3
di esposizione mediatica soffermandoci sulle nuove tecniche di
protesta, che tale movimento adotta sul campo, valutandone
l’effetto nel confronto con le forze dell’ordine e sull’opinione
pubblica.
Le esigenze e i problemi sottesi alla preparazione del vertice
internazionale, sono illustrati nel secondo capitolo, con
particolare attenzione all’aspetto della sicurezza. Saranno, inoltre,
analizzate le cause e le dinamiche dei disordini di piazza cercando
di individuare cio’ che non ha funzionato sia tra le fila delle forze
dell’ordine sia tra quelle del fronte della protesta.
Il terzo capitolo, infine, e’ dedicato al lavoro sin qui svolto dalla
magistratura relativamente ai tre episodi che piu’ hanno colpito
l’opinione pubblica (la morte di Carlo Giuliani, la perquisizione
alla Diaz e i fatti accaduti nella caserma di Bolzaneto). Per la
ricostruzione degli stessi, e’ stato opportuno avvalersi anche dei
resoconti stenografici delle audizioni svoltesi innanzi alla
Commissione parlamentare d’indagine conoscitiva, dei quali
4
saranno talvolta riprodotti brani, per cercare di comprendere piu’
agevolmente le controverse vicende direttamente dalla “viva
voce” dei protagonisti.
5
Capitolo I
1.Violenza, mass media e opinione pubblica.
Le manifestazioni di protesta, da quelle storiche del movimento
operaio a quelle studentesche e degli anti-nucleare, sono state
spesso accompagnate dalla violenza.
1
Dagli avvenimenti di Seattle in poi, con qualche eccezione
2
, vi e’
stata una escalation di episodi violenti cui e’ andata ad aggiungersi
un’ attenzione particolare , e per certi versi inedita, da parte dei
mass media.
Con il ripetersi degli scontri di vertice in vertice (soprattutto in
occasione dell’ultimo G8 tenutosi a Genova), l’opinione pubblica ha
associato sempre piu’ ad un’ immagine pacifica del movimento
(antiglobalista), un‘immagine di violenza.
1
Vedi Ceri P., “Movimenti globali.La protesta nel XXI secolo”., Laterza , Roma-Bari 2002, pag.72.
2
Fatta eccezione di Melbourne (settembre 2000), dopo Seattle e’ un bollettino di guerra. (n.d.c.)
6
La gente e’ certamente influenzata dagli eventi ma anche, e
nondimeno, dal modo in cui i media selezionano e presentano tali
fatti. Per essere persuasi di questo e’ sufficiente dare una scorsa ai
titoli dei quotidiani.
Se in occasione della protesta di Seattle si adottano ancora toni
moderati
3
, lo stile comincia a mutare, sui giornali italiani, proprio
con i meeting che si svolgono in Italia
4
: dal linguaggio della
protesta si passa rapidamente a quello della guerra
5
.
In effetti, con l’avvicinarsi del G8 di Genova, il dramma sembra
annunciato da titoli sempre piu’ minacciosi ed inquietanti
6
:
“Genova, arrivano i capi dell’esercito anti G8.” (La Stampa,
6/5/2001) ; “E a Genova sara’ schierata anche la contraerei.” (La
Repubblica, 23/6/2001) ; “G8, trovati bastoni e maschere antigas.”
(Corriere della Sera, 6/6/2001) ; “G8, allarme per i duemila
3
“Scaramucce al summit ritardato di Seattle”( The Indipendent 1/12/1999. Titolo tradotto
dall’inglese).Ci si riferisce ai disordini come a semplici “scaramucce”.
4
Cfr. Ceri p., op. cit., pag. 75.
5
“Genova blindata, contestatori divisi”(Corriere della Sera, 25/5/2000) ;”La battaglia di Genova.Un
giorno di guerriglia ferma 10 minuti il convegno sulle biotecnologie.” (La Repubblica, 26/5/2000)
;”Morte al denaro.Guerriglia al summit” (Corriere della Sera, 8/12/2000) ;”E’ guerriglia a Napoli:
duecento feriti.” (La Stampa, 18/3/2001) ;”Napoli, e’ stato un giorno di guerra.”(La Repubblica,
18/3/2001).
6
Vedi nota 5.
7
irriducibili pronti a tutto.” (Corriere della Sera, 10/6/2001) ; “G8,
la rabbia dell’ala dura:vogliamo la guerra.” (La Stampa,
16/6/2001).
Vandalismi per decine di miliardi di danni, circa trecento arrestati,
oltre cinquecento feriti ed un morto, sono stati il risultato di due
giornate di violenti scontri tra una parte dei manifestanti e le forze
dell’ordine.
A Genova finiscono oscurati i propositi del movimento, la violenza
diventa protagonista
7
. Il fascino mediatico della violenza spazza
tutto.
Dai telegiornali l’opinione pubblica assimila scene violente senza
soluzione di continuita’, capaci di distogliere l’attenzione dai
contenuti dello stesso G8 e del “controvertice”, televisivamente piu’
deboli. Lo spazio televisivo e’ monopolizzato da immagini di vera e
propria guerriglia urbana, catalizzando l’attenzione del
telespettatore
8
.
7
Cfr. Luvera’ B.”La Trappola.Controinchiesta sui fatti di Genova e sul movimento globale.”, Editori
Riuniti, Roma 2002, pag.14.
8
Ibidem.
8
Le telecamere dei network ma anche le piccole digitali dei privati e
dei reporter, focalizzano il loro interesse sul prodotto piu’ richiesto
dal mercato dell’immagine.
La violenza trova nella televisione (e nei media in genere) il suo
mezzo pubblicitario, nell’audience, il movimento, trova la sicurezza
del successo mediatico.
Sull’”Avvenire” del 1/8/2001 una black blocker
9
dichiara: “…i
media non coprono le proteste pacifiche.Spacca una vetrina e siamo
sul TG delle sette.”
10
Quando si agisce mossi da tali convinzioni, si finisce per adottare
modelli operativi che garantiscano al gruppo la maggiore visibilita’
possibile . Vere e proprie “dimostrazioni di esistenza e di forza per
gruppi altrimenti privi d’influenza e di un’identita’ riconoscibile. La
reazione alla repressione della polizia, unita all’idea che soltanto la
violenza faccia notizia, spinge alcuni gruppi ed individui ad
9
Si noti che con l’espressione “black blocker” suole definirsi il singolo attivista del Black Bloc (inteso, a
seconda delle teorie, come vero e proprio movimento o tecnica di protesta). (n.d.c.)
10
Le affermazioni di Mary Black, black blocker dichiarata, si commentano da sole! (n.d.c.)
9
assumere comportamenti violenti o perlomeno atteggiamenti
(abbigliamento, gesti, parole d’ordine,etc.) ambigui”.
11
A questo punto viene spontaneo domandarsi che bisogno abbia, il
movimento
12
, di conquistare, a tutti i costi, un posto di spicco nella
“vetrina dei media”. La risposta e’ semplice ma di cruciale
importanza: il movimento esiste se esiste per l’opinione pubblica.
Ben diverso e’ stato per i movimenti “storici” (ad esempio quello
dei neri d’America, delle donne o degli studenti) per i quali
l’esposizione mediatica ha rivestito un ruolo certamente importante
ma non pregiudiziale alla loro stessa esistenza. Quei movimenti,
infatti , erano legati all’avversario da un definito rapporto sociale,
sul quale basare l’efficacia delle proprie azioni. Tale legame manca
completamente nella maggior parte delle componenti dei movimenti
no-global, tutto questo rende determinante l’accesso all’opinione
pubblica.
11
Cfr. Ceri P. op.cit., pag 104.
12
Sempre inteso come movimento antiglobal, da ricomprendersi nel fenomeno dei movimenti post-
industriali. (n.d.c.)
10
2.Trasgressione violenta e movimenti pacifisti. L’equivoco sulla
“non-violenza”.
Escludendo il famigerato Blocco Nero
13
, quasi tutti i gruppi e
collettivi che compongono il vasto ed eterogeneo
14
movimento no-
global
15
si proclamano pacifisti. Questo e’ abbastanza vero, ma non
del tutto, se si considerano i fatti accaduti in occasione delle ultime
manifestazioni antiglobaliste.
Soprattutto a Genova, non tutti i pacifisti si sono dimostrati così
pacifici
16
17
.
Operando i dovuti distinguo e rispettando pienamente quei
movimenti che agiscono nella piena osservanza dell’ordinamento
13
Si noti che con l’espressione “black bloc” e’ da taluni identificata una tecnica di protesta da altri un
vero e proprio movimento. Inoltre, e’ opportuno ricordare che il concetto di violenza non e’
unanimemente interpretato o accettato dai gruppi che si riconoscono nel Blocco Nero, pertanto talvolta e’
possibile imbattersi in dichiarazioni di non-violenza da parte degli stessi black blockers. (n.d.c.)
14
“La composizione del Genoa Social Forum lo conferma: centinaia di associazioni, gruppi, movimenti,
sindacati, collettivi, circoli, con un’ampiezza e varieta’ di adesioni che va da dalla Fiom a Pax Christi, dai
centri sociali alle Acli, e da persone e gruppi impegnati sui temi piu’ disparati, dalla lotta all’Aids a certe
aggregazioni di tifosi di calcio, dal lavoro all’ambiente, dal volontariato sui piu’ diversi aspetti del disagio
sociale a quello impegnato sul tempo libero, come l’Arci, e si potrebbe continuare a lungo .”( Cfr. “Dopo
Genova, mentre Manhattan brucia.” Bettin/Canarini/Cacciari inMicroMega 4/2001)
15
Molti, all’interno del movimento, preferiscono oggi la definizione “new-global”.(n.d.c.)
16
Cfr Ceri P. op.cit., pag. 79.
17
“…i pacifisti, quelli buoni, il primo giorno che sono arrivati hanno comprato plexiglas per 14 milioni e
750mila lire.E’ tutto registrato.In realta’ i black blockers erano gli stessi che si cambiavano la maglietta e
tornavano pacifisti.” Da un’intervista di D..Pistacchi a Antonio Del Giacco,vicesegretario provinciale del
Sap, pubblicata su “Il Giornale” del 2/8/2001.
11
giuridico, e’ opportuno analizzare il fenomeno dei movimenti
dell’ultima generazione “che forzano le piazze delle citta’ talora con
violenze di tipo teppistico, simile a quelle di certo tifo sportivo, pur
se con dichiarati intenti di giustizia e sviluppo.”
18
Generalmente questi movimenti adottano un atteggiamento
ambivalente nei confronti della violenza
19
e le dichiarazioni dei
propri “leader” ne costituiscono un sicuro segnale. Slogan come
“Assediamone 8 per liberare tutti” esprimono piu’ una minaccia che
una promessa di liberazione, mentre il tono militaresco diventa
palese nell’accalorato proclamo di guerra reso da Casarini alla
stampa: “Dalle periferie dell’impero,[…], oggi noi, piccoli sudditi
ribelli, vi dichiariamo formalmente guerra.”
20
Per quanto tali personaggi si apprestino a chiarire che le intenzioni
sono prettamente simboliche e difensive, accade non di rado che
vengano smentiti dalle loro stesse parole.
Vediamo come.
18
Cosi’ Bettini R. in “Nonviolenza, “caschi bianchi” e servizio civile all’estero” su “Sociologia” 3-2001.
19
Ceri P. op.cit., pag. 81.
20
Ibidem.
12
“Non cerchiamo nessuna militarizzazione dello scontro […]
sappiamo bene che la Nato e’ molto piu’ forte di noi.” (Roberta
Mascarelli, Rete No-Global).
21
“…e’ chiaro a tutti che il livello dello scontro e’ cambiato” (luca
Casarini, portavoce del GSF).
22
“Non scenderemo in piazza impreparati allo scontro […] dovranno
spararci addosso per fermarci.” (Francesco Caruso, portavoce della
rete napoletana).
23
E’ evidente il continuo riferirsi al concetto di “scontro”. E il
concetto di “scontro”, soprattutto se si intende come “scontro
fisico”, presenta troppe affinita’ col concetto di “guerra”.
Se queste sono le premesse, non deve meravigliare che l’attivista
del gruppo appaia come un vero e proprio guerriero munito di
casco, maschera antigas, passamontagna, rudimentali corazze e
scudo. Equipaggiamento che rende ancora piu’ incerta la gia’ labile
linea che separa la replica difensiva dalla provocazione e che,
21
Sul “Manifesto”, 8/8/2001.
22
Da “La Repubblica”, 8/8/2001.
23
Da “La Repubblica”, 7/8/2001.
13
inevitabilmente, diffonde “ l’immagine di un movimento piu’
disposto che esposto alla violenza.”
24
E’ indubbio che, a Genova, la maggior parte dei manifestanti non
era animata da intenti bellicosi, ma e’ altrettanto fuor di dubbio che,
parlare di “nonviolenza”, alla luce delle azioni di determinati
gruppi, e’ quantomeno fuorviante. Il nonviolento non crea tafferugli
allo scopo di oltrepassare uno sbarramento o un filo spinato, ne’
scaglia pietre. A Genova sono stati divelti interi selciati per
l’approvvigionamento delle “munizioni”! Soprattutto il non violento
non costringe la celere a caricare
25
e assume in prima persona la
responsabilita’ della propria disobbedienza civile, senza coinvolgere
terzi, ne’ compagni ne’ forze dell’ordine.
26
Nel corso dell’ultimo
G8, invece, e’ prevalsa la logica del “gruppo” inabissando il
principio della responsabilita’ individuale.
27
Il non violento puo’, al
massimo, usare il proprio corpo come ostacolo (e’ il celeberrimo
caso dell’uomo con la borsa della spesa che blocca i carri armati
24
Cosi’ Ceri P. op.cit., pag. 81.
25
Sugli abusi perpetrati dalle forze dell’ordine sara’ doveroso trattare piu’ avanti. (n.d.c.)
26
Cfr. Cicchitto F., “Il G8 di Genova.Mistificazione e realta’”. Edizioni Bietti, Milano 2002, pag.11.
27
Ibidem.