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sviluppato nella sua relazione con il caregiver primario ad influenzare la relazione
successiva con l’insegnante, ma anche lo stile di attaccamento che ha caratterizzato
quest’ultima nel corso della sua infanzia.
Non essendo riducibile la teoria dell’attaccamento alla sola infanzia, nel secondo
capitolo si è ritenuto necessario approfondire i diversi strumenti che permettono di
indagare l’attaccamento nel corso delle diverse fasi della vita.
Partendo dalla Strange Situation di Ainsworth negli anni si sono susseguiti diversi
strumenti ad opera differenti studiosi. Tra questi sono stati ricordati in particolare
modo: il Q-Set, il Sat di Main e Cassidy, l’Attachment Story Completion Task, la
Security Scale, l’intervista sull’attaccamento nella latenza, l’Attachment Doll Play, il
SAT Famiglia nelle due versioni di Attili e Marchetti-Liverta Sempio-Lecciso, il SAT
Scuola ed infine l’AAI.
Specifico spazio è stato dato infine agli aspetti educativi specifici dell’attaccamento
nella Scuola dell’Infanzia nel terzo capitolo.
In particolare, si ha avuto modo di approfondire i riflessi che l’attaccamento può avere
nello sviluppo sia della cognizione, ed in particolare a questo proposito si è fatto
riferimento alle connessioni con la Teoria della Mente, sia nello sviluppo dell’emozione
con i conseguenti riflessi nella relazione con l’insegnante ed i pari.
Inoltre, è parso opportuno guardare alla sfida che il presente pone alla teoria
dell’attaccamento ed in particolare si è fatto riferimento alla presenza di alunni stranieri
all’interno della Scuola dell’Infanzia. A questo proposito si è voluto definire se la
relazione caregiver-bambino fosse una relazione universale, tipica della specie umana e
se tutte le culture riconoscevano e proponevano come normativo lo stile di attaccamento
sicuro.
Infine, a conclusione del presente lavoro è parso conveniente definire quali sono le
caratteristiche che dovrebbero caratterizzare un insegnante della Scuola dell’Infanzia
che si propone come base sicura nella relazione con i suoi alunni.
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CAPITOLO 1
LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Nel presente capitolo si ha modo di approfondire la teoria dell’attaccamento così come è
stata proposta inizialmente dal John Bowlby stesso, come idea rivoluzionaria rispetto
alle teorie in voga all’inizio del secolo scorso.
Infatti, è opportuno ricordare come la teoria dell’attaccamento si è sviluppata nel corso
della metà del secolo scorso ad opera di uno studioso britannico, Bowlby, il quale la
definì in termini di “sistema relazionale diadico” (Sroufe, 2001, p.276). Questa
definizione di Bowlby appare alquanto innovativa per i suoi anni se si considera che le
definizioni diffuse all’epoca consideravano l’attaccamento in termini di frequenza di un
determinato comportamento in un bambino. Inoltre, la definizione dello studioso
britannico permette di enfatizzare l’importanza della relazione che il soggetto instaura
con il suo caregiver primario, considerato da Bowlby nella madre. Infatti, il pensiero
originale dello studioso si caratterizza per una connotazione monotropica.
Successivamente, elaborazioni di altri studiosi, come la Ainsworth portano ad
individuare fondamentali differenze nell’attaccamento sviluppato dai bambini con il
proprio caregiver a cui conseguono differenze rilevanti nei comportamenti di
esplorazione e ricongiungimento. Per valutare siffatte differenze, la studiosa ha
elaborato una procedura di valutazione della sicurezza definita Strange Situation. La
Ainsworth l’ha sottoposta principalmente a bambini di età compresa tra un anno e
mezzo e due, ma studiosi successivi l’hanno modificata per poterla applicare a fasce
diverse d’età.
Grazie alla Strange Situation, la Ainsoworth giunge a definire quelli che diventeranno i
cosidetti pattern di attaccamento.
Altro passo successivo è stato quello di considerare l’attaccamento non più in termini
monotropici come era stato inizialmente formulato dal padre della teoria
dell’attaccamento, ma ampio spazio è stato dato ai caregiver multipli, tra cui si distingue
l’insegnante. Apporti molto significativi a tale proposito provengono da Lecciso, Pianta
e Van Ijzendoorn.
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1.1. Bowlby e la teoria dell’attaccamento
Bowlby incomincia a formulare e a strutturare la teoria dell’attaccamento durante il suo
lavoro in un centro per ragazzi disadattati. Infatti, ebbe modo di osservare i
comportamenti di alcuni ragazzi che avevano avuto relazioni disadattate con la madre.
Queste osservazioni lo indussero a ritenere che gravi scompensi nella relazione primaria
con la madre potessero predisporre a successive manifestazioni psicopatologiche.
Quindi, oggetto delle sue osservazioni erano la formazione, il rinnovamento e la perdita
dei legami emotivi con persone specifiche e le emozioni connesse a questi avvenimenti.
Benché questi processi fossero al centro di studi di psicologi e psicanalisti, Bowlby
giunse alla conclusione che le teorie all’epoca più accreditate, che si basavano sul
principio della pulsione secondaria, non avessero trovato la spiegazione più idonea.
Infatti, sia i teorici della scuola psicoanalitica che i teorici dell’apprendimento sociale
ritenevano che la relazione del bambino con la madre si stabiliva perché ella nutre il
bambino e che quindi il piacere provato durante il soddisfacimento del bisogno venisse
in seguito connesso alla presenza della madre.
L’insoddisfazione rispetto a questa spiegazione appare evidente da ciò che lo stesso
Bowlby scrive:
“questa teoria basata sulla pulsione secondaria non mi sembra che sia
appropriata ai fatti. Per esempio, se fosse vera, un bambino di un anno o due
dovrebbe attaccarsi facilmente a chi lo nutre, ma questo non è il caso. Tuttavia,
se la teoria basata sulla pulsione secondaria era inadeguata, qual era
l’alternativa?” (1980b, p.650).
Essendo quindi insoddisfatto della spiegazione tradizionale lo stesso Bowlby
cercò una spiegazione nuova alla relazione madre-bambino ed un importante
contributo gli venne dagli studi etologici di Lorenz e di Harlow. Ciò condusse lo
studioso a ritenere che questo legame estremamente forte non era determinato da
processi di apprendimento associativo, ma attraverso un desiderio di vicinanza
basato biologicamente. Quindi, alla base della relazione bambino-caregiver vi
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era un’origine biologica. Per Bowlby il fine dell’attaccamento era il
raggiungimento della vicinanza fisica al caregiver, in particolare nei momenti di
pericolo, e ciò era facilitato da alcuni comportamenti, detti appunti
comportamenti di attaccamento. Questi ultimi, che sono definiti come “qualsiasi
forma di comportamento che tende a ottenere o a mantenere la vicinanza con
qualche altro individuo differenziato e preferito”, (Simonelli, Calvo, 2006 p.15)
consistono nel bambino sia in comportamenti di segnale che ottengono
l’avvicinamento dell’adulto (es. pianto, sorriso) sia da comportamenti motori di
avvicinamento del bambino stesso. Per Bowlby questi comportamenti sono
organizzati in un sistema di attaccamento, che predispone l’esecuzione dei
comportamenti di attaccamento in modo adeguato rispetto allo scopo. Quindi, il
sistema di attaccamento è costituito da un obiettivo esterno che è la ricerca delle
vicinanza al caregiver, ed un obiettivo interno che è dato dal senso di sicurezza
derivante da questa vicinanza. Ciò comporta che il sistema di attaccamento è
connesso a quello di esplorazione dell’ambiente esterno. Infatti, l’azione
esplorativa è intimamente connessa al sentimento di sicurezza provata dal
bambino rispetto al caregiver. L’equilibrio dinamico tra questi due sistemi è
fondamentale per lo sviluppo del bambino e venne maggiormente approfondito
dalla Ainsworth. La studiosa giunse a sostenere che la struttura che meglio
assicura i legami tra sistema di attaccamento e sistema di esplorazione è quella
basata sull’uso del bambino di una figura di attaccamento come base sicura,
ovvero come punto da cui partire per esplorare il mondo circostante ed a cui
tornare in caso di pericolo. Infatti, per Ainsworth molti bambini mantenevano
l’equilibrio tra questi due sistemi comportamentali rispondendo flessibilmente a
una specifica situazione dopo aver valutato entrambe le caratteristiche
ambientali, cioè la disponibilità del caregiver e l’eventuale comportamento.
Quindi, quando il bambino esperisce l’ambiente come pericoloso, l’esplorazione
risulta improbabile. Inoltre, quando il sistema di attaccamento è attivato il
bambino rifiuta il gioco e l’esplorazione. Al contrario, quando il sistema di
attaccamento non è attivato, l’esplorazione è maggiore. Questa attivazione
alternata è apparsa particolarmente evidente in ulteriori studi empirici condotti
dalla Ainsworth: la Strange Situation.
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1.2. Strange situation
La Strange Situation, ideata dalla Ainsworth alla fine degli anni Sessanta, si è
affermata come uno strumento fondamentale nella psicologia dello sviluppo.
Essa consiste in un procedimento di laboratorio messo a punto dalla studiosa e
dai suoi collaboratori di Baltimora nell’ambito di uno studio longitudinale sullo
sviluppo dell’attaccamento tra madre e bambino. L’obiettivo era quello di
fornire uno strumento per la valutazione dell’attaccamento nella prima infanzia,
in particolare nella fascia d’età compresa tra i dodici e i diciotto mesi. Quindi,
l’oggetto principale dell’osservazione della Strange Situation è la relazione tra il
caregiver (generalmente la madre) e il bambino, in particolare sottoponendo
quest’ultimo ad una situazione di stress moderato. La procedura si svolge in un
contesto non famigliare per il bambino (a ciò si riferisce infatti il termine
strange, che ha il significato di “insolito”, “non famigliare”) il laboratorio di
osservazione con lo scopo di effettuare un’osservazione maggiormente
standardizzata, attraverso l’ausilio di registrazioni. La stanza del laboratorio è
dotata di due sedie e da diversi giocattoli che hanno l’obiettivo di facilitare
l’esplorazione dell’ambiente da parte del bambino. Inoltre, è provvista di una
finestra unidirezionale che permette agli osservatori di analizzare le interazioni
che avvengono all’interno della stanza.
Quindi, la Strange Situation si svolge in un periodo di tempo di circa 20 minuti,
ed è suddivisa in otto brevi episodi, dalla durata di tre minuti o trenta secondi
ciascuno, che si susseguono secondo un ordine fisso.
Nel primo episodio, che consiste nella fase di preparazione, la madre (o un altro
caregiver) e il bambino vengono accompagnati da un osservatore nella stanza
di osservazione.
Nel secondo episodio, la madre e il bambino sono soli nella stanza. La prima è
apparentemente impegnata nella lettura ed il secondo nell’esplorazione del
nuovo ambiente. La madre non deve intervenire nel gioco se non invitata dal
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bambino. Infatti, lo scopo è l’osservazione della attività esplorativa del bambino
in una situazione estranea, ma in presenza del caregiver.
Nel terzo episodio fa il suo ingresso nella stanza una sperimentatrice con il ruolo
dell’estranea, ovvero di una figura adulta non famigliare al bambino. Questo
episodio è suddiviso in tre momenti di durata di un minuto ciascuno. Nel primo
minuto l’estranea si siede sulla sedia e rimane in silenzio. Nel minuto successivo
conversa con la madre, mentre nel terzo minuto interagisce con il bambino. Il
fine dell’episodio è quello di osservare il grado di attenzione e di interazione con
l’estraneo e di utilizzo della figura genitoriale da parte del bambino.
Nel quarto episodio la madre esce dalla stanza. Si ha così la prima separazione
dal caregiver durante la quale è possibile osservare le strategie usate dal
bambino per fronteggiare la situazione di potenziale disagio. Una di queste
strategie può essere la ricerca della figura di attaccamento. Se il bambino
manifesta un eccessivo stato di disagio l’episodio può essere interrotto prima del
termine dei tre minuti.
Nel quinto episodio la madre entra nella stanza e l’estranea esce. Nella stanza
rimane solo la diade madre-bambino. Se quest’ultimo durante la separazione ha
manifestato disagio, alla madre viene chiesto di consolarlo, mentre, al contrario,
se il bambino non manifesta il desiderio di interazione con il caregiver deve
essere lasciato autonomo nell’attività che sta svolgendo. Durante questa prima
riunione è di particolare interesse osservare le modalità con cui il bambino si
ricongiunge al genitore (ovvero se manifesta chiari comportamenti di saluto, di
ricerca di contatto fisico, oppure ignora il suo ritorno).
Nel corso del sesto episodio la madre lascia nuovamente la stanza lasciando il
bambino da solo. Questa seconda separazione proposta dalla procedura è per
molti bambini il momento più critico. La maggioranza mostra evidenti sintomi
di disagio (se eccessivi l’episodio viene interrotto). In altri casi, invece, il
bambino sembra possedere sufficienti risorse per affrontare e gestire la
situazione di stress. Quindi, centrale in questo episodio è l’osservazione delle
modalità di coping del bambino.