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La tesi, in generale, presenta poi una parte dedicata alla qualità televisiva, una
tematica che sta assumendo sempre più importanza per gli addetti ai lavori del
mondo televisivo, specialmente per la tv pubblica, che sente la necessità di avere
un indice di gradimento più preciso, sentendosi in dovere verso i propri utenti di
fornire un servizio sempre migliore.
Ho ritenuto opportuno inoltre dedicare una sezione all‟evoluzione delle
infrastrutture televisive, analizzando parallelamente la situazione italiana e
quella europea.
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CAPITOLO 1
IL MONDO TELEVISIVO
1.1 La qualità televisiva nell‟era del monopolio: dal 1954 al 1974
La televisione italiana nasceva il 3 gennaio 1954 alle undici del mattino, con il
taglio dei nastri negli studi di Milano, Torino e, infine, di Roma. Un solo canale,
in bianco e nero, mandava in onda ventotto ore di programmi a settimana e,
praticamente, la vedevano in pochi. Saranno i bar, che per incrementare le
vendite la installavano in sala, a diffonderla nel paese.
Il televisore più economico costava in quell‟anno 160 mila lire, come una
motoretta, mentre il reddito medio pro-capite in Italia era di 258 mila lire.
Il 3 gennaio 1954 Furio Colombo salutava gli italiani e dava inizio alla
programmazione del primo canale nazionale.
Dopo l‟inaugurazione si dava inizio alla programmazione che durava
inizialmente dalle 16 alle 24 e permetteva agli italiani di conoscere le facce dei
protagonisti della “scatola magica”, conosciuti fino ad allora solo attraverso le
voci ascoltate nei programmi radiofonici.
La televisione veniva descritta dagli addetti ai lavori come “un mezzo per la
educazione del popolo italiano, un mezzo aggiuntivo al percorso scolastico”
(Grasso, Scaglione, 2003, 337).
Per ottenere questi risultati si pensò che il modo migliore fosse affidare la
gestione dei palinsesti e della disciplina normativa degli stessi allo Stato.
Durante questi primi venti anni le informazioni erano fortemente revisionate dal
Governo.Questo anche dal 1958 quando fu inviata a Pio XII la richiesta di
proclamare Santa Chiara patrona della televisione, sancendo così ufficialmente il
rapporto con la Chiesa Cattolica. Gli episodi di censura non mancarono, come
l‟allontanamento di Enzo Tortora, per dichiarazioni di Noschese che fece
riferimento in termini sarcastici a un politico durante una sua trasmissione.
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Lo scenario competitivo dell‟Italia televisiva ha subito molte modificazioni nel
tempo. Di conseguenza i valori da trasmettere al pubblico e le modalità di
monitoraggio della qualità delle trasmissioni televisive hanno subito
cambiamenti molto marcati.
Quando nacque la televisione italiana negli anni Sessanta vi era un regime di
monopolio in Italia. In termini di qualità del servizio la Rai cercava di ispirarsi,
nella messa in onda delle trasmissioni, al modello pedagogico della BBC, basato
su tre principi fondamentali: informare, educare, intrattenere. Infatti negli anni
Sessanta e Settanta venivano trasmessi programmi educativi e quiz, tra cui il
popolarissimo Lascia o raddoppia, condotto da Mike Bongiorno.
In questo periodo dell‟educazione del popolo si distinguevano due figure chiave:
Guala (amministratore delegato dal 1954 al 1956) e Bernabei (direttore generale
dal 1961 al 1974) .
L‟intento del primo era di intrattenere ed educare la gente sostituendo la
televisione ai libri scolastici. Guala fu costretto a dare le dimissioni perché la
dirigenza non vedeva di buon occhio la sua voglia di rinnovamento.
Così subentrò Bernabei che continuò il lavoro educativo del suo predecessore,
iniziando a trasformare la Rai in azienda, mantenendo le politiche pedagogiche-
formative, ma introducendo la lottizzazione, ovvero spartendo i posti dirigenziali
tra i partiti politici a seconda dell‟importanza.
Introduce quella chiamata “comunicazione responsabile”, cercando di mediare
l‟opinione dei cittadini, intrattenendo “un contatto umano per instaurare una
reciproca fiducia tra gli operatori televisivi e le persone che, per la prima volta
ricevevano nelle loro case le immagini e le parole trasmesse via etere” (La Porta,
2003, 33).
Questi concetti erano l‟emblema della qualità televisiva di quei tempi, basata su
ideologie fondate su valori cattolici e postbellici.
La televisione veniva considerata un‟istituzione con il compito di offrire ai
cittadini le chiavi per raggiungere un‟identità collettiva.
La televisione penetrò ben presto tra gli italiani, tanto che in un anno si
quadruplicarono gli abbonati, raggiungendo quota 88.000, nonostante i prezzi
alti della tecnologia.
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Nel 1961 venne inaugurato il secondo canale, la cui offerta integrava i
programmi del primo.
Nello stesso anno iniziava anche la Tribuna politica (giovedì, 26 aprile 1961, ore
21,00), proponendo tutte le fazioni e gli orientamenti politici.
“La politica appassiona gli italiani, il linguaggio forbito e il grande carisma di
questi statisti attrae milioni di telespettatori” (Grasso-Scaglione, 2003, 362).
In questo periodo si cercava di capire se tutto il lavoro svolto fosse corretto. Così
iniziò il Servizio opinioni, ricerche che sondavano la percezione dello spettatore,
con ricerche volte alla valutazione della qualità degli aspetti tecnici dei
programmi. A ogni campione estratto dagli elenchi telefonici si chiedeva:
“«Scusi, lei sta guardando la televisione? Che cosa guarda? Le piace? Non le
piace? Per quali motivi? » Da queste indagini venivano fuori gli indici di ascolto
e soprattutto gli indici di gradimento motivati. La scelta delle gemelle Kessler
ha prodotto molte critiche. Molti hanno risposto così: «Ma perché ci fate vedere
le ballerine con la cellulite e con le gambe storte?» (La Porta, 2003, 48).
«Nel complesso al servizio pubblico di questo primo periodo si riconobbe
l‟estrema attenzione alla non violazione del pudore, la revisione rigida dei testi,
la limitatezza del vocabolario» (Bettetini, 1990,238).
Negli anni 70 la pubblicità era vista come un genere “minore” e portatore di
possibili e dannose contaminazioni rispetto ad altri generi. Così una norma della
Convenzione che regolava i rapporti tra il ministero delle Poste e la Rai stabilì
che: «La pubblicità deve essere contenuta nelle forme più convenienti per non
recare pregiudizio alla bontà dei programmi» (Zanacchi, 1986).
In quegli anni venne introdotto il Carosello, messaggi pubblicitari che andavano
in onda dopo il telegiornale serale, con un format ben definito: il contenuto
pubblicitario vero e proprio poteva durare al massimo 35 secondi, da visionare
dopo un filmato di 100 secondi nei quali il nome del prodotto o della marca non
potevano essere menzionati.
Nonostante tutte le cautele pedagogiche Carosello, in quanto contenitore
pubblicitario, destava sempre paura e sconcerto, tanto che il mondo educativo
era giunto a bollare questo contenitore come «scuola permanente di
diseducazione e di massificazione» (Sigurtà, 1968).
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La ricerca della qualità televisiva avvalendosi della censura di comportamenti
dannosi per i telespettatori si ripercosse anche sulla pubblicità: infatti anche il
Carosello da quando fu introdotto nella programmazione si dovette attenere a
regole molto restrittive sui contenuti pubblicitari:infatti non dovevano riprodurre
scene dove si rimandava a disonestà, il vizio o il delitto.
Carosello non scomparve nel 1976 per le critiche, ma perché cambiò
radicalmente l‟intero sistema della pubblicità e la suddivisione delle risorse tra i
suoi differenti mezzi.
1.2 1975: la fine del monopolio Rai
Il 1975 segnava la fine dell‟era monopolistica Rai nel settore radiotelevisivo
italiano.
Lo scenario competitivo nel settore televisivo stava cambiando fortemente, in
linea con gli altri paesi europei.
Le priorità si spostavano dall‟educazione del popolo all‟ottimizzazione degli
ascolti, considerato che si entrava nel boom economico e le pressioni del mondo
pubblicitario erano forti.
La Riforma Rai aprì questo periodo introducendo importanti novità, approvate
solo in parte e così riassunte:
- “la Rai resta società per azioni, non diviene un ente pubblico;
- la gestione della Rai passa dal governo al Parlamento che può eleggere,
attraverso un‟apposita commissione parlamentare, dieci membri del
consiglio di amministrazione della Rai (gli altri sei sono eletti dall‟IRI e
dalla SIAE). L‟idea che sostiene questa trasformazione è garantire il
pluralismo;
- la Rai non può trasmettere più del 5% di comunicazione commerciale sul
monte ore di trasmissione;
- si deve dare accesso ai programmi realizzati dai liberi cittadini;
- alle regioni è data la possibilità di indicare quattro dei candidati per il
consiglio di amministrazione della Rai;
- il primo e il secondo canale sono messi in concorrenza tra di loro ( prima
erano complementari);
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- si stabilisce la nascita della Terza Rete Rai entro il dicembre del 1978
(effettivamente attiva dal 12 dicembre 1979) che avrà carattere regionale;
- le televisioni locali via cavo non si possono interconnettere tra loro e il
loro bacino di utenza massimo è di 15.000 utenti;
- le televisioni straniere possono trasmettere in Italia a patto che non
disturbino il segnale Rai e non raccolgano pubblicità nel territorio
italiano” (Grasso e Scaglioni, 2003, 373).
Da queste premesse nacquero vere e proprie rivoluzioni nel mondo televisivo
culminate nella sentenza 202 del 1976 che decretò la liberalizzazione dell‟etere.
Nell‟era del «boom economico» le tv locali proliferavano fortemente. Le
imprese iniziavano a investire nella comunicazione e le tv locali erano il mezzo
più idoneo per farlo. Il mercato inesplorato delle emittenti locali era appetibile
alle concessionarie pubblicitarie che però ricevevano spazi pubblicitari basati
sulla fiducia privi di indici di qualità, ricercati in seguito su idea di Indraccolo,
consigliere delegato della STP (Società Trasmissioni Pubblicitarie), che propose
per la prima volta ricerche tra il pubblico locale per capire l‟entità degli ascolti
televisivi. Dalle indagini telefoniche si passò così a quelle condotte da una
società denominata Istel che pubblicava mensilmente i diari di ascolto, “un
resoconto dei consumi di televisione che le famiglie di un campione si
impegnano a compilare quotidianamente per 14 giorni, indicando nel dettaglio di
riferimento di quindici minuti quale emittente ha guardato di più delle altre”
(Casetti- Di Chio, 2001, 36). Grazie a queste indagini le concessionarie
pubblicitarie potevano disporre di un nuovo strumento di analisi per motivare
così gli investimenti fatti. In quegli anni di anarchia televisiva dove nascevano e
morivano una miriade di emittenti locali fecero capolino importanti imprenditori
come Berlusconi (partito con Telemilano per poi trasformarla in Canale 5 nel
1978), Rusconi con Italia 1 e Mondadori con Rete 4: questi ultimi due, a causa
forti indebitamenti, cedettero le proprie reti a Berlusconi che nel 1984 era già
proprietario di tre reti televisive, come al giorno d‟oggi1.
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Possiede anche Tele Cinco in Spagna