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Introduzione
La traduzione è un processo per il quale la catena dei significanti che costituisce il testo della lingua
di partenza viene sostituita da una catena di significanti nella lingua d’arrivo, che il traduttore
fornisce in forza di un’interpretazione.
(Venuti 1999: 41-42)
Questo lavoro intende esaminare alcuni aspetti cruciali all‟interno dei sistemi di
traduzione teorizzati dal professore statunitense Lawrence Venuti (Philadelphia, 1953).
Sono approfondite in particolare le teorie e le evoluzioni dei due maggiori metodi
traduttivi in lingua inglese, quelli che Venuti definisce coi termini di “addomesticante”
e “estraniante”. Ossia le differenze e le peculiarità tra un approccio che avvicina il
testo straniero alla cultura d‟arrivo, adattandolo ai propri schemi letterari e culturali, e
un sistema che mira invece a una traduzione quasi letterale, e che mostra al lettore le
alterità della lingua e della cultura straniere.
Il personale interesse verso questa disciplina scaturisce direttamente dal corso di
studi in Lingue e Letterature Straniere che ho appena terminato, e inoltre dalla volontà
di proseguire il percorso universitario specializzandomi in traduzione.
La mia ricerca è partita dall‟analisi del testo di Lawrence Venuti intitolato
L’invisibilità del traduttore, che sviluppa tra gli altri i temi sopraelencati. Per avere un
quadro più completo del pensiero e delle teorie dell‟autore ho successivamente
approfondito le altre sue pubblicazioni. Ho poi proseguito l‟indagine con la lettura di
alcuni testi teorico-accademici sulla traduzione, alcuni di essi scritti dagli stessi autori
che sono stati le fonti di Venuti, evidenziando le corrispondenze di idee e
interpretazioni riscontrate col fine di capire come il pensiero del teorico americano si
sia sviluppato.
La dissertazione qui proposta parte dalle definizioni dei due concetti cardine di
questo studio secondo le tesi di alcuni teorici che le hanno sostenute, per poi
proseguire sviluppandosi cronologicamente nei due sensi e man mano delineando le
varie correnti di pensiero, le situazioni storiche ed economiche, i principali autori, le
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dinamiche artistiche, le ripercussioni sul sistema sociale, e la posizione del traduttore
di fronte a essi. Il capitolo che espone brevemente le teorie sulla traduzione di Venuti
anticipa la chiusura del lavoro, che si conclude con un commento sulla situazione
attuale della figura del traduttore e sull‟idea di Venuti riguardo ai due sistemi traduttivi
qui analizzati e alla loro incidenza nella cultura anglosassone.
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Capitolo 1. Addomesticamento e estraniamento
I testi sono così legati al loro linguaggio che l’atto della traduzione diventa inevitabilmente una
manipolazione di significanti, dove due lingue giungono a varie forme di collisione
e in qualche modo si accoppiano.
(Antoine Berman, cit. in Venuti 2004: 277)
Ce ne sono soltanto due [modi di tradurre]. O il traduttore lascia il più possibile in pace lo scrittore e
gli muove contro il lettore, o lascia il più possibile in pace il lettore
e gli muove incontro lo scrittore.
(Friedrich Schleiermacher, cit. in Nergaard 2009: 153)
La traduzione rappresenta la sostituzione violenta di una differenza culturale e
linguistica di un testo straniero in un prodotto intelligibile nella cultura d‟arrivo.
Il traduttore esercita una scelta riguardo al grado e alla direzione della violenza della
sua traduzione, altre volte gli è imposta, ma le soluzioni generali che può adottare sono
sempre quelle che Venuti definisce con i termini di “addomesticamento” e
“estraniamento”.
La violenza della traduzione addomesticante è maggiore in quanto porta il testo
straniero a confondersi nella cultura della lingua in cui si traduce. È una tecnica che
porta con sé un principio etnocentrico e nazionalista, e può potenzialmente comparire
all‟interno di fenomeni socio-politici come la discriminazione etnica, il colonialismo,
il terrorismo, le guerre. Dall‟altro lato, la traduzione estraniante violenta in modo
minore il testo straniero, includendolo nella letteratura d‟arrivo, mettendolo a
confronto e in competizione con i propri generi dominanti, creando una possibilità di
maggiore comprensione dell‟estraneo.
Sono due termini che possiedono una variabilità tale da poter essere definiti solo
all‟interno della specifica situazione culturale in cui la singola traduzione viene
realizzata e in cui produce i suoi effetti (Venuti 1999: 43). La scelta fra i due sistemi di
approccio è stata nei secoli dettata da opposte vedute teoriche, da diversi modi di
interpretazione, da differenti obiettivi artistici, sociali ed economici, dai target di lettori
da raggiungere, dalle situazioni storico-culturali.
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Nel caso dell‟addomesticamento la traduzione assume una forma scorrevole che si
maschera come equivalenza semantica, quando in realtà interpreta il testo straniero
secondo i valori della lingua di arrivo, riducendo o escludendo quelle differenze che la
traduzione è chiamata a trasmettere. La comunicazione è in questo caso controllata
dalla cultura d‟arrivo tramite un processo di interpretazione che si appropria del testo
straniero.
Secondo Constance B. West, teorico della traduzione, “la traduzione dev‟essere quanto
più possibile vicina all‟originale, ma può essere ben diversa nei dettagli. Essa non può
prescindere da un certo livello di interpretazione: chiunque traduce contrae un debito
e, per ripagarlo, egli non deve utilizzare la stessa moneta, ma pagare la stessa
somma
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”.
Un altro importante teorico schieratosi dalla parte della traduzione addomesticante fu
lo statunitense Eugene Albert Nida (1914-2011), da molti considerato il fondatore
della traduttologia come disciplina autonoma. Egli teorizzò il concetto di “equivalenza
funzionale” o “equivalenza dinamica” della traduzione. Per Nida era essenziale
comporre una traduzione che nel ricevente producesse la stessa risposta che aveva
prodotto il testo originale nei riceventi stranieri. Egli infatti nel 1986 affermava che “i
riceventi di una traduzione dovrebbero comprendere il testo tradotto fino al punto di
poter capire il modo in cui i riceventi originali devono aver compreso il testo
originale” (cit. in Venuti 1999: 47).
Nel 1964 Nida spiegò che per sviluppare il suo concetto di equivalenza dinamica il
traduttore doveva adottare un tipo di scrittura scorrevole che aderisse allo standard
letterario della cultura d‟arrivo: “una traduzione di equivalenza dinamica tende alla
naturalezza di espressione e cerca di creare una relazione tra il ricevente e le modalità
prevalenti di comportamento nel contesto della sua stessa cultura” (Nida 1964: 159).
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“Whoever takes upon himself to translate contracts a debt; to discharge it, he must pay not with the same
money, but the same sum” (Constance B. West cit. in E. A. Nida, Toward a Science of Translating: With
Special Reference to Principles and Procedures involved in Bible Translating, 1964, p. 156). L‟aforisma
lascia intendere che il traduttore non può prescindere dall‟utilizzo di un certo grado di interpretazione, e che
l‟unica via possibile è quella della traduzione addomesticante.
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Nida definiva quella che Venuti chiama “la traduzione estraniante” come una tecnica
di “equivalenza formale”, limitandone la funzione a quella di glossario
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, un testo utile
a chi necessita di una corrispondenza nella forma (sintassi, vocaboli) e nei contenuti
(temi, concetti) propri di una cultura straniera, una composizione destinata a studenti o
amatori di una certa cultura o di un certo stile letterario straniero, comprensibile solo
grazie a numerose note a margine. Per Nida i due concetti di equivalenza rimanevano
pertanto reciprocamente esclusivi.
È da sottolineare che l‟orientamento di Nida aveva origine nella sua vocazione
cristiano-evangelica. Essendo egli consulente per la traduzione dell‟American Bible
Society
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vedeva la trasparenza come un mezzo posto al servizio dell‟umanesimo
cristiano. La traduzione della Bibbia doveva tramettere il messaggio, senza
necessariamente corrispondere agli schemi stilistici del testo originale. Egli stesso
riconosceva che, in ogni caso, le differenti tecniche di traduzione avevano sempre a
che vedere con la natura del messaggio, con lo scopo dell‟autore e del traduttore, e con
il target di lettori a cui l‟opera era destinata (Nida 1964: 156-157). Come si vedrà più
avanti, quello di Nida è soltanto uno dei tanti casi in cui una particolare tecnica
traduttiva è stata posta al servizio di un‟ideologia culturale ben definita.
Come precedentemente anticipato, la traduzione estraniante non nasconde le
differenze del testo straniero, e aderisce alle strutture discorsive originali al punto di
apparire in certi casi scorretta per la cultura d‟arrivo. La distanza che prende il testo
tradotto da quello che è il canone culturale e linguistico della lingua d‟arrivo consiste
nella maggior parte delle volte nell‟introduzione nel discorso di materiali non
familiari, sia linguistici (deviazioni dall‟idioma standard corrente, ad esempio
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Nida definisce “gloss translation” una traduzione che focalizza la sua attenzione sia sulla forma sia sui
contenuti. In particolare una traduzione che ha un orientamento formale, il cui messaggio nella cultura
d‟arrivo si accoppia con gli elementi della cultura straniera in una corrispondenza frase per frase, verso per
verso, concetto per concetto. (E. A. Nida, Toward a Science of Translating: With Special Reference to
Principles and Procedures involved in Bible Translating, 1964, p. 159).
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È un'organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1816 a New York il cui obiettivo è quello di
pubblicare, distribuire e tradurre la Bibbia.
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mediante usi colloquiali o arcaismi) sia letterari (deviazioni dagli stili, dai generi e dai
discorsi generalmente canonici o dominanti nel linguaggio in cui si traduce).
La traduzione estraniante può essere anche più semplicemente la scelta di tradurre un
genere letterario che contrasti con quelli dominanti nella cultura d‟arrivo.
Emblematico in tal senso è l‟esempio dello scapigliato
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Iginio Ugo Tarchetti (1839-
1869), il quale si dedicò alla traduzione del gotico inglese in italiano. Fece delle
traduzioni in realtà scorrevoli e addomesticanti, in toscano, che portarono i lettori a
credere che i suoi fosse testi originali. La scelta di tradurre il gotico inglese in italiano,
cultura dove aveva sempre prevalso il genere realistico, rappresentò però una
componente estraniante nel contesto culturale dell‟Italia della sua epoca.
Il filosofo tedesco Friedrich Schleiermacher (1768-1834) fu il primo teorizzatore del
metodo della traduzione estraniante, nella quale vedeva un luogo in cui manifestare
l‟alterità culturale, sebbene essa non potesse mai manifestarsi nei suoi stessi termini
ma solo in quelli di una cultura d‟arrivo. Schleiermacher, come Nida, individuò due
metodi traduttivi distinti e applicabili soltanto singolarmente all‟interno della singola
opera, riconoscendo in uno il tentativo di avvicinare il testo straniero alla cultura
d‟arrivo, e nell‟altro lo sforzo di avvicinare il testo tradotto alla versione originale.
Egli scelse come migliore e teorizzò il secondo, quello che prevede un‟aderenza
quanto più possibile al testo straniero e che muove il lettore in uno spazio totalmente
nuovo. In questo metodo Schleiermacher vide possibilità di arricchimento della lingua
nella quale si traduceva, grazie all‟inserimento nel canone nazionale di nuovi lemmi,
generi, stili linguistici e letterari.
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La Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell'Italia settentrionale a partire dagli
anni sessanta dell'Ottocento. Il termine è la libera traduzione del termine francese bohème (vita da zingari),
che si riferiva alla vita disordinata e anticonformista degli artisti parigini della metà dell‟Ottocento.