senza falsità, ciò che avevano osservato4.Sicchè, gli impuberi,
considerati sotto l’aspetto giuridico “testes inhabiles”, probabilmente
neanche dopo la raggiunta pubertà potevano rendere valida
testimonianza su ciò che si erano trovati ad apprendere nel periodo
della loro impubertà5. Nel successivo sviluppo dello stesso diritto
romano, tuttavia, a questa totale incapacità di testimoniare6 si
affiancarono delle forme di incapacità attenuata in presenza delle quali
era il giudice a dover stabilire il grado di affidabilità della
deposizione. Così “testes suspectus” per la loro età erano quei soggetti
che non avevano compiuto vent’anni, i quali, non potevano essere
considerati “pienamente provanti” nel processo penale7. L’esperienza
romanistica insegna come la infima aetas costituisse motivo di un
trattamento differenziato. Tanto che, nella Roma repubblicana, il
diritto di accusa, spettante a tutti i cittadini, era, invece, negato ai
giovani che non avessero compiuto diciassette anni8.La disorganicità e
la non esaustività dei dati offerti dalle fonti ci permettono di supporre
che solo la regola di incapacità dovuta all’età impubere, e di cui si
trova una prima traccia nella Lex Julia de vi9,avesse una lontana
origine consuetudinaria o giurisprudenziale, mentre la triplice
distinzione dei testi in classici, inabiles e suspectus risalisse al diritto
comune. Bisogna chiedersi se tali regole di incapacità e di
classificazione dei testimoni assurgessero a principio generale, valido
4
Così F. GLUCK, Commentario alle Pandette, trad. ital., vol. XXII, Milano,1906,p.562
5
In questo senso, F. GLUCK, Op. cit., p. 567
6
Gli impuberes, non potendo essere considerati come testimoni, non dovevano nemmeno essere uditi. Cfr. F. GLUCK,
Op. cit.,p.565.
7
Sul punto F. GLUCK, Op. cit., p.574 il quale a contrario, sottolinea come nelle cause penali si dovesse attribuire
“forza probante” al testimone che avesse compiuto i venti anni, semprechè null’altro si opponesse alla sua credibilità. Si
sottolinea la prevalenza presso i Romani del concetto di “prudente diffidenza” in fatto di testimonianza, poiché
venivano esclusi tutti coloro che non davano affidamento di poter rendere una buona deposizione.
8
Per “diritto di accusa” deve intendersi la legittimazione, riconosciuta a tutti i cittadini, anche se non persone offese dal
reato, purchè non incapaci o indegni, di accusare un determinato soggetto di aver commesso un reato. All’accusatore
toccava svolgere le indagini, ,portare le prove, sostenere l’accusa per tutto il corso del processo. P. FIORELLI, voce
Accusa e sistema accusatorio(dir. romano),in Enc. del dir.,vol. I, Milano,1988,p331.
9
U. Vincenti, La condizione del testimone nel diritto processual criminale romano di et imperiale ,sta in Convegno
internazionale dell’Accademia Romanistica, 8, Spelo – Perugia,1987, p.312.
per qualsiasi giudizio. La risposta negativa è riconducibile alla
constatazione che nelle cause civili gli impuberes, qualora fossero
pubertati proximi venivano ritenuti testimoni ammissibili, mentre
erano considerati validi testimoni già al compimento del diciottesimo
anno. Il diritto romano giustinianeo, con le sue regole probatorie,
trovò ancora applicazione sino a quando i popoli germanici invasori vi
portarono, con il loro dominio, il proprio diritto. L’incapacità del
fanciullo a rendere testimonianza, si ritrova anche nelle prime
legislazioni barbariche, dove, la sua incapacità a rendere
testimonianza è legata alla inidoneità processuale a prestare
giuramento, piuttosto che ad una sua presunta incapacità a percepire e
riferire con esattezza gli accadimenti. L’annullamento di alcune regole
e criteri probatori del tardo diritto romano ad opera del processo
penale barbarico a fronte di un aumento delle norme legali sul valore
della prova testimoniale trova una giustificazione in evidenti ragioni
di natura etnologica, oltre che nell’adozione di un diverso sistema
(inquisitorio).Tra questi popoli vi era la convinzione che fosse
sufficiente organizzare un sistema di formalità, perché attraverso
l’osservanza di queste si manifestasse la volontà divina circa la
decisione del processo. L’estremo formalismo di tale sistema
probatorio comportava che le prove consistessero in solenni
affermazioni, a prestare le quali erano esclusi coloro che non avessero
raggiunto una determinata età. Non è possibile sapere se questa regola
di esclusione della testimonianza del minore dipendesse dall’antica
concezione irrazionale della prova e soprannaturale del giudizio10 o da
preconcetti. Sta di fatto che questa situazione non cambiò per molto
tempo. Anzi, nelle legislazioni successive e più evolute, quando si
prevedeva l’obbligo per i cittadini di testimoniare, a questo si
10
A sostenere il carattere “irrazionale” e soprannaturale della prova nel processo antico è G. PUGLIESE, cit.,p.387,per
il quale il cardine della legis actio più antica era costituito dal sacramentum, un giuramento assertorio, con il quale
venivano invocati gli dei a testimonianza di quanto affermato.
accompagnavano sempre eccezioni determinate dal mancato
raggiungimento di una determinata età11.Probabilmente, un piccolo
passo avanti può vedersi nel passaggio dall’esclusione della
testimonianza del minore dovuta ad una sorta di riconosciuta
“incapacità naturale” alla esclusione per “incapacità giuridica”. La
previsione di tali rigide forme di incapacità si inserisce bene in sistemi
processuali ispirati al principio del “convincimento vincolato” del
giudice a prove il cui valore è predeterminato dalla legge12. Sicchè, a
proposito della prova testimoniale, quei sistemi imponevano al giudice
di porre a fondamento della propria decisione un fatto solo perché
affermato da un certo numero di testimoni aventi certe qualità,
indipendentemente dalla persuasione o meno della sua veridicità.
11
Anche in epoca posteriore al secolo XI un fatto doveva essere provato da testimoni capaci e non erano considerati tali
coloro che non avevano raggiunto una età variamente determinata (da quattordici a diciotto anni) dalle leggi.
12
Più di recente in relazione alle regole che disciplinavano la testimonianza nel codice previgente, è sorta la necessità
di sottrarre il fenomeno probatorio al “pericoloso soggettivismo” imposto dal principio del libero convincimento e si è
suggerito di muoversi nella direzione di una “riscoperta” delle regole probatorie legali come strumenti volti a limitare in
senso negativo il potere del giudice anche sul piano valutativo. Va precisato che il legislatore del 1988 ha optato per un
recupero del principio di legalità della prova, preoccupandosi di evidenziare la funzionalità delle regole di acquisizione
probatoria rispetto alla formazione del convincimento del giudice.In quest’ottica si spiegano le “disposizioni generali”
collocate a guisa di preambolo del libro III del c.p.p dedicato interamente alle prove, quasi un “catalogo dei principi-
guida da osservarsi in materia probatoria”. Così E. Amodio, Libero convincimento e tassativit dei mezzi di prova:un
approccio comparativo ,in Riv. it. dir e proc. Pen.,1999, p.3 .
2. La testimonianza del minore nella legislazione preunitaria e fino
al codice 1930.
L’abbandono di certi schemi gnoseologici che hanno di sicuro
determinato il declino delle prove legali e il conseguente superamento
di assiomi indimostrabili, ha portato ad una rivalutazione in chiave
critica della validità probatoria delle dichiarazioni dei soggetti minori
di età13.Di conseguenza, l’intima convinzione concepita, relativamente
al metodo probatorio, come meccanismo di ricerca della verità
comporta che questo interesse, ossia la ricerca della verità,sia così
importante da non poter tollerare ostacoli e da dover essere perseguito
con qualunque mezzo idoneo al raggiungimento dello scopo.
Ciònonostante, una volta sottoposta la prova testimoniale al regime
del libero convincimento, non fu semplice disperdere subito e
definitivamente quelle influenze che il precedente regime aveva
ampiamente diffuso. Di conseguenza i codici e le leggi successive
continuarono a tenere in considerazione certe qualità personali o
condizioni dei testi per escluderli o considerarli quantomeno
“sospetti”. Il “Regolamento Galiziano”, promulgato nel Regno
Lombardo Veneto da Francesco II, pur disponendo tra gli
“assolutamente inabili” ad essere testimoni gli impuberi di età
inferiore a 14 anni, stabiliva che quest’ultimi potevano essere ammessi
a giurare e a deporre, qualora vi fosse il consenso espresso della parte
avversa14. Nel periodo preunitario italiano, le problematiche inerenti la
testimonianza dei minori e i limiti soggettivi e oggettivi al valore
probatorio di questo mezzo di prova non vennero affrontati e risolti in
13
Il principio del libero convincimento del giudice impone una valutazione critica e libera di tutte le prove. Si veda: M.
NOBILI, Il principio del libero convincimento del giudice, Milano, 1974.
14
Così prevedeva il par. 204 del “Regolamento Galiziano” promulgato nel 1796nella Galizia occidentale. Cfr., in
questo senso, B. Pellegrini, Op. cit.,p. 1089.
maniera organica e uniforme. Vi è di più, infatti vi erano sistemi nei
quali non c’era menzione alcuna sull’argomento, e il singolo caso
veniva risolto di volta in volta in via interpretativa. Pur in assenza di
disposizioni espresse che regolassero il fenomeno nel sistema penale
del Granducato di Toscana15 o del Regno delle due Sicilie sembra che
su questi abbia particolarmente influito il diritto francese, portato in
Italia agli inizi del sec.XIX dalla conquista di Napoleone e da quel
momento fortemente presente nella storia del diritto processuale
italiano. In particolare, l’ art. 79 del code d’instruction criminalle
prevedeva una deroga al principio generale secondo il quale tutti i
testimoni, senza alcuna distinzione, erano sottoposti alla formalità di
prestare “ a pena di nullità, il giuramento di dire tutta la verità e
nient’altro che la verità”; ne erano però esclusi i minori al di sotto dei
quindici anni, i quali però, dovevano essere sentiti per prestare
semplici dichiarazioni16.Tali dichiarazioni, pur se non fatte sotto
giuramento, venivano considerate come elemento legale di decisione,
spettando al giudice la possibilità di “apprezzarle”. Il codice di
procedura criminale emanato da Carlo Alberto nel 184717per gli Stati
Sardi, non esigendo, alcuna qualità personale perché un soggetto
potesse essere esaminato nell’istruzione criminale, ribadì il principio
secondo il quale i testimoni di entrambi i sessi dovevano aver
compiuto l’età di quattordici anni e prestare giuramento, mentre i
minori di detta età potevano essere sentiti in via di semplicemente per
chiarimenti e senza prestare giuramento. Le affinità con il sistema
francese sono palesi e le uniche diversità consistevano
nell’abbassamento del limite di età dai quindici ai quattordici anni e
15
Per una completa esposizione della procedura penale toscana cfr A. Ademollo, Il giudizio criminale in Toscana
secondo la riforma Leopoldina del 1838,Firenze, 1840, p. 2.
16
Va precisato che la regola di esclusione contenuta nell’art 79 Code d instr. Crim. non era limitata alla sola fase della
istruzione ma, fu successivamente astesa anche al giudizio in corte d’assise.
17
Dal quale, attraverso il codice di procedura penale per le antiche e nuove provincie del regno di Sardegna, promulgato
nel 1859 da Vittorio Emanuele, sarebbe derivata la formulazione del primo codice di procedura penale per il Regno
d’Italia.
nel fatto che nell’art. 79 del code d’instr. crim. la facoltatività
riguardava la dispensa dal giuramento, mentre nel codice sardo
riguardava l’assunzione della deposizione del fanciullo a secondo che
lo stato della sua intelligenza promettesse o meno di indicare indizi
esatti sui fatti appresi. Il motivo per il quale il solo modo in cui quei
soggetti potevano essere sentiti era la semplice dichiarazione senza
giuramento risiedeva nella solennità di una tale formalità, la cui
importanza si presumeva non poter essere compresa dal minore che
non aveva ancora compiuto i quattordici anni18.Il codice di procedura
penale del 186519introdusse nell’art.285 la regola generale secondo
la quale ad ogni cittadino indiscriminatamente era riconosciuta la
capacità di deporre in un processo penale. L’incapacità costituiva,
dunque, un’eccezione da dover provare da chi ne aveva interesse, e se
non proposta, si considerava come se vi fosse “mai” stata20.Le sole
ipotesi di incapacità erano costituite dal fatto di non aver compiuto
quattordici anni o l’aver perduto la capacità di deporre in giudizio. Se,
al di sotto di tale età, i minori non potevano deporre come testimoni, a
pena di nullità21, comunque potevano essere ascoltati in giudizio per
semplici indicazioni o chiarimenti. Con l’inizio del nostro secolo, una
letteratura sempre più abbondante comincia ad interrogarsi
sull’attendibilità o meno delle dichiarazioni dei minori, abbandonando
qualsiasi presunzione di incapacità legata all’età. Il totale abbandono
del sistema delle prove legali portò il codice di procedura penale a
riconfermare la capacità del minore di diciotto anni a rendere piena
testimonianza. Infatti il legislatore del 1913 stabilì che “qualunque
18
Questo limite di età riguardava l’epoca della deposizione e non quella del fatto cui la deposizione si riferisce.
19
Che in sostanza e nel suo assetto altro non era che il codice del Regno di Sardegna del 20 novembre 1859.
20
Così disponeva l’art 290 del Codice di procedura penale per il Regno di Sardegna, Cipro e Gerusalemme del 20
novembre 1859.
21
In giurisprudenza si era, viceversa, affermato comportare “nullità sostanziale di ordine pubblico, non sanabile,
nemmeno col silenzio delle parti” solo l’aver escusso senza giuramento, il testimone che avesse realmente compiuto i
quattordici anni di età e non anche l’aver fatto prestare giuramento al minore degli anni quattordici. Nel senso che il
minore di quattordici anni, non prestando giuramento, non ha “capacità” di vero testimone, e ciò “per la leggerezza dei
fanciulli “ e la ”facilitas mentiendi”.