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CAPITOLO 1
Introduzione
Per secoli la semina diretta in campo ha rappresentato la base della
coltivazione di gran parte delle specie vegetali. Negli ultimi decenni si è assistito
ad una progressiva sostituzione della semina, in campo o in serra, con il trapianto
di piantine allevate in vivaio, prevalentemente in pani di terriccio pressato di
forma cubica o alveolare. Ciò è particolarmente vero per l’orticoltura, dove questa
tendenza è dettata da precise esigenze economiche, legate alla possibilità di
anticipare la produzione, di garantire un migliore investimento e di ottimizzare la
produttività. Tuttavia il ricorso alla semina diretta non è stato completamente
abbandonato e rimane in diversi contesti produttivi, o una valida alternativa al
trapianto, o la soluzione migliore attualmente praticabile.
A tale riguardo possiamo evidenziare come, per le colture destinate al
trapianto, l’allevamento in serra, permetta di modificare favorevolmente le
condizioni climatiche, consentendo così di ottimizzare la nascita delle piantine e
favorendo la rapidità, l’uniformità e la percentuale di germinazione. La
coltivazione di semenzali riduce anche la quantità di seme necessaria per unità di
superficie coltivata, migliora la qualità del materiale di propagazione in termini di
sanità, determina un raccorciamento del ciclo colturale e facilita la
programmazione dei calendari di produzione. Questo elimina i principali problemi
legati ad una germinazione scalare, lenta e parziale che si verifica quando, in
pieno campo le condizioni meteorologiche sono avverse o non ottimali.
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Disporre di una semente di qualità è il primo requisito per il successo di
una coltura. Oltre a presentare un’elevata germinabilità, le sementi devono avere
un tempo medio di germinazione piuttosto breve e dimostrare una buona
uniformità germinativa. Tali caratteristiche, al di la dei fattori intrinseci della
specie, dipendono in larga misura, dalle condizioni in cui il seme è stato prodotto
(quindi dalla tecnica di coltivazione, all’ambiente di produzione ed in particolare
dalle modalità di raccolta), nonché dalle modalità di conservazione.
Le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche del terreno
condizionano la scelta delle colture; esistono specie con ampie possibilità di
adattamento e specie che esigono terreni di determinate caratteristiche. In rapporto
alle condizioni edafiche delle piante, è da rilevare che, un eccesso di fertilità del
terreno, favorisce lo sviluppo vegetativo a scapito di quello riproduttivo; oltre a
questo, una vegetazione molto rigogliosa può determinare scarsa produzione di
fiori con conseguente riduzione della produzione di seme.
Per quanto riguarda l’ambiente di coltivazione, oltre al tipo di terreno,
fondamentale è l’esame dei fattori ambientali. Condizioni ottimali per una coltura
da seme, sono rappresentate da ventilazione moderata (che favorisce
l’impollinazione anemofila ed il volo dei pronubi), precipitazioni piovose
moderate (soprattutto dalla fioritura in poi) e umidità relativa moderata (così da
evitare lo sviluppo di malattie crittogamiche).
La densità di investimento della coltura da seme, generalmente inferiore a
quella ritenuta ottimale per la normale produzione, offre una serie di vantaggi
(dalla maggiore disponibilità di spazio, con conseguente influenza positiva
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sull’attività fotosintetica e sull’impollinazione, ad una facilitazione delle diverse
operazioni colturali, tra cui la difesa sanitaria e la raccolta); altri elementi
fondamentali della tecnica di coltivazione sono l’isolamento della coltura e la lotta
alle infestanti.
La raccolta delle sementi deve essere effettuata all’epoca della completa
maturazione fisiologica. Questa è un’operazione molto delicata e, allo scopo di
evitare microlesioni al seme, è fondamentale una messa a punto delle macchine
impiegate per ciascuna specie.
La vitalità delle sementi diminuisce nel tempo; la possibilità di mantenerne
l’efficacia fisiologica dipende, in modo prevalente, da un’idonea conservazione.
La tecnica di conservazione interessa due aspetti principali: il mantenimento
dell’integrità fisica del seme e la difesa della vitalità. Questo secondo aspetto è
influenzato dalla temperatura e dall’umidità che, oltre certi limiti ottimali per la
conservazione, possono provocare una rapida perdita della germinabilità dei semi
(Favero, 1983).
Le caratteristiche germinative riscontrate nelle prove di laboratorio,
spesso non corrispondono però all’emergenza realmente ottenuta in vivaio (questo
è ancor più vero in pieno campo), dove si riscontrano condizioni che, ovviamente,
non possono uguagliare quelle ottimali, riproducibili per ciascuna specie, solo in
laboratorio (Magnani et al., 1990).
L’esigenza di adeguate strutture per la regolazione dei fattori pedoclimatici
durante l’accrescimento iniziale della piantina e la necessità di un avanzato livello
professionale, ha determinato lo sviluppo di aziende vivaistiche specializzate. La
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produzione in vivaio di piantine destinate al trapianto, rappresenta però un
aggravio di non lieve entità delle spese colturali. Molte specie ortive a seme
piccolo normalmente impiegano molto tempo per l’emergenza; per i vivaisti la
possibilità di ridurre il periodo di cura per le piantine consentirebbe di aumentare
il turn over e ridurre i costi di produzione.
Il periodo compreso tra l’inizio della germinazione e l’emergenza è una
fase molto delicata nel ciclo della coltura non solo per una minore capacità di
difesa delle piante dalle avversità biotiche ed abiotiche ma anche perché le
reazioni biochimiche che si svolgono in tale fase sono notevolmente influenzate
da fattori ambientali quali la temperatura, la disponibilità di acqua, ossigeno e
luce. Il seme cioè trova maggiori difficoltà a compiere il delicato processo
germinativo, con ripercussioni negative sull’emergenza che risulta più lenta e
disforme, e sullo sviluppo successivo delle piantine.
La ricerca si sta occupando del miglioramento delle tecnica colturale
vivaistica; in questo contesto rientrano i trattamenti pregerminativi, che nati per la
semina diretta in pieno campo, possono essere utilizzati nell’ambito del vivaismo
per una migliore gestione del vivaio e una riduzione dei costi, senza alcuna
modifica delle dotazioni strutturali preesistenti (Giulianini et al., 1992). Si tratta di
tecniche basate sul principio di indurre e soprattutto controllare la prima fase del
processo germinativo, facendolo svolgere in condizioni ottimali di temperatura,
luce e umidità.
L’utilizzo delle tecniche di pregerminazione consente di ottenere del seme
che ha totalmente o in parte già compiuto il delicato processo germinativo e
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garantisce un’emergenza più rapida ed omogenea anche in condizioni sfavorevoli.
I trattamenti pregerminativi che sincronizzano e promuovono la germinazione,
non sono altro che trattamenti fisici che consentono una lenta germinazione dei
semi fino a completare un primo stadio del processo germinativo; si possono così
ottenere piantine in un tempo ridotto, anche da semi che per le caratteristiche
intrinseche della specie presenterebbero una germinazione lenta e poco uniforme.
Evidenti sono i vantaggi che si ottengono con un materiale sementiero già pronto
all’emissione del germinello e che vanno dal risparmio di sementi e di mano
d’opera ad una migliore qualità delle piantine prodotte.
1.1 Trattamenti pregerminativi
In generale per conseguire risultati colturali soddisfacenti, e tanto più
nell’attività di produzione delle piantine, è determinante predisporre di sementi
che abbiano un elevato potere germinativo ma soprattutto un elevato vigore
germinativo o energia germinativa. La letteratura definisce il vigore germinativo
come un requisito del seme che ne permette, dopo che è stato posto a dimora, la
più o meno rapida germinazione in un’ampia gamma di condizioni ambientali
comprendenti anche condizioni non ottimali. I fattori che possono influenzare
questo carattere sono il corredo genetico, le condizioni ambientali nelle quali si è
sviluppata la pianta madre, lo stadio di maturità del seme al momento della
raccolta, le sue dimensioni e il suo peso, gli eventuali danni a carico dei tegumenti
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o dei cotiledoni (provocati soprattutto dalla raccolta meccanica), il grado di
invecchiamento e lo stato sanitario (Perry, 1978).
Per valutare il vigore di una semente si ricorre a prove indirette come il
test del tetrazolo e prove dirette studiando il comportamento reale del seme
durante la germinazione o l’emergenza, sia in condizioni favorevoli che
sfavorevoli. In queste seconde prove si tiene conto di tre parametri: potere
germinativo, tempo medio di germinazione (TMG) e uniformità di germinazione.
Un equilibrato sviluppo della pianta madre, la raccolta del seme a completa
maturazione, una conservazione in condizioni ottimali di temperatura e umidità
sono i presupposti che permettono di ottenere una semente di eccellente qualità.
Per migliorare ulteriormente le caratteristiche germinative sono stati
studiati una serie di trattamenti pregerminativi da eseguire prima della semina, che
pur sfruttando principi diversi, hanno in comune l’obiettivo di soddisfare in
condizioni controllate le esigenze che il seme manifesta in termini di acqua, luce e
ossigeno durante le prime fasi del processo germinativo fino all’emissione della
radichetta e anche oltre. In queste prime fasi, infatti, le condizioni ambientali
possono risultare limitanti per la germinazione, rendendo il seme suscettibile di
attacchi parassitari non sempre controllabili con la concia.
I risultati che si ottengono seguendo questi trattamenti non si riflettono
tanto sull’aumento della percentuale di germinazione, quanto sull’incremento
dell’energia germinativa (TMG) e dell’uniformità, che si traduce nella possibilità
di ottenere in vivaio una più rapida e omogenea emergenza delle plantule.