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Nel suo cinema è infatti riscontrabile un realismo di fondo nonostante quanto si
potrebbe concludere da un’analisi superficiale: dietro l’iperbole, l’esagerazione ed il
paradosso, si scorge un ritratto fedele della società spagnola contemporanea,
caratterizzata dalle contraddizioni ed idiosincrasie emerse con la modernizzazione del
paese ed il passaggio dal franchismo alla democrazia. Lingua, cultura e società sono
inestricabilmente congiunte nell’opera del cineasta, che afferma di sentirsi a proprio
agio solo girando in Spagna e nel proprio idioma:
Hasta ahora, todas las historias que escribo me piden ser rodadas aquí. Y
además, quieras o no, ésta es mi cultura, ésta es mi lengua y éste es el universo
que yo conozco mejor. Mis películas, aunque no lo parezcan, son películas
muy literarias. Quiero decir, películas en las que la gente habla mucho y se
expresa mucho a través de la palabra. Y el tono en que se expresan es tan
importante como los vestidos que llevan. Todas esas cosas [...] se me
escaparían en otro idioma (Almodóvar in Gallero 1991: 215).
L’opera di Almodóvar non si limita nel modo più assoluto a riflettere la realtà
linguistica spagnola, ma è anche in grado di esercitare una forte influenza su di essa: il
passaggio di materiale linguistico ha infatti luogo in entrambi i sensi, sia dalla realtà alla
finzione artistica che viceversa. La lingua dei film del regista arriva così addirittura a
determinare e cambiare le modalità stesse di espressione degli spagnoli, come osserva
uno dei molti esperti che si sono occupati del rapporto tra l’opera di Almodóvar e la
società spagnola attuale:
Si analizamos su obra, influencias e incluso su proyección en la sociedad,
como basta comprobar, resulta aún más paradigmática la utilización del
lenguaje almodovariano como norma general en todos los estamentos de la
misma (Holguín 1994: 12).
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Sono numerosi gli esempi di tale fenomeno. Basti ricordare come sia ormai
diventata comune l’espressione ‘eso parece una película de Almodóvar’, usata per
riferirsi agli eventi bizzarri e paradossali che di tanto in tanto movimentano la vita
quotidiana. In un’intervista realizzata da R. F. Reboiras il cineasta ironizza su quest’uso
linguistico, esprimendo bonariamente la propria frustazione per il fatto che il suo nome
venga associato a circostanze problematiche reali davanti alle quali ci si sente smarriti
ed incapaci di reagire, in virtù della loro somiglianza con le situazioni presentate nei
suoi film:
R. F. Reboiras: ‘¿No resulta insoportable colgarle a la vida tantas veces el
mochuelo de “Un filme de Almodóvar”?’ P. Almodóvar: ‘Muchas veces’
(Reboiras 1995: 40).
Il primo film del regista distribuito nelle sale, Pepi, Luci, Bom y otras chicas del
montón, del 1980, rappresenta un caso forse ancor più emblematico. Il fresco linguaggio
colloquiale, anticonvenzionale e non di rado scurrile, con il quale si esprimono i
personaggi venne all’epoca preso a prestito e fatto proprio da alcuni gruppi giovanili di
Valencia, come racconta lo stesso Almodóvar:
Hay ciudades muy sensibles a Pepi... Por ejemplo Valencia, donde una cierta
fauna urbana ha hecho suyas algunas de las frases de la película. Eso es
agradable. [...] Es un clásico de las sesiones de madrugada, la gente la ha visto
un montón de veces y se ha convertido en una película de culto. [...] Vamos, yo
no calculaba, cuando retozaba por la Mancha y tenía cinco años, que en el
ochenta iba a hacer una película que la gente iba a ver diez veces (Almodóvar
in Vidal 1989: 38).
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Sarebbe interessante compiere uno studio più approfondito dell’influenza del film
sulla lingua dei giovani di Valencia all’inizio degli anni ‘80, ma non sono purtroppo a
nostra disposizione elementi tali da permettere di verificare la reale portata di quanto
affermato dal cineasta. Non è comunque raro che espressioni e frasi utilizzate in film
che, per un motivo o per un altro, vengono trasformati in cult movie da alcuni settori,
generalmente giovanili, del pubblico, passino poi a far parte del linguaggio da essi
usato. Si tratta comunque di un fenomeno generalmente limitato nello spazio e nel
tempo destinato ad esaurirsi dopo un certo periodo, dal momento che il linguaggio
giovanile è tanto sensibile agli stimoli provenienti dai media quanto mutevole ed
incostante nelle sue manifestazioni.
L’influenza delle opere cinematografiche di Almodóvar supera in alcuni casi i
confini del paese d’origine del cineasta, determinando usi linguistici particolari anche
all’estero. In Italia, il caso più eclatante è rappresentato da un fenomeno riscontrabile
nei media in generale ed in modo particolare nella stampa: i frequenti rimandi all’opera
più famosa del regista, Mujeres al borde de un ataque de nervios (Donne sull’orlo di
una crisi di nervi) ogni qualvolta venga trattato un aspetto qualsiasi dell’universo
femminile. Da un’analisi peraltro non sistematica di articoli pubblicati in periodici
italiani, si è potuto osservare come il nome del film in questione venga spesso
parafrasato ed utilizzato come titolo giornalistico senza che vi sia necessariamente alcun
collegamento tematico diretto fra il film e gli articoli stessi, se non il riferimento
generico a problematiche che interessano donne. Gli esempi in questo senso non
mancano. Su L’Espresso del 29 ottobre 1995, a pag. 115, Lia Quilici firma la recensione
del romanzo L’autunno della signora Waal di Nico Orengo, definito dalla giornalista
“un ritratto al vetriolo che coinvolge l’intera generazione [femminile] tra i trenta e i
quarant’anni” (Quilici 1995: 115): l’articolo porta come titolo “Donne sull’orlo di una
crisi di sesso”, di evidente ispirazione almodovariana. A pag. 37 del Corriere della Sera
del 18 luglio 1996, Fabio Cavalera analizza le aspettative, i timori e le insoddisfazioni
delle atlete presenti alle Olimpiadi di Atlanta nell’articolo “Donne sull’orlo di una crisi
di rabbia”.
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Il 5 settembre 1996, sempre il Corriere della Sera pubblica a pag. 29 un pezzo sulla
presunta crisi del ruolo femminile nel mondo intellettuale: l’articolo, firmato da Maria
Antonietta Macciocchi, si intitola “Donne sull’orlo di una crisi. Di potere”. Nemmeno il
giornalismo sportivo, il cui linguaggio è particolarmente ricco di espressioni
metaforiche provenienti dai campi più disparati, risulta immune da contaminazioni
almodovariane. Sul Corriere della Sera del 15 giugno 1996, a pag. 43, Roberto Perrone
firma il pezzo “Gli spagnoli sull’orlo di una crisi di nervi”, nel quale descrive
l’atmosfera che si respira alla vigilia dell’incontro Francia-Spagna, valido per il
Campionato Europeo di Calcio, nelle rispettive formazioni. La citazione
cinematografica non si limita al titolo, ma viene ripresa e sviluppata nell’articolo stesso,
in cui si legge:
Passando dalla Francia alla Spagna si prova lo stesso sconcerto che si ha
guardando un film di Almodóvar dopo averne visto uno di Rohmer. Dai toni
delicati e timidi si va sull’orlo di una costante crisi di nervi (Perrone 1996: 43).
La ricorrenza nei periodici italiani di riferimenti al film di Almodóvar di maggior
successo costituisce dunque una prova indiscutibile del fatto che la lingua del cineasta è
stata in grado di penetrare nelle potenzialità espressive dell’italiano, o almeno di quello
giornalistico. Si tratta infatti di un uso linguistico ormai consolidato, visto che il titolo
del film, realizzato nel 1988, a quasi dieci anni dalla sua uscita nelle sale continua ad
essere parafrasato nei giornali e non di rado a venir utilizzato come frase fatta anche
nell’italiano di tutti i giorni.
Si è ritenuto opportuno iniziare il lavoro tracciando un profilo del regista: lungi dal
proporci di ricostruirne in modo esauriente la biografia, ci si limiterà a fornire i dati
necessari a contestualizzarne l’opera e l’uso della lingua, tracciando le fasi salienti della
sua formazione. Verrà successivamente condotta un’analisi della movida madrileña,
fenomeno culturale e sociale che ha rivoluzionato il panorama artistico ed i costumi
della Spagna, della quale Almodóvar viene ritenuto uno dei massimi esponenti. Si
prenderà quindi in considerazione la sceneggiatura di La flor de mi secreto (Il fiore del
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mio segreto), suo undicesimo lungometraggio, pubblicata in Spagna nel 1995 ed inedita
in Italia. Se ne compierà un’analisi della lingua, la cui caratteristica principale è la
combinazione di un’ampia gamma di stili e registri. In essa sono infatti riscontrabili
elementi che riflettono realisticamente il modo di parlare dei vari strati della società con
i quali il regista è entrato in contatto nel corso della sua evoluzione personale e
professionale; per altri aspetti, si tratta invece di una lingua intenzionalmente artificiale
e letteraria, visto che Almodóvar ricorre anche ai linguaggi settoriali, come quello
pubblicitario, o alle modalità espressive tipiche, ad esempio, del romanzo rosa e della
poesia popolare, abitualmente considerati ‘sottogeneri culturali’. Di tale sceneggiatura,
intesa come opera letteraria e pertanto indipendentemente dai problemi posti da un
adattamento per il doppiaggio, si formulerà una proposta di versione in italiano,
mettendo in evidenza quali possono essere le difficoltà ed i limiti della traduzione di
un’opera dal linguaggio così particolare e personale. Da ultimo, si compierà un’analisi
della versione italiana del film così come è uscita nelle sale per verificare fino a che
punto l’adattamento dei dialoghi nella nostra lingua renda giustizia all’originale
spagnolo.
Prima di dare inizio allo studio vero e proprio, è bene ricordare un’osservazione di
Almodóvar sul doppiaggio come ammonimento contro i pericoli ed i tranelli della
traduzione:
In Italia, come in tutti i paesi dove esiste il doppiaggio, si vede il 40 per cento
dei miei film. Il doppiaggio pone dei limiti e distorce il senso del film. Tutte le
lingue sono diverse fra loro, hanno una musicalità caratteristica e ogni parola
ha una propria morale. In spagnolo con una sola parola, modulando
l’intonazione, puoi cambiarne il significato. E questo ti permette di giocare di
più con l’ironia (Almodóvar in Naitza-Patané 1992: CXLVI).