2
La riscoperta del tema della moralità della guerra ha comportato il
riemergere di tutta una serie di problematiche, aprendo ampi spazi di
discussione e sollevando la necessità di elaborare argomenti per assumere
posizioni e giustificare scelte.
E’ di questo dibattito così acceso e attuale che questo lavoro cercherà di
rendere conto, attraverso un’analisi su tre livelli: teorico, critico, fattuale.
1. Da un punto di vista puramente nozionistico, l’analisi della teoria
della guerra giusta si ripropone di esaminare quella che Walzer
definisce “realtà morale della guerra” – l’insieme di giudizi ed
opinioni che gli uomini esprimono in merito alla guerra stessa –
partendo dal primo e fondamentale caposaldo di questa dottrina: la
distinzione tra jus ad bellum e jus in bello. Il crimine di guerra –
spiega Walzer – viene disciplinato dalla “convenzione di guerra”,
cioè dalle regole della guerra (siano esse secolari trattazioni,
dibattiti, critiche o revisioni), che regolano inoltre casi quali
aggressione, guerra preventiva, interventi (Walzer ne prende in
considerazione in particolare quattro: l’autodeterminazione, la
secessione, la guerra civile e l’intervento umanitario). Attraverso lo
studio degli “strumenti di guerra” (che si suddividono in mezzi
ordinari – assedio, guerriglia, terrorismo, rappresaglia – e
straordinari – aggressione, emergenza suprema e deterrenza
nucleare), si cercherà poi di affrontare la questione della
3
responsabilità – nucleo centrale della teoria della guerra giusta – di
dirigenti politici e cittadini, soldati ed ufficiali.
2. In secondo luogo, l’approccio critico risulta necessario per
analizzare un concetto così controverso e di così difficile
elaborazione, sul quale si sono pronunciati alcuni tra i più autorevoli
pensatori di tutti i tempi. Prendendo le mosse dal diritto antico e dal
pensiero religioso medioevale (Cicerone, Agostino, San Tommaso
d’Aquino), dopo aver dato uno sguardo al nostro attuale sistema
socio-giuridico, si procederà all’esame di due critiche mosse alla
dottrina walzeriana; la prima, prettamente strutturale, di
Wasserstrom, Doppelt, Beitz e Luban, la seconda, fondamentalmente
ideologica, di Danilo Zolo.
3. Infine, per calare nella realtà attuale entrambi gli aspetti considerati
fino a questo momento – quello teorico e quello critico – si
procederà all’esame di un caso, quello della recente guerra in Iraq,
fornendo dapprima informazioni di carattere storico, per poi
giungere, attraverso le ragioni dei sostenitori e degli oppositori, al
confronto fra le varie opinioni di chi è assolutamente contrario
(Sebastiano Maffettone e Noam Chomsky), moderatamente contrario
(Michael Walzer) o del tutto a favore (Michael Novak).
Questo lavoro, che si ripropone come obiettivo ultimo quello di trattare il
tema della guerra giusta, così lungamente dibattuto e criticato, non ha certo
l’ardire di sostituirsi a Walzer (o ad altri illustri intellettuali che di guerra
4
giusta si sono occupati) nell’indicare linee guida, formulare ipotesi o
esprimere giudizi di tipo etico, morale o filosofico; in questo senso, risulta
particolarmente appropriato concludere con un aforisma dello stesso
Walzer, tratto da un’intervista da lui rilasciata, Interpretazione e critica
sociale (U.S.A., Princeton University).
“A me piacciono le storie, i racconti, e penso che i filosofi – come anche i
politologi e, in particolar modo, i critici sociali – debbano essere, almeno in
parte, dei narratori. Le loro storie (anche se non devono necessariamente
scegliere questa forma di espressione) devono contenere una morale finale,
devono essere interpretazioni, o racconti, mirati – come una fiaba di Esopo
– anche se non devono necessariamente contenere una massima finale a
sfondo morale”.
5
PARTE PRIMA
LA TEORIA DELLA GUERRA GIUSTA
Guerra giusta, guerra ingiusta: possono davvero racchiudersi in questo
dilemma le riflessioni e le scelte determinate dal complesso quadro del
mondo attuale?
Proviamo a partire dalla società di cui facciamo parte e nella quale, con gli
altri membri della nostra comunità, condividiamo principi, ideali, ragioni e
giudizi.
Ribaditi nel tempo, questi stessi principi, ideali, ragioni e giudizi danno vita
a quella che Walzer definisce “realtà morale della guerra” – il complesso di
valutazioni ed opinioni che gli uomini esprimono in merito alla guerra
stessa
4
– cioè quell’insieme di esperienze che soltanto il linguaggio morale è
in grado di descrivere.
Ma la tematica classica della guerra giusta e ingiusta non si esaurisce in
mera realtà morale della guerra; si trova, invece, alla base di una più
compiuta dottrina etico-politica che chiarisce quali condizioni di carattere
generale rendano moralmente ammissibile una guerra.
Il primo e fondamentale caposaldo di questa teoria è la distinzione tra jus
ad bellum (“legittimità della guerra”, ovvero la giustificazione delle cause e
4
Ci si riferisce in particolare all’attività di filosofi, giuristi e studiosi di ogni sorta che non
operano, però, isolati dall’esperienza del combattimento; l’importanza delle loro opinioni
risiede nella possibilità di concretizzare e dare forma a questo tipo di esperienza in un modo
ritenuto plausibile da tutti noi.
6
delle motivazioni della guerra) e jus in bello (“giustizia in guerra”,
riguardante i limiti dell’azione di guerra); tale distinzione è stata presentata
con estrema chiarezza da Walzer:
“War is always judged twice, first with the reasons states have for fighting,
secondly with reference to the means they adopt. The first kind of
judgement is adjectival in character: we say that a particular war is just or
unjust. The second is adverbial: we say that a war is fought justly or unjustly
[…]. The two sorts of judgement are logically independent. It is perfectly
possible for a just war to be fought unjustly and for an unjust war to be
fought in strict accordance with the rules”
5
.
(La realtà morale della guerra consiste di due parti: dei giudizi sulle ragioni
che gli stati adducono per combattere e dei giudizi sui mezzi da essi adottati.
Il primo genere di giudizio ha un carattere aggettivale: diremo allora che
una data guerra è giusta o ingiusta. Il secondo è avverbiale: valuteremo se la
guerra viene combattuta in modo giusto o ingiusto[…]. I due tipi di giudizio
sono tra loro indipendenti. E’ del tutto ammissibile combattere una guerra
giusta in modo iniquo e d’altra parte combattere una guerra ingiusta in
stretto accordo con le norme.)
La teoria della guerra giusta stabilisce che giusta è quella guerra che sia
moralmente urgente vincere, in virtù di obiettivi per i quali vale ancora la
pena morire e che giustifichino il sacrificio delle vite dei soldati che
combattono in prima linea.
5
Michael Walzer, Just and Unjust Wars, Basic Books, New York 1992, 2
nd
ed.
7
Nel caso in cui fallissero tutti gli altri mezzi (precisazione non poco
rilevante), appaiono giustificate quelle guerre dirette alla difesa di valori
quali l’indipendenza politica, la libertà comunitaria, la vita umana, il
mantenimento della pace, la sopravvivenza della democrazia.
Come afferma Liddell Hart nella sua opera Strategy, “l’obiettivo della
guerra è una migliore condizione di pace” e, a meno che non si crei questa
migliore condizione, una guerra conclusasi anticipatamente (ad esempio per
seguire un impulso umanitario a fermare i combattimenti), fisserà
semplicemente le condizioni alle quali verrà ripreso il combattimento, in un
secondo momento e in modo ancor più intenso, oppure (cosa ancor più
grave) sancirà una perdita di valori per evitare la quale valeva la pena far
ricorso ad una guerra.
Così esposta, la dottrina della guerra giusta inizia a configurarsi come lo
strumento attraverso cui si determinano i requisiti morali e la legittimazione
per muovere guerra, non per evitarla: il suo scopo ultimo è individuare
quelle condizioni necessarie a rendere la guerra moralmente accettabile,
piuttosto che assolutamente inaccettabile.
8
1) La guerra come crimine
Perché dare inizio ad una guerra è comunemente giudicato sbagliato?
Perché ovviamente un gran numero di esseri umani viene ucciso.
Ma questo non basta per spiegare ciò che Walzer ha definito “la logica della
guerra”: questo crimine non riconosce alcun limite da ambo le parti, si
uccide ricorrendo ad ogni sorta di violenza e brutalità senza distinzione di
sesso o età, nessun atto vile, sleale o crudele potrà essere considerato al di
fuori della guerra stessa.
Questo spiega quanto atroce sia innescare questo processo: e l’aggressore,
una volta impugnate le armi, sarà responsabile di qualsiasi conseguenza ne
derivi.
“La guerra è un atto di forza, all’impiego della quale non esistono limiti.
[…] Mai si potrà introdurre un principio moderatore nell’essenza stessa
della guerra, senza commettere una vera assurdità”
6
.
In altri termini, quanto più la battaglia sarà cruenta, quanto più sarà elevato
il livello di violenza impiegato dai contendenti, tanto più ci si avvicinerà alla
vera e propria essenza della guerra che, parafrasando Karl von Clausewitz,
sarà una “guerra assoluta”; “la guerra tende all’impiego assoluto delle forze”
poiché “colui che impiega tale forza senza restrizione, senza risparmio di
sangue, acquista il sopravvento sopra un avversario che non faccia
altrettanto”
7
.
6
Karl von Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano, 1978
7
Clausewitz, op. cit., pag. 64