colpite invece da un'imposta proporzionale.
1
In un contesto così configurato, si deve anche tener conto della
circostanza, non secondaria, che la legislazione tributaria
italiana, nel campo delle rendite finanziarie, ha dato ampio
spazio ad un complesso d’imposte sostitutive ad aliquota
proporzionale. Nella loro neutralità apparente, imposte del tipo
di quelle in discorso producono pur sempre effetti diversificati
sul trattamento fiscale delle persone fisiche, di segno e intensità
correlati al livello di reddito dei singoli soggetti.
Questi aspetti di regressività dell'imposizione proporzionale
che caratterizzano le rendite finanziarie, sono stati oggetto di
molteplici analisi, in taluni casi sfociate anche in proposte
politiche che prevedevano l'inserimento dei redditi in questione
nella base imponibile della tassazione personale progressiva.
Tale dibattito dottrinale sui principi ispiratori e sui cardini
fondamentali delle forme d’imposizione del risparmio si è
riacceso in Italia a seguito della riforma della tassazione delle
1
La fattispecie tributaria, in Trattato Amatucci, II, 1994
attività finanziarie entrata in vigore il primo luglio 1998.
2
I risultati conseguiti nell'attuale struttura del nostro
ordinamento sono il frutto di più di vent'anni d’elaborazione e
discussione nelle sedi istituzionali. Il sistema adottato dalla
riforma del 1974 fu quello dell'effettiva esenzione per i proventi
dei titoli pubblici ed equiparati e della tassazione cedolare per
la maggior parte degli altri proventi. L'esclusione dalla
tassazione dei titoli pubblici in mano ai privati fu motivata
dalla preoccupazione delle ripercussioni negative che, in
presenza di elevati livelli di inflazione e di crescente disavanzo
dello Stato, si sarebbero altrimenti determinate sulla domanda
dei titoli pubblici da parte dei risparmiatori. Le esigenze di
sostegno della domanda nel comparto dei titoli obbligazionari
pubblici furono ritenute prevalenti rispetto ai principi
d’uniformità della tassazione del risparmio e di neutralità
impositiva.
3
Dalla metà gli anni '80 il quadro di riferimento internazionale
2
Vd. Le monografie del corriere tributario 1998, parte I, “Processo di riordino della tassazione sui
redditi finanziari”.
3
Dinamica e storicità nei principi di Marshall, di Dardi M. E GAY A., Relazione Società Italiana
degli Economisti, Roma, 2 novembre 1990
muta e, dopo un intenso dibattito nel 1986 si pervenne alla
tassazione anche degli interessi dei titoli pubblici, sicché il
sistema della cedolare applicata dalle emittenti, divenne in
sostanza la norma per la maggior parte dei redditi di capitale.
Numerosi interventi di carattere particolare si sono poi
succeduti nel tempo prima di giungere ai disegni di riforma
complessiva. Tali interventi si sono mossi più che altro nel solco
della neutralità e della semplificazione mostrando anche una
crescente attenzione alla posizione concorrenziale del sistema
Italia con riferimento ad un’efficiente gestione dello stock di
debito pubblico detenuto da investitori non residenti.
4
La
riforma del 1996 (decreto legislativo primo aprile 1996 n. 239)
rappresenta un punto di svolta in questo processo evolutivo: la
scelta di spostare il momento di effettuazione del prelievo
dall'emittente agli intermediari è il presupposto necessario per
le rilevanti innovazioni sia dal punto di vista interno sia sul
piano internazionale. Infatti, l'unica via che permette di
prendere in considerazione la situazione soggettiva del
4
Vd. “Considerazioni in tema di riordino della tassazione dei redditi di capitale” di ROBERTA
RINALDI in Rivista di diritto finanziario e scienze delle finanze, LVIII, 1,I, 1999.
percipiente è quella di spostare l'onere del prelievo sugli
intermediari, cioè su coloro che entrano naturalmente in
contatto con il beneficiario dei proventi non più come soggetti
incaricati del servizio di cassa per conto dell’emittente, ma
come veri e propri responsabili di imposta. Diviene così
possibile limitare il prelievo alla sola categoria di soggetti che
devono restare effettivamente incisi dall'imposta sostitutiva, e
cioè le persone fisiche residenti, mentre per le imprese residenti
la tassazione è rinviata in sede di dichiarazione annuale, al
momento della naturale concorrenza di tali redditi con gli altri
componenti positivi e negativi del reddito d'impresa.
5
Per i
soggetti non residenti, lo Stato italiano decide unilateralmente
di garantire un'esenzione sui redditi percepiti. La tassazione
delle rendite finanziarie assume così rilievo di fronte alla
globalizzazione della finanza. Il rischio, in parte ineludibile,
nella competizione fiscale per il risparmio impone, infatti,
sistemi di tassazione non penalizzanti rispetto a quelli degli
altri paesi. Il contenimento della fuoriuscita di risorse e della
5
Il principio di divieto di discriminazione nella fiscalità internazionale. Diritto e pratica
tributaria n°4 parte III
perdita di gettito potrebbe conseguirsi attraverso una più stretta
integrazione dei sistemi tributari e, a livello europeo,
l'armonizzazione dei sistemi e il coordinamento attraverso lo
scambio d’informazioni potranno far molto, ma l'adeguamento
ricade in primo luogo sugli ordinamenti nazionali.
6
La riforma si realizza nel corso del 1997 con il decreto
legislativo del 21 novembre, n. 461 (nota come "riforma Visco")
ed entra in vigore il primo luglio 1998. Un'ulteriore intervento,
adottato con il decreto legislativo 16 giugno 1998, n. 201
(cosiddetto "correttivo"), ha contribuito a meglio definire alcuni
aspetti rilevanti ai fini dell'applicazione del nuovo sistema
impositivo, anche tenendo conto delle osservazioni e degli
orientamenti espressi da operatori ed esperti della materia. Il
nuovo modello allarga il prelievo anche a quei redditi finanziari
che fino allora non erano stati ricompresi nell'ambito impositivo
(ad esempio le plusvalenze sui titoli obbligazionari, su valute e
sui metalli preziosi, ed i proventi dei contratti derivati).
Attraverso apposite norme di chiusura, la tassazione è inoltre
6
Vd. “Revisione della disciplina dei redditi di capitale” di PIETRO ANELLO e MARIA GRAZIA
CORVAGLIA in Inserto Corriere Tributario n°13/1998.
estesa a fattispecie non tipizzate, al fine di colpire potenziali
comportamenti elusivi attuati mediante la stipula di nuovi
contratti o comunque attraverso operazioni che permettano di
conseguire redditi equivalenti a quelli derivanti da altre attività
finanziarie.
7
Tuttavia, anziché tentare di conseguire il prelievo
attraverso l'inclusione dei redditi finanziari nella base
imponibile ai fini dell'imposta personale progressiva, com’è
riscontrabile in alcuni paesi dell'Unione Europea, il legislatore
ha preferito confermare la strada del ricorso a forme
d’imposizione sostitutiva di tipo proporzionale. Il modello
dell'imposizione sostitutiva a cura d’intermediari bancari e
finanziari - già in precedenza sperimentato nell’intervento del
1996 - è stato ora adottato sia per i redditi di capitale, sia per i
redditi diversi. Tale scelta, se da una parte è suscettibile di
riaccendere il dibattito teorico sull'equità tributaria, dall'altra
assicura una condizione d’indifferenza nelle scelte di
portafoglio degli investitori e semplifica di molto le operazioni
di prelievo. Esigenze di praticità, infatti, hanno indotto il
77
Aspetti economici dell’elusione fiscale, di Russo V., Studi Parmensi vol. XXX, Cedam, Padova,
1992
legislatore a mantenere il sistema del prelievo attraverso i
meccanismi delle ritenute alla fonte e delle imposte sostitutive,
l'applicazione delle quali poteva essere assicurata solo
attraverso una netta separazione dei proventi fra redditi di
capitale e redditi diversi. Per i redditi di capitale, infatti, la base
imponibile è costituita dai proventi percepiti al lordo degli
eventuali costi ed oneri ad essi relativi, prestandosi, per sua
stessa natura, ad essere assoggettata a tassazione mediante
cedolari o ritenuta alla fonte.
Per quanto concerne, invece, i redditi diversi, la base imponibile
si determina al netto dei costi ed oneri necessari alla loro
realizzazione risultando, di conseguenza, poco incline ad una
tassazione alla fonte.
8
La scelta di mantenere in vita la distinzione fra redditi di
capitale e redditi diversi dunque, non risponde tanto ad
un'esigenza di ricalcare un modello ideale di riferimento,
quanto alla necessità di delineare scelte semplici che consentano
un livello di tassazione con aliquote non penalizzanti ed in
8
Il Fisco prende la sua parte, di CLAUDIO SARACENI, 23/11/1998
linea, con i livelli di tassazione vigenti all'estero sui redditi
finanziari.
9
Altre legislazioni - in particolare, quelle di cultura anglosassone
- hanno seguito una via, indicata soprattutto dagli economisti,
diversa da quella della diversificazione tra plusvalenze
finanziarie (reddito - entrata) e redditi di capitale (reddito -
prodotto). Negli Stati Uniti, ma anche in diversi paesi del Nord
Europa, si è creata, infatti, un'unica categoria di redditi
finanziari (capital income), comprensiva tanto dei redditi di
capitale quanto dei redditi diversi. In Italia, invece, fino
all'entrata in vigore del T.U.I.R., il nostro sistema di tassazione è
stato costruito ignorando il concetto di redditi entrata e
puntando esclusivamente sulla nozione, più ristretta, di reddito
prodotto, di quel reddito, cioè, che deriva direttamente dallo
svolgimento di un'attività produttiva o, più in generale da una
fonte produttiva. Solo con l'introduzione del testo unico si è
introdotta, seppur timidamente la nozione di reddito entrata
(l’ammontare di risorse che un individuo può consumare senza
9
Vd. “Memoria sulla tassazione delle attività finanziarie” di PIERLUIGI CIOCCA in Rassegna
tributaria 5/1998.
intaccare la sua ricchezza), riconducendo ad essa ogni
plusvalenza indicata nell'articolo 81. Il legislatore del 1997, a
sua volta, ha preferito non condurre fino alle estreme
conseguenze quest'evoluzione accomunando in un'unica, più
generale nozione di reddito le due categorie. Così facendo,
infatti, avrebbe creato all'interno del testo unico, due "spezzoni"
anomali di reddito: da un lato, quello dei redditi prodotti -
redditi di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa e
fondiario - e, dall'altro, quello delle rendite finanziarie
comprensivo sia dei redditi (prodotti) di capitale che dei redditi
(entrata) diversi.
In conclusione dunque, la scelta di mantenere questa
distinzione appare coerente sia da un punto di vista di politica
fiscale, sia da un punto di vista tecnico - giuridico.
10
10
Vd. “La nuova fiscalità del risparmio: razionalizzazione e prospettive” di MATILDE CARLA
PANZERI in Rassegna Tributaria 6/1998.
CAPITOLO II
I redditi di capitale
Nozione e qualificazione dei redditi di
capitale; problematiche definitorie, in
particolare la nozione fiscale di reddito da
capitale, analisi art.41 t.u.i.r. varie fattispecie
e profili critici; disciplina delle ritenute alla
fonte; alcune problematiche applicative
sulla tassazione dei dividendi; Tavole
sinottiche.
Secondo la dottrina giuridica prevalente in Italia, e in larga
parte anche in Europa, i redditi di capitale costituiscono la
remunerazione per l'utilizzo del capitale da parte di un terzo.
Questa formulazione corrisponde sostanzialmente a quella di
"frutto civile" che ritroviamo al comma terzo dell'articolo 820
cod. civ.: "Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come
corrispettivo del godimento che altri ne abbia".
Le caratteristiche generali del frutto civile e sono:
o La determinazione, si deve trattare cioè, di un
corrispettivo certo e preciso che deve derivare da un rapporto
giuridico di cui la cosa produttiva è oggetto. Il suo ammontare è
così determinato dallo stesso negozio giuridico produttivo del
frutto, e viene ad esistere solo nel momento in cui si separa
dalla cosa produttiva;
o la normalità o ordinarietà, cioè che si tratti di un
corrispettivo ordinario e non eccezionale o straordinario
della cosa produttiva;
o la riproducibilità, nel senso che, la cosa produttiva del frutto
non si consuma e mantiene la capacità di produrre nel tempo
altri frutti.
In pratica, il frutto, deve rappresentare un'utilità, una nuova
ricchezza, che materialmente ed economicamente è separata
dalla fonte produttiva costituita dal capitale. Questa nuova
entità può così essere assoggettata all'imposta nel momento in
cui, avvenuto il distacco, rappresenta un arricchimento, in
misura certa e determinata nell'ammontare, del soggetto titolare
del_capitale.
11
Nell'ordinamento giuridico italiano la definizione di reddito di
capitale la troviamo nell'articolo 41 del t.u.i.r. Tale articolo
fornisce un elenco dettagliato di categorie nelle quali sono
ricomprese tutte le fattispecie riconducibili alla nozione di
redditi di capitale. Nella stesura precedente alle modifiche
introdotte con il decreto legislativo numero 461/1997 si era
sempre ritenuto che i redditi di capitale fossero i redditi
(prodotti) identificati in modo tassativo ed esplicito nelle lettere
da a) a h) dello stesso articolo. In fase applicativa quindi, si
doveva semplicemente procedere ad un atto d’inquadramento
della singola operazione finanziaria nella pertinente lettera
dell'articolo 41; ove nessuna lettera fosse stata adatta, si sarebbe
dovuto, di conseguenza, disconoscere al provento in questione
la natura di reddito di capitale.
12
Non esisteva in pratica, una
vera e propria norma di chiusura che dava una definizione
onnicomprensiva dei redditi di capitale. In particolare, la
precedente stesura della lettera h) - che qualificava come redditi
11
Vd. “Il prelievo fiscale sui redditi finanziari” di FRANCO CAVALLARI.
12
Il riordino della tassazione delle rendite finanziarie di Fabio Fortuna
di capitale gli altri interessi non aventi natura compensativa e
"ogni altro provenuto in misura definita derivante da impiego di
capitale"- non dava luogo propriamente ad una norma generale
residuale, come pure poteva a prima vista sembrare, ma, al
contrario, ad una fattispecie ulteriore rispetto alle altre lettere.
Secondo quanto affermato dalla sentenza della cassazione n.
2245 del 31 ottobre 1997, infatti, "misura definita" era da
intendersi come misura predeterminata o predeterminabile, e
cioè "determinata o determinabile dalle parti contraenti in via
negoziale": trattavasì, quindi delle somme accomunabili agli
interessi per il fatto di avere un ammontare noto o
predeterminabile fin dal tempo della stipulazione.
13
Nel suo
riferimento esclusivo ai proventi non variabili, la lettera h), non
poteva considerarsi residuale; ad esempio, non era tale rispetto
agli utili, cioè rispetto a somme che non hanno misura
contrattualmente definita e non sono predeterminate o
predeterminabili. Se, quindi, l'utile era già tassabile perché
previsto da altre lettere dell'articolo 41, lo stesso non poteva
13
La nozione dei redditi di capitale alla luce del D.LGS. 21/11/1997 n°461 di FRANCO GALLO in
Diritto e Pratica tributaria.
dirsi per somme di diversa natura, ma affini agli utili.
14
Questo era il caso, per esempio, delle somme che il mandatario
rimette al mandante in base ad un mandato di gestione
patrimoniale (purché ovviamente il mandatario non sia un
investitore istituzionale). Sappiamo, infatti, che se in base ad un
mandato senza rappresentanza, un soggetto (mandante)
conferisce un patrimonio in gestione discrezionale ad altro
soggetto (il mandatario), quest'ultimo ne ha la piena
disponibilità giuridica e ne diviene, quindi, titolare, salvo
ovviamente l'obbligo di restituzione del capitale e degli utili di
gestione; la produzione di tali utili quindi, dovrà essere
imputata al mandatario e non al mandante. Quando poi, il
mandatario provvederà a retrocedere tali utili al mandante,
costui non realizzerà un reddito di capitale poiché tali utili non
hanno certamente una misura determinata o determinabile
all'atto della stipula del mandato. Quest'esempio certamente ha
scarso rilievo pratico, tuttavia è interessante dal punto di vista
teorico poiché mostra in modo evidente una delle lacune del
14
Problemi e prospettive della tassazione dei Capital Gains in Italia, di RUSSO V., in
Diritto e Pratica Tributaria, Cedam, Padova, 1992.