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Capitolo I
Autorità
I. I Storia della tortura
I. I .I Le origini
In questi primi paragrafi affronteremo in estrema sintesi le tappe più significative
dell'andamento storico della tortura, per poi soffermarci più a lungo sull'epoca illuminista e
contemporanea, questo per una serie di motivi; in primis, perché nostro interesse primario è
comprendere nello specifico la tortura contemporanea, e in secondo luogo per diverse ragioni
tecniche, tra cui la presenza di un maggior numero di fonti a disposizioni verificabili e di qualità sul
tema soltanto dall'Illuminismo in poi. Come vedremo, l'epoca dei Lumi è stato il periodo storico in
cui il discorso sulla tortura è stato, come mai prima d'allora, intenso, sistematico e completo.
La storia della tortura racconta lungo i millenni l'attuarsi, nel modo più tangibile e diretto, di
un'idea, quella di un dominio che non riconosce limiti se non nella propria sola volontà.
Verri scrive a tal proposito:
L'origine di una così feroce invenzione oltrepassa i confini della erudizione e verosimilmente potrà essere tanto
antica la tortura quanto è antico il sentimento nell'uomo di signoreggiare dispoticamente un altro uomo, quanto è
antico il caso che la potenza non sia sempre accompagnata dai lumi e dalla virtù, e quanto è antico l'istinto
nell'uomo armato di forza prepotente di stendere le sue azioni a misura piuttosto della facoltà che della ragione.
1
Tanto è antico e radicato il ponderare, da parte dell'autorità, l'uso della distribuzione di
sofferenza come strumento e manifestazione di potere che, nel Vecchio Testamento, così Dio parlò
alla prima donna:
Moltiplicherò la sofferenza delle tue gravidanze e tu partorirai figli con dolore. Eppure il tuo istinto ti spingerà
verso il tuo uomo, ma egli ti dominerà!
2
E così al primo uomo:
Tu hai dato ascolto alla tua donna e hai mangiato il frutto che ti avevo proibito. Ora, per colpa tua, la terra sarà
1 P. Verri, Osservazioni sulla tortura, a cura di S. Contarini, Bur, Milano 2006, p. 132.
2 Genesi 3, 16.
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maledetta: con fatica ne ricaverai il cibo tutti i giorni della tua vita.
3
« Il tema della fondazione etico-politica della pena è un argomento relativamente poco studiato,
»
4
tuttavia può almeno trovare chiara conferma in queste pagine dell'Antico Testamento una
concezione di giustizia che associa direttamente tra loro delitto pena e dolore. Questa concezione
della pena come sanzione negativa in sé necessaria rimarrà l'assioma dei sistemi penali almeno fino
al XVIII secolo, epoca della rivoluzione del sistema penale.
La tortura rimarrà legale fin tanto che resterà in vigore l'ordine di idee che sostiene una
concezione negativa della sanzione penale.
5
È necessario fin dall'inizio di questo studio specificare che la tortura è essenzialmente
differente rispetto a qualsiasi pena. La pena viene somministrata in seguito ad un verdetto di
colpevolezza; la tortura, invece, viene applicata sul corpo di un prigioniero in quanto sospettato:
oltre ad essere una pena inflitta senza ragionevole certezza di reità è, precipuamente, lo strumento
per eccellenza della produzione di verità processuali, in quanto essa permette nella maggioranza dei
casi l'ottenimento di quella che è la regina delle prove, la confessione.
Nonostante le premesse teoriche implicite nella Genesi, non sempre, neppure tra i popoli
antichi, si è optato per forme punitive caratterizzate dall'avere il corpo come luogo di applicazione
di una giustizia caratterizzata dall'essere vendicativa.
I Sumeri, dopo un lungo peregrinare, approdarono al nord del Golfo Persico per poi occupare i
territori dell'odierno Iraq. Deposta la lancia tolsero la punta e sulla cima del manico posero la
vanga. Essi furono la prima popolazione sedentaria civilizzata della storia dell'umanità; grazie
anche alla relativa tranquillità che seppero concedersi furono i creatori della più antica forma di
scrittura, quella cuneiforme, risalente al 4000 a. C. Un tale modello di società, basato sulla semina e
il raccolto, poteva reggersi soltanto in stato di pace, e la pace si ottiene soltanto se, oltre all'assenza
di pericoli imminenti dall'esterno, all'interno della società vige una situazione d'ordine. A sua volta,
l'ordine può sussistere soltanto se il diritto è instaurato. Il diritto dovrà sostentarsi del
riconoscimento altrui della propria equità, giustizia, saggezza per poter essere rispettato e poter
quindi sostenere la struttura che consegna una forma alla società. Ur-Nammu, re sumerico vissuto
più di ventidue secoli fa, è ricordato in particolare per il codice di leggi che scrisse tre secoli prima
3 Ivi 3, 17.
4 A. Bondolfi, Pena e pena di morte, EDB, Bologna 1985.
5 Si veda in particolare il par. IV . I. II, p. 166.
9
di quello di Hammurabi basato sulla legge del taglione. Ur-Nammu comprese i vantaggi della
giustizia, dell'ordine e della pace, considerò la violenza una perdita di tempo, una sorta di inutile
dissolvimento di energia. Egli era convinto che il modo migliore per ristabilire un danno e prevenire
i torti fosse attraverso le pene pecuniarie:
Se un uomo ha rotto il piede di un altro uomo con l'arma, egli dovrà pagare dieci sicli d'argento. Se un uomo ha
staccato a un altro uomo un osso con l'arma, egli dovrà pagare una mina d'argento.
6
Una concezione di amministrazione della giustizia certo differente rispetto a Deuteronomio 19,
21 : «Vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede. »
Bisognerà invero dire che sia l'una che l'altra arte della giustizia avevano in sé pregi e difetti.
Le pene pecuniarie non sono egualitarie, l'uomo dalle grandi ricchezze avrà un rapporto diverso con
la giustizia rispetto al povero. Questo problema è risolto dall'equivalenza perfetta implicita tra
danno e pena espressa nel Deuteronomio. L'arte di punire è complessa, essa implica giudizi politici,
morali, educativi, economici e non solo, deve prendere in considerazione aspetti privati e pubblici
della vita di un individuo e della società. Ribadisco, la sinteticità di queste pagine è ben lungi dal
voler suggerire idee semplicistiche o andare a discapito della complessità della questione e delle sue
verità storiche.
Se già tre secoli dopo Ur-Nammu le regole nell'applicazione della pena mutarono con
decisione, addirittura feroci furono i discendenti Assiri e Babilonesi. Presso i primi prevale la casta
militare, dai secondi quella sacerdotale, ma pare che i costumi in fatto di amministrazione della
giustizia mutassero ben poco. Ad esempio, per chi ruba o non paga i debiti la sanzione varia dalla
fustigazione alla mutilazione; per i reati gravi rimane la pena di morte tramite impalamento,
incenerimento o annegamento. In certi casi si va oltre l'equivalenza occhio per occhio: « Se uno
schiavo colpisce la guancia del figlio di un libero, gli si deve tagliare un orecchio. »
7
Naturalmente
il potere per sostenersi non doveva rivelarsi arbitrario, pertanto si tortura e si dà la morte secondo
regole ben definite. Tra i re assiri è ricordato, non certo per la mitezza, Tiglatpileser I (1116 – 1078
a. C.). Di lui si scrive:
Avanzò percorrendo un cammino di tre giorni.
Prima del sorgere del sole era brace il loro suolo.
Sbranò delle gravide il ventre.
Squarciò dei deboli il corpo.
6 A. Frescaroli, La tortura attraverso i secoli, G. De Vecchi, Milano 1970, pp. 37-8.
7 Ibidem
10
Ai potenti tagliò il collo.
8
Egli massacrò nemici tra i quali donne e bambini vantandosi della quantità di sangue che fece
scorrere per le valli della Mesopotamia. Tiglatpileser fu, al contempo, un emerito benefattore per la
cultura, fu il primo re assiro a costruire una biblioteca nel suo palazzo, inoltre promosse la scienza e
l'arte. La civiltà assiro babilonese in seguito si rafforza, le scienze si evolvono e con esse la finezza
si acuisce trovando con naturalezza una sua modalità espressiva anche nella tortura: a parte la
consuetudine di amputare, – si va dalla foratura delle orecchie alla castrazione – un'innovazione è
consiste nel versare bitume bollente sul volto del reo, se questi sopravvive alla punizione la società
lo espelle dal suo seno.
L'ultimo re assiro sarà Assurbanipal, chiamato anche Sardanapalo, citato nella Bibbia, da
Diodoro Siculo, da Orosio, Giovenale e Dante e giudicato da costoro come saggio, colto, capace di
leggere e scrivere, amante dell'arte, soprattutto della scultura e dell'architettura. Regnò in tempo di
rivolte nei territori della Siria e dell'Egitto. Ristabilire l'ordine era compito non facile e le forze a
disposizione non infinite; le riflessioni tattiche lo portarono a formulare una teoria. Egli usò,
probabilmente per primo, l'arma psicologica in modo sistematico, cosciente, uno dei suoi consigli
era: « I ribelli vanno prima disarmati col terrore »
9
. Il primo passo per vincere la resistenza di una
fortezza consisteva nel catturare dei prigionieri, dopo di che questi venivano fatti incatenare in fila
facendo passare le catene tra le mascelle in precedenza forate, infine si attaccava la cima a dei
cavalli e così conciati veniva fatto loro percorrere il periplo delle mura. Di solito, il giorno dopo, gli
assediati porgevano ai comandanti di Assurbanipal la testa del loro capo.
Con gli assiri, insomma, la tortura entra a tutta forza a far parte della storia. I torturatori danno
sfogo alla loro fantasia, impalano, storcono, piegano, tendono la pelle, tagliuzzano e mozzano, gli
scopi: terrorizzare e punire.
Differente nei principi, invece, la legge di Mosè. Se punire è giusto non bisogna, secondo la
legge che egli diede, eccedere, seppur dura essa non deve mai essere crudele.
Quando due uomini sono in lite, vanno in tribunale, sono giudicati, e uno è dichiarato innocente e l'altro colpevole,
se il colpevole deve ricevere la punizione della fustigazione il giudice lo farà stendere a terra. Alla presenza del
giudice lo fustigheranno con un numero di colpi proporzionato alla gravità della sua colpa. In ogni caso non si
potranno superare i quaranta colpi. Se infatti se ne danno di più, sarebbe una punizione eccessiva, e il vostro
connazionale sarebbe umiliato.
10
8 Ivi, p. 40.
9 Ivi, p. 42.
10 Deuteronomio 25, 1-4. In 2 Corinzi 11, 24, si ha una conferma del rispetto di questa regola: « Cinque volte ho
11
Ebbene, cosa differenzia, dunque, il castigo dalla tortura, la punizione dalla vendetta? Forse,
anche l'assenza di umiliazione che viene dal superare un determinato limite. Punire per
salvaguardare l'ordine è necessario, ma aggiungerci l'assenza di comprensione del sentimento della
vittima infondendo passioni cattive nel gesto attivo, significa umiliare, oltraggiare, seminare
infamia, ignominia e disonore non soltanto nel reo, ma anche nella comunità: la conseguenza
dell'eccedere è l'indebolimento dell'unità sociale, questo è il paradosso in cui rischia di cadere una
cattiva amministrazione della giustizia.
Un libro di storia dedicato alla tortura proseguirebbe ora narrando i fatti di altri popoli quali i
Medi, gli Sciiti, i Traci e poi, allontanandosi dalla Persia, racconterebbe dei costumi non molto
difformi, in questo ambito, dei popoli americani. Dal Messico
11
alle Ande pare proprio che gli
uomini non avessero l'odierno istinto di repulsione per il sangue, ma tale narrazione nulla
aggiungerebbe in fatto di teoria al nostro discorso. Più interessante, invece, è analizzare il pensiero
in materia dei Greci e dei Romani.
I. I. II I Greci e i Romani
Guerra del Peloponneso (431 - 404 a.C.). Demostene, generale dell'esercito di Atene, cade
prigioniero in un agguato dei Siracusani, i quali lo condannano a morte nonostante il parere
contrario degli Spartani, è il 413. Secondo Tucidide « un gruppo di Siracusani, preoccupati per
essersi compromessi in intese segrete con lui, temevano che sottoposto alla tortura parlasse
rovinando loro, con la sua denuncia ».
12
Erodoto ci racconta di Artautte, governatore persiano che, catturato dagli ateniesi, fu inchiodato
vivo ad una tavola.
13
Anche le donne sapevano comportarsi brutalmente; venute a sapere di un atteggiamento poco
ricevuto le trentanove frustate dagli Ebrei ».
11 Presso gli Aztechi, in verità, è difficile parlare di vera e propria tortura. Se infatti anche presso di loro molte persone
hanno sofferto supplizi spaventosi, essi hanno subìto non per placare l'ira dei loro simili, quanto, piuttosto, quella di
dei implacabili, i quali in certi periodi storici richiesero, o, meglio, si credeva richiedessero, stermini di massa. I
primi spagnoli contarono davanti alla porta di un tempio azteco più di centotrentacinquemila crani appesi
all'ingresso. In questo caso non si tratta di tortura, ma di sacrificio. Cfr. A. Frescaroli, op. cit., pp. 60-6.
12 Tucidide, La Guerra del Peloponneso, Rizzoli, Milano 2009, libro VII, 86, p. 433.
13 A. Frescaroli, op. cit., p.68.
12
decoroso sul campo di battaglia da parte di un soldato, un gruppetto d’esse si recò a casa di costui,
catturarono sua moglie e i suoi figli, e li lapidarono senza tediare nessuno con troppi discorsi.
Ancora a tal proposito, la fonte è sempre Erodoto,
14
sappiamo di come delle Ateniesi divenute da
poco vedove circondarono un superstite per poi colpirlo a colpi di spilloni, anch'egli come i mariti
defunti, secondo il loro parere, avrebbe dovuto lasciare la propria vita sul campo di battaglia.
Un tale Anaxinos provò su di sé, in una medesima sera, tutta l'imprevedibilità della vita. Dopo
aver cenato amabilmente presso l'abitazione dell'oratore Demostene, quest'ultimo sequestra l'ospite
per farlo torturare. Gli si domanda cosa lo spinga a violare il valore sacro dell'ospitalità, egli
risponde che l'amore per la patria è più forte, pare che Anaxinos fosse a conoscenza di preziose
informazioni per Atene.
Valerio Romano possedeva tutta una serie di aneddoti a proposito dell'uso della tortura in
Grecia tra cui quello di cui è protagonista Zeno di Elea. Pare che questi fosse coinvolto in una
congiura contro il prepotente Niarkos. Zeno sottoposto alla tortura non resse all'infinito, si decise a
confessare i nomi dei complici ma a un patto, che li potesse riferire personalmente a Niarkos. Il
tiranno venne e al bisbigliare del poverino s'abbassò per udire meglio, il pensatore scattò in avanti e
fece in tempo a serrare i denti intorno all'orecchio del potente.
15
Già a quel tempo la tecnica faceva passi avanti nel settore “strumenti per supplizio”. Su tutti
questi macabri attrezzi da lavoro emergono per ingegno due macchine, la prima è un'antesignana
della Jungfernkuss medievale
16
, la seconda è un toro. Ad ascoltare Polibio, storico greco, pare
proprio che il tiranno Nabis utilizzasse per estorcere denaro una “signora” di metallo e legno di
nome Agepa, la quale una volta spinta nei pressi del malcapitato, grazie a una molla fatta scattare
tramite una leva posta dietro la schiena, stringeva al proprio petto il possessore dei quattrini, il quale
sentiva gli aculei sotto l'abito della macchina pronti a trafiggergli le carni. Il toro esprime fin
dall'esordio il suo potenziale di crudeltà. Luciano, autore satirico del secondo secolo, ci riferisce di
come Perilao costruisse un toro di rame, un'idea stessa dell'artigiano, per conto di Falaride. Il toro
era a grandezza naturale, di rame e cavo, nel posteriore era posizionata la botola che consentiva
l'accesso della vittima all'interno, sotto la pancia s'accendeva un fuoco e le conseguenze sono
facilmente immaginabili. Ma in molte torture, e questo stupisce, c'è sempre un tocco di fantasia in
più pronto a testimoniare la devozione al proprio mestiere da parte di questi ingegnosi artigiani:
14 Erodoto, Le Storie. Libri I-II. Lidi, Persiani, Egizi, trad. di F. Barberis, Garzanti, Milano 1993.
15 B. Innes, op. cit., p. 14.
16 Nota anche col nome “Vergine di Norimberga”.
13
tramite un sistema di canne, l'urlo del dolore veniva rinchiuso in esse e sfiatato in modo da essere
trasformato in una sorta di pacato muggito. Ma se Perilao era ingegnoso, non era però altrettanto
fortunato o, forse, non abbastanza sveglio da capire per chi stava lavorando. Luciano narra dal
punto di vista del tiranno Falaride:
« Orsù, Perilao, » dissi, « se sei tanto sicuro della tua invenzione, daccene una dimostrazione qui, su due piedi:
salta su, entra dentro, e imita le urla di un uomo torturato, così che possiamo verificare se questa affascinante
melodia si sprigiona dalla macchina, come vuoi farci credere ». Perilao obbedì, ed era appena entrato nel ventre
del toro che io chiusi l'apertura e accesi il fuoco sotto l'animale. « Prenditi questo », dissi, « come unica
ricompensa che merita un simile capolavoro e intona per noi un assaggio delle ammalianti note che hai inventato!
». E così, quel crudele vigliacco patì ciò che si meritava per un'applicazione tanto infame del suo talento in campo
meccanico. Comunque, affinché quell'opera grandiosa non restasse contaminata dalla sua morte, ordinai di tirarlo
fuori ancora vivo, di scaraventarlo giù dall'alto della rupe, e di lasciarne il corpo senza sepoltura.
17
Nella commedia Le Rane di Aristofane è scritto, come risposta di Xanto, che si finge Ercole
nonostante sia servo di Bacco, a Eaco, giudice degli Inferi:
Come devo torturarlo?
In tutti i modi:
Attaccalo a una scala,
appendilo,
sferzalo a sangue,
dagli la fune,
versagli dell'aceto nelle radici,
scorticalo,
mettigli delle tegole sulla pancia,
fagli di tutto.
18
Tra il « fagli di tutto » erano compresi, ad esempio, l'uso del cavalletto
19
, della ruota,
20
del
pettine
21
e della volta bassa
22
.
D'altra parte, si tratta di conoscere la verità. Significa venire a conoscenza dei preparativi di un
attacco nemico alla propria patria, o di sapere chi sta congiurando, chi ha avvelenato, ucciso, rubato,
insomma, si tratta di sapere chi ha commesso un reato, chi sono gli eventuali complici e come si è
svolta la faccenda. Il magistrato necessita di sapere i fatti altrimenti il meccanismo della giustizia si
inceppa. Dunque, che l'imputato parli. Ciò che non è facile da comprendere è perché a dover parlare
17 Ivi, p. 16.
18 Ivi, p. 15, e cfr. L. Rangoni, La tortura, Xenia, Milano 2003, p. 3.
19 Il cavalletto, o eculeo, era un tavolo costruito in modo tale da essere atto ad inarcarsi. Tramite un sistema di corde e
pesi, inoltre, era possibile procedere allo slogamento degli arti. Antifone morì in seguito a questa tortura.
20 Della ruota si hanno numerose varianti, ne testimoniano l'uso molti scrittori antichi, tra cui Ateneo, Flavio Giuseppe
e Gallonio. Il tipo più diffuso, a parte il far rotolare da un dirupo in un cilindro la vittima, era quello di legare gli arti
ai raggi di una grande ruota; dopo aver menato fendenti sugli arti, il corpo conciato a guisa di ammasso disarticolato
veniva relegato accartocciato su se stesso e abbandonato al certo destino.
21 I denti del pettine erano aculei. Pare che fosse molto efficace a stimolare l'eloquenza se applicato sul cranio.
22 Si prenda una grotta o una stanza che sia bassa, buia e stretta tanto da non poter trovare requie, che non si possa
stare né in piedi né seduti, ed avrete la “volta bassa”.
14
non fosse il vero imputato, il padrone, ma il suo schiavo, il quale a causa della sua condizione,
questa era la convinzione diffusa, poteva dire la verità soltanto sotto tortura.
23
Può aiutarci a capire l'ordine di idee del tempo la seguente questione giuridica. Uno schiavo si
spacca, si rompe - non è scorretto usare questi verbi, gli schiavi erano considerati oggetti, – che si
fa? E se muore? Semplice, la legge prevedeva il risarcimento del danno da parte di chi perdeva la
causa al proprietario della vittima; nel caso della morte il servitore andava sostituito con un altro di
pari forza ed età.
L'altra categoria di uomini sottoponibili alla tortura era quella degli stranieri.
24
In tempi in cui si è ben lungi dal poter sfruttare il lavoro di un ematologo, di un esperto di
genetica forense sul luogo del delitto, o di qualunque altra tecnica investigativa, non esiste prova
più forte di quella soprannominata la “regina delle prove”, ossia la confessione. Di certo, pur di
accertare la verità, neppure Roma decise di fermarsi di fronte alle nefandezze della camera di
tortura. Essa era definita quaestio per tormenta o quaestio tormentorum; per quaestio si intendeva
l'interrogatorio davanti al giudice, per tormentum lo strumento per giungere alla risposte, ovvero la
tortura.
25
Le tecniche diffuse sono l'eculeus
26
, le fidicule
27
, il lignum
28
, gli unci e le ungulae
29
, la
verbera
30
e la plumbatae.
31
Il magistrato romano incominciava l'interrogatorio con un'idea ben chiara in testa: se di fronte a
sé aveva l'accusato, costui era colpevole e non avrebbe mai detto la verità, se ci fosse stato un
23 Si dava spesso per certo che lo schiavo, vivendo nella stessa abitazione del padrone, fosse a conoscenza delle sue
azioni e dei suoi pensieri.
24 La tortura per ricavare una confessione o una testimonianza non risulta essere mai stata applicata sui cittadini; fu
usata violenza anche sugli uomini liberi, ma soltanto come forma punitiva. Così secondo G. R. Scott nella sua Storia
della tortura, Mondadori, Milano 1999, pp. 66-8. Di diversa opinione P. Fiorelli, secondo il quale Atene conobbe nei
tempi più bui della sua storia la parità di trattamento in questo campo tra schiavi e liberi. In particolare sembra non
ci fosse alcuna remora nel torturare gli accusati di lesa maestà nei momenti in cui Atene fu vittima della tirannia. Si
veda, di Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, 2 voll., Giuffrè, Roma 1953-4, I, pp. 13-6. Pochi sono gli
studiosi della materia a non aver elogiato questo testo.
25 Per tormenta o crociatus s'intendeva la realizzazione concreta della tortura, l'atto materiale.
26 Cfr. nota 19.
27 Corde poco spesse arrotolate su parti del corpo per poi essere strette fino a bloccare la circolazione sanguigna e
penetrare le carni. Anche usate con l'eculeo insieme ai pesi.
28 Tavole di legno atte a stringere i piedi.
29 Ganci acuminati.
30 Poi passata di moda essendo stata sostituita dalla sua evoluzione, la plumbatae appunto, che era uno staffile
composto da più cordini, all'estremità si appendevano materiali quali pezzi di piombo.
31 F. Di Bella, Storia della tortura, Odoya, Bologna 2008, pp. 54-5.
15
testimone, invece, si trattava di un complice renitente. Essi avrebbero parlato solo utilizzando come
deterrente il braccio del boia. E se proprio non volevano decidersi a parlare neanche sotto
“trattamento”, allora il De quaestionibus, il testo giuridico di riferimento nel settore, consigliava di
interessarsi fin da subito, per risparmiare tempo, dell'indiziato o testimone più timido.
32
Anche i Romani all'inizio lasciarono che a venir torturati fossero soltanto schiavi e prigionieri,
sia nel ruolo di accusati che, nel caso, come testimoni.
33
Ma la tentazione di poter usare un mezzo
tanto efficace anche su chi poteva dire: « Civis rumanus sum » era troppo forte. Se questo principio
resta fermo nella Roma Repubblicana, in quella Imperiale sembra trovarsi con parecchia costanza
un certo amore per l'eccezione. Pare che il primo originale in merito fosse Ottaviano Augusto, dopo
di lui la nuova abitudine si diffuse. Soltanto intorno al II e III secolo si ritornò in parte a
circoscriverne l'uso, seppur le eccezioni ritornarono ciclicamente. Ad ogni modo, la tendenza di
torturare i liberi tese a riguardare soltanto i delitti gravi. Primo su tutti, il delitto di lesa maestà in
quanto riguardante la sicurezza dell'Impero.
34
È esperienza assodata che una volta aperta la breccia
la pressione, se non incanalata per altre vie o frenata, tende a concentrarsi allargando le maglie della
giustizia, cosicché perfino per la magia
35
, per il falso d'autentificazione
36
o per la produzione di
moneta falsa
37
fu trovato un legame con il crimine di lesa maestà, pertanto questi reati furono
perseguibili con il medesimo strumento. Ciò accadde in seguito per i reati di adulterio e di
veneficio. Per farsi un'idea di ciò a cui portarono queste leggi, a quale abito mentale, segue una
serie di avvenimenti storici che indicano come la tortura giunse ad essere considerata perfino un
divertimento.
Tiberio all'epoca della congiura di Seiano, siamo nel 30 d. C., ricevette la visita di un amico da
Lodi, ma scambiandolo per uno dei congiurati e non volendolo ascoltare lo fece torturare insieme
ad altri. L'ospite si ribella, strepita, fa rimostranze fintanto che si decidono a dargli retta. Si scopre
l'errore ma ormai è talmente conciato che Tiberio, per pietà, lo fa uccidere.
38
Bisogna ricordare che
il secondo imperatore romano ebbe per tutta la vita atteggiamenti quanto meno sconcertanti.
Quando fu proclamato imperatore da uomo irreprensibile, amato dal popolo e dall'esercito, diviene
32 A. Frescaroli, op. cit., p. 72.
33 P. Fiorelli, op. cit., I, pp. 22-3.
34 Ivi, p. 26.
35 La magia veniva usata spesso per prevedere il destino dell'Impero.
36 La falsificazione della firma dell'imperatore era reato che conduceva con certezza tra le braccia del tortor.
37 Falsificare denaro significava sfidare direttamente l'autorità.
38 B. Innes, op. cit., p. 17-8 e F. Di Bella, op. cit. p. 59.
16
tutt'altro, i contemporanei rimangono sbigottiti per i suoi stermini e per tutta una serie di aneddoti
che circolano intorno alla sua figura a corte. Un giorno, durante un supplizio, gli venne voglia
improvvisamente di violare il corpo del ragazzo che reggeva l'incenso, lo trasse da parte, ne abusò.
Non pago, possedette pure il fratello del giovane, un suonatore di flauto. Non conosceva limiti: i
due fratelli vennero sorpresi mentre si offendevano l'un l'altro per essersi lasciati umiliare, cosa fece
Tiberio? Fece tagliare le gambe ai giovani a causa del loro punto di vista.
39
Tra gli altri imperatori funesti spicca il successore di Tiberio, Caligola. A quest'ultimo, si narra,
non riusciva neppure la digestione se durante i pasti non udiva di sottofondo le grida terribili dei
tormentati.
Da Gaio Svetonio Tranquillo veniamo a conoscenza di questo fatto. Un giorno Ottaviano
Augusto vide il pretore Gallius camminargli vicino reggendo qualcosa sotto la toga. Non fu che un
attimo: Gallius nascondeva un pugnale con l'intenzione di uccidere l'imperatore. Fu torturato. Non
confessò. Allora l'imperatore strappò con le sue stesse mani gli occhi del traditore per poi ordinarne
l'uccisione. In verità, il pretore sotto la toga non nascondeva altro che una tavoletta di leggi.
Al tempo di Messalina la legge era chiara, si potevano torturare soltanto schiavi e nemici, mai i
liberi. Si trovò l'inganno: un libero, reo di lesa maestà, è considerabile un nemico, pertanto è
passibile di tortura. Messalina ebbe il via libera per far sterminare una lista di uomini liberi.
40
Il marito di Messalina, l'imperatore Claudio, era considerato un uomo debole e insicuro perfino
a corte. Era estremamente interessato al momento in cui dal dolore atroce si sconfina nella morte;
pare che nello spiare questa macabra fase della vita egli ponesse tutta la sua pignoleria affinché essa
venisse dilatata quanto più possibile. Siamo a Tivoli, la giornata è caldissima, il sole allo zenit, i
prossimi crocefissi già predisposti ognuno al proprio palo, ma c'è un inconveniente, il boia non
arriva. Claudio dà l'ordine a un soldato di recarsi a Roma per trovarne uno. Giunge la sera. Quando
boia e soldato arrivano, Claudio era ancora sul luogo ad aspettare, vide tutto fino alla fine.
L'imperatore morì ucciso dalla passione che lo colse da vecchio per i funghi o, per essere più
precisi, venne ucciso dai funghi che Agrippina gli fece preparare. Suo figlio Nerone lo sostituì e qui
ci fermiamo.
Sorge spontanea una domanda: ma se queste autorità, tanto interessanti per uno psicologo,
avevano certe convinzioni ben chiare sull'uso della tortura, qual era la posizione intellettuale in
39 A. Frescaroli, op. cit., pp. 74-5.
40 F. Di Bella, op. cit., p. 62.
17
materia dei massimi pensatori dell'antichità?
Platone considerava la tortura sicuramente un male, ma era un male a fin di bene; essa era sì
crudele, ma di una crudeltà dello stesso tipo di quella ineliminabile in un intervento chirurgico.
41
Le convinzioni di Aristotele erano in linea con quelle dei suoi contemporanei: gli uomini liberi
deponevano liberamente, gli schiavi con la forza, la tortura era semplicemente una sorta di
testimonianza obbligatoria
42
in virtù della loro condizione di strumenti privi di capacità
deliberativa,
43
potevano essere sinceri soltanto durante gli spasimi.
44
Al contempo, egli non si illude
sull'effettiva validità di questo mezzo di prova: alcuni sopportano qualunque tormento tenendo ben
chiusa la bocca, altri confessano qualsiasi cosa ancor prima che il supplizio inizi.
45
Tant'è che
consiglia agli avvocati di lodare la tortura in quanto essa libera dal dolore in cambio della verità o,
nel caso occorra, di confutare le parole del torturato sostenendo che con la forza si può far dire il
falso.
46
Seneca trovava giusto che il diritto utilizzasse per i propri scopi la tortura; ne recriminava
l'abuso, ad esempio quando essa veniva usata come passatempo.
47
Cicerone lesse Platone, ne seguì la falsariga. Le testimonianze, a suo parere, aggiustavano i
disequilibri dell'anima e del corpo; la tortura era espressione di verità, proprio il dolore in quanto
estremamente reale, “sentito”, recava al suo seguito un'indiscutibile autorità alla parola della
vittima.
48
Cicerone lesse anche Aristotele. Durante un'arringa
49
sostenne con decisione che durante
la tortura la paura regna, di conseguenza c'è ben poco da coltivare aspettative di verità sui prodotti
d'essa. Durante una lezione a degli avvocati insegna tutti gli argomenti conosciuti dai tempi della
Grecia a favore della tortura.
50
Quintilliano ripeterà le medesime teorie dei suoi predecessori per quanto riguarda i pro e i
41 F. Di Bella, op. cit., p. 61.
42 Ivi, p. 57.
43 Aristotele, Politica, I, 13, 1260a 10-15.
44 A. Frescaroli, op. cit., p. 66.
45 P. Fiorelli, op. cit., II, p. 208.
46 Aristotele, Retorica, 1, 15, 1376 a - 1376 b, aggiunge: « Bisogna dire che le testimonianze sotto tortura non sono
veridiche; vi sono infatti molte persone di scarsa sensibilità, le quali sono dure come pietra e che, essendo forti
d'animo, possono resistere con costanza alle restrizioni; altri sono invece timidi e vili e hanno coraggio solo prima di
aver visto gli strumenti di tortura; perciò non vi è nulla di attendibile nelle testimonianze sotto tortura ».
47 A. Frescaroli, op. cit., p. 60. Seneca rimproverò spesso Caligola per questi suoi capricci, ad esempio quando fece
subire i supplizi a Sesto Papinio e al pretore Betillino Grasso senza alcun valido motivo.
48 Ivi, p. 61.
49 Cicerone, Pro P . sulla oratio, cap. 28.
50 Cicerone, Topica, cap. 20. Cfr. P. Fiorelli, op. cit., p. 208.
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contro.
51
Quindi, da una parte la tortura può essere considerata efficace, fa confessare il vero;
dall'altra, essa agevola il robusto e s'accanisce sul debole. Per quanto riguarda il momento del
giudizio di colpevolezza consiglia di farsi un'idea sulla parola del torturato di caso in caso.
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Le prime torture sui liberi furono quasi certamente illegali, questo lo possiamo intuire dalla
forza con cui storici come Tacito o Svetonio riportano con disapprovazione i tormenti distribuiti dai
primi imperatori. Nelle pagine degli storici romani ricorrono troppi casi di tortura per non accettare
che se la tortura non era ancora esplicitata nelle leggi nei primi tempi, essa fosse, nonostante ciò, già
consuetudine, un'usanza.
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Nel primo secolo di Cristo l'antico uso della tortura ricevette un
ampliamento giuridico e via via venne sempre meglio regolamentato. Durante questo periodo la
tortura fu usata, perlopiù, non tanto come mezzo per giungere alla verità, quanto piuttosto come
strumento di coercizione per riportare i ribelli cristiani al rispetto delle divinità pagane. Alla fine dei
suoi giorni, l'istituto romano della tortura giudiziaria è un sistema di norme solido e compiuto.
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I. I. III L’ordalia
Alarico arriva all'improvviso. I Romani vengono sorpresi dallo straniero mentre l'urbe splende,
pulsa, le terme sono affollate, la gente aspetta in massa d'entrare al circo. Ormai, però, la città è
circondata, le riserve di grano predate, ai popolani tocca nutrirsi degli animali più ripugnanti,
s'aggiunge l'arrivo della peste. Roma decide di trattare, si mandano alla tenda del capo dei Visigoti
due rappresentanti. Ma anche per trattare serve forza, altrimenti si può soltanto portare la propria
resa. Alarico pare parlasse poco, rispose trattandoli con poco rispetto e chiuse il dialogo.
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Finito di
parlare diede il via all'attacco. Entra in città, arraffa e se ne va. Roma non è invincibile. Meno di
settant'anni dopo, sarà la fine di un'era. Goti, Ostrogoti, Vandali, Longobardi, Unni s'alternano per
quattro secoli nelle scorribande lungo le terre di un impero che fu.
Questi popoli, chiamati Barbari, al contrario della civiltà di Roma, per quanto rozzi fossero,
51 Quintiliano, Inst. or., 5, 4.
52 Ivi, p. 209.
53 P. Fiorelli, op. cit., I, p. 26.
54 Ivi, p. 52.
55 Frescaroli riporta il dialogo tra il senatore Basilio, accompagnato da tale Giovanni, uomo di mondo, con Alarico. Il
rappresentante romano minaccia una strenua difesa: « Veniamo a proporvi una pace onorevole. Se non la otterremo
faremo suonare le trombe. Il popolo si leverà in massa ». Al che Alarico pare chiudesse la questione con una risata
ed una battuta: « Il fieno si taglia meglio quando è fitto ». Op. cit., p. 100.
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non facevano rientrare tra le loro usanze l'uso della tortura. Nell'amministrare la giustizia si
servivano di alcuni capisaldi. La pena deve essere proporzionata alla gravità del reato. Deve essere
certa. Non esistono sconti, giustificazioni per nessuno in caso di errore; il capo è autorità perché
vive ogni giorno dando l'esempio, deve essere coraggioso, giusto, onesto e coerente, tra i Barbari
non c'è posto per un Cesare e le sue stravaganze ed una corte che sguazza nella corruzione. Nel caso
manchino le prove per inchiodare il presunto reo? I Barbari hanno una fede assoluta, rispondono
che, a questo punto, saranno gli dei a decidere.
Già nel 500 prima di Cristo l'ordalia era in vigore in Cina. Un caso esplicativo della validità di
tale prova, citato da quasi tutti i libri che hanno trattato il tema, è il seguente. Un marito ha dei
dubbi sulla fedeltà della propria moglie. Crede anche di sapere chi è l'uomo che contribuisce a fargli
perdere il sonno. Il marito è un uomo sicuro di sé, la legge lo approva, ne ha il diritto, va e taglia la
testa alla moglie e al suo amico. Raccoglie le teste e va dal giudice. Il giudice prende atto della
questione. Ordina di procedere. Si riempie una vasca all'arrivo di uno scivolo, si prendono le teste e
si appoggiano sul piano inclinato, si lascia la presa. Le teste compiono il loro percorso. Il magistrato
constata: se le teste galleggiano guardandosi negli occhi è tutto chiarissimo, gli amanti insistono
nella tresca; se le teste si ignorano, allora erano innocenti, le teste mozzate di lì a poco sarebbero
state tre.
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Già nel codice di Hammurabi si trovano tracce dell'ordalia, come pure nella Bibbia.
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L'ordalia presso i Barbari è una forma di giudizio divino, è una sorta di procedimento giuridico
attraverso il quale il giudizio d'innocenza o di colpevolezza è delegato alla divinità.
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La credenza
alla base dell'usanza è la seguente: l'innocente possiede lo stato di grazia, è protetto da una
raccomandazione divina, dunque egli può essere messo alla prova senza riportare conseguenze.
Essa, come la tortura, ha un'esigenza precisa, giungere alla verità, tuttavia la differenza c'è.
Nell'ordalia c'è una deresponsabilizzazione da parte di chi giudica, la prova è qui non più questione
56 Ivi, pp 105-6 e F. Di Bella, op. cit., pp. 70-1.
57 Numeri, 5, 11-14: « Il signore disse a Mosè di comunicare agli Israeliti queste prescrizioni: “Supponiamo che una
donna sposata si sia comportata male e sia stata infedele a suo marito. Per aver avuto rapporti con un altro uomo si è
disonorata. Suo marito non ha nessuna prova, perché non ci sono stati testimoni dell'adulterio e nessuno l'ha colta
sul fatto; tuttavia il marito la sospetta di infedeltà. Può anche capitare un altro caso: un uomo sospetta che sua
moglie si sia disonorata, mentre non c'è stato nulla.” » E 18-22: « Il sacerdote terrà in mano l'acqua amara che rende
maledetti i colpevoli ed esigerà dalla donna di prestare giuramento: “Se non è vero che un altro uomo ha avuto
rapporti con te, se non ti sei disonorata e non hai tradito tuo marito, quest'acqua amara non ti farà alcun male. Ma
sarà diversamente se ti sei davvero disonorata” ». Il “sarà diversamente” consiste in questo: « “Il Signore ti castighi:
ti renda sterile e faccia gonfiare il tuo ventre; i tuoi concittadini ti portino come esempio quando scagliano
maledizioni! Quest'acqua di maledizione penetri dentro i tuoi intestini, faccia gonfiare il tuo ventre e ti renda
sterile.” La donna risponderà: “Amen: avvenga come hai detto” ».
58 L. Rangoni, op. cit., pp. 13-5.
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tra uomini, ma bensì tra un singolo e la divinità.
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L'ordalia non costituisce una pena in sé, tant'è che ad essa, in caso di colpevolezza, segue la
punizione relativa al reato.
Tra le ordalie più diffuse si ricordano: la prova dell'acqua fredda,
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della bilancia,
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dell'acqua
bollente,
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del ferro rovente,
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del fuoco, del veleno,
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del cibo consacrato,
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della croce,
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della
bara
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e delle sorti.
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Le istituzioni giudiziarie risentiranno dell'incontro tra concezione romana e barbara
dell'amministrazione della giustizia. La società romana era ben più complessa e raffinata di quella
che giunse a sovrapporsi. La mentalità barbara era indipendente dall'autorità “statale”, il delitto era
vicenda personale come pure la risoluzione d'esso. Non era la società come soggetto politico ad
occuparsi della repressione e risoluzione dei delitti. Ad ogni modo, tortura e ordalia, a seconda dei
luoghi e dei tempi, furono compresenti almeno fin quando l'uso dell'ordalia non prese il
sopravvento. Il periodo è il medesimo nel quale il diritto si adegua al nuovo livello di complessità
sociale, diviene meno sofisticato.
59 F. Di Bella, op. cit., p. 69.
60 Secondo una credenza, a quanto pare risaputa nel passato, data la diffusione di codesta prova, i rei perdono peso,
diventano incredibilmente leggeri, da qui la prova. Si prende la vittima, la si lega a dovere e la si getta in un corso
d'acqua. Se va a fondo è innocente.
61 Il reo è posto su un piatto di una bilancia. Come contrappeso una Bibbia o un peso, di solito di circa otto
chilogrammi. Se il colpevole viene alzato dal contrappeso è colpevole. Nel 1728 a Szegedin, in Ungheria, poterono
bruciare, grazie a questo strumento di prova, più di dieci persone. Pare che il peso medio dei colpevoli fosse di
neanche 30 grammi.
62 Tante variazioni ma il principio è questo: un calderone pieno d'acqua bollente e una pietra o altro oggetto sul fondo.
La vittima deve pescare con la mano il sasso. Se la mano si ustiona, è la mano di un colpevole.
63 Dieci metri di aratri incandescenti sopra cui camminare, una benda sugli occhi e due piedi scalzi. Se la carne è
ustionata si ha il colpevole.
64 Se l'avvelenato sopravvive, è perché è innocente.
65 Un fatto di suggestionabilità. In pubblico, al presunto colpevole veniva consegnata un'ostia, o un pezzo di pane o
formaggio o quant'altro, questi ingurgitava il boccone. Nel frattempo s'elencavano un'infinità di maledizioni
scomodando diversi soggetti biblici: « Scendano i dodicimila angeli e arcangeli, Matteo, Marco, Luca e Giovanni,
scendano Mosè e Aronne e sigillino le tonsille e l'esofago di colui che è reo », F. Di Bella, op. cit., pp. 76-8. A
seconda del tipo di deglutizione si decretava o meno la colpevolezza.
66 Una sfida di resistenza. I due contendenti, - i motivi potevano essere infiniti, dal contrasto per motivi di dogma a
quello per ragioni politiche o di confini, - si ponevano dirimpetto ad una croce, alzavano le braccia e recitavano
preghiere. Chi abbassa per primo le braccia ha torto. Passò alla storia, a Verona, la vittoria del vescovo contro il
rappresentante del municipio, anch'egli, comunque, si racconta, pare fosse un uomo forte, F. di Bella, op. cit., p. 78.
A volte, la gara durava anche un paio di giorni.
67 Si dà per scontato che il cadavere dell'assassinato vicino all'uccisore prenda a sgorgare sangue. L'accusato doveva
tastare qua e là il morto, in particolare la/e ferite, se non accadeva nulla di strano era provata l'innocenza.
68 Era un esercizio di fantasia. Le variazioni sono pressoché infinite, le stramberie a cui si fece riferimento
inimmaginabili. È davvero il caso a decidere la sorte della prova.
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Tant'è che le fonti dal IX al XIII secolo non hanno nulla da dire a proposito della tortura;
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ciò
non significa che la tortura fosse scomparsa del tutto, ma è un indice dell'andamento della sua
fortuna. Non a caso, questo periodo coincide con l'età d'oro dell'ordalia.
I. I. IV La rinascita dei tormenti
Carlo Magno muore ad Aquisgrana nel 814, l'impero carolingio incomincia a disgregarsi a
causa della mancanza di un valido e forte potere centrale.
Il fenomeno dell'incastellamento durò fino al XII-XIII secolo, periodo in cui l'età feudale cede
il posto ad un'altra età, quella dei comuni. La rete vassallatico-beneficiaria porta con sé, nella sua
scomparsa, anche l'ordalia. In tale contesto storico si ha una combinazione di concause che
favorirono il ritorno della tortura.
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Per quanto riguarda le premesse negative bisogna segnalare la scelta da parte del IV Concilio
Lateranense (1215) di condannare l'ordalia, ormai considerata strumento della giustizia legato alla
cieca superstizione.
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Si crea in questo ambito del diritto, anche in campo laico, un vuoto.
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Riguardo le premesse positive del ritorno della quaestio, la più importante è l'affermarsi di
poteri centrali quali i comuni o i governi regi: l'autorità politica sente il bisogno di darsi una
struttura più definita. L'affermazione dell'autorità necessita di una propria conferma agli occhi
esterni, cerca consenso anche passando da una amministrazione della giustizia autorevole. Una
giustizia ben amministrata diventa, quindi, strumento della propria affermazione politica e del
consolidamento della propria autorità.
69 P. Fiorelli, op. cit., I, pp. 64-6.
70 Tra le cause, una fu del tutto casuale, e coincise con la scoperta di numerosi testi di diritto romano in seguito
all'assedio di Amalfi. Cfr. F. Di Bella, op. cit., pp. 84-5.
71 Cfr. P. Fiorelli, op. cit., I, nota 4, pp. 68-9.
72 Sul rapporto tra diritto romano e diritto canonico, si veda di H. D. Hazeltine, “Il diritto romano e il diritto canonico”,
pp. 265-369, in: Z. N. Brooke – C. W. Previté – J. R. Tanner (a cura di), Contest of empire and papacy, Cambridge
University Press, 1929. Trad. it. Storia del mondo medievale, “Il trionfo del papato e lo sviluppo comunale”, vol. V ,
a cura di A. Merola, Garzanti, Milano 1980.
73 La tortura era parte integrante del diritto romano.
74 A proposito del passaggio dall'ordalia al processo inquisitoriale: « This change was based on the belief that