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Nella seconda parte, dopo una descrizione dell’andamento internazionale degli
IDE, l’attenzione si è concentrata sulla situazione degli investimenti di IMN
estere in Italia. Al suo interno si è descritto l’andamento degli IDE dagli anni
Ottanta fino al primo semestre del 2009, tenendo conto, quindi, anche
dell’arresto che hanno subito a causa della crisi mondiale.
L’Italia è rimasta indietro rispetto agli altri paesi europei in termini di presenza
di IMN estere nel territorio italiano. La situazione, inoltre, risulta peggiore se
si guarda alla distribuzione territoriale nelle regioni degli investimenti esteri.
La Lombardia riceve oltre la metà degli investimenti di imprese estere, mentre
il Mezzogiorno si trova in una situazione critica attraendo una quota di
investimenti significativamente marginale.
Nell’ultima parte del lavoro vengono esaminate - attraverso l’utilizzo di varie
verifiche empiriche di diversi studiosi - le determinanti che condizionano la
scarsa propensione dell’Italia ad attrarre investimenti di imprese estere. A
livello nazionale si avvertono i riflessi di una crisi competitiva del sistema
industriale nei confronti sia dei paesi europei avanzati sia di quelli
recentemente entrati a far parte dell’Unione Europea. La situazione critica
dell’Italia viene ricondotta alla scarsa capacità di attrarre IDE a causa
principalmente di caratteristiche istituzionali nazionali del “Sistema Italia”, ma
anche di caratteristiche regionali. Questo richiede un sostegno pubblico
mediante l’utilizzo di politiche di intervento che vadano a migliorare le
condizioni di base sia per l’imprenditoria locale, ma in particolare per
incentivare imprese estere ad investire attivamente sul territorio, in modo che
possano così rilanciare la competitività del Paese.
3
Capitolo 1 - LE TEORIE DELLA LOCALIZZAZIONE
1.1 INTRODUZIONE
L’economia regionale è quel ramo dell'economia che studia il funzionamento
del mercato tenendo conto della sua dimensione spaziale attraverso modelli
che regolano e interpretano la formazione dei prezzi, della domanda, della
capacità produttiva, i livelli di produzione, di sviluppo, i tassi di crescita, la
distribuzione del reddito in condizioni di ineguale dotazione regionale delle
risorse (Capello, 2004, p. 22).
Tra gli obiettivi dell’economia regionale rientra quindi l’identificazione dei
fattori economici che governano la distribuzione dell’attività economica nello
spazio ed i processi di sviluppo territoriale e l’elaborazione di politiche di
intervento dirette a influenzarli.
Tutto questo avviene attraverso due diversi filoni teorici: la teoria della
localizzazione e la teoria della crescita regionale (che si concentra sulla
crescita economica e sulla distribuzione territoriale).
Nei prossimi capitoli, ci si soffermerà in modo particolare sulla prima delle
due teorie, attraverso, una disamina delle caratteristiche, degli approcci dei
diversi studiosi e una descrizione degli apparati formali da loro utilizzati.
1.2 LA TEORIA DELLA LOCALIZZAZIONE
La teoria della localizzazione - il più antico campo di indagine dell’economia
regionale - cerca di spiegare la distribuzione delle attività economiche nello
spazio attraverso lo studio dei fattori che influenzano le scelte localizzative
delle singole attività
Le scelte localizzative hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo delle
singole imprese e dei territori dove le imprese si localizzano. Questo imposto
4
anche dalla distribuzione disomogenea delle materie prime, dei fattori
produttivi e della domanda.
Appartengono a questa teoria vari tipi di modelli che posso essere classificati
in diverse categorie.
Modelli che si basano sulla minimizzazione dei costi di trasporto e
sull’influenza delle economie di agglomerazione in mercati puntiformi, come
ad esempio il modello di Weber. D’altra parte esistono modelli che basano il
loro approccio sulla massimizzazione del profitto. Essi ipotizzano una
domanda omogeneamente distribuita sul territorio e suddividono tra produttori
il mercato spaziale in aree di mercato separate. Rientrano in questa categoria,
ad esempio, i modelli di Losch e Hotelling, che verranno trattati nei capitoli
successivi.
Altri modelli si concentrano sulla struttura della domanda e dell’offerta
identificando cosi le aree di produzione. Il mercato finale viene considerato
puntiforme nelle spazio e l’offerta si estende sul territorio.
Da questa classificazione è possibile notare che in base agli obiettivi che si
pongono di raggiungere è possibile definire due gruppi di teorie della
localizzazione. Il primo gruppo è quello composto dalle teorie che di
concentrano sulla minimizzazione dei costi di trasporto; il secondo gruppo è
quello in cui le scelte localizzative sono orientate ad una massimizzazione dei
profitti. Il risultato, quindi, sarà quello di suddividere il mercato tra più
produttori e la loro estensione di mercato a la loro localizzazione dipende dalla
scelte dei consumatori e delle altre imprese.
1.2.1 Economie di agglomerazione e costi di trasporto
Le prime teorie della localizzazione cercarono di fornire una spiegazione delle
scelte localizzative concentrando la loro analisi sullo studio di due grandi
forze economiche: le economie di agglomerazione e i costi di trasporto (Isard,
1956).
5
Con il termine economie di agglomerazione, Camagni (1992), fa riferimento a
tutti i vantaggi che si possono ricavare da una struttura spaziale concentrata.
Secondo Capello, infatti, le economie di agglomerazione indicano i risparmi
che derivano dalla concentrazione di attività economiche in un luogo o dalla
loro vicinanza: riduzione dei costi di produzione dovuta alla dimensione
elevata dell’impianto; presenza di servizi avanzati e specialistici, di capitale
fisso sociale; presenza di manodopera qualificata, di conoscenza manageriali e
produttive molto specializzate.
Attraverso un’analisi dettagliata è possibile individuare i vantaggi che
spingono ad una localizzazione concentrata (Hoover 1948):
• economie interne alle imprese, anche chiamate economie di scala
produttive, distributive e finanziarie. Nascono da processi produttivi di
ampie dimensioni ai quali sono collegati minori costi per unità di prodotto1.
L’impresa sceglie una localizzazione concentrata degli impianti in un unico
luogo di produzione per riuscire a sfruttare i vantaggi della grande
produzione, vantaggi che derivano, appunto, dalla concentrazione spaziale
dell’attività.
• economie di localizzazione o anche note come economie esterne all’impresa
ma interne al settore, si tratta di vantaggi derivanti dalla localizzazione
concentrata di imprese appartenenti alla stessa industria o settore
produttivo. Le economie di localizzazione dipendono dalla dimensione del
settore presente in un’area. Infatti, di sicura importanza sono gli spill-over
di informazione, e quindi la possibilità di condivisione delle conoscenze
riguardo i nuovi prodotti, le nuove tecnologie e le tendenze del mercato,
con conseguente miglioramento della capacità competitiva delle imprese.
L’agglomerazione, quindi, offre un vantaggio informativo alle imprese
interne al settore. Inoltre è importante la presenza di fattori immobili, come
i servizi e le infrastrutture specializzate (con un numero elevato di imprese i
costi medi della fornitura del servizio sarà basso). Infine, influisce
1
All’aumentare dell’input (K, L), l’output Y aumenta più che proporzionalmente: λY > F(λK, λL)
6
sicuramente su queste economie, la disponibilità locale di manodopera
specializzata e qualificata. Questo potrà ridurre i costi nell’acquisizione
della manodopera specializzata e migliorare la produttività, perché i
lavoratori sanno che in caso di comportamenti inefficienti possono essere
facilmente sostituiti.
• economie di urbanizzazione o anche note come economie esterne
all’imprese ed esterne al settore. Sono forme di agglomerazione di più
ampia scala che coinvolgono gruppi di imprese appartenenti a differenti
settori economici. Sono vantaggi tipici di un ambiente urbano, derivanti da
una diversità di attività produttive, infrastrutture generiche (infrastrutture di
trasporto urbano, sistemi di telecomunicazione avanzati) utilizzabili da tutte
le industrie.
In contrapposizione a questa concentrazione spaziale si trova una forza
economica importante, i costi di trasporto.
A questo punto è opportuno definire all’interno della teoria della
localizzazione cosa si intende per costi di trasporto.
Essi stanno ad indicare tutti gli elementi che rendono più appetibile una
localizzazione che permette una distanza ridotta tra due punti nello spazio (tra
mercato delle materie prime e luogo di produzione, tra luogo di produzione e
mercato finale): il costo economico dello spostamento, il costo opportunità in
termini di tempo necessario per coprire la distanza altrimenti utilizzabile per
altre attività, il costo e la difficoltà di comunicazione a distanza, il rischio della
perdita di informazioni essenziali (Capello, 2004, p. 44).
Seguendo la teoria di Weber della localizzazione industriale, che si
approfondirà successivamente, ci sono diversi elementi che influiscono
nell’ubicazione di uno stabilimento industriale.
Il primo elemento è la necessità di trasportare materiali occorrenti per la
produzione e di trasportare il prodotto finito al luogo dove viene utilizzato,
cioè impiegato nella produzione da parte di un altro stabilimento oppure
acquistato da un consumatore finale.
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Un altro fattore che influenza questa decisione è la diversità di prezzo e del
rendimento del lavoro umano a seconda dei luoghi dove questo si situa .Il
terzo elemento, invece, è la tendenza all’agglomerazione.
1.2.2 Economie di localizzazione
Una prima trattazione dei fattori appartenenti a questo tipo di esternalità è
avvenuta con A. Marshall (1919) e A. Weber (1929).
Questi elementi, che si andranno ad elencare di seguito, fanno riferimento
all’economie esterne alle singole imprese ma interne all’industria o al settore.
Le possibilità di poter avviare processi di specializzazione fra imprese
all’interno di un ciclo produttivo e soprattutto il formarsi di contatti di acquisto
e vendita tra le stesse imprese, comportando così minori costi o maggiori
ricavi e profitti.
Un aumento del contatto faccia a faccia e dell’intensità dei rapporti personali,
comporta una riduzione dei costi di transazione all’interno dell’area e fra le
diverse unità produttive specializzate.
Possibilità di migliorare la produttività del processo produttivo, grazie alla
formazione di manodopera specializzata e di competenze tecniche attraverso
processi di apprendimento.
La formazione di servizi che valorizzano la produzione locale, provocando
effetti sull’immagine di mercato dell’economia locale.
La creazione di una cultura industriale diffusa capace di determinare un
processo innovativo più rapido e una più veloce diffusione del progresso
tecnico.
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1.2.3 Economie di urbanizzazione
Le economie di urbanizzazione sono le esternalità che si manifestano in un
ambiente urbano e che caratterizzano tutte le attività economiche e non
specifici singoli settori produttivi.
È possibile individuare tre grandi categorie da cui scaturiscono questi tipi di
esternalità (Camagni, 1992, p. 58).
In primo luogo si trovano le esternalità che nascono dalla concentrazione
dell’intervento pubblico nella città, come ad esempio, la concentrazione di
infrastrutture fornite spesso a costo zero agli utenti e la possibilità di
raggiungere economie di scala nella fornitura di molti servizi pubblici.
In secondo luogo è possibile individuare le esternalità dovute alla natura di un
vasto mercato della città, provocando così la possibilità di un accesso a un
mercati di grandi dimensioni e la possibilità per le imprese di trovare ampie
nicchie di specializzazione nel più vasto mercato.
Infine troviamo le esternalità che nascono dalla natura della città di incubatore
di fattori produttivi e di mercato degli input di produzione. La possibilità di
accesso ad un mercato del lavoro più ampio, diversificato, flessibile e
avanzato. La possibilità di accesso ad un mercato di capitali efficiente ad
istituzioni di formazione universitaria e manageriale. La possibilità di accesso
a funzioni urbane specializzate, quindi, ad un’ampia varietà di servizi
organizzativi, tecnologici, commerciali e finanziari alle imprese. La possibilità
di accesso a un’offerta di capacità manageriali e direttive , grazie alla presenza
di strutture di formazione. La presenza di economie di comunicazione e
informazione dovute all’aumento di contatti faccia a faccia, alla presenza di
infrastrutture di comunicazione avanzata, alla maggiore iterazione fra le
diverse attività direzionali, strategiche, finanziarie e commerciali.
Finora si è introdotta la teoria della localizzazione intesa come teoria che
studia le scelte localizzative delle imprese e delle famiglie, tenendo conto di
9
due importanti forze economiche: le economie di agglomerazione e i costi di
trasporto.
Mentre le prime spingono verso una localizzazione concentrata, invece la
presenza di alti costi di trasporto possono indurre ad una localizzazione più
diffusa.
I vantaggi che spingono verso una concentrazione spaziale possono essere: le
economie interne alle imprese, le economie di localizzazione e le economie di
urbanizzazione.
Nel paragrafo successivo si approfondirà lo studio attraverso l’analisi di alcuni
modelli classici e neoclassici della teoria della localizzazione.
Si inizierà con il modello di Weber, uno dei padri fondatori della teoria della
localizzazione, continuando con Moses, con il modello delle aree di mercato
lineari di Palander, con il modello delle aree di mercato circolari di Losch ed
infine con il modello di Hotelling.
Successivamente verranno introdotti anche il modello di Krugman e il modello
di Venables, appartenente ad una nuova corrente di pensiero, la New
Economic Geography (NEG).
Una fonte principale di queste teorie saranno le note delle lezioni del corso di
Economia Regionale tenuto dal professor Roberto Basile presso la facoltà di
Economia dell’Università di Macerata.
1.3 LE TEORIE CLASSICHE E NEOCLASSICHE DELLA
LOCALIZZAZIONE
In questo capitolo analizzeremo diversi modelli classici e neoclassici della
teoria della localizzazione che spiegano il comportamento delle imprese nelle
difficili scelte localizzative.
Prima di introdurre questi modelli è opportuno spiegare l’importanza
dell’asimmetria nella distribuzione spaziale.
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L’attività produttiva, i fattori di produzione ed i mercati dei beni sono
distribuiti in maniera disomogenea sul territorio, essendo a volte concentrati
in alcune aree (regioni, province o comuni) e molto scarse in altre.
L’asimmetria nella distribuzione spaziale delle risorse e delle attività
produttive comporta differenti remunerazioni dei fattori, differenti livelli di
reddito, ricchezza, benessere, occupazione e disoccupazione.
Diventa, quindi, molto importante per le imprese scegliere la localizzazione
ottima, lo spazio diventa, così, un elemento fondamentale nel processo di
massimizzazione del profitto e la localizzazione assume un ruolo
fondamentale nella determinazione delle potenzialità di crescita delle imprese.
I modelli che verranno presentati in questa parte del lavoro possono essere
divisi in due gruppi.
Appartengono al primo gruppo i modelli di Weber e Moses, che considerano il
problema della localizzazione ottima di un’impresa che deve servire un
mercato puntiforme, in cui la domanda è tutta concentrata in un punto, e deve
sostenere i costi per il trasporto delle materie prime e del prodotto finito.
Queste teorie sono orientate alla logica di minimizzazione dei costi di
trasporto. Infatti, essi cercano di risolvere problemi relativi alla localizzazione
di imprese, dati il prezzo e la localizzazione delle materie prime, dei mercati di
sbocco ed i costi di trasporto. Inoltre, analizzano il cambiamento della
localizzazione se si ipotizza che in alcuni luoghi esistano vantaggi localizzativi
diversi dalla minimizzazione dei costi di trasporto.
Appartengo al secondo gruppo, invece, i modelli di Palander, Losch e
Hotelling. In questi approcci la domanda è uniformemente distribuita nello
spazio ed l’offerta è concentrata in alcuni punti, quindi non considerano più il
mercato puntiforme.
Questi modelli spiegano la suddivisione del mercato tra i produttori e la
configurazione delle aree di mercato di ciascuna impresa seguendo la logica
della massimizzazione del profitto. I problemi che cercano di risolvere
riguardano il criterio di suddivisione del mercato tra i produttori (data una