4
culturali (riti, abitudini, credenze) presenti in quel luogo e diventano
conoscenza semplificata.
Di seguito ho rivolto la mia attenzione a quella parte di cultura organizzativa
circoscrivibile più propriamente come cultura della sicurezza e relativo clima.
Attraverso l’analisi della letteratura sull’argomento ho quindi indagato i
meccanismi e i veicoli di apprendimento della sicurezza a livello organizzativo
a partire da quei processi di costruzione e circolazione della conoscenza
attraverso cui passa e si trasforma il patrimonio conoscitivo delle
organizzazioni.
Il tipo di conoscenza di cui mi sono occupato non è intesa come contenuto
mentale, ma come sapere in azione radicato nel contesto sociale e culturale in
cui esso ha luogo. Al centro di questo tipo di nozione di sapere vi è la
comunità di pratica, microstrutture sociali in cui conoscenza e competenza
divengono parte dell’identità individuale e trovano la loro collocazione nella
comunità rientrando nella tradizione come processo di identificazione
collettiva. Il sapere relativo alla sicurezza è profondamente radicato nelle
pratiche della comunità organizzativa e viene trasmesso e perpetuato con il
resto del patrimonio culturale che la definiscono.
Questo tipo di conoscenza circola attraverso i canali interni e allo stesso modo
la cultura della sicurezza viene assorbita attraverso i filtri culturali più ampi e
fatta propria dall’organizzazione.
Dopo aver brevemente descritto i presupposti normativi e la struttura del
sistema di gestione della sicurezza nelle aziende ho presentato alcuni metodi
per misurarne l’efficacia e alcuni possibili interventi volti a promuovere e
favorire la diffusione di una cultura della sicurezza nelle organizzazioni, così
come sono stati proposti da studi sia socio-organizzativi che tecnico-
manageriali.
La seconda parte del mio lavoro è consistita nell’esposizione della struttura e
dei risultati della ricerca sul campo che ho effettuato presso il reparto di Trento
5
della società Rete Ferroviaria Italiana, appartenente al gruppo Ferrovie dello
Stato SpA. Attraverso tale ricerca ho cercato di indagare la percezione del
concetto e della conoscenza relativi alla sicurezza all’interno
dell’organizzazione, così come emerge dalle esperienze e dalle interpretazioni
di alcuni dei suoi membri; in particolar modo ho voluto focalizzarmi sul
processo interpretativo relativo alle norme di sicurezza e su quello
dell’apprendimento e della circolazione della conoscenza relativa alla
sicurezza, evidenziandone i ruoli dei veicoli formali e informali.
La metodologia che ho scelto per la ricerca è stata di tipo qualitativo,
ispirandomi in particolare alla Grounded Theory per la procedura di analisi
dei dati raccolti. Questi ultimi sono costituiti da interviste strutturate e semi-
strutturate somministrate a singoli individui e a gruppi di lavoratori e da
resoconti di osservazione partecipante. Come previsto dalla Grounded Theory
ho iniziato ad analizzare i dati con ipotesi teoriche di partenza minime,
desunte dai presupposti concettuali cui ho fatto riferimento nella prima parte
del lavoro (cap. 1 e 2), e costruendole e ricostruendole in seguito più volte,
verificandole nel corso della ricerca stessa sulla base di ciò che i dati emergenti
evidenziavano.
Nei dati raccolti ho cercato di rintracciare da una parte le differenti percezioni
e interpretazioni della sicurezza che potessero essere messe in relazione con i
gruppi di lavoratori da me studiati all’interno dell’organizzazione, dall’altra i
meccanismi di apprendimento e trasferimento della conoscenza relativa alla
sicurezza all’interno e tra i gruppi osservati.
6
Parte Prima
DEFINIZIONI E RIFERIMENTI TEORICI
7
Capitolo 1
LA SICUREZZA COME FENOMENO ORGANIZZATIVO
1.1 Il concetto di sicurezza
Dare una definizione di sicurezza non è cosa facile per molte ragioni. Il
termine sicurezza può essere riferito ad un ambito molto vasto di contesti e
situazioni; nella sua accezione più generale essa viene intesa come la
condizione o la qualità di ciò che è sicuro, ovvero quell’insieme di misure,
comportamenti, strumenti che vengono messi in atto per evitare che si verifichi
qualcosa di spiacevole o dannoso. Ai fini della mia analisi considererò la
sicurezza come un fenomeno socio-organizzativo e non meramente
individuale o tecnico, costituito dall’insieme di pratiche, tecnologie,
comportamenti utilizzati per evitare o ridurre i rischi connessi alle attività
lavorative, e nella fattispecie quelle relative all’ambito ferroviario.
Per iniziare ad addentrarci nei vari aspetti attraverso i quali è possibile leggere
ed analizzare questo argomento è utile servirsi di concetti quali “cultura” e
“sapere” della sicurezza. Secondo Turner (1992) la cultura della sicurezza è
caratterizzata da un insieme di credenze, norme, atteggiamenti e pratiche, sia
sociali che tecniche, indirizzate (o non indirizzate) a minimizzare l’esposizione
di addetti, dirigenti, clienti e membri della collettività a condizioni considerate
come pericolose o calamitose. Nel secondo capitolo approfondirò
ulteriormente il concetto e le varie definizioni di cultura della sicurezza date
dai vari ricercatori che se ne sono occupati.
Vino (2001) sostiene che la sicurezza può essere considerata come un “sapere
in azione”, prevalentemente tacito, situato nelle pratiche lavorative e
organizzative. Dunque la particolare forma di conoscenza che ne deriva non è
8
intesa come contenuto mentale, ma come sapere radicato nel contesto sociale e
culturale in cui esso ha luogo. Motore e veicolo di questo tipo di sapere sono
delle aggregazioni informali di persone che costituiscono il contesto lavorativo:
le comunità di pratica. Esse sono definite dai membri che le compongono e dal
modo condiviso in cui essi svolgono le loro attività e interpretano gli eventi. In
queste microstrutture la conoscenza e le competenze divengono parte
dell’identità individuale e trovano la loro collocazione nella comunità
rientrando nella tradizione come processo di identificazione collettiva. Anche
il sapere relativo alla sicurezza è profondamente radicato nelle pratiche della
comunità e viene trasmesso e perpetuato con il resto del patrimonio culturale
che la definisce.
Secondo Nicolini (1997) la sicurezza è il risultato di una serie di pratiche
modellate da uno specifico sistema di simboli e significati che orientano
l’azione, ma che non si esauriscono con essa. Essa può essere interpretata
come il risultato finale di un processo collettivo di costruzione, un “fare” che
coinvolge persone, tecnologie e forme testuali e simboliche assemblate
nell’ambito di un sistema di relazioni materiali. Un luogo di lavoro sicuro, una
organizzazione sicura sono il risultato di una opera di quotidiana “ingegneria
dell’eterogeneo” fatta di elementi diversi: competenze, materiali, relazioni,
comunicazioni e altro che fanno parte integrante delle pratiche di lavoro dei
membri dell’organizzazione.
Nell’interpretazione che le organizzazioni danno della sicurezza si possono
riconoscere due distinti aspetti, l’aspetto tecnico (via tecnica) costituito da
artefatti sicuri e l’aspetto normativo (via normativa) che considera la sicurezza
un prodotto dell’applicazione di norme che prescrivono comportamenti
individuali e collettivi sicuri (Gherardi, 1997). Un approccio tecnologico e
burocratico della sicurezza considera quest’ultima come un oggetto esterno
alle pratiche lavorative trascurando l’aspetto centrale della cultura della
sicurezza che la vuole competenza costruita socialmente.
9
L’operatore può adattarsi ad una norma che lo costringe a cambiare il suo
modo di lavorare, senza tuttavia modificare profondamente il suo
atteggiamento nei confronti della sicurezza; la sicurezza come valore sociale
condiviso può ottenere risultati migliori di un macchinario sicuro e di norme
severe. Nella costruzione di tale valore gioca un ruolo importante il concetto e
la percezione del rischio, inteso come la probabilità che un fenomeno
potenzialmente dannoso possa avvenire in un determinato luogo ed in un
determinato tempo.
1.2 Rischio e affidabilità come parti integranti del concetto di
sicurezza
Il concetto di rischio, rilevante in questo ambito, è quello che fa
riferimento ad argomenti quali la percezione del rischio all’interno del posto di
lavoro e gli atteggiamenti verso il rischio e la sicurezza. Van Vuren (2000) ha
individuato come utili indicatori per la sua ricerca, riguardante le influenze
culturali sulla percezione del rischio associato al lavoro, il modo nel quale
avviene il controllo del rischio, le priorità personali e il bisogno di sentirsi
sicuri da parte dei lavoratori. Egli ha individuato nelle squadre di lavorazione
dell’acciaio prese in esame delle influenze culturali sulla percezione del rischio
a causa della quale i dispositivi di protezione individuale non venivano
impiegati, ad esempio quando i dipendenti lavoravano in presenza di alte
temperature consideravano le protezioni personali ingombranti e non
necessarie, correndo così dei rischi enormi. I lavoratori erano coscienti di
ignorare le procedure per la sicurezza, che non venivano accettate come
costume e pratica abituale, ma ritenevano di lavorare ugualmente in sicurezza
10
per via delle evoluzioni del sistema sicurezza in generale grazie al continuo
progresso della tecnologia.
Rundmo (1995) nei suoi studi sulla percezione del rischio nelle piattaforme
petrolifere fa osservare che se la probabilità di avere incidenti diminuisce per
via dei miglioramenti apportati al sistema è probabile che diminuisca anche la
percezione del rischio. Il rischio può essere percepito ma sottovalutato nel
comportamento che ne segue a causa di valutazioni, a volte condivise
nell’organizzazione, generate da subculture trasversali potenzialmente
pericolose (Cox e Cheyne, 2000).
Negli studi condotti da Heimer (1988) e Douglas (1991), il rischio è
considerato come “frutto di una complessa opera di costruzione sociale in cui
si combinano elementi culturali e politici nei quali è riconoscibile sia
l’influenza che l’opera delle istituzioni, sia la valutazione individuale” (Odella,
1997). Ogni specifico contesto sociale e organizzativo sviluppa una sua
specifica definizione e cultura del pericolo e della sicurezza ed è su questa base
che le scelte nei confronti dei rischi vengono compiute.
L’impegno degli studiosi dell’organizzazione negli ultimi decenni ha visto lo
sviluppo di un filone di indagine rivolto a trovare una spiegazione per i grandi
disastri industriali più recenti; l’orientamento di questo filone di ricerca va
nella direzione della comprensione delle condizioni che determinano
l’affidabilità e la sicurezza delle organizzazioni.
Le organizzazioni ad alta affidabilità sono quelle per cui la sicurezza
rappresenta una priorità assoluta, quali ad esempio le industrie chimiche, le
compagnie aeree, ferroviarie e quelle che gestiscono l’energia nucleare.
Definire ad alta affidabilità un’azienda significa che essa rispetta un certo
livello di performance della sicurezza:
• Numero limitato di eventi critici: danni all’ambiente, incidenti dovuti
agli strumenti tecnologici, danni fisici al personale.
11
• Procedure sulla sicurezza certificate e garantite.
• Verifiche interne sull’applicazione di norme e procedure relative alla
sicurezza.
• Programmi di formazione mirata che garantiscano competenza e
capacità di gestire situazioni critiche.
• Monitoraggio sull’ ambiente e sulla salute dei lavoratori
• Politiche di valutazione e analisi dei rischi e di miglioramento continuo
della sicurezza.
Prima di approfondire i processi di produzione e gestione della sicurezza nelle
organizzazioni e le modalità con cui avviene il fenomeno di costruzione
sociale della cultura della sicurezza è opportuno a mio parere aprire una breve
parentesi su alcuni concetti quali il sapere, l’apprendimento, il cambiamento, i
simboli e la cultura organizzativi, che possono essere utili per spiegare e
analizzare la sicurezza nell’accezione da me presa in considerazione.
1.3 Il sapere nelle organizzazioni
Secondo la “Activity Theory” l’unità base di analisi di tutta l’esperienza
umana è l’attività, concetto più ampio rispetto a quello di azioni individuali
indirizzate ad uno scopo (Leontjev, 1981; Vygotsky, 1978). Una attività viene
intrapresa da un attore umano motivato al raggiungimento di un obbiettivo e
con la mediazione di uno strumento, chiamato anche artefatto.
Le attività si differenziano tra loro a seconda dei rispettivi motivi o oggetti (per
questo si parla anche di “attività orientata all’oggetto”) (Kuutti, 1996). La
Activity Theory identifica due tipi generali di oggetti: oggetti reali (o fisici) e
oggetti ideali (o mentali), presenti solo nella mente del soggetto. Ogni attività
12
viene intrapresa attraverso diverse azioni coscienti orientate allo scopo, che a
loro volta sono composte di operazioni orientate al compito, in genere non
coscienti.
Un altro aspetto centrale della Activity Theory è la natura attiva del soggetto
di una attività. Gli attori portano con sé caratteristiche diverse che influenzano
il modo nel quale approcciano una determinata attività: esperienza pregressa,
capacità cognitive, tratti determinati dalla personalità e dalla cultura. Questi
fattori continuano ad evolversi mano a mano che la persona porta avanti
l’attività (Hasan, Gould, & Hyland, 1998).
La Activity Theory considera i processi lavorativi come “attività strutturate
socialmente che utilizzano mezzi tecnologici e materiali” (Zucchermaglio,
1998). Il lavoro non esiste indipendentemente dai lavoratori e deve essere
studiato e analizzato come un complesso sistema di pratiche sociali e non solo
come sistema tecnico, tecnologico e organizzativo che contiene le attività del
lavoro. Tali pratiche sono il frutto del sapere diffuso delle organizzazioni che
può essere considerato come sapere scientifico sotto forma di applicazioni
operative della scienza. Questo sapere tecnico, o procedurale, consiste in
quella sequenza di azioni da mettere in pratica, in una data situazione, per
ottenere un risultato conforme alle aspettative. Una delle caratteristiche del
sapere tecnico, in quanto codificabile, è di essere trasferibile e di circolare tra
gli attori, i quali costruiscono così la loro esperienza individuale, che gli
permette di discernere tra le alternative a disposizione abbreviando i processi
decisionali e garantendo i medesimi risultati attraverso i trucchi del mestiere
(Vino, 2001).
Il sapere pratico è socialmente costruito, o per meglio dire, la sua componente
non tecnica è essenzialmente dovuta all’interazione tra attori. Tale sapere è il
frutto dei processi di costruzione della conoscenza che hanno luogo nelle
organizzazioni e che caratterizzano le competenze individuali degli attori. La
conoscenza fondata sull’esperienza e sulla prassi produce un sedimento
13
presente in ogni organizzazione come insieme di significati attribuiti alla
pratica concreta. “Le organizzazioni producono un sapere e lo mettono a
disposizione dei propri membri; e fondano, su questo sapere, la propria
identità” (Vino 2001). Molte possono essere le espressioni nelle quali si
manifesta la conoscenza nelle organizzazioni: gli artefatti tecnologici, i
regolamenti interni, le tradizioni che si perpetuano nelle interazioni
quotidiane.
I processi di costruzione della conoscenza nelle organizzazioni si possono
considerare provenire rispettivamente dall’alto e dal basso . Dall’alto possono
venire emanati e costruiti nel tempo regolamenti, manuali di istruzione,
circolari, comunicazioni varie, come accade nel caso delle organizzazioni più
complesse e burocratizzate. Dal basso, da parte dei membri
dell’organizzazione, viene operata una interpretazione di tali regolamenti,
manuali, istruzioni operative varie e dei loro aggiornamenti in modo da
“adattarli” e “situarli” rispetto alle pratiche quotidiane. Si tratta cioè di una
sorta di semplificazione delle norme per meglio adattarle alle situazioni
contingenti che può generare una integrazione ma anche una contrapposizione
tra il sapere pratico (proveniente dal basso) e il sapere teorico o normativo
(proveniente dall’alto).
Il sapere pratico, come abbiamo già visto, viene costruito nel tempo sulla base
delle esperienze vissute; la costruzione e la modifica di tale sapere
costituiscono l’elemento centrale per il cambiamento nelle organizzazioni
(Vino, 2001).
Ciò che caratterizza il sapere pratico inteso come categoria della conoscenza
diffusa nelle organizzazioni si può semplificare nello schema seguente:
• È retrospettivo e riflessivo, il significato degli avvenimenti viene
costruito in maniera retrospettiva
• È conoscenza generata dall’azione, l’azione precede la conoscenza.
14
• È narrativo, narrazione come forma privilegiata di ricerca del significato
e di scambio delle esperienze.
• È orientato al futuro, progettato in prospettiva di ciò che dovrà
accadere.
• È contestuale: contenuti e criteri di valutazione del sapere sono specifici
per ogni contesto organizzativo, al cambiare del contesto cambiano i
criteri.
Attribuire dei nomi dà significato all’oggetto e ne richiama la storia. Il sapere
pratico attribuisce dei nomi e definisce dei contesti.
Czarniawska (2000) fa notare come il linguaggio sia un modo di comunicare e
di conoscere molto importante nella costruzione di conoscenza narrativa e
identità istituzionale e organizzativa. “Il sapere narrativo costituisce il nucleo
del sapere organizzativo, ed è un modo importante di dare senso a ciò che sta
accadendo nella vita quotidiana delle organizzazioni”. Per questo l’analisi del
linguaggio come artefatto simbolico riveste notevole importanza permettendo
in fase di ricerca di accedere ai significati più profondi e nascosti della cultura
organizzativa.
Il contesto organizzativo fornisce agli attori organizzativi la conoscenza e la
possibilità di sviluppare sapere pratico e il tutto si interpone tra gli individui, la
realtà e gli avvenimenti quotidiani, che in questo modo prendono senso.
Linguaggio e contesto permettono non solo alla conoscenza di essere generata
ma sono anche un veicolo per il suo trasferimento. La circolazione del sapere è
un fenomeno cruciale e complesso che non segue necessariamente percorsi
lineari e prevedibili. Esso si propaga e si diffonde in modo inerziale finché non
incontra degli ostacoli, delle resistenze o attriti. Si possono riscontrare ad
esempio resistenze al cambiamento, attriti culturali, resistenze politiche,
diminuzione della spinta iniziale alla diffusione di nuovo sapere.