3
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INTRODUZIONE
“Qualcuno di voi ha mai visitato Babilonia?”
“No, perché dovremmo…”
“Ma non viene mai voglia di camminare sulla terra?”
“Viviamo sulla strada che conduce al cielo e lavoriamo solo per renderla più lunga”
1
.
Il dialogo tra i protagonisti del racconto Torre di Babilonia di Ted Chiang introduce in maniera
poetica il tema affrontato in questo lavoro: una riflessione sulla lunga tradizione iconografica relativa
a Babele, la torre che voleva sfidare il cielo, nell’intrinseco desiderio dell’essere umano di penetrare
il mistero della sua stessa esistenza. L’affascinante e immortale mito di fondazione, narrato nel libro
della Genesi, similmente ad altri racconti provenienti da culture lontane nello spazio e nel tempo,
ripropone l’antica questione dell’arroganza umana, del bisogno innato dell’uomo di sfidare la
divinità, un atto di hybris, punito con la condanna alla diversità linguistica e alla dispersione dei
popoli. La popolarità di questo soggetto e la sua fortuna iconografica e letteraria nel corso di un
larghissimo lasso temporale invita a ricercarne le cause, le ragioni profonde nascoste tra le pieghe
della storia. Numerose sono le pubblicazioni a riguardo, molte orientate su riflessioni di natura
linguistico-antropologica, altre incentrate sulla ricostruzione di un quadro storico-archeologico della
civiltà babilonese. Questo contributo, partendo dalla lettura iconografica delle opere artistiche che
illustrano il tema, ha lo scopo di ricostruire l’adeguato contesto storico in cui è maturato l’oggetto
artistico, recuperando, in fine, la vera essenza della torre di Babele, il cuore religioso e cultuale della
città storica di Babilonia. Dall’analisi emerge come, nel corso della lunga tradizione figurativa,
Babele e Babilonia abbiano, prevalentemente, incarnato valori negativi, divenendo sinonimo di
depravazione, confusione, tirannia e superbia. Si desidera, inoltre, sottolineare come in determinate
fasi storiche caratterizzate da particolari tensioni di carattere politico, sociale e religioso, il soggetto
abbia avuto una più vasta diffusione e popolarità, usato, strumentalmente e ideologicamente, per
simboleggiare forze estranee e nemiche. Prima di iniziare, occorre spendere qualche riflessione
sull’approccio iconografico alla base del lavoro. Aldilà delle critiche mosse al metodo iconografico
e iconologico teorizzato da Panofsky
2
, si ritiene che l’oggetto artistico, come prodotto storico di una
1
T. Chiang, Torre di Babilonia in Storie della tua vita, Milano, 2016, p. 14.
2
E. Panofsky, Studi di iconologia, Torino, 1999.
data epoca, debba essere indagato anche in un più ampio contesto storico-culturale, restituendo un
insieme di valenze, di turbamenti, di simboli collettivi che vanno oltre il valore artistico della singola
opera o dell’importanza dell’artista. Tale approccio non esclude affatto una valutazione formale,
stilistica dell’opera, né il riconoscimento della genialità di un artista o la specificità di un movimento
artistico, ma contribuisce a delinearne un quadro più completo e profondo, a comprenderne il
“significato intrinseco”
3
.
3
E. Panofsky, Studi di iconologia, Torino, 1999.
5
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CAPITOLO I
Babele, tra mito e storia.
“…Io la chiamerò Babilonia, la casa dei grandi dei ...”
4
Evocare Babele, ancora oggi, significa richiamare alla mente concetti di caos, confusione linguistica,
orgoglio umano punito da Dio. Nell’immaginario collettivo occidentale Babele e Babilonia assumono
connotazioni decisamente negative, divenute metafora senza tempo di perversione, oppressione,
follia umana. La letteratura e l’arte del mondo occidentale sono legate alle immagini tramandate da
due fonti antiche principali, la Bibbia
5
e gli autori greci, entrambe sviluppatesi intorno al V secolo
a.C., subito dopo il periodo di maggiore splendore della civiltà neobabilonese, riferibili all’epoca di
dominazione persiana.
Oggetto specifico della nostra indagine sarà la rappresentazione artistica della Torre di Babele, dalle
prime immagini elaborate nell’Alto Medioevo fino ad oggi, ispirate soprattutto al breve racconto
biblico della Genesi (11, 1-9), ai libri profetici della Bibbia e ad un passo di Erodoto
6
(V secolo a.C.).
La sua fortuna iconografica testimonia la potenza, la forza leggendaria di questo mito che non tiene
conto, tuttavia, della realtà storico-archeologica di Babilonia. Per comprenderne il mito bisogna
partire dalla realtà. Si rende necessaria, quindi, una digressione storica per una corretta comprensione
e contestualizzazione della civiltà babilonese che ha prodotto materialmente la Torre di Babele.
Nostro punto di partenza sono gli studi indispensabili di storici ed archeologi, i quali hanno
contribuito a sfatare l’alone nefasto che circonda la mitica Torre e la città di Babilonia, inquadrandole
nel corretto contesto storico-culturale. La nostra analisi prenderà in esame da un lato i dati
archeologici e testuali delle fonti cuneiformi che ci aiutano a ricostruire la realtà storica di Babilonia,
dall’altro i testi vetero e neotestamentari e successive testimonianze artistico-letterarie che
definiscono l’immaginario fantastico della Torre.
4
P. Brusasco, Babilonia. All’origine del mito, Milano, 2012, p. 1 (verso tratto dal “Poema della Creazione babilonese”
in Mitologia assiro-babilonese a cura di G. Pettinato, Torino, 2005, p. 135).
5
Per la traduzione italiana della Bibbia si fa riferimento all’edizione ufficiale della CEI, Libreria Editrice Vaticana, Roma,
1987.
6
Erodoto, Storie, vol. 1, Libro I (181-183), Milano, 1997.
Oggi conosciamo con assoluta certezza, grazie agli scavi tedeschi condotti da Robert Koldewey nella
regione mesopotamica tra il 1899 e il 1917 (e ripresi dopo la Prima Guerra Mondiale)
7
, l’esatta
ubicazione dell’antica Babilonia e la vera natura della Torre di Babele, identificata con la ziqqurat
Etemenanki
8
, “Casa delle fondamenta del cielo e della terra”, fatta ricostruire da quel Nabucodonosor
II (604- 562 a.C.)
9
che aveva ispirato il racconto della Genesi.
Essa era associata al santuario E-sag-il (“Casa che leva alto il capo”), votato al dio Marduk, protettore
della città, dio supremo del pantheon babilonese, l’organizzatore del Caos primordiale rappresentato
dalla dea Tiamat, da lui sconfitta in una mitica battaglia narrata nel Poema della creazione
10
e
ricordata anche nell’Epopea di Gilgamesh
11
, capolavoro della letteratura sumero-babilonese risalente
a circa 5000 anni fa. I racconti narrati nell’Enuma Elis (letteralmente “quando in alto”)
12
, ovvero Il
Poema della Creazione, sono raccolti in frammenti di argilla provenienti da Ninive, rinvenuti durante
gli scavi inglesi tra il 1849 e il 1854 e tradotti dall’archeologo G. Smith nel 1857. La pubblicazione
e la traduzione dei testi cuneiformi hanno messo in evidenza le analogie tra i miti assiro-babilonesi e
i primi capitoli della Genesi
13
.
La ziqqurat (un alto edificio templare a gradoni) era il luogo di unione tra dei e uomini; il termine
“zaqaru”
14
si traduce con “essere alto, elevare” e induce a riflettere sulla sua funzione sacra e
spirituale. Essa corrisponde al tempio-torre, alla montagna cosmica che emerge dal cataclisma del
diluvio universale per permettere il rinnovamento del genere umano. Babilonia, insieme alla sua
Torre, rappresenta il centro dell’universo, archetipo della città cosmica creata per glorificare il sommo
dio Marduk secondo la propaganda religiosa del “Poema della creazione”.
Il termine accadico “Bab-ili” (da cui Babele-Babilonia) indica “Porta del Dio”, punto d’incontro tra
il mondo infero, il cielo e la terra
15
. Secondo la testimonianza erodotea (“Storie” 1, 181-185) inoltre,
sulla sommità del tempio, il cosiddetto “Gigunu” (di etimologia e significato incerti) che lo storico
7
Riguardo agli scavi di R. Koldewey, si vedano: P. Brusasco, Babilonia. All’origine del mito, Milano, 2012, pp. 49-51;
A. Parrot, Diluvio e Torre di Babele, Firenze, 1962, p. 97; M. Liverani, Immaginare Babele. Due secoli di studi sulla città
orientale antica, Bari, 2013, p. 11 e p. 20.
8
Riguardo alla ziqqurat Etemenanki: P. Brusasco, op. cit. p. 6; A. Parrot, op. cit., pp. 99-101; J. Vicari, La Torre di
Babele, Roma, 2001, pp. 63-68.
9
M. Liverani, Antico Oriente. Storia, società, economia, Bari, 2011, pp. 760-761; P. Brusasco, op. cit., pp. 116-123.
10
P. Brusasco, ivi, p. 161-168; E. A. Wallis Budge, Leggende Babilonesi della creazione, e-book; J. Vicari, op. cit., pp.
66-70.
11
P. Brusasco, ivi, p. 174-178; A. Parrot op. cit., pp. 19-25.
12
P. Brusasco, ivi, p. 1.
13
E. A. Wallis Budge, op. cit.
14
P. Brusasco, op. cit., p. 251.
15
A. Parrot, op. cit., p. 99; P. Brusasco, ivi, p. 98.
7
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greco chiama “Torre di Zeus-Belo”, si praticava la ierogamia, l’unione sessuale tra il dio e la sua
paredra, incarnati nelle figure del sovrano e della somma sacerdotessa, antichissimo rituale magico
di fertilità e rinascita stagionale celebrato in concomitanza con le festività del Capodanno
babilonese
16
. L’accoppiamento sacro ricreava il mitico matrimonio primordiale tra il dio della
vegetazione Dumuzi e la dea Inanna-Ishtar. Tale rito affonda le sue radici in tempi lontanissimi,
probabilmente legato a culture matrifocali precedenti
17
. Così è ipotizzabile affidandosi ad alcuni passi
del “Poema della Creazione” dove tra le righe si può cogliere lo scontro tra due civiltà, rappresentate
da Marduk, il vendicatore, e Tiamat, “la Madre che ci ha dato i natali, a cui nessun dio può
opporsi…
18
”.
Quanto alla ziqqurat Etemenanki la sua esistenza è già attestata in età paleo-babilonese (1800-1600
a.C.) da una citazione del re Hammurabi (1792-1749 a.C.) nel Prologo del Codice celeberrimo: “A
Babilonia … il tempio le cui fondamenta sono solide come quelle del cielo e della terra”
19
, espressione
che ci ricorda da vicino l’epiteto con cui si soleva nominare la Torre in età neobabilonese (629-539
a.C.). La prima testimonianza di Babilonia e del suo tempio risale addirittura alla I Dinastia di Ur
(2500 a.C.) presente in un frammento in calcare in cui la città viene chiamata in accadico “Barbar” o
“Babbal” da cui deriverà verosimilmente “Bab-ilim”. Essa non gode ancora dello status di capitale
ma si tratta di un semplice centro provinciale, ruolo che manterrà anche sotto l’impero accadico
successivo (2334-2154 a.C.). Solo con Hammurabi, il re legislatore, da considerarsi il vero fondatore
di Babilonia, la città diviene la capitale dell’intera Mesopotamia, il cuore politico, religioso,
economico di un impero cosmopolita mai visto prima. La Babilonia di Hammurabi è sconosciuta a
livello archeologico, tuttavia sono sopravvissuti fortuitamente documenti artistici e letterari grazie al
saccheggio subìto, nel corso del XII secolo a.C., da parte di un re elamita proveniente dall’Iran che
portò a Susa come trofei di guerra molti capolavori dell’arte del tempo. Proprio a Susa venne scoperta
la famosa stele con il Codice di Hammurabi dall’archeologo francese Jacque De Morgan nel 1908.
Le indagini archeologiche e una corretta decifrazione di fonti documentarie babilonesi e classiche
hanno invece permesso di ricostruire con più chiarezza la Babilonia di Nabucodonosor II, il secondo
re caldeo della dinastia neobabilonese (629-539), il sovrano maledetto dagli autori della Bibbia per
aver distrutto il tempio di Gerusalemme nel 587 a.C. e aver deportato il popolo ebraico a Babilonia
ponendo fine al regno di Giuda. Sotto il suo regno la città raggiunge uno splendore e uno sviluppo
architettonico, economico e demografico tali da essere paragonata ai fasti della Babilonia di
16
P. Brusasco, Babilonia. All’origine del mito, Milano, 2012, pp. 115-151.
17
P. Brusasco, ivi, p. 251; J. Vicari, La Torre di Babele, Roma, 2001, pp. 64-65.
18
E. A. Wallis Budge, Leggende Babilonesi della creazione, e-book.
19
P. Brusasco, op. cit., p. 97.
Hammurabi, a cui la propaganda reale si ispira. La cultura caldea neobabilonese, infatti, si caratterizza
per una intenzionale e spasmodica ricerca di fonti antiche, per un fervore artistico, culturale e religioso
senza pari
20
. Le testimonianze archeologiche, artistiche e letterarie fanno emergere, senz’ombra di
dubbio, una Babilonia grandiosa, cosmopolita, ricca e tollerante, smentendo la visione tramandataci
dalla Bibbia e dai suoi Profeti.
È stato ampiamente dimostrato quanto la cultura ebraica e i racconti biblici siano altresì debitori nei
confronti della civiltà babilonese
21
. Non solo il racconto leggendario del Diluvio universale è già
presente nella mitologia sumero-babilonese, ma pure il racconto di Babele è riferibile a contatti e
contaminazioni con la cultura letteraria babilonese, come dimostrerebbero le iscrizioni cuneiformi
autocelebrative di Nabucodonosor II che riguardo alla Torre si esprime in questi termini:
“Etemenanki, la Torre di cui Napobolassar, il re di Babilonia, mio padre che mi ha generato…aveva
purificato l’area e quindi vi aveva posto le fondamenta nel cuore del mondo inferiore…con bitume e
mattoni cotti, …ma non aveva raggiunto la sommità. Allora io mi sono impegnato a elevare
Etemenanki per far rivaleggiare la sua cima col cielo.” E ancora: “Tutti i popoli che Marduk mi ha
affidato io li ho messi al lavoro per la costruzione dell’Etemenanki… L’alta dimora di Marduk, mio
Signore, posi sulla sua cima
22
”.
Evidenti sono le analogie col racconto biblico della Torre di Babele: dal bitume e i mattoni cotti, tipici
della tradizione edilizia mesopotamica, alla sua cima che vuole raggiungere il cielo. Inoltre, si fa
chiaramente riferimento alla varietà etnica delle maestranze utilizzate per la costruzione della
ziqqurat. La Torre tanto celebrata dal sovrano, simbolo stesso di una Babilonia multietnica, grandiosa
e devota alla divinità, si tramuta in emblema di arroganza, confusione e tirannia. Stessa sorte tocca al
re costruttore, come riecheggia nelle beffarde parole del profeta Isaia (14, 13-17): “… Eppure tu
pensavi: salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono…mi farò uguale all’Altissimo. E invece
sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso!”.
La deplorazione della torre nei testi ebraici si combina con la condanna di Babilonia e della civiltà
che essa rappresenta: urbana, cosmopolita, illuminata. I nomi stessi di “Babele” e “Babilonia”
creavano un gioco di parole con l’ebraico “Balal”, “confondere”
23
. Già in Genesi 4 emergeva lo stesso
tema biblico, caro alla tradizione nomadico-pastorale ebraica, con la figura di Caino, costruttore di
20
M. Liverani, Antico Oriente. Storia, società, economia, Bari, 2011, pp. 774-779.
21
M. Liverani, Oltre la Bibbia. Storia Antica d’ Israele, Bari, 2017.
22
P. Brusasco, op. cit., pp. 248-249.
23
P. Brusasco, ibidem p. 250.