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INTRODUZIONE
Il concetto del tradurre è senz’altro uno dei più dibattuti di ogni epoca, poiché
l’attività del traduttore è antica quanto è antica la nostra civiltà, in quanto insita nell’uomo
e necessaria ai fini della comunicazione.
Tradurre non significa soltanto passare da una lingua all’altra, ma “ricreare,
rimodellare, reinventare (…), tenendo presente, ovviamente, che si tradisce soltanto per
essere fedeli”
1
. Sarebbe irreale voler pretendere, infatti, di ricreare il testo nella lingua
d’arrivo senza apportare le modifiche necessarie affinché la lingua meta sia corretta,
scorrevole e soprattutto non tradisca il senso dell’originale. L’equivalenza fedeltà-
correttezza non è sempre esatta in termini di traduzione e “non sempre e non
necessariamente il canone normativo della LP o il modello formale proposto dall’autore
sono applicabili nella LA
2
.
Nell’accingermi a tradurre The Translator di Leila Aboulela, opera inedita in
ambito italiano, è proprio da questi presupposti che ho voluto partire ed ai quali ho voluto
mirare. È impossibile presumere di tradurre un romanzo in maniera esclusivamente
letterale e source-oriented, così come sarebbe inadeguato approssimarsi totalmente al
pubblico d’arrivo a discapito del testo originale. Per tale ragione, il criterio che ho fatto
mio è stato quello di adattare di volta in volta la mia strategia alla situazione, evitando di
sciogliere la dicotomia da sempre presente tra adeguatezza ed accettabilità, tra strategie di
domestication e foreignising, ovvero tra protensione al proto-testo o al meta-testo.
Ho tentato, inoltre, di ricorrere all’esplicitazione solo quando lo ritenevo
assolutamente necessario ed imprescindibile ai fini della comprensione del testo, evitando
di svelare tutti i possibili significati di quest’ultimo, lasciando che fosse il lettore a
decifrarne i messaggi impliciti e ad interpretarlo secondo la sua sensibilità, “to preserve,
as far as possible, the range of possible responses; in other words, not to reduce the
1
Zacchi, Romana; Morini, Massimiliano (a cura di), Manuale di traduzioni dall’inglese, Milano: Bruno
Mondadori Editore, 2002, p. 89.
2
Faini, Paola, Tradurre, Roma: Carocci, 2007, p. 46.
6
dynamic role of the reader”
3
. Per dirla con Morillas e Arias, “la tarea del traductor es (…)
intentar captar el espíritu y el perfume de la otra lengua y de lo que representa”
4
[“il
compito del traduttore è (…) cercare di captare lo spirito ed il profumo dell’altra lingua e
di ciò che rappresenta”], ricreandone, nei limiti del possibile, l’atmosfera nel pubblico
d’arrivo.
In questo caso, siamo di fronte ad un romanzo che ha origine e trae spunto da due
culture, peraltro molto distanti tra loro, quella occidentale e quella orientale, nello
specifico quella anglosassone e quella sudanese, e attraverso questa collocazione di in-
between è evidente che l’opera contenga molti riferimenti a entrambe le civiltà e le
tradizioni. Se il lettore del testo fonte se non altro dovrebbe riuscire a cogliere le allusioni
al mondo scozzese, al lettore meta è richiesta una doppia capacità interpretativa in quanto
sono due i mondi protagonisti ed implicati nell’opera di Aboulela ed esemplificati dalla
doppia identità della protagonista del romanzo, Sammar.
Il presente elaborato si apre con un breve capitolo di introduzione sulla vita
dell’autrice, nata in Egitto e cresciuta tra Sudan e Scozia, e sulla trama di The Translator,
che è il suo primo romanzo, pubblicato nel 1999.
Il secondo capitolo è costituito dalla traduzione integrale dell’opera ed il terzo
consiste nel commento alle mie scelte traduttive. In quest’ultimo mi propongo di
giustificare alcune mie scelte e commentare alcuni passaggi del testo che ho ritenuto
significativi dal punto di vista della traduzione. Per fare ciò, dopo un iniziale preambolo
sul titolo del romanzo, ho deciso di dividere il commento per tematiche: culture-bound
terms e riferimenti extra-testuali; idioms, similitudini e metafore; strutture sintattiche ed
uso del gerundio; concordanza. Queste sono le quattro tematiche alle quali ho ricondotto
gli aspetti più connotati e peculiari del testo.
La prima di esse, quella relativa ai riferimenti extra-testuali, si suddivide
ulteriormente in altre sottotematiche: l’aspetto religioso; l’aspetto topografico; l’elemento
gastronomico ed, infine, gli accenni alla contemporaneità ed al mondo esterno.
3
Hatim, Basil; Mason, Iam (a cura di), Discourse and the translator, London: Longman, 1990, p. 11.
4
Morillas, Esther; Arias, Juan Pablo (a cura di), El papel del traductor, Salamanca: Colegio de España,
1997, p. 106.
7
Il secondo aspetto che ho ritenuto interessante trattare è quello relativo agli idioms.
In esso ho analizzato i sei esempi di metafore e similitudini presenti nel romanzo e ho
spiegato il procedimento attraverso il quale sono giunta alla traduzione che ne ho fornito.
La terza questione rilevante è quella che riguarda l’uso del gerundio e peculiari
strutture sintattiche. In questo paragrafo ho sottolineato l’evidente stile concitato di
Aboulela e gli usi del gerundio, che in inglese ha una gamma di significati molto più vasta
che in italiano e che, pertanto, non sempre è stato possibile rendere con altri gerundi in
traduzione.
L’ultima sottotematica che ho analizzato concerne l’aspetto della concordanza
all’interno del testo, che a volte ho rispettato e altre volte sono stata costretta a modificare
per esigenze di correttezza nella lingua d’arrivo.
Sono stati questi gli aspetti maggiormente presenti e più ricchi di spunto se
analizzati dal punto di vista della traduzione, non solo da lingua a lingua, ma innanzitutto
da cultura a cultura. L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di rendere esperibile nella
nostra lingua un capolavoro sinora inedito in Italia e che ritengo abbia un enorme valore
culturale per i significati che veicola e la visione profonda che dà, attraverso gli occhi di
una donna musulmana che vive tra Sudan e Scozia, sia del mondo occidentale che di
quello orientale.
8
CAPITOLO I
I.I: LEILA ABOULELA: CENNI BIOGRAFICI
Leila Aboulela nasce a Il Cairo nel 1964 da madre egiziana e padre sudanese.
Trascorre la sua infanzia e adolescenza in Sudan, si laurea in Economia all’Università di
Khartoum, in seguito si trasferisce a Londra per completare i suoi studi alla London
School of Economics. È proprio in Inghilterra che inizia a scrivere e ad Aberdeen, dove si
trasferirà ben presto, inizia la sua carriera accademica da ricercatrice ed insegnante.
Attualmente vive ad Abu Dhabi con il marito Nadir, anglo-sudanese, ed i loro tre figli.
In un’intervista concessa il 5 agosto del 2000 al quotidiano The Times Aboulela
chiarisce la ragione che l’ha spinta ad iniziare a scrivere. Afferma, infatti: “I found myself
gripped by a peculiar homesickness for the life I’d left behind in Khartoum. But I didn’t
know how to express what I felt about my new life – the oddness of it – and so I began,
for the first time in my life, to write stories”
5
. Quindi, è principalmente la nostalgia per il
suo paese, l’amore ed il ricordo della sua patria, la stranezza del sua vita “occidentale”
che crea in lei una pulsione, una spinta motivazionale a mettere su carta le sue sensazioni,
le sue emozioni, la sua interiorità e, ultima ma non meno importante, la sua esperienza di
immigrata musulmana in un paese anglosassone.
Negli ultimi anni Aboulela ha pubblicato varie short stories, una delle quali, “The
Museum”, si è aggiudicata il Caine Prize for African Writing nel 2000 ed è stata poi
inserita nella raccolta completa Coloured Lights, edita nel 2001.
Aboulela è anche l’autrice di tre romanzi: The Translator (1999), Minaret (2005) e
Lyrics Alley (2010). Il primo è stato nominato nel 2000 dalla Saltire Society Scottish First
Book of the Year Award ed è stato tradotto in francese, tedesco e spagnolo.
5
Cfr: Fallon, Helen, “What matters more than white or black, east or west, is faith”, Africa, Sept-Oct 2004,
Vol. 69, n. 7, <http://eprints.nuim.ie/947/1/What_Matters_more...Africa_Sept-Oct_2004,_Vol_69,_No_7>,
data di consultazione: 08/11/2010.
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La fede nell’Islam è il punto di partenza e l’evidente sostrato dei romanzi di
Aboulela, che in parte riflettono la biografia della scrittrice, in quanto narrano di donne
musulmane che cercano di praticare la loro fede in Occidente. L’identità religiosa e
culturale è di fondamentale importanza per l’autrice, che a tal proposito sostiene: “I can
carry it with me wherever I go, whereas the other things can easily be taken away from
me”
6
.
I.II: THE TRANSLATOR – TRAMA DELL’OPERA
The Translator è il primo romanzo di Leila Aboulela. La protagonista
dell’opera è Sammar, una donna di origine sudanese che si trova ad Aberdeen
dopo una serie di tragiche vicissitudini, tra le quali l’improvvisa morte del marito
Tarig. In Scozia Sammar si ritrova a vivere in una società occidentale, quasi come
in una sorta di esilio volontario, lacerata tra due mondi e due culture molto
differenti, quasi inconciliabili. Il romanzo ha inizio con la protagonista che si trova
ad Aberdeen e lavora da tre anni come traduttrice dall’arabo all’inglese per Rae
Isles, un professore universitario ed esperto di Politica e Storia del Medio Oriente.
In realtà, il rapporto che si crea tra i due va al di là di una relazione puramente
lavorativa, cresce tra loro un’amicizia che ben presto si trasformerà in affinità
intellettiva per convertirsi infine in amore. Troppi sono, però, gli ostacoli presenti
sul cammino dei due personaggi, che sembra non potersi congiungere per via di
questioni legate al lavoro, all’identità culturale e, da ultimo, alla religione, dato
che Sammar è una musulmana praticante e Rae è un ateo.
Proseguendo nella narrazione il lettore viene a conoscenza del passato di
entrambi i personaggi: Sammar era sposata con suo cugino Tarig, si era trasferita
ad Aberdeen con lui, che studiava Medicina all’università, avevano avuto un
figlio. Un tragico giorno, però, il marito aveva perso la vita in un incidente
stradale. Sammar, a questo punto, decide di tornare a Khartoum, ma dopo essersi
scontrata con l’odio della zia, che la accusa della morte del figlio, le lascia Amir, il
6
Cfr: Sethi, Anita, “Keep the faith”, The Observer, Sunday 5 June 2005.
10
figlio avuto da Tarig, e torna in Scozia. Qui, però, non riesce a dimenticare il suo
passato, vive un malessere continuo e persistente, sogna ad occhi aperti il suo
paese. Rae, dal suo canto, è divorziato, ha una figlia, Mhairi, la sua ex moglie
lavora per l’OMS ed ha alle spalle una controversa e spesso aspramente criticata
carriera accademica.
I due si avvicinano per gradi, anche grazie alla loro collaborazione
lavorativa, conversano telefonicamente, si ascoltano, ma tra loro c’è un muro
insormontabile: la loro differenza religiosa. Sammar, infatti, è musulmana, mentre
Rae è uno studioso dell’Islam, ma si dichiara apertamente ateo.
Per tale ragione, a meno che Rae non si converta, Sammar capisce che non
può esserci alcuna possibilità per loro, e anche spinta da un progetto di traduzione
per un piano anti-terrorismo, si reca in Egitto, e successivamente torna in Sudan.
A Khartoum Sammar rivede sua zia, suo fratello, suo figlio, si riabitua
gradualmente al suo paese, pur notando le sue contraddizioni con occhi ormai
“occidentali”. Comunque sia, per il bene di Amir, la donna sceglie di rimanere in
Sudan e manda le sue dimissioni al dipartimento di cui Rae è il direttore.
Nonostante gli sforzi ed i buoni propositi, però, non riesce a non pensare all’uomo,
ed il ricordo di questo si insinua in lei attraverso sogni ad occhi aperti ed
allucinazioni vere e proprie. Proprio quando sembra aver perso le speranze per un
loro riavvicinamento, lui le fa scrivere una lettera dall’amico Fareed e va da lei a
Khartoum. L’accademico, dopo essersi convertito, la informa della volontà di
sposarla e tornare ad Aberdeen insieme a lei ed a suo figlio Amir. La vicenda,
quindi, si conclude con un finale positivo, ma non definitivo, quasi aperto, poiché
il romanzo si chiude prima che i tre partano per la Scozia.
Sebbene il racconto sia in terza persona, il narratore ed il punto di vista
sono interni, e l’intimità della protagonista viene svelata e narrata proprio come se
fosse lei a parlare al lettore, quasi come se desse lei la voce al narratore.
Dal punto di vista degli eventi, le vicende narrate sono molto poche e si
svolgono nell’arco di un anno, da dicembre al dicembre successivo, gli eventi
principali e di cui si parla sono già successi, per cui più che il presente è il passato
ad imporsi in questo romanzo, pagina dopo pagina, attraverso continui flash back,
ricordi, sogni, allucinazioni. È un passato difficile da ricordare, ma altrettanto
11
difficile da dimenticare, un passato che Sammar vorrebbe, allo stesso tempo,
cancellare radicalmente ma anche custodire come ciò che di più prezioso possiede.
È un passato che “intruded when she wanted only the present”
7
e sul quale si
costruisce la base del romanzo.
Per ciò che concerne Rae Isles, l’accademico potrebbe essere considerato
come colui che nel romanzo rappresenta la società occidentale, con cui Sammar si
confronta e si scontra giorno dopo giorno, e che dimostra di avere bisogno che al
suo fianco ci sia una persona che “traduca” la cultura orientale per lui, che lo
spinga a rimettere in gioco le sue certezze, che negozi con quella che per l’uomo è
una cultura “altra”, facendo da tramite tra il mondo occidentale, filo-cristiano e
quello orientale, filo-islamico. Il desiderio di Sammar che l’uomo si converta
all’Islam rappresenta l’invito alla vera conoscenza del mondo musulmano, a non
limitarsi ai dati bibliografici e alla cultura libresca, poiché essere un esperto di
Medio Oriente ed offrire delle consulenze governative non sembra essere
abbastanza per poter affermare di conoscere davvero questo mondo così distante e
differente.
7
Aboulela, Leila, The Translator, New York: Grove/Atlantic, 1999, p. 99. D’ora in avanti tutte le citazioni
da quest’opera si riferiranno a questa edizione.
12
CAPITOLO II
LA TRADUZIONE DELL’OPERA
LA TRADUTTRICE
PRIMA PARTE:
Ma riferisco ciò che proviene dai miei pensieri più intimi, negando i miei occhi.
Abu Nuwas (757-814)
CAPITOLO I:
Sognava che avrebbe piovuto e avrebbe evitato di incontrarlo come programmato.
Non avrebbe potuto attraversare la pioggia ostile e, così, rischiare di macchiare di
inchiostro le pagine che lui le aveva chiesto di tradurre. E l’ansia di sapere che lui la stava
aspettando permeava il suo sogno e gli conferiva un’urgenza che lo rendeva quasi
doloroso. Lei temeva la pioggia, temeva la nebbia e la neve di questo paese, temeva
persino il vento. In tali circostanze rimaneva al chiuso e aspettava, osservando dalla
finestra persone che stavano facendo ciò che lei non poteva fare: bambini che andavano a
piedi a scuola tra vortici di foglie, anziani che rompevano il ghiaccio con i bastoni. Erano
superuomini, giganti che non permettevano che niente gli fosse di intralcio. L’anno prima,
quando la città era di un buio fosco per la nebbia, si rintanò a casa per quattro giorni, finì
l’ultima confezione di pasta nella mensola e bevve tè senza latte. Il quinto giorno, dopo
che la nebbia si era dileguata, uscì affamata e mise sottosopra i negozi alla ricerca di cibo,
la fatica le dava le vertigini.
13
Ma il sogno di Sammar era sbagliato. Quando si alzò quella mattina non pioveva,
il tipico cielo grigio di ottobre, il grigio scozzese misto alla foschia del Mare del Nord. E
uscì per andare da Rae Isles come programmato, tenendo stretta la cartella che conteneva
la traduzione del manifesto di Al-Nidaa
8
.
La porta d’ingresso dei Winter Gardens (una vasta serra all’interno di Duthie
Park
9
) era ricoperta di cartelli. Ci dispiace, ma è proibito entrare con carrozzine e
passeggini. Ci dispiace, ma è vietato l’ingresso ai cani. Orario d’apertura: dalle 9.30 al
tramonto. In questo paese era tutto etichettato, c’era un nome per ogni cosa. Si era
abituata alla chiarezza, ai cartelli e alle regole garbate. Adesso erano le 9.30 e quando
entrarono c’era solo un giardiniere che spingeva una carriola lungo le piastre umide rotte
che separavano le piante. Piante tropicali bloccavano l’umido calore e la lapazza
arancione nell’acqua corrente. Uccelli canterini che volavano all’interno, il cielo grigio
irrilevante al di sopra del soffitto di vetro.
Panchine. Metallo bianco ricurvo, ognuna di esse recava un affisso, in memoria di
questa o quella persona. Come se le persone debbano morire in modo che altre possano
sedere ai Winter Gardens. Le persone devono morire. La sua voglia invisibile mutò, diede
alito alla sua esistenza. Era celata a Rae, così come la peluria e la pelle delle braccia, la si
poteva solo immaginare. Quattro anni prima questa voglia si era definita. Il dolore aveva
preso forma, la forma di un diamante, con i quattro angoli fissati sulla fronte, sulle spalle,
sulla parte superiore dello stomaco. Lei sapeva che era traslucida, sapeva che conteneva
liquido mercuriale che scorreva lentamente su e giù quando questo si muoveva. Il dolore a
forma di diamante aveva senso per lei: la fronte, era lì che le faceva male quando
piangeva, lo spazio dietro gli occhi; le spalle, poiché si piegavano per sostenere il cuore.
E l’angolo nella parte superiore dello stomaco, il dolore risiedeva lì.
Perciò era in qualche modo preparata, ora che il liquido nel diamante si spostava
con cautela come se fosse olio, e non si sorprese quando Rae le chiese di Tarig. Rispose:
“Il figlio di mia zia, l’ho incontrato solo quando avevo sette anni. Come ben sai sono nata
qui e i miei genitori ed io siamo tornati a casa solo quando avevo sette anni”.
8
Al-Nidaa è un gruppo che attraverso il suo sito diffonde informazioni e novità riguardanti l’attività degli
estremisti islamici.
9
Il Duthie Park è un parco che si trova ad Aberdeen, sulle sponde del fiume Dee, ed è conosciuto
soprattutto per i suoi winter gardens, progettati da David Welch. Il parco fu donato alla città nel 1880 da
Miss Duthie e aprì al pubblico nel 1883.
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Erano seduti su una panchina in una stanza piena di cactus. I cactus erano come
schiere di alieni verdastri, di altezze diverse, fermi, che stavano lì ad ascoltare. Erano
circondati da sabbia perché doveva sembrare un deserto. Anche la luce era diversa, ariosa,
più gialla.
“Solo quando avevo sette anni”. Queste erano le sue parole, usava la parola “solo”
come se non riuscisse ancora a rassegnarsi a quei primi sette anni di vita senza di lui. In
tempi migliori era solita inventare gli inizi della sua vita. Faceva finta di essere nata a
casa, in Sudan, il paese più grande dell’ Africa, al Sisters’ Maternity Hospital, che era
stata fatta nascere da una suora vestita di bianco. Le piaceva immaginare che Tarig la
stesse aspettando fuori dalla sala parto, tenendo la mano della madre, impaziente per lei,
piuttosto agitato. Forse le avrebbero dato un nome diverso se fosse nata a Karthoum, uno
più comune. Un nome proposto da sua zia, poiché era una donna che aveva qualcosa da
dire su qualsiasi argomento. Sammar era l’unica Sammar a scuola e all’università.
Quando la gente parlava di lei non aveva bisogno di utilizzare il cognome. “Si pronuncia
come la stagione, summer?”
10
, le aveva chiesto Rae la prima volta che l’aveva incontrato.
“Si, ma non ha lo stesso significato”. E dato che lui voleva saperne di più gli disse
“significa conversare con amici, la sera tardi. È quello che amavano fare i nomadi nel
deserto, parlare tranquillamente alla luce della luna, quando non faceva più tanto caldo e
la giornata lavorativa era finita”.
Rae conosceva il Sahara, sapeva che la maggior parte dei nomi arabi aveva un
significato familiare. Era uno storico del Medio Oriente e docente di Politica del Terzo
Mondo. Aveva recentemente scritto un libro intitolato L’illusione di una minaccia
islamica
11
. Quando appariva in televisione o veniva citato in qualche quotidiano veniva
definito un esperto dell’Islam, un’etichetta che non gli piaceva perché, disse a Sammar,
non poteva esistere un tale monolito. Sammar faceva la traduttrice nel dipartimento di
Rae. Lavorava contemporaneamente a vari progetti, testi storici, articoli di giornale
apparsi in quotidiani arabi, e ora anche al manifesto politico che Rae le aveva dato. Al-
Nidaa era un gruppo estremista del sud dell’Egitto. Il documento era scritto a mano,
10
Qui si crea una sorta di play-on-words tra il nome della protagonista, Sammar, e il nome della stagione
estiva, summer. La donna precisa che, pur avendo entrambi i termini la stessa pronuncia, essi differiscono
nel significato, in quanto il termine inglese indica la stagione, mentre il suo nome “significa conversare con
amici, la sera tardi”.
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In questo caso ho scelto di tradurre il titolo dello studio pubblicato da Isles poiché ritengo che sia
significativo ed emblematico, per cui è importante che il lettore meta ne conosca il significato ai fini della
comprensione del carattere e dell’orientamento dell’accademico.