IX
ABSTRACT
Questa tesi tratta della teoria del ragionamento giuridico di
MacCormick. Questo perché attraverso lo studio del ragionamento
giuridico si può fornire una risposta ad uno dei temi più rilevanti ed
attuali all’interno del dibattito giusfilosofico contemporaneo: le
modalità di giustificazione della sentenza giudiziale. È necessario
comprendere natura e struttura del ragionamento compiuto dal giudice
all’atto di decidere un caso concreto e determinare i meccanismi che
hanno contribuito all’emanazione di una certa sentenza corredata da
una determinata motivazione. Di questo si occupa, appunto, il
ragionamento giuridico.
L’indagine svolta in questa sede prende le mosse dalla
concezione giuspositivista del ragionamento giuridico, per approdare
in seguito ad un superamento del positivismo giuridico stesso in
concomitanza con la pubblicazione, nel 1978, dell’opera Legal
Reasoning and Legal Theory di MacCormick. La sua teoria del
ragionamento giuridico può definirsi post-positivista perché, una volta
constatata la parziale inadeguatezza delle idee positiviste al fine di
descrivere l’attività svolta dagli operatori del diritto, MacCormick
riporta in auge l’idea che l’argomentazione abbia un ruolo chiave in
ambito giuridico. Il contesto giudiziale, di cui il processo costituisce un
elemento, è un contesto in cui più parti interagiscono tra loro ed
argomentano a favore delle tesi che presentano. Ecco perché nel titolo
della nostra tesi è indicato un approccio post-positivista
all’argomentazione.
La proposta, in conclusione di questo studio, è quella di includere
MacCormick tra i teorici dell’argomentazione giuridica. Questo per la
considerazione che egli riserva, nelle sue riflessioni, agli aspetti
argomentativi del diritto, tra cui l’interpretazione. MacCormick
sottolinea come il diritto non possa essere considerato un’attività che
si compone soltanto di norme generali ed astratte compendiate in
codici completi ed univoci. Il diritto può invece essere descritto come
una pratica sociale ed argomentativa, volta alla risoluzione delle
controversie.
XI
INTRODUZIONE
Questo studio nasce da un interesse personale per i processi
giustificativi della motivazione della sentenza giudiziale, interesse
sviluppato nell’ambito delle lezioni di Filosofia del diritto del professor
Maurizio Manzin in concomitanza con le prime analisi di alcune
sentenze. In qualsiasi sentenza (sia essa in materia civile, penale o
altro) possiamo notare che, accanto al dispositivo, essa contiene
anche una parte chiamata motivazione, nella quale viene reso noto il
percorso argomentativo che ha determinato il giudice nel prendere
una decisione in un senso o nell’altro.
Leggendo la motivazione ci possiamo porre alcuni fondamentali
quesiti: le ragioni giustificative esposte in sede di motivazione sono
una fedele riproduzione di quelle che hanno portato alla decisione?
Qualora non lo fossero, come possiamo spiegarci questa mancata
corrispondenza tra ragioni enunciate nella motivazione e ragioni
determinanti per la decisione? O ancora, cosa rende una sentenza
ben motivata? Per fornire una risposta a queste ed altre domande
bisogna anzitutto capire la natura e la funzione del ragionamento
giuridico nell’ambito del diritto. Tale questione costituirà il punto di
partenza delle nostre riflessioni.
Capire cosa avviene quando un organo giurisdizionale si trova a
dover prendere una decisione giudiziale è di importanza
fondamentale. Infatti, non dobbiamo dimenticare che quella che per
alcuni può semplicemente costituire la soluzione di una vertenza tra
individui portatori di interessi diversi, per le parti significa non
soltantvittoria o sconfitta, ma modificazione rilevante, in alcuni casi
irreversibile, del proprio assetto di interessi. Questo è
fondamentalmente il motivo che ci spinge ad intraprendere un’analisi
del ragionamento che determina la decisione di una lite giudiziaria.
Una volta compresa la centralità di ciò che chiameremo dimensione
giustificativa della sentenza, sarà più agevole intendere le ragioni
sottese ad uno studio specifico su questo argomento.
Questa tesi ha come oggetto specifico la teoria del ragionamento
giuridico elaborata da Neil MacCormick, filosofo del diritto della
seconda metà del XX secolo, appartenente alla tradizione
giusfilosofica del positivismo analitico.
La nostra esposizione prenderà largamente spunto da questa
teoria al fine di coglierne, in egual misura, tanto gli elementi più
tradizionali quanto gli spunti maggiormente innovativi.
La nostra analisi parte da un dato fattuale: quando il giudice si
trova a dover ricondurre un caso concreto ad una norma che identifica
una fattispecie giuridica astratta alla quale sono annesse determinate
conseguenze giuridiche - stabilite dalla norma - egli deve compiere un
ragionamento di cui dovrà rendere conto, esplicitandolo, nella
motivazione della sentenza da lui emessa. Il fatto che, nel nostro
ordinamento giuridico, il giudice sia chiamato dalla stessa fonte
XII
costituzionale
1
a motivare la sentenza denota una considerazione
altissima per la dimensione dell’accettabilità razionale della decisione.
Quanto più una sentenza è ben motivata, tanto più sarà difficile in sede
di gravame riuscire ad ottenere la riforma di quella decisione.
Sono molti i teorici del diritto
2
che si sono interessati a queste
tematiche ed ognuno di essi ha elaborato la propria teoria sul
procedimento che il giudice dovrebbe seguire per decidere un caso e
su quale sia la modalità migliore per renderlo esplicito nella
motivazione. Tra coloro che maggiormente hanno sviluppato lo studio
ed l'analisi del ragionamento giuridico in epoca contemporanea
spicca, appunto, Neil MacCormick, filosofo del diritto di origini scozzesi
ed esponente del positivismo giuridico analitico. L’opera più
rappresentativa dei suoi studi in questo ambito è sicuramente Legal
Reasoning and Legal Theory, pubblicata nel 1978
3
.
Questa tesi si compone di tre capitoli, preceduti da
un'introduzione generale in merito ai temi trattati e seguiti da una
conclusione che sintetizza le domande e le risposte più rilevanti
nell'ambito della nostra ricerca.
Nel primo capitolo delineeremo una panoramica del dibattito
giusfilosofico nella seconda metà del XX secolo, per contestualizzare
storicamente il pensiero di MacCormick. Quel periodo fu segnato da
un’accesa contrapposizione tra giusnaturalismo e giuspositivismo, che
raggiunse il suo apice negli anni ‘60, caratterizzati dalla crescente
egemonia del positivismo giuridico.
In primo luogo, come punto di partenza della nostra indagine,
esamineremo l’estensione semantica del termine “ragionamento” in
tutta la ricchezza dei suoi significati. Ci occuperemo poi del
ragionamento giuridico. La nostra indagine verrà condotta dal punto di
vista peculiare della logica giuridica. Dopo alcune considerazioni
preliminari sul campo d’applicazione della logica e, più precisamente,
della logica giuridica, distingueremo le inferenze “valide” da quelle
“vere”; ci soffermeremo, quindi, a considerare le differenze tra le due.
Cercheremo poi di capire se il ragionamento giuridico possa
essere ricondotto, in ambito logico, ad una variante del celebre
modello sillogistico. È importante sottolineare fin d’ora che il
ragionamento giuridico (compiuto dal giudice in sede decisoria) a
lungo è stato fatto rientrare nell’ambito di afferenza del sillogismo, con
evidente beneficio per il principio di certezza del diritto. Analizzando le
diverse forme che può assumere il sillogismo e ripercorrendone a
1
L’art.111 c.6 Cost. afferma: “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere
motivati”.
2
Tra gli altri, possiamo ricordare H. Hart, che fa parte della tradizione giusfilosofica
del positivismo giuridico ed elabora la teoria del ragionamento giuridico da cui
prendono le mosse N. MacCormick e R. Dworkin, il quale ultimo può essere
considerato l'emblema dell'antipositivismo.
3
L'opera è stata tradotta in italiano da Aldo Schiavello, Ragionamento giuridico e
teoria del diritto, a cura di Vittorio Villa, Torino, Giappichelli, 2001.
XIII
grandi linee la storia, noteremo come il ragionamento giuridico sia
tuttavia qualcosa d’altro rispetto al sillogismo. Le nostre riflessioni ci
porteranno a concludere che il sillogismo non risulta uno strumento
adeguato per comprendere appieno l’architettura generale del
ragionamento risolutivo di una controversia; al contrario, il
ragionamento giuridico si può descrivere compiutamente facendo
riferimento all’ambito argomentativo.
In secondo luogo mostreremo come il tentativo di ricondurre il
ragionamento giuridico all’ambito d’applicazione della logica non
costituisca un’operazione inedita. Il positivismo giuridico, sviluppatosi
con la nascita dello Stato moderno, ha fondato per molto tempo le sue
statuizioni sul fatto che il ragionamento giuridico abbia struttura
sillogistica, almeno nella misura in cui esso ha abbracciato l’idea che
le norme giuridiche del diritto positivo possano essere applicate
meccanicamente dal giudice. Descriveremo brevemente lo sviluppo di
questa parte maggioritaria del positivismo giuridico, menzionandone
gli esponenti più rappresentativi. Nel dibattito giusfilosofico
contemporaneo, com’è noto, troviamo anche una rilevante
rappresentanza di autori che aderiscono ad un’altra grande corrente
di pensiero: il giusnaturalismo. Quest’ultimo, a dispetto del
giuspositivismo, vanta origini remote che risalgono all’antichità greca.
Esso, come dice il nome stesso, si richiama alla nozione,
assolutamente centrale, di “diritto naturale”, il quale, impresso nella
natura umana fin dalla nascita, orienterebbe le azioni degli individui
verso il bene. Menzioneremo alcuni esponenti di spicco del
giusnaturalismo, anche se - lo anticipiamo già da ora - nella seconda
metà del secolo scorso, il positivismo godeva di un consenso
indiscutibilmente maggiore rispetto al giusnaturalismo, anche grazie al
contributo di Hart.
Offriremo, perciò, in terzo luogo, una panoramica generale sulle
tesi più significative sostenute da quest’ultimo. Vedremo come Hart
proponga una teoria generale del diritto con lo scopo di rispondere ad
una semplice domanda: che cos’è il diritto? Nel perseguire il suo
intento noteremo come egli si ponga in polemica con Austin, riguardo
alla sua distinzione tra “regole sociali” ed “abitudini”. Spiegheremo
quali sono le condizioni di cui necessita una “regola sociale” per
divenire un “obbligo”. All’interno delle regole sociali che integrano
queste condizioni, come diremo, Hart individua le regole giuridiche che
compongono l’ordinamento giuridico: quest’ultimo non è costituito
soltanto da ordini, ma anche da tipologie diverse di regole giuridiche.
Un elemento peculiare della teoria del diritto di Hart consiste nella
distinzione tra regole primarie, che impongono obblighi, e regole
secondarie, che conferiscono poteri. Egli elabora, inoltre, il concetto di
regola di riconoscimento, la quale non solo funge da criterio basilare
per distinguere le regole giuridiche dalle altre tipologie di regole, ma,
con particolare riferimento a queste ultime, consente anche di
stabilirne la validità. Nella nostra esposizione ci soffermeremo quindi
sul concetto hartiano di morale e sul rapporto di quest’ultima con il
XIV
diritto.
Vedremo, infine, come la teoria del diritto elaborata da Hart
costituisca un punto di riferimento per il positivismo giuridico ma, al
contempo, segni anche l’inizio della crisi del giuspositivismo stesso.
Essa è stata infatti duramente criticata da Dworkin, il quale ritienne
che il modello hartiano non si prestasse adeguatamente a descrivere
la realtà in tutte le sue multiformi sfaccettature. Dworkin contesta ad
Hart le sue convinzioni circa il rapporto tra il diritto e la morale.
Vedremo come proprio a partire da questa obiezione nascano le due
correnti caratterizzanti il positivismo giuridico contemporaneo: il
positivismo giuridico esclusivo ed il positivismo giuridico inclusivo. Se,
per il positivismo giuridico esclusivo, la morale non può assolutamente
essere incorporata nel diritto, secondo le assunzioni dei positivisti
inclusivi una tale relazione, rispettate certe condizioni, non crea invece
particolari difficoltà teoretiche. Noteremo come queste due correnti di
pensiero elaborino argomenti diversi per replicare alla critica di
Dworkin e forniremo una descrizione generale delle idee che i loro
esponenti sostengono; ci soffermeremo inoltre, con riguardo al
positivismo giuridico esclusivo, su quanto sostenuto da Raz
(autorevole esponente di quest’orientamento). Un elemento di
particolare interesse concerne l’atteggiamento delle correnti di
pensiero in questione nei confronti della social thesis di Hart. Vedremo
come, a questo proposito, siano distinguibili due versioni: quella della
sufficienza e quella della necessità, delle quali illustreremo i capisaldi.
Successivamente, nel secondo capitolo, rifletteremo sulla natura
del ragionamento giuridico secondo MacCormick, e questa analisi
costituirà il fulcro della nostra indagine. A questo proposito faremo
riferimento, come è solito fare MacCormick nell’esposizione della sua
teoria, ad esempi concreti tratti da casi giudiziari già definiti da una
sentenza. Attraverso l’esplicitazione del ragionamento che ha
condotto all’adozione di una certa sentenza per un caso specifico,
osserveremo che i processi che conducono alle giustificazioni
giudiziali sono eterogenei e che tale eterogeneità dipende dalle
caratteristiche peculiari del caso in esame.
Il nostro particolare punto d’osservazione sarà ancora una volta
quello della logica giuridica. Le questioni rilevanti che emergeranno
nel corso della nostra trattazione saranno affrontate con riguardo ai
diversi strumenti logici in grado di fornire supporto ad un argomento
che possa dirsi, appunto, logicamente sostenibile.
Volendo fornire una descrizione specifica delle questioni che
affronteremo possiamo anticipare che, in primo luogo, ci occuperemo
di stabilire una periodizzazione del pensiero di MacCormick.
Quest’ultimo può essere diviso in tre grandi fasi, identificabili ciascuno
sulla base della diversa concezione del rapporto che intercorre tra
giuspositivismo e giusnaturalismo. Se, in un primo momento, queste
due correnti giusfilosofiche erano in forte antitesi, nei periodi
XV
successivi tale contrasto progressivamente si attenua. Ci
concentreremo, in particolare, sul primo periodo della produzione
scientifica di MacCormick. Per la nostra indagine, infatti, risulta
fondamentale l’opera Legal Reasoning and Legal Theory (1978) che
appartiene proprio al periodo in discorso. In questo testo egli espone
la sua teoria del diritto, argomento principale del nostro studio;
vedremo come essa sia da considerarsi importante per varie ragioni.
In secondo luogo vedremo cosa intenda MacCormick con il
termine “diritto” e cosa, per contro, sia da escludere dall’ambito
giuridico. Illustreremo le caratterisitche peculiari che
contraddistinguono ciò che fa parte del diritto da ciò che non vi
appartiene (quid iuris). Discuteremo, inoltre, della classificazione delle
fonti del diritto elaborata da MacCormick, e noteremo come essa si
discosti parzialmente da quella di matrice hartiana. MacCormick
fornisce una definizione di ragionamento giuridico che funge da base
alla sua concezione argomentativa della giustificazione giudiziale.
Possiamo sostenere, a questo proposito, che il diritto si connette per
lui all’ambito argomentativo.
Sviluppate queste prime considerazioni preliminari,
descriveremo la varietà di casi giudiziari che possono presentarsi al
giudice. Prenderemo le mosse dalla celebre distinzione accolta da
MacCormick tra casi difficili (hard cases) e casi facili (easy cases).
Questi ultimi, secondo l’autore, non pongono particolari problemi di
matrice ermeneutica e pertanto sono più facilmente inquadrabili in una
forma di ragionamento lineare: la giustificazione deduttiva. Per
illustrare le modalità giustificative di questi casi ci richiameremo agli
esempi proposti da MacCormick. Faremo in particolare riferimento al
caso Daniels and Daniels v. R. White & Sons and Tarbard del 1938.
Questo caso sarà analizzato per comprenderne il procedimento di
risoluzione, tenendo presente che esso funge da modello per tutti i
casi analoghi.
In terzo luogo ci occuperemo dei casi difficili, la cui risoluzione
poggia su un ragionamento giuridico caratterizzato da regole
specifiche. MacCormick ritiene che esso non possa prescindere dal
rispetto del principio di universalizzabilità e della logica formale, con
particolare riferimento al principio di non contraddizione. Un caso
difficile necessita di una tipologia giustificatoria diversa dalla
giustificazione deduttiva, che MacCormick definisce giustificazione di
secondo livello. Dopo aver chiarito che l’ambito di applicazione della
giustificazione di secondo livello è quello dei casi difficili, vedremo
specificatamente in quali casi si possa ricorrere ad una giustificazione
siffatta. Ci sono quattro tipologie di problemi che rendono un caso
“difficile”, ovvero: problemi d’interpretazione di una norma giuridica,
problemi di rilevanza, problemi inerenti alla prova, problemi che
riguardano la classificazione dei fatti secondari. Tratteremo poi della
struttura della giustificazione di secondo livello servendoci, come di
consueto, di un esempio particolare, il caso Donoughe v. Stevenson
del 1932. In questo come in altri casi il giudice deve scegliere tra
XVI
regole tra loro diverse, ma tutte astrattamente applicabili al caso in
questione; entra in gioco, quindi, la componente discrezionale del
lavoro giudiziale. Questa scelta, però, deve essere basata su alcune
considerazioni che chiariremo.
Ci occuperemo, a questo punto, delle condizioni che una
sentenza è tenuta a rispettare per potersi dire giustificata. Esse,
specificatamente, sono due: una sentenza giustificata deve “fare
senso nel mondo” e “fare senso nel sistema giuridico”. Il fatto di “fare
senso nel mondo” si estrinseca nella produzione, da parte della
sentenza, di conseguenze accettabili ed è rappresentato
dall’argomento consequenzialista (consequentialist argument). Per
“fare senso nel sistema”, invece, una sentenza deve risultare coerente
(consistency) e congruente (coherence) con i contenuti del sistema
giuridico di riferimento. Dopo questa esposizione generale sulla
giustificabilità della sentenza ci addentreremo maggiormente
nell’analisi dei requisiti in discorso. Noteremo come l’argomento
consequenzialista, oltre a demandare al giudice la valutazione delle
ripercussioni sulle parti in causa e sulla società delle sue decisioni,
richiede anche un certo grado di discrezionalità. Tale discrezionalità si
esprime nella dimensione valutativa e nella dimensione soggettiva del
consequentialist argument. Il giudice, come abbiamo detto, deve
tenere in considerazione le conseguenze della sua decisione;
nell’ambito di queste ultime, però, egli deve considerare soltanto le
conseguenze giuridiche dette anche “conseguenze per implicazione”.
MacCormick fornisce una precisa definizione di questa tipologia di
conseguenze, distinguendole da tutte quelle potenzialmente
realizzabili dalla decisione giudiziale. Per spiegare la centralità
dell’argomento consequenzialista in ambito decisorio ci serviremo di
alcuni esempi, come il caso Marbury v. Madison del 1803, Blackburn
v. Attorney - General del 1971, oltre al già citato Donoghue v.
Stevenson. Passeremo poi a trattare dei requisiti della coerenza e
della congruenza.
Vedremo come una sentenza che rispetti il requisito della
coerenza debba contenere una decisione che non contraddica
logicamente le regole del diritto previgente. Chiariremo inoltre che
MacCormick individua nell’argomento della congruenza una minore
specificità rispetto a quello della coerenza. La congruenza richiede,
infatti, che l’ordinamento giuridico (di cui la sentenza diviene parte
integrante) si riferisca a valori comunemente condivisi. Svolgeremo
alcune considerazioni su questi argomenti e prenderemo come
esempio, per quanto riguarda la coerenza, il caso Anisminic v. Foreign
Compensation Commission del 1969. In riferimento alla congruenza,
ci baseremo sul caso Sweet v. Parsley del 1968. Esaminati dunque
anche questi criteri decisionali formuleremo alcune riflessioni di
chiusura.
Nel paragrafo conclusivo di questo capitolo elaboreremo alcune
considerazioni sul rapporto tra ragione e diritto, e tra diritto e morale.
Vedremo come la razionalità sia parte integrante e svolga un ruolo
XVII
centrale nell’ordinamento giuridico: il diritto, infatti, non è capriccio né
arbitrio, ma piuttosto un insieme di disposizioni razionali, come risulta
evidente dall’assiduo utilizzo degli argomenti della coerenza e della
congruenza. In contrapposizione a quanto sostenuto da MacCormick,
ci soffermeremo sul pensiero di Ross, il quale esclude che la ragione
possa esplicare un ruolo primario in ambito giuridico. Il diritto, come
noteremo, non è soltanto ragione, perché rimane sempre un margine
irriducibile di discrezionalità giudiziale. Sostenere questo, però, non
comporta certo affermare la sua completa irrazionalità - la parte non
deve essere confusa col tutto.
Tratteremo, a questo punto, del rapporto tra il diritto e la morale.
Vedremo come esso possa assumere forme molteplici e come, al
riguardo, vi siano tesi eterogenee. Prenderemo in considerazione, a
questo proposito, la tesi della connessione, quella della distinzione e
quella della separazione. MacCormick sostiene la tesi della
distinzione: il diritto e la morale, pur essendo entità diverse, si possono
ricondurre ad una base comune. Questo perché il diritto si serve della
morale per ottenere una maggiore legittimità nei confronti dei
consociati; esso però, nel contempo, non incorpora i valori morali nelle
regole che compongono l’ordinamento giuridico. In quest’ambito
MacCormick si discosta parzialmente dal pensiero del suo maestro.
Esporremo le riflessioni di Hart in merito a questo tema e vedremo su
quali basi egli fonda la propria tesi della separazione tra il diritto e la
morale.
Il terzo capitolo costituirà soprattutto un esame critico del
ragionamento giuridico e del suo rapporto con le teorie argomentative
del diritto.
L’obiettivo di questa parte del nostro studio è dimostrare che
MacCormick si inserisce a pieno titolo nelle cosiddette “teorie
argomentative” del diritto, che furono elaborate sulla scia della “svolta
argomentativa” del diritto. In primo luogo, quindi, spiegheremo cosa
intendiamo con la locuzione “svolta argomentativa”. Vedremo come
alcuni esponenti del positivismo giuridico si siano recentemente aperti
alle tematiche inerenti l’argomentazione giuridica. Questo è stato reso
possibile dal rinnovato interesse per l’argomentazione suscitato a
partire dalle opere di Perelman ed Olbrechts - Tyteca e di Toulmin. Nel
1958 escono rispettivamente il Trattato dell’argomentazione. La nuova
retorica dei primi e Gli usi dell’argomentazione del secondo. È proprio
in virtù di questi importanti contributi che la dinamica processuale è
stata riletta, pur attraverso le categorie analitiche, in chiave
spiccatamente argomentativa. Il processo, d’altra parte, è la sede
d’applicazione delle norme mediante un confronto argomentativo tra
le parti. Analizzeremo quindi le opere in discorso, servendoci di alcune
considerazioni storiche circa la nascita e lo sviluppo della retorica e
della dialettica, quest’ultima associata ai procedimenti argomentativi.
In secondo luogo spiegheremo come la svolta argomentativa abbia
determinato, oltre all’apertura giuspositivista alle tematiche argomentative e
XVIII
alla nuova considerazione riservata all’ambito processuale, la formazione di
una pluralità di correnti di pensiero. Esse, pur con modalità diverse e
peculiari, si sono occupate dell’argomentazione. Nella nostra trattazione
citeremo solo quelle più significative esponendone brevemente i contenuti.
Ci occuperemo in particolare dell’ informal logic, del critical thinking, dei
sistemi dialettici di Hamblin, della Dialogische Logik da cui prende le mosse
la dialettica formale di Else Barth e di Erik Krabbe ed infine della Pragma-
Dialectics. Vedremo come ciascuna di esse sia legata, in un modo o
nell’altro, con l’argomentazione giuridica. Dopo aver enunciato
genericamente le tipologie di teorie argomentative sviluppatesi nella
seconda metà del secolo scorso, passeremo a considerare un ambito
particolare: l’ambito giuridico. Le tre teorie dell’argomentazione giuridica a
cui faremo riferimento - di Alexy, di Aarnio e di Peczenik - sono quelle che,
a nostro giudizio, presentano più di altre elementi comuni con la teoria del
diritto di MacCormick.
Alexy vede nelle discussioni giuridiche altrettanti elementi inclusi
nell’ambito argomentativo e nota come anche la sentenza, in quanto
caratterizzata dall’elemento distintivo dalla giustificazione, vi sia ricompresa.
Il tratto peculiare della teoria di Alexy, come vedremo, consiste in una
distinzione basilare: la giustificazione giuridica interna e la giustificazione
giuridica esterna. La giustificazione interna, secondo Alexy, si avvicina alla
procedura risolutiva di quei casi che MacCormick qualifica come semplici, in
quanto permette di comporre un sillogismo giudiziale.
Aarnio, invece, pone l’accento sull’attività interpretativa svolta dagli
studiosi del diritto e dai giudici; egli ritiene che quest’attività possa dirsi
razionalmente giustificata. Noteremo che anche MacCormick riserva alcune
considerazioni, nell’ambito delle sue riflessioni, all’interpretazione e
all’elemento di razionalità in ambito giuridico. Sottolineeremo, poi, come
Peczenik si richiami, così come MacCormick, al requisito della congruenza.
Evidenzieremo infine ulteriori specifici aspetti a sostegno della tesi di
partenza. Vedremo come, per un verso, MacCormick possa essere
paragonato agli autori della svolta argomentativa, e, per un altro, agli studiosi
successivi. Complessivamente, però, ci sono a nostro avviso tutti gli elementi
per includere il suo pensiero nelle teorie argomentative del diritto.
1
CAPITOLO 1
1.1 - Premessa: ragionamento giuridico e sillogismo giudiziale
Con la parola “ragionamento”, usata comunemente anche come
sinonimo di pensiero, si possono intendere una serie di attività
dell’intelletto umano finalizzate a prendere delle decisioni, dalle più
semplici alle più complesse. Infatti, il vocabolo non ha un significato
univoco perché può riferirsi sia ad un processo mentale (che è il
processo del ragionare) che al risultato di tale processo. Il risultato
dell’atto di ragionare può essere tanto la conclusione alla quale si
perviene ragionando - una sorta di sineddoche - quanto il discorso che
viene reso pubblico attraverso il ragionamento e di cui la conclusione
costituisce solo una parte. In questa sede intenderemo il
ragionamento come “un insieme di enunciati, uno dei quali ha la
funzione di tesi o conclusione ed i rimanenti svolgono la funzione di
premesse in favore di esso” (Guastini 2001, 1ss.).
Esistono diverse species individuabili, mediante criteri di
classificazione differenti, all’interno del genus “ragionamento”.
1. Una prima distinzione all’interno del gruppo dei ragionamenti
si basa sul tipo di enunciati dei quali essi sono composti. Un
ragionamento può essere “aletico o teorico” (Guastini 2001, 1ss.)
qualora sia composto da premesse e conclusioni descrittive che, come
tali, sono predicabili di vero o falso. Può invece essere “normativo o
pratico” (Guastini 2001, 1ss.) nel caso in cui la sua conclusione sia
una norma ovvero un enunciato prescrittivo la cui verità o falsità non
è sindacabile; si tratta in questo caso di discernere il “giusto” dall’
“ingiusto”. Il tipo di ragionamento di cui ci occuperemo nel prosieguo
della nostra trattazione appartiene a questa seconda categoria e noi
lo chiameremo “ragionamento giuridico” perché ha come conclusione
una norma giuridica - cioè non morale, etica, religiosa o di educazione.
2. Una seconda distinzione riguardante i ragionamenti attiene
“alla loro struttura logica” (Guastini 2001, 1ss.) ovvero al tipo di nesso
logico che collega le premesse alla conclusione ed alle implicazioni di
tale nesso sulla forza del ragionamento. I ragionamenti possono
essere deduttivi se la loro conclusione è logicamente implicata nelle
premesse. Ciò equivale a dire che se si accettano le premesse di
questo tipo di ragionamenti non si può rifiutarne la conclusione pena il
contraddirsi.
Possiamo dire che le premesse, in questi casi, hanno pari
posizione rispetto alla conclusione. I ragionamenti possono anche
essere non deduttivi nel caso in cui si possa, senza contraddirsi,
accettarne le premesse ma rifiutarne la conclusione. All’interno di
questa macro distinzione tra ragionamenti deduttivi e ragionamenti
non deduttivi ne possiamo individuare un’altra interna ai ragionamenti