4
E’
però
importante
sottolineare
che,
per
quanto
riguarda
la
regione
Valle
d’Aosta,
la
datazione
non
può
basarsi
sullo
studio
dei
metodi
di
produzione
e
utilizzo,
a
causa
dell’isolamento
territoriale
e
culturale
che
questa
regione
ha
subito
per
molti
secoli:
le
tecniche
di
produzione,
come
anche
i
materiali
utilizzati
e
le
zone
di
approvvigionamento,
non
hanno
subito,
come
altrove,
l’influenza
di
altre
culture
e
di
nuove
tecnologie,
ma
sono
stati
invece
tramandati
per
secoli,
rimanendo
pressoché
inalterati.
Durante
l’attività
di
tirocinio,
in
cui
si
sono
svolte
le
analisi
esposte
in
questa
tesi,
sono
state
utilizzate
alcune
tecniche
analitiche
innovative
e
ancora
sperimentali
riguardo
lo
studio
delle
malte.
Questa
tesi
contribuisce
dunque
all’evoluzione
di
tali
analisi
e
alla
lettura
dei
risultati
da
esse
forniti;
proprio
a
causa
dell’ancora
attuale
sperimentazione,
però,
alcuni
risultati
non
possono
essere
spiegati
appieno,
in
quanto
sono
ancora
solo
parzialmente
conosciute
le
basi
scientifiche
sulle
quali
essi
si
fondano.
In
seguito,
sono
anche
state
compiute
analisi
per
lo
studio
del
degrado
dei
campioni
prelevati,
al
fine
di
valutarne
la
qualità
e
lo
stato
di
conservazione
e,
dove
possibile,
determinare
le
zone
maggiormente
esposte
a
tale
fenomeno.
Nonostante
il
progetto
iniziale
comprendesse
lo
studio
delle
sole
malte
di
giuntura
dell’edificio,
in
sede
di
campionamento
è
parso
molto
limitante
attenersi
a
questo
livello
di
approfondimento:
i
numerosissimi
ed
evidenti
interventi
e
le
particolarità
riscontrate,
sono
dunque
state
considerate
attraverso
il
prelievo
di
numerosi
campioni,
contrassegnati
come
particolarità
rispetto
all’omogeneità
del
resto
dei
prelievi.
Infine,
è
necessario
specificare
che
lo
studio
delle
malte
non
può
limitarsi
alle
analisi
esposte
in
questo
elaborato
(FTIR,
TG/DTA,
IC,
XRD,
SPOT
TESTS,
SL,
Calcimetria
e
Assorbimento
al
vapor
d’acqua),
e
che
una
caratterizzazione
corretta
e
sufficiente
deve
prevedere
anche
lo
studio
dell’aggregato,
attraverso
studi
mineralogico-‐petrografici
e
della
curva
granulometrica.
5
FOTO:
veduta
da
Est
del
complesso
della
Torre
dei
Balivi
6
La
Torre
dei
Balivi
LA
STORIA
La
città
di
Aosta,
antica
Augusta
Praetoria
Salassorum,
fu
fondata
tra
il
25
e
il
23
a.C.
dai
conquistatori
romani,
nel
luogo
in
cui
il
generale
Terenzio
Varrone
aveva
stanziato
l’accampamento
durante
la
campagna
contro
i
Salassi,
la
popolazione
indigena
di
origine
celto-‐
ligure
della
regione.
La
Torre
dei
Balivi,
o
Tour
du
Bailliage,
è
la
torre
dell’angolo
nord
orientale
della
cinta
muraria
romana
di
Aosta.
L’aspetto
attuale
della
torre
è
la
conseguenza
di
numerosi
interventi
subiti
nei
secoli,
tra
i
quali
ricostruzioni,
ampliamenti,
e
adattamenti
a
nuovi
utilizzi.
Dall’impianto
pressoché
quadrato,
essa
si
imposta
sul
preesistente
basamento
di
epoca
romana,
che
si
conserva
per
circa
1,50
m
in
altezza
rispetto
all’attuale
piano
stradale,
realizzato
in
blocchi
di
puddinga.
A
circa
2,5
metri
dal
piano
stradale
attuale
essa
presenta
una
risega,
cioè
un
arretramento
del
muro,
che
dunque
sarà
meno
spesso.
Il
fusto
della
torre,
che
termina
con
una
serie
di
merli
guelfi,
è
costituito
da
blocchi
di
travertino
disposti
in
senso
orizzontale.
La
Torre
presenta,
sui
lati
est,
nord
e
ovest,
delle
feritoie
molto
allungate,
alte
circa
quanto
nove
conci
di
travertino,
per
cui
circa
due
metri.
La
copertura,
a
piramide,
è
in
lose
(lastre
di
ardesia)
ed
è
sorretta
da
travatura
lignea.
Sulla
facciata
sud
è
presente
un
abbaino.
Le
aperture
hanno
un
andamento,
sia
in
pianta
che
in
sezione,
molto
irregolare.
Esse
hanno
forme
e
dimensioni
diverse,
alcune
sono
evidentemente
realizzate
a
strappo,
altre
risultano
essere
tamponate,
altre
ancora
modificate
nel
corso
dei
secoli.
Costruita
in
epoca
romana
come
parte
integrante
dell’impianto
difensivo
della
città,
nell’angolo
nord-‐est
della
cinta
muraria,
la
torre
fu
probabilmente
danneggiata
o
parzialmente
distrutta
nel
periodo
alto-‐medievale.
A
testimonianza
di
ciò,
il
fatto
che
della
costruzione
romana
ci
è
pervenuto
solamente
il
basamento
di
1,50
m
di
altezza,
in
blocchi
di
puddinga.
Non
si
hanno
notizie
certe
dell’Alto
Medioevo
in
Valle
d’Aosta:
infatti,
le
testimonianze
riguardanti
la
regione,
ed
in
particolare
la
città
di
Aosta
che
vanno
dalla
caduta
dell’impero
romano
7
all’annessione
ai
domini
sabaudi,
sono
scarse
e
lacunose.
In
Valle
d’Aosta
infatti
transitarono
e
si
stanziarono
i
Burgundi,
gli
Ostrogoti
e
i
Longobardi.
Nel
VI
secolo
la
regione
fu
annessa
al
regno
Franco
e
successivamente
subì
invasioni
ungare
e
saracene,
e
nell’anno
1032
fu
annessa
ai
domini
sabaudi.
Proprio
in
questo
periodo
in
Valle
d’Aosta
incomincia
l’epoca
feudale:
le
famiglie
locali
di
elevata
gerarchia
sociale,
si
impadroniscono
dei
luoghi
pubblici
simbolicamente
rilevanti,
come
le
mura
romane,
le
porte
urbiche,
e
le
torri
della
cinta,
trasformandole
secondo
le
loro
esigenze.
La
Torre
dei
Balivi,
e
le
zone
circostanti,
secondo
De
Tillier,
celebre
storico
valdostano,
furono
occupate
dalla
famiglia
De
Pallatio,
famiglia
che
deve
i
suo
nome
proprio
alle
porzioni
di
città
occupate,
tra
cui
anche
l’Anfiteatro
romano.
I
De
Pallatio
infatti
“estoint
anciens
citoyens
et
avoint
leur
maison
dans
le
debris
du
palais
des
empereurs
appellé
«
Palatium
rotundum
»
où
la
tout
auprès,
d’où
ils
ont
pris
le
nom
de
Pallatio
que
cette
famille
à
toujours
porté
jusqu’à
son
estinction.
Ils
possedoint
encor
la
tour
angulaire
des
murailles
de
la
citté
qu’on
appelle
aujourd’huy,
Tour
du
Baillage,
avec
la
maison,
court,
places
et
certaines
crottes
au
devant
en
nombre
de
quattres,
lesquelles
sont
à
présent
enclosées
dans
le
convent
des
dames
de
Saint
Cathérine.”
(De
Tillier
1994,
pag.242)
Fu
dunque
al
termine
del
XII
secolo
che
la
famiglia
De
Pallatio
ricostruì
la
torre,
probabilmente
molto
compromessa,
a
partire
dal
basamento
romano
preesistente,
conservato
per
1,50
m
di
elevato.
Essa
fu
edificata,
in
tutta
l’altezza
oggi
conservata,
con
blocchi
di
travertino
provenienti
probabilmente
dallo
spoglio
della
cinta
muraria:
l’occupazione
dei
terreni
a
nord-‐est
della
città,
e
di
fatto
anche
del
muro
di
cinta
di
questa,
potrebbe
infatti
aver
legittimato
la
famiglia
De
Pallatio
nell’opera
di
spoliazione.
La
“Tour
du
Palais”,
come
veniva
chiamata
a
quel
tempo,
fu
edificata
utilizzando
un
sistema
costruttivo
molto
particolare,
l’impalcatura
elicoidale,
sistema
poco
conosciuto
in
quel
periodo
nell’area
italiana,
ma
piuttosto
usato
in
area
francese,
svizzera
e
inglese,
per
l’edificazione
di
torri
a
pianta
circolare.
Esso
sarà
poi
utilizzato
numerose
volte
in
Valle
d’Aosta,
ma
sempre
per
l’edificazione
di
torri
cilindriche,
lasciando
il
caso
della
Torre
dei
Balivi
un
caso
unico.
Nel
1263
la
torre
fu
dunque
venduta,
da
Guglielmo
du
Palais
al
Conte
Pietro
II
di
Savoia;
il
contratto
d’acquisto
è
riportato
dal
De
Tillier.
“Notum
sit
omnibus
quod
Vuillermus
de
Palatio
juratus
vendidit
in
perpetuum
domino
Petro
Comiti
Sabaudie
unam
turrim
cum
fondamento
et
edificio
et
cum
curia
et
plaustro
que
dicitur.
Cricodola
que
jacet
in
cadro
civitatis
junxta
Palatium
rotundum.
Item
vendidit
quatuor
crottas
que
jacent
ante
dictam
turrim
cum
8
fundamentis:
hujus
autem
venditionis
est
pretium
bis
centum
vigenti
quinque
libras,
pretium
adpretatium
sicut
convenit
atque
complacuit
inter
venditorem
et
emptorem;
pro
hoc
itaque
pretio
habeat
amodo
ipse
emptor
protestatem
et
dominium
facendi
quidquid
voluerit
de
his
rebus,
donare,
vendere,
commutare,
retinere,
una
cum
pertinentiis,
exitibus,
aquaritiis
et
alliis
usibus
harum
rerum,
ita
quod
hec
venditio
firma
et
stabilis
valeat
permanere,
et
si
forte
cantingat
quod
aliquis
amodo
sive
homo
sive
femina
venditionem
istam
infregerit
aut
removeat,
pro
pena
remotionis
quatercentum
librarum
puri
argenti
reus
site
t
culpabilis.
Cumbertus
gerens
vicem
Gunterii
cancellarii
scripsit
et
subscriptis
in
Augusta
civitate,
rogatus
coram
pluribus,
loco
publico
ante
ecclesiam
Sancte
Mairie
et
Sanctis
Joannis,
feria
termia
mensis
novembris,
vacante
sede
imperiali,
anno
dominice
incarnationis
millesimo
duecentesimo
sexagesimo
tertio.”
Au
verso
du
parchemin
était
reproduite
une
partie
de
l’acte
avec
ce
qui
suit”
Fines
hujus
venditionis
sunt
de
prima
parte
res
quondam
Aymari
de
seconda
murus
civitatis,
de
termia
res
Jacobi
et
Aymonis,
de
quarta
murus
civitatis
et
res
Jacobi,
Aymonis
et
Vulliermi,
de
quinta
via
publica,
de
sesta
res
Jacobi,
Aymonis
et
Vulliermi.
Testes
sunt
Aymo,
Trabaldus,
Obertus,
Cirodus,
Vuliermus,
Bernardus,
Gunterius
sunt
fidei
jusorres
garendi
cartam
;
hoc
laudat
dominus
Jacobus
de
Palatio
miles,
et
Aymo
canonicus
Auguste
frater
eius,
et
Jacobus
filius
quondam
domini
Jacobi.
Vuliermus
et
Aymo
filii
venditoris,
feria
tertia
mensis
novembris
»
(De
Tillier,
1888,
pag.
374).
Dopo
soli
due
anni
dall’acquisizione
da
parte
dei
Savoia,
l’edificio
venne
destinato
a
sede
del
loro
“Balivo”.
I
Balivi
erano
governatori,
ovvero
i
rappresentanti
dei
Savoia
nel
territorio;
essi
amministravano
la
giustizia,
raccoglievano
i
tributi,
si
interessavano
delle
questioni
di
guerra
e
delle
riparazioni
alle
fortificazioni
e
avevano
autorità
su
tutte
le
cariche
minori
e
su
tutti
i
vassalli
del
territorio.
La
loro
carica
non
era
a
vita
ma
limitata
ad
un
certo
numero
di
anni,
di
solito
tre,
secondo
la
volontà
del
principe.
Il
complesso
dei
Balivi
acquisì
dunque
ulteriore
importanza,
in
quanto
sede
di
un’importante
carica
istituzionale,
funzione
che
manterrà
per
molti
secoli,
fino
a
quando
verrà
adibita
a
carcere,
nel
1626.
In
questo
lungo
periodo
come
sede
del
potere
sabaudo
in
Valle
d’Aosta,
essa
sarà
soggetta
a
numerosi
ampliamenti
e
restauri.
La
prima
di
queste
campagne
di
restauro
fu
quella
cominciata
nel
1406
da
parte
del
balivo
Jean
de
Pectigny.
Essa,
cominciata
nel
1406
e
terminata
a
metà
secolo,
ha
determinato
la
realizzazione
corpo
scalare,
la
costruzione
dell’ala
est,
e
la
riplasmazione
del
corpo
di
fabbrica
a
nord,
oltre
a
numerosissimi
rimaneggiamenti
di
minore
entità.
Appartiene
a
quest’epoca
anche
la
decorazione
affrescata
delle
pareti
prospicienti
il
cortile,
tuttora
visibile:
si
tratta
di
un
grande
affresco
del
quale
è
purtroppo
sopravvissuta
soltanto
una
porzione,
rappresentante
lo
stemma
di
Casa
Savoia.
Queste
importanti
modifiche
della
metà
del
XV
secolo
vedono
la
presenza,
nel
cantiere
balivale,
di
Aymonet
Corniaux,
Pietro
di
Bonino,
e
Stefano
Mossettaz.
Aymonet
Corniaux
era
un
personaggio
molto
attivo
e
apprezzato
alla
corte
sabauda
in
quanto
artefice
dei
lavori
di
restauro
ai
castelli
di
Annecy,
di
Chillon
e
di
altri
importanti
cantieri
ducali.
9
Anche
Stefano
Mossettaz,
identificato
come
“Magister
operum”,
è
una
personalità
molto
importante
nel
panorama
artistico
valdostano
dell’epoca,
in
quanto
non
fu
solamente
responsabile
dell’organizzazione
di
tutto
il
lavoro
del
cantiere
della
Torre
dei
Balivi,
ma
fu
anche
incaricato
nei
lavori
ad
una
cappella
e
al
coro
della
Cattedrale,
alle
fortificazioni
del
castello
di
Montjovet
e
fu
a
capo
della
commissione
ducale
di
controllo
dei
ponti
e
delle
strade.
La
presenza
di
queste
personalità
di
spicco
testimonia
l’effettiva
importanza
del
complesso
balivale
sia
nella
città
di
Aosta,
come
edificio
di
rappresentanza
“Turris
Domini”,
come
anche
l’agiatezza
economica
di
cui
i
suoi
abitanti
potevano
godere.
Gli
anni
tra
fine
del
XVI
e
l’inizio
del
XVII
sono
anch’essi
segnati
da
ampliamenti
al
complesso:
a
questo
periodo
infatti
vengono
attribuiti
l’edificazione
della
torre
cilindrica
ad
ovest
della
torre
quadrangolare,
e
un
generale
ampliamento
del
muro
perimetrale
ad
ovest
del
complesso,
conseguente
ad
una
nuova
sistemazione
dell’ingresso.
Nel
1702,
dopo
quasi
80
anni
dalla
richiesta
di
trasferimento
eseguita
dal
vice
balivo
Jean
Nicolas
de
la
Crete
nel
1626,
il
quale
richiedeva
una
dimora
più
conveniente
alla
sua
posizione
sociale,
a
causa
della
convivenza
con
i
carcerati,
la
sede
del
balivo
venne
trasferita.
La
Torre
dei
Balivi
sarà
da
quel
momento
adibita
solamente
a
carcere,
determinandone
l’inevitabile
decadenza.
In
quegli
anni,
precisamente
tra
il
1674
e
il
1675
furono
create
le
volte
all’interno
della
torre
quadrata,
e
nel
1760
su
sostituita
la
carpenteria
lignea
del
tetto.
Dopo
il
1702,
anno
in
cui
il
complesso
venne
destinato
unicamente
a
carcere
della
Valle
d’Aosta,
gli
interventi
saranno
numerosi,
ma
di
bassa
qualità,
atti
solamente
alla
sicurezza
del
carcere;
questa
funzione
inoltre
ha
determinato
lo
stravolgimento
di
molte
parti
del
complesso,
rendendo
molto
complicata
la
sua
interpretazione.
A
questo
periodo
risalgono
inoltre
moltissimi
graffiti
presenti
nella
torre
quadrata,
lasciati
dai
carcerati
durante
la
loro
detenzione.
Dal
1984,
la
funzione
di
carcere
venne
adibita
ad
altre
strutture,
e
l’intero
complesso
cadde
in
abbandono.
Dal
2002
il
complesso
è
in
fase
di
restauro,
in
quanto
l’Amministrazione
Regionale
ha
previsto
la
sua
rifunzionalizzazione
come
sede
dell’Istituto
Musicale
valdostano.
10
IL
RILIEVO
1
1
Prospetti
forniti
dalla
Regione
Autonoma
Valle
d’Aosta
11
FOTO:
veduta
da
Sud
della
Torre
quadrangolare
del
complesso
balivale
12
Definizione
di
malta
Una
malta
è
“una
miscela
di
leganti
organici
ed
inorganici,
aggregati
prevalentemente
fini,
acqua
ed
eventuali
aggiunte
di
additivi
organici
e/o
inorganici
(o
miscela
di
solo
legante
e
acqua)
in
proporzioni
tali
da
conferire
all’impasto,
allo
stato
fresco,
un’opportuna
lavorabilità,
e,
allo
stato
indurito,
adeguate
caratteristiche
fisiche
(porosità,
permeabilità
all’acqua,
ecc.),
meccaniche
(resistenza,
deformabilità,
aderenza,
ecc.)
di
aspetto,
di
durabilità
ecc.”
Questa
definizione,
è
la
definizione
di
malta
data
dall’
U.N.I.,
Ente
Nazionale
Italiano
di
Unificazione,
nel
documento
UNI
10924-‐2001.
Più
semplicemente
possiamo
definire
una
malta
come
un
conglomerato
di
materiali
con
acqua,
a
consistenza
plastica,
in
grado
di
fare
presa
cioè
di
solidificare
rimanendo
aderenti
ai
materiali
di
costruzione.
La
genericità
di
tale
definizione
è
dovuta
al
fatto
che
diversi
impasti
di
diversi
materiali,
con
diverse
funzioni,
prendono
ugualmente
il
nome
di
malta:
occorrerà
dunque
classificare
in
seguito
le
diverse
tipologie.
Prima
di
ciò
è
necessario
determinare
con
più
precisione
le
componenti
che
si
possono
ritrovare
in
una
malta.
LE
COMPONENTI
DI
UNA
MALTA
Secondo
il
documento
UNI
10924
(2001)
le
componenti
di
una
malta
sono:
∞ Legante
inorganico
ed
organico:
esso
è
un
materiale
che
impastato
con
acqua
dà
masse
plastiche
e
lavorabili,
e
che
per
reazione
chimica
o
per
perdita
dell’acqua
tende
ad
indurire
formando
un
composto
duro
e
compatto.
I
leganti
possono
essere
divisi
in
due
categorie:
leganti
aerei
e
leganti
idraulici.
La
loro
differenza
è
il
processo
di
indurimento,
che
per
i
primi
avviene
per
contatto
dell’aria,
per
gli
altri
avviene
anche
per
contatto
con
l’acqua.
I
leganti
aerei
sono
la
calce
aerea
e
il
gesso,
mentre
i
leganti
idraulici
sono
la
calce
idraulica,
il
cemento
e
calci
aeree
con
materiale
a
comportamento
pozzolanico
aggregato.
13
∞ Aggregato:
definito
anche
inerte,
è
un
materiale
che,
aggiunto
all’impasto
di
acqua
e
legante,
ha
funzione
di
“scheletro”:
esso
infatti
è
atto
a
limitare
il
ritiro
volumetrico
del
legante,
che
diminuisce
di
volume
a
causa
dell’evaporazione
dell’acqua
e
per
la
creazione
di
un
nuovo
assetto
cristallino
nella
fase
di
presa.
In
assenza
di
sufficiente
aggregato
infatti
la
malta
risulterebbe
fessurata
e
friabile.
Gli
aggregati
sono
solitamente
sabbie,
rocce
frantumate,
materiali
naturali
o
artificiali
a
comportamento
pozzolanico,
o
frammenti
di
malte
indurite
sminuzzate.
Essi
sono
scelti
in
base
a
caratteristiche
estetiche
e
tecniche,
come
la
granulometria,
l’assenza
di
sali
che
possano
causare
degrado,
l’assenza
di
vene
argillose
e
la
bassa
porosità;
in
particolare
un
aggregato
non
classato,
cioè
con
granulometria
variabile,
e
con
grani
spigolosi,
sarà
da
preferirsi
rispetto
ad
uno
classato
e
con
grani
tondeggianti;
∞ Acqua:
ha
un’importanza
fondamentale
per
la
buona
riuscita
della
malta;
essa
deve
innanzitutto
essere
il
più
possibile
pura,
cioè
priva
di
sali
disciolti,
e
di
sostanze
organiche;
deve
inoltre
avere
una
temperatura
adeguata
al
tempo
di
presa
scelto,
in
quanto
essa
determina
l’avanzamento
o
il
rallentamento
della
reazione,
ed
infine
deve
essere
utilizzata
in
quantità
adatta,
in
modo
da
non
danneggiare
la
qualità
dell’impasto;
∞ Additivi
organici
ed
inorganici:
per
additivi
si
intendono
quelle
sostanze
aggiunte
intenzionalmente
all’impasto,
in
grado
di
migliorare
le
caratteristiche
di
una
malta,
come,
ad
esempio,
variarne
la
lavorabilità
o
il
tempo
di
presa.
Essi
erano
conosciuti
fin
dall’antichità:
venivano
usate
infatti
sostanze
proteiche,
sostanze
a
base
polisaccaride,
amidi,
resine
e
sostanze
grasse.
A
seconda
delle
loro
proprietà
essi
fungono
da
aeranti,
formando
bolle
d’aria
interne
all’impasto,
idrofobicizzanti,
leganti,
fluidificanti
dell’impasto,
acceleranti
o
ritardanti
della
presa;
∞ Materiali
organici
ed
inorganici
come
fibre
e
pigmenti:
usati
per
donare
l’aspetto,
il
colore
e
la
leggerezza
desiderati.
14
Avendo
definito
tutti
i
possibili
componenti
di
una
malta,
possiamo
ora
distinguere
le
varie
tipologie
di
queste.
Esistono
molte
classificazioni
per
le
malte,
basate
sulle
loro
caratteristiche:
sulla
composizione
chimica,
sull’uso,
sulla
collocazione
e
sulla
quantità
dei
materiali,
sulla
tipologia
del
legante
ecc.
Per
quanto
riguarda
le
differenze
di
collocazione,
le
malte
si
dividono
in
malte
da
interni,
malte
da
esterni,
malte
per
costruzioni
subacquee
o
per
interrati,
ecc.
Per
quel
che
riguarda
invece
la
funzione
specifica,
le
malte
sono
divise
in
malte
di
allettamento,
malte
di
giuntura,
malte
per
intonaci,
e
malte
per
decorazioni,
ecc.
Infine,
la
divisione
rispetto
alla
composizione
chimica
è
utile
per
differenziare
malte
prodotte
da
materie
prime
differenti.
La
principale
differenziazione
è,
però,
quella
che
si
basa
sulla
tipologia
del
legante,
cioè
se
esso
è
un
legante
aereo
(come
la
calce,
il
gesso)
o
idraulico.
MALTE
AEREE
Le
malte
aeree
sono
malte
che
sfruttano
una
reazione
tra
il
legante
e
l’aria
per
far
presa.
I
leganti
di
malte
aeree
sono
leganti
aerei:
essi
sono
la
calce
e
il
gesso.
Le
malte
aeree
si
dividono
in
due
grandi
categorie,
malte
calciche,
in
cui
il
legante
deriva
dal
carbonato
di
calcio
puro,
e
malte
magnesiache,
se
il
legante
è
prodotto
a
partire
da
un
calcare
magnesiaco,
se
MgCa(CO
3
)
2
è
fino
al
10%,
calcare
dolomitico
se
fino
al
50%,
dolomia
calcarea
se
fino
al
90%
e
dolomia
se
MgCa(CO
3
)
2
è
presente
oltre
al
90%.
Malta
calcica:
La
preparazione
della
calce
consiste
nella
calcinazione,
a
temperature
di
circa
850°
C,
di
rocce
carbonatiche.
Attraverso
le
alte
temperature
di
cottura
avviene
la
reazione
di
decomposizione
del
carbonato
di
calcio
in
anidride
carbonica
e
calce
viva
(ossido
di
calcio):
CaCO
3
→
CaO
+
CO
2
↑
(∆H
=
-‐42,5
Kcal/mol)
La
scelta
del
tipo
di
roccia
da
calcinare
è
molto
importante
per
la
buona
riuscita
della
calce,
e
dunque
della
malta:
essa
deve
essere
preferibilmente
microcristallina,
per
migliorare
la
resa
in
15
calce
idrata;
essa
deve
essere
inoltre
pura:
infatti,
se
l’impurità
supera
il
5%
circa
si
formerà
una
calce
magra,
povera
in
grassello,
che
tenderà
ad
acquistare
un
certo
tenore
di
idraulicità.
Infine,
rocce
carbonatiche
porose
danno
vita
a
calci
meno
reattive
rispetto
a
quelle
formate
a
partire
da
rocce
poco
porose,
in
quanto
i
granuli
formati
saranno
di
dimensioni
minori,
aumentando
la
superficie
di
reazione.
Anche
la
temperatura
di
cottura
influisce
molto
sulle
proprietà
della
calce:
la
cottura
a
temperature
troppo
elevate,
che
superano
i
1100°C
può
provocare
la
stracottura
della
calce,
che
sarà
di
minor
pregio
poiché
meno
reattiva
all’acqua.
La
calce
viva
così
prodotta,
chiamata
anche
calce
in
zolle,
viene
in
seguito
spenta
per
azione
dell’acqua
portando
alla
formazione
di
idrossido
di
calcio,
o
calce
spenta:
CaO
+
H
2
O
→
Ca(OH)
2
+
15,6
Kcal/mol
La
quantità
di
acqua
che
deve
essere
aggiunta
alla
calce
viva
per
un
completo
spegnimento
di
questa,
è
molto
maggiore
rispetto
alla
quantità
stechiometrica:
infatti,
la
della
forte
esotermicità
della
reazione
di
spegnimento
causa
l’evaporazione
di
parte
dell’acqua
aggiunta,
rendendola
non
disponibile
per
la
reazione.
Questa
reazione
provoca
anche
un
elevato
aumento
di
volume
della
calce,
a
causa
della
reazione
con
l’acqua.
La
quantità
di
acqua
aggiunta
alla
calce
viva
nello
spegnimento
determina
la
formazione
di
tre
composti
dalle
caratteristiche
differenti:
calce
idrata
in
polvere,
calce
idrata
in
pasta
e
grassello.
Se
lo
spegnimento
avviene
con
una
quantità
tale
di
acqua
che
non
permetta
la
presenza
di
acqua
libera
intorno
alle
particelle
di
Ca(OH)
2
,
allora
si
formerà
calce
idrata
in
polvere.
La
calce
idrata
in
pasta
invece,
possiede
una
buona
quantità
di
acqua
libera
intorno
alle
particelle
di
idrossido
di
calcio.
Infine,
per
spegnimento
con
metodo
tradizionale,
cioè
con
eccesso
di
acqua
e
successiva
stagionatura
in
ambiente
anaerobico,
si
ottiene
il
grassello.
A
questi
tre
prodotti
viene
in
seguito
aggiunto
l’aggregato
e
solitamente
dell’altro
materiale
additivo
per
variare
le
proprietà
della
malta.
La
fase
di
presa,
successiva
alla
messa
in
opera
della
malta,
consiste
nella
perdita
dell’acqua
dell’impasto;
in
essa
la
calce
inizia
a
perdere
plasticità
e
lavorabilità,
acquisendo
durezza
e
resistenza,
in
velocità
proporzionale
a
quella
dell’evaporazione
dell’acqua
libera.
Questo
processo,
essendo
dovuto
all’evaporazione
dell’acqua
è
influenzato
dalle
condizioni
ambientali
in
cui
avviene
16
la
presa,
dipende
cioè
dalla
temperatura,
dalla
pressione
atmosferica
e
dall’umidità
relativa
dell’ambiente.
Nella
fase
successiva,
l’indurimento,
essendo
la
calce
un
legante
aereo,
l’idrossido
di
calcio
reagisce
con
la
CO
2
atmosferica,
secondo
la
reazione:
Ca(OH)
2
+
CO
2
→
CaCO
3
+
H
2
O
Questa
reazione
sarà
molto
lenta,
a
differenza
della
reazione
precedente,
a
causa
della
bassa
percentuale
di
anidride
carbonica
in
aria,
e
conferirà
alla
malta
le
sue
finali
caratteristiche
meccaniche
e
fisiche.
La
CO
2
in
particolare,
non
reagisce
con
l’idrossido
di
calcio
precipitato
per
l’evaporazione
dell’acqua,
ma
con
quello
disciolto
nell’acqua
dell’impasto;
è
dunque
in
soluzione
che
si
forma
il
carbonato
di
calcio,
che
a
causa
della
sua
bassa
solubilità
precipita
cristallizzando
sui
grani
di
inerte,
conferendo
resistenza
e
durezza
alla
malta.
Proprio
per
questo
motivo,
non
essendo
opportuna
una
veloce
evaporazione
dell’acqua
dell’impasto,
è
pratica
consueta
umidificare
attentamente
la
superficie
interessata.
La
diminuzione
del
volume
di
CaCO
3
rispetto
a
Ca(OH)
2
causa
la
formazione
di
fessurazioni,
che
permettono
la
penetrazione
della
CO
2
in
profondità.
La
presenza
dell’aggregato
è
dunque
fondamentale
in
quanto,
in
caso
di
sua
assenza,
la
malta
risulterebbe
una
massa
molto
fessurata:
la
presenza
di
questo,
infatti,
limita
la
diminuzione
di
volume.
Infine,
è
necessario
che
l’aggregato
in
uso
non
sia
classato,
per
limitare
i
vuoti
tra
i
frammenti,
e
che
questi
abbiano
le
dimensioni
più
variabili.
Esso
deve
inoltre
essere
accuratamente
lavato
e
privo
di
sali.
Malta
magnesiaca:
Malte
calciche
e
magnesiache
non
sono
molto
diverse
rispetto
a
ciò
che
si
è
appena
descritto.
Il
processo
di
produzione,
il
metodo
di
lavorazione
e
molte
altre
loro
caratteristiche
rimangono
invariate.
Bisogna
però
approfondire
le
differenze
principali
tra
queste
due
tipologie.
In
primo
luogo,
la
cottura
ad
elevate
temperature
di
calcari
magnesiaci,
cioè
calcari
ricchi
in
carbonato
doppio
di
calcio
e
magnesio
MgCa(CO
3
)
2
,
può
provocare
la
formazione
di
MgO
ossido
di
magnesio,
insieme
alla
calce
viva
CaO.
La
reazione,
in
particolare,
avviene
in
due
fasi,
la
decomposizione
del
carbonato
doppio
di
calcio
e
magnesio
in
periclasio
e
carbonato
di
calcio,
a
circa
500°C
e
in
seguito,
a
850°C,
la
decomposizione
del
carbonato
di
calcio
in
calce
viva
e
anidride
17
carbonica.
Questa
doppia
reazione
può
portare
alla
“stracottura”
della
componente
magnesiaca,
che
avrà
dunque
cristalli
di
dimensioni
maggiori,
perdendo
di
reattività
con
l’acqua.
MgCa(CO
3
)
2
→
MgO
+
CaCO
3
+
CO
2
↑
CaCO
3
→
CaO
+
CO
2
↑
Inoltre,
MgO,
periclasio,
è
meno
solubile
in
acqua
di
CaO,
e
risulta
perciò
meno
reattivo:
il
tempo
per
lo
spegnimento
sarà
molto
superiore
rispetto
a
quello
impiegato
per
le
malte
calciche.
La
reazione
di
spegnimento
di
una
malta
magnesiaca
sviluppa
meno
calore
rispetto
a
quello
sviluppato
dalla
reazione
di
spegnimento
delle
malte
calciche
(220
kcal/Kg
di
MgO,
278Kcal/Kg
di
CaO),
e
la
calce
tende
a
aumentare
meno
di
volume,
in
quanto
parte
di
periclasio
non
si
idrata
a
causa
della
bassa
reattività
con
l’acqua,
e
in
quanto
i
cristalli
di
ossido
di
magnesio
non
tendono
ad
adsorbire
acqua
in
superficie,
a
differenza
di
quelli
di
ossido
di
calcio.
Inoltre,
il
grassello
di
calci
magnesiache
è
molto
meno
plastico
di
quello
delle
calci
calciche
per
l’aspetto
lamellare
dei
cristalli
di
Mg(OH)
2
,
brucite.
La
brucite
sarà
inoltre
meno
solubile
in
acqua
della
calce
spenta,
e
meno
basica
di
questa.
Il
processo
di
presa
di
malte
magnesiache
è
uguale
rispetto
a
quello
delle
malte
calciche,
mentre
il
processo
di
indurimento
è
molto
diverso.
Infatti,
a
differenza
della
malta
calcica,
la
quale
tende
a
carbonatare
trasformando
l’idrossido
in
carbonato
di
calcio
in
tempi
relativamente
brevi,
la
calce
magnesiaca
non
produce
carbonato
di
magnesio,
ma
prodotti
di
parziale
carbonatazione:
essi
sono,
in
particolare,
l’idromagnesite
MgCO
3
·∙4Mg(OH)
2
·∙4H
2
O,
la
nesquionite
MgCO
3
·∙3H
2
O,
e
la
giorgiosite
Mg
5
(CO
3
)
4
·∙(OH)
2
·∙5H
2
O:
le
diverse
percentuali
di
questi
composti
sono
imputabili
alla
differenza
di
pressione
parziale
della
CO
2
e
alla
diversa
temperatura
di
carbonatazione.
Infine,
le
malte
magnesiache
iniziano
a
far
presa
anche
in
condizioni
di
bassa
concentrazione
di
anidride
carbonica,
avendo
un
comportamento
simile
a
quello
dei
leganti
idraulici
e,
grazie
alla
particolare
forma
cristallina
dell’idrossido
di
magnesio,
hanno
resistenza
meccanica
anche
a
carbonatazione
non
avvenuta,
a
differenza
di
quelle
calciche.