2
portafoglio”, analizzando la sua evoluzione in ambito
statunitense, la sua applicazione in sede comunitaria e
confrontando i due approcci. Nel terzo capitolo vengono
illustrati i fattori critici, i riflessi strategici e gli effetti sulla
domanda e sull’offerta di prodotti di un modello multiutility.
Nell’ultimo capitolo vengono illustrate le valutazioni
giuridiche dell’Autorità nel caso ENEL/INFOSTRADA. Esse
riguardavano non solo gli effetti sul mercato della fornitura di
elettricità ai clienti idonei derivanti dalla creazione di NEW
WIND, ma anche la posizione dominante di ENEL nel
mercato della generazione. Di tale giudizio viene studiata la
congruità all’effettiva volontà e possibilità di ENEL di
rafforzare il proprio potere di mercato attraverso un modello
multiutility ed infine vengono analizzate le considerzioni
dell’Agcm alla luce dell’approccio statunitense nelle
valutazioni delle operazioni di concentrazione e delle
innovazioni introdotte in sede comunitaria dal nuovo
Regolamento.
3
CAPITOLO 1
LE CONCENTRAZIONI
1.1 Opportunità di un controllo delle concentrazioni: i fini
economici e non economici
Inizialmente la proposta di legge del governo italiano per la
tutela della concorrenza del mercato negava l’opportunità di
un controllo delle concentrazioni
1
. Ciò tanto per ragioni
empiriche, per consentire cioè un necessario processo di
concentrazione in quei molti settori industriali dell’economia
nazionale caratterizzati da un notevole grado di
frammentazione in confronto ai corrispondenti settori di altri
paesi europei, quanto per ragioni teoriche che si rifacevano
alle tesi di certe scuole scientifiche
2
. Si era infatti sostenuto
che le concentrazioni sortiscano di norma effetti positivi di
1
A tale risultato giunse anche la Commissione incaricata dal governo di studiare il
problema. In argomento si veda La concorrenza nel sistema economico italiano,
relazione conclusiva della commissione ministeriale per lo studio della concorrenza, in
Riv. Soc., 1988, pp. 559-565.
2
Le teorie economiche elaborate a sostegno del diritto della concorrenza si possono
distinguere in due principali scuole di pensiero: la c.d. Scuola Harvardiana e la c.d.
Scuola di Chicago. La prima nega che la teoria dei prezzi possa orientare le scelte di
politica economica. Essa giudica l’efficienza di determinati settori della produzione alla
stregua del paradigma “struttura-comportamento-risultato economico”. Vengono
osservate le componenti strutturali dei mercati e le modalità di comportamento delle
imprese, al fine di stabilire se un certo settore produttivo si conformi allo standard di
workable competition (secondo il quale, partendo dalla considerazione che la
concorrenza perfetta non esiste, si può avere un regime concorrenziale di fatto
funzionante anche in presenza di imperfezioni). Diversamente dalla Scuola
Harvardiana dell’organizzazzione industriale, la Scuola di Chicago, tentava di
ricondurre la prassi a spiegazioni che fossero in linea con la teorizzazione economica di
base, dedotte dai temi centrali della teoria dei prezzi. Per un approfondimento cfr. R.
VAN DER BERGH in AA.VV., Diritto antitrust italiano, vol. 1, Bologna, 1993, pp. 17-35.
Cfr. per una più estesa argomentazione delle tesi esposte dalla commissione di studio,
da parte del presidente della commissione stessa, F. ROMANI, Appunti per una
legislazione liberale a tutela della concorrenza, in Riv. Soc., 1998, I, p. 487 e ss..
4
efficienza economica, con particolare riguardo all’ottenimento
di economie di scala, e che esse siano più spesso perseguite
per tali efficienze che per intenti anticoncorrenziali
3
.
Tale posizione veniva tuttavia inaspettatamente del tutto
abbandonata nel testo finale della proposta, dove veniva
ripreso l’orientamento contenuto nel Regolamento comunitario
sulle concentrazioni
4
.
Le finalità del controllo possono avere natura non economica,
ossia possono basarsi su motivazioni di natura politico-sociale.
Infatti si può vedere nel controllo delle concentrazioni uno
strumento nelle mani del potere politico, ai fini più o meno
legittimi di politica industriale
5
.
Tuttavia molti sono coloro che sostengono apertamente che
tali fini debbano essere abbandonati a favore esclusivamente
dei fini economici, per la sostanziale ragione che non sarebbe
possibile elaborare una coerente politica della concorrenza che
li possa efficacemente tutelare
6
.
La base dell’intera costruzione teorica sottostante al diritto
della concorrenza è la teoria del monopolio. Il potere del
3
In particolare, secondo Bork, lo scopo dell’antitrust “può essere riassunto come lo
sforzo di migliorare l’efficienza allocativa senza indebolire l’efficienza produttiva in
modo tale da produrre o alcun guadagno o una perdita netta nel consumer welfare”.
Bork sottolinea che “allocative efficiency refers to the placement of resources in the
economy, the question of whether resource are employed in tasks where consumers
value their output most. Productive efficiency refers to the effective use of resources by
particular firms”. R. H. BORK, The antitrust paradox, New York, 1978, p. 58.
4
Regolamento CEE n. 4064/89, 21 dicembre 1989, in G.U.C.E., 1989, n. L 395/1.
5
Si discerneva, infatti, una chiara preferenza per le imprese di piccole dimensioni, di
cui si riteneva necessario tutelare l’esistenza e il benessere nei confronti delle imprese
maggiori. A tal proposito si veda C. OSTI in AA.VV., Diritto antitrust italiano, vol. 1,
Bologna, 1993, p. 532.
6
R. POSNER, Antitrust Law, Chicago e Londra, 1976, p. 18 e ss..
5
monopolista di alzare i prezzi contraendo la produzione ed
ottenendo un extraprofitto, correntemente definito potere di
mercato
7
, corrisponde in sostanza, in termini economici, alla
“posizione dominante” sanzionata dalla legge italiana e da
quella comunitaria
8
.
La limitazione ed il contenimento di tale potere di mercato
costituisce il fine primario e, qualora si ritenga, come
dicevamo in precedenza, che il diritto della concorrenza non
può che avere fini economici, il fine unico del controllo delle
concentrazioni.
Tale preoccupazione si ha perché secondo la teoria economica,
l’esercizio del potere di mercato comporta costi economici
principalmente legati alla generazione di quella che viene
definita “misallocazione”
9
. Si ritiene infatti che molti di quei
consumatori che avrebbero acquistato il bene o servizio
oggetto del monopolio al prezzo di mercato, si troverebbero
costretti, a seguito dell’aumento del prezzo, dovuto
all’esercizio del potere di mercato del monopolista, ad
7
Il potere di mercato è definito quale capacità di procedere ad elevare il prezzo a livelli
superiori a quelli che prevarrebbero in situazione di concorrenza tanto nelle Direttive
sulle concentrazioni orizzontali, del Ministero di Giustizia e Commissione Federale del
Commercio degli Sua, ultima revisione, 1992, in Bureau of National Affairs, Antitrust
& Trade Regulation Report, Vol. 62 n. 1559, al par. 0.1, quanto nelle Direttive
(NAAG), ove si considera che il potere di mercato è “la capacità di una o più imprese di
mantenere i prezzi al di sopra del livello concorrenziale, per un periodo di tempo
significativo”.
8
Nel caso Michelin, la Corte di Giustizia definì la posizione dominante come: “Una
situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di
ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato rilevante ed ha la
possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi
concorrenti e, in ultima analisi, dei consumatori”. In G.U. n. L. 353 del 9 dicembre
1981.
9
C. OSTI, op. cit., p. 535.
6
acquistare beni o servizi di sostituzione, che si deve presumere
abbiano costi di produzione più alti, essendo più alto il loro
prezzo
10
.
Questo trasferimento di risorse da una produzione ad un’altra
comporta inoltre una super produzione dei prodotti sostitutivi
che alcuni consumatori non avrebbero acquistato qualora
avessero potuto comprare i prodotti monopolizzati a prezzi
concorrenziali. Il risultato è inefficiente per quanto riguarda
l’allocazione o distribuzione delle risorse con un certo costo
per l’intera società.
Occorre aggiungere che tale perdita non viene del tutto
recuperata sotto forma di ricavi dal monopolista, in quanto
esso è costretto a contrarre la sua produzione per elevare il
prezzo. Ne risulta la menomazione della c.d. “ottimalità
paretiana”
11
.
Tuttavia se, come abbiamo detto, la teoria del monopolio
fornisce la base teorica e la giustificazione del controllo delle
concentrazioni, essa si riferisce ad una situazione in pratica
assai rara se non impossibile da verificarsi, in quanto i mercati
davvero monopolistici si limitano in sostanza a particolari
ipotesi di mercati regolamentati. Assai più frequente è invece
il caso del mercato oligopolistico.
10
Se così non fosse si deve ritenere che la sostituzione a svantaggio del bene o servizio
monopolizzato sarebbe avvenuta anche prima dell’aumento dei prezzi derivante dalla
monopolizzazione. Cfr. C. OSTI, op. cit., p. 536.
11
C. OSTI, op. cit., p. 537.
7
La teoria degli oligopoli, che compone il nucleo della moderna
teoria economica che si è occupata dei profili strutturali del
mercato, prende in esame le situazioni in cui l’offerta in un
particolare mercato è riconducibile ad un numero piccolo e
tendenzialmente stabile di imprese
12
.
Esiste un largo consenso nella teoria economica sul fatto che
un certo grado di concentrazione sia condizione per l’esercizio
del potere di mercato da parte delle imprese presenti su quel
mercato, sia che tale concentrazione sia condizione necessaria
e sufficiente, quanto che sia condizione necessaria ma non
sufficiente
13
; inoltre sia che il dato più significativo sia
rappresentato dalla concentrazione “media” di un certo
mercato, quanto nel caso in cui, invece, ci si debba appuntare
sulle singole quote di mercato delle imprese individue.
Infine, accertata l’esistenza in linea di principio di una certa
correlazione tra concentrazione e potere di mercato, è da
rilevare che vi è la massima discordia su quali siano le soglie
di concentrazione del mercato oltre le quali si appalesi il
pericolo dell’esercizio del potere di mercato.
Infatti se in ambito comunitario si ritiene che una quota di
mercato inferiore al 25% implichi l’assenza di un potere di
12
Generalmente la teoria si fonda sul concetto di Nash equilibrum: ogni impresa
determina i propri prezzi (o le quantità di prodotto, od ogni altra variabile
concorrenziale) dati i prezzi stabiliti dai suoi concorrenti. Ciò dà origine alla funzione di
best response che descrive il complesso dei prezzi individuato da ogni impresa in
risposta ad ogni set di prezzi prescelto dai concorrenti. Per un approfondimento si veda:
L. CABRAL, Economia industriale, Roma, 2003.
13
Cfr. C. OSTI, op. cit., p. 540.
8
mercato
14
, con una certa tendenza ad attribuire maggior peso
ad altri fattori di analisi, il diritto americano, invece, sembra
rispecchiare perfettamente questo disaccordo. Infatti si passa
da chi sostiene che ci si debba preoccupare per quote di
mercato a partire dal 60%
15
, a chi indica come indice di
concentrazione una quota complessiva delle prime quattro
imprese superiore al 40%
16
, per finire con coloro che si
accontentano di una quota del 70-80%
17
.
14
È la soglia determinata dal 15° considerando del Regolamento sulle concentrazioni.
Inoltre corrisponde ad una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, e prassi
decisionale della Commissione: cfr. la sentenza Commissione c. Hoffmann La Roche, in
causa 85/76, Raccolta 1979, p. 525 e ss..
15
R. H. BORK, The Antitrust Paradox, op. cit., 1978, p. 221.
16
F. SCHERER, Industrial market structure and economic performance, Boston, 1970, p.
185.
L’indice di cui si tratta è il “four firm concentration ratio” o “CR4”, al quale si fece
ricorso nelle Direttive (S.U.A.) del 1968, sostituite poi dal c.d. indice di Herfindal-
Hirschmann (HHI).
17
G. STIGLER, The organization of industry, 1968, p. 39.