sono rintracciabili anche in seno alla
produzione degli autori più innovatori); molti testi ‘spuri’, dalla difficile collocazione di
genere, in bilico tra modalità rappresentative contigue, quali il meraviglioso, il surreale,
il fantascientifico (lo stesso Kafka, spesso troppo sbrigativamente omologato al
fantastico, è autore di molte narrazioni di questo tipo); racconti ironici e parodici, che
giocano consapevolmente con le forme più tipiche del fantastico e del gotico; racconti al
confine tra modalità finzionali e saggistiche che fanno scaturire il fantastico dalla
19
Remo Ceserani, Il fantastico, cit., p. 11. Tale impostazione è comune anche agli approcci di Neuro
Bonifazi (“Lontani dal considerare il fantastico un genere precario e evanescente, siamo propensi a
intenderlo come una categoria generale, un supergenere, un tipo di discorso, che qualifica molti dei generi
tradizionali [narrativa, dramma] e si estende a più di un’arte [letteratura, pittura, cinema]”. Neuro
Bonifazi, op. cit., pp. 56-57); di Irène Bessière (Cfr. Irène Bessière, op. cit.); di Rosalba Campra (Rosalba
Campra, Territori della finzione. Il fantastico in letteratura, Roma, Carocci, 2000), e Rosemary Jackson
(“Si potrebbe suggerire che il fantastico è una forma letteraria dalla quale emergono un numero di altri
generi ad essa collegati. Il fantastico fornisce una serie di possibilità dalle quali varie combinazioni
producono generi diversi di narrativa in situazioni storiche differenti.” Rosemary Jackson, op. cit., p. 6).
8
20
letteralizzazione di ipotesi filosofiche o teologiche; racconti fantastici fortemente
21
innovatori rispetto alla tradizione su cui si innestano.
Per questo amalgama di testi differenziato al suo interno non solo da intenti e
22
strategie molto diverse, ma anche da ‘diseguali storicità’, mi sembra possa valere
pienamente la definizione di modo proposta da Ceserani, concepibile tuttavia più come
una riserva di strategie tematico-formali, disponibile anche per altre modalità narrative,
che come effettivo contenitore o raggruppamento di opere, e trasversale non solo a
generi diversi, ma anche a distinte forme artistiche. In quest’ottica, il problema del
nome risulta comprensibilmente vanificato: le manifestazioni elencate non sono
categorizzabili se non a patto di modelli ‘fluidi’, flessibili, e cercare loro una definizione
a ogni costo rischia di risolversi in un’operazione oziosa, oltre che destinata allo scacco;
tanto più che, come fa notare Louis Vax nel suo studio sul fantastico, “per identificare la
cosa non è necessario disporre di una definizione della parola […] più che un punto di
partenza, la precisione è una meta. E non è molto importante che adoperiate delle parole
23
dal senso fluttuante, se sapete introdurle in discorsi esenti da equivoci”.
Ciò detto − e veniamo alla precisazione cui si accennava − la letteratura del
Novecento vede l’innegabile sopravvivenza di quello che a questo punto possiamo
definire, senza ambiguità, uno specifico genere letterario, in cui rientrano tanto le
manifestazioni canoniche ed epigonali del fantastico, quanto i suoi esiti più innovativi,
menzionati sopra. Questi ultimi formano una categoria non rigorosa e disordinatamente
transnazionale uniformata nondimeno, al suo interno, da una serie di tratti ricorrenti, in
ragione dei quali le opere che vi ricadono si collocano, rispetto all’antecedente
20
A questa categoria può essere ascritta la maggior parte della produzione fantastica di Borges e Bioy
Casares, per la quale appare più che mai pertinente l’affermazione di Italo Calvino, fornita in risposta a
un’inchiesta condotta da Le Monde sulla letteratura fantastica, in occasione della pubblicazione del saggio
di Todorov, secondo cui “nel Novecento è un uso intellettuale (e non più emozionale) del fantastico che
s’impone: come gioco, ironia, ammicco, e anche come meditazione sugli incubi o i desideri nascosti
dell’uomo contemporaneo”. Italo Calvino, Definizione di territori: il fantastico, in Una pietra sopra
(1980), Milano, Mondadori, 1995, p. 261.
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A fronte di questa ampia declinabilità del genere va rilevata la persistenza, a due secoli di distanza dalla
sua genesi, della scelta della misura breve come forma privilegiata del fantastico. Anche a dispetto della
fantasticizzazione di generi diversi e dell’impiego di strategie proprie del fantastico in generi e arti
distinte, il sodalizio tra storia fantastica e racconto o racconto lungo (la nouvelle francese) continua a
essere il più felice e a dare gli esiti migliori, verosimilmente in ragione della necessità, ai fini dello scatto
e dell’effetto fantastico, di una peculiare tensione interna al testo, tensione che la forma breve sembra
particolarmente adatta a generare e veicolare. Confermerebbe questa ipotesi la constatazione secondo cui
gli sporadici casi di romanzi fantastici si presentano spesso come collazioni di racconti, più che come
narrazioni organiche (si veda per esempio Le Manuscrit trouvé à Saragosse, Il manoscritto trovato a
Saragozza, 1805-1815 ca., del conte Potocki).
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È l’idea blochiana, estesa qui alla storia della letteratura, della “non contemporaneità della storia”,
secondo cui in un dato periodo storico possono esistere, nello stesso momento, ‘tempi diversi’; nel caso
del fantastico: testi assolutamente innovativi e avanguardistici accanto a moduli tradizionali, repliche
tardive − ancorché spesso lodevoli − di forme letterarie i cui presupposti sociali e culturali sono venuti da
tempo a mancare.
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Louis Vax, La natura del fantastico, cit., p. 42.
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ottocentesco, in una posizione di netta avanguardia, e in molti casi veicolano una
trasgressività semantica e logica assente, o sopita, nel fantastico tradizionale. Il presente
studio si propone l’esplorazione comparata di questo complesso di opere, esaminato nei
suoi rapporti differenziali con le forme limitrofe e con le manifestazioni più canoniche
(passate e presenti) del genere, nel tentativo di rintracciare, nell’intersezione tra le scelte
tematiche e i dispositivi formali, i più reconditi inneschi della trasgressione fantastica.
In una pagina celebre, Tzvetan Todorov decretava il genere fantastico morto alla fine
del XIX secolo, individuando nelle novelle di Maupassant i suoi ultimi esiti
esteticamente soddisfacenti. Se la principale causa addotta (la sostituzione del fantastico
da parte della psicanalisi, che l’avrebbe vanificato nella sua funzione di chiarificazione
ed espressione mascherata dell’inconscio) non può che lasciare perplessi critici e lettori,
ben più articolato e condivisibile appare l’esame dell’erede novecentesco del racconto
soprannaturale, di cui Todorov, pur negandogli ogni paternità fantastica, coglie
innegabilmente alcuni aspetti significativi. L’affermazione secondo cui Die
Verwandlung (La metamorfosi, 1912) di Kafka, presentando l’evento soprannaturale
come naturale in ragione di una tecnica che diventerà dominante in tutto il fantastico del
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Novecento, escluderebbe di fatto la tematizzazione dell’esitazione all’interno del testo,
ovvero un elemento ritenuto da Todorov condizione centrale, se non imprescindibile,
per l’identificazione del fantastico, è incontestabile: lo studioso ne fa però discendere
una conseguenza parzialmente inesatta: “In Kafka, l’avvenimento soprannaturale non
provoca più esitazione poiché il mondo descritto è tutto quanto bizzarro, altrettanto
anormale dell’avvenimento a cui fa da sfondo […] il fantastico diventa la regola, non
l’eccezione […] Con Kafka, ci troviamo perciò messi a confronto con un fantastico
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generalizzato: tutto il mondo del libro e il lettore stesso vi sono inclusi”.
Questa considerazione si presta a due tipi di critica: in primo luogo, il mondo de Die
Verwandlung non è affatto, come altrove in Kafka, tutto quanto bizzarro, né il fantastico
in atto nel racconto può dirsi generalizzato: il fatto che Gregor una mattina si svegli
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La tecnica cosiddetta della naturalizzazione del soprannaturale è in realtà già sfruttata, come rileva
Mery Erdal Jordan nel suo studio sul fantastico, nella narrativa fantastica romantica, per questo motivo
incline al meraviglioso più di quanto non lo sia la successiva fase ottocentesca del genere (Cfr. Mery
Erdal Jordan, La narrativa fantástica. Evolución del género y su relación con las concepciones del
lenguaje, Frankfurt am Mein-Madrid, Vervuert-Iberoamericana, 1998). Il suo impiego in questi racconti
risponde, tuttavia, a esigenze e intenti diversi da quelli perseguiti dalla naturalizzazione novecentesca:
mentre nel primo caso la naturalezza con cui è riferito l’evento fantastico è conseguenza del suo legame
con un sistema di riferimento (magico o religioso) che il narratore condivide con il suo lettore, e che
dunque non suscita stupore alcuno nei personaggi né nel pubblico, nella letteratura del Novecento la
tecnica non è supportata dalla condivisione di alcun codice ed è orientata deliberatamente, come si vedrà,
allo straniamento del lettore.
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Tzvetan Todorov, op. cit., pp. 176-177.
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