contesto diverso da quello della famiglia e del rapporto di dipendenza fra padre
e figlio. La dipendenza ora si muta in collaborazione, ed è un cambiamento di
prospettiva non facile, soprattutto per la generazione adulta.
Nel prosieguo di questo scritto si analizzeranno proprio queste tematiche,
cercando di individuare nei protagonisti, nelle persone a fianco di questi, e nel
processo di inserimento del successore le vie migliori per fare in modo che il
lungo processo di successione imprenditoriale sia positivo e fruttuoso per le
persone coinvolte e per l’azienda di famiglia.
La successione a cui si pensa in questo lavoro è, però, quella
imprenditoriale. Si tratta di succedere nell’organo imprenditoriale e non di
trovare lavoro alle dipendenze del padre. Essere imprenditori non vuole dire
solo svolgere un lavoro prestabilito, ma inventarsene uno nuovo, magari mai
svolto da nessuno in quel modo.
La stessa etimologia del termine ci chiarisce che essere imprenditori
significa fare qualcosa di nuovo, e questo vale anche per la giovane generazione
rispetto a ciò che è stato fatto dalla vecchia, se si tratta di successione
imprenditoriale.
Tutto ciò significa che nel processo imprenditoriale di successione la
giovane generazione necessariamente porta nell’azienda di famiglia della
novità, fa evolvere qualche componente del sistema, sia esso la produzione, o la
gestione delle persone, o gli strumenti di marketing, o qualsiasi altra parte di
quel complesso sistema cognitivo chiamato impresa.
Nel processo di successione imprenditoriale allora questo sistema
cognitivo subirà un’evoluzione, uno sviluppo di conoscenza per, ad esempio, il
lancio di nuovi prodotti, o l’introduzione di un sistema di controllo di gestione,
o per nuovi accordi distributivi o produttivi.
E’ logica conseguenza che il patrimonio di conoscenze su cui si regge il
funzionamento dell’azienda di famiglia abbia a mutare, a svilupparsi e evolversi
di pari passo con la maggior influenza che il successore avrà
sull’organizzazione. Solo però, è importante ribadirlo, se la successione è
imprenditoriale, non ‘proprietaria’ o ‘lavorativa’, nel senso di ripetere
meccanicamente le azioni della generazione al potere.
Il collegamento evidenziato nel titolo dello scritto appare quindi evidente,
se c’è successione imprenditoriale, allora essa è intimamente legata allo
sviluppo di conoscenza nell’impresa familiare. Dopo aver analizzato le
principali teorie organizzative di produzione di conoscenza nell’impresa, si
cercherà di studiare la realtà del passaggio generazionale con le lenti dello
sviluppo di conoscenza nell’impresa familiare.
Si è andati in verità anche un poco più in là, affermando nel capitolo
conclusivo che questo tipo di successione può fondare la ‘speranza della
condotta futura’ della giovane generazione per assicurare all’azienda e, perché
no, anche al buon nome della famiglia una continuità stabile nel fluire delle
generazioni umane.
Per questo si è teorizzato uno sviluppo umano del successore, ricorrendo
alla metafora del tronco d’albero, e suddividendo la crescita in quattro ‘anelli’.
In primo luogo, uno sviluppo individuale, in cui si riflette sulla crescita
del successore in quanto individuo unico e diverso da ogni altro, mettendo in
evidenza i suoi valori, la sua sensibilità, la sua personalità. Tipicamente si
guarda ai primi anni di vita.
Nel secondo anello si trova la fase formativa, che approssimativamente
rivolgerà lo sguardo dalle prime esperienze scolastiche fino all’Università o alla
frequenza di una business school.
Nel terzo anello si trova la fase aziendale. E’ uno stadio che comprende
l’ingresso in azienda e la successiva vita aziendale del successore. In questa
fase imparerà a vivere nel contesto organizzativo e a trasmettere
all’organizzazione gli impulsi e gli stimoli nuovi che provengono dalla sua
personalità e dalle sue conoscenze teoriche.
Nel quarto e ultimo anello si è posta la fase sociale, che potrebbe anche
situarsi prima dell’ingresso in azienda o parzialmente sovrapporsi, ma
comunque giunge ad un livello di maturazione personale più elevato. Si fa
riferimento all’assunzione, da parte del nuovo imprenditore, di responsabilità
fuori dall’impresa di famiglia, sia in altre aziende o associazioni di categoria
come Confindustria, che in istituzioni territoriali pubbliche rivolte alle imprese
o alla vita della comunità.
Il lavoro presente quindi vuole proporre una metodologia possibile e
concreta, per attuare il fine di ogni processo di successione aziendale: la
continuità dell’impresa di famiglia nel tempo.
2
2
Richiamiamo qui la definizione di successione imprenditoriale accolta nel presente lavoro, a pag. 22, “il
ricambio generazionale è un processo che porta al passaggio del capitale e, eventualmente, della
responsabilità nella gestione dalla generazione presente alla generazione emergente per dare continuità
all’impresa nel tempo”.
RINGRAZIAMENTI
Volevo ringraziare per aver portato a termine la tesi con soddisfazione
personale il prof. Federico Brunetti, che ha seguito pazientemente lo sviluppo
della tesi e mi ha fornito preziosi suggerimenti. Un grazie va anche al prof.
Baccarani, che ha suscitato in me con le sue lezioni la passione per le tematiche
aziendali e mi ha convinto a proseguire gli studi economici. Un grazie anche al
dott. Alberto Bauli, al dott. Michele Mura, al dott. Francesco Mazzi, al dott.
Renato Simoncelli, a Egidio Dal Colle e figlia, e a Giuseppe Vicenzi per il
tempo concessomi per l’intervista e l’aiuto nel fornirmi dei sostegni concreti
alle tesi esposte in questo lavoro.
Un ringraziamento particolare alla mia famiglia, Diego, Rita, Silvia e
Sofia per l’aiuto che mi è stato dato, in special modo ai miei genitori che mi
hanno fornito tutti i mezzi per poter lavorare e scrivere questo lavoro.
Ricordo inoltre Antonio Maino e tutti gli amici (Daniele, Lorenzo,
Silvano, Sandro, Luca…) del pensionato universitario Don Bosco a Verona che
mi ha ospitato per gli anni dell’università.
Ricordo con riconoscenza tutti gli amici ‘mantovani’ studenti a Verona per
la loro vicinanza, l’incoraggiamento e la spinta a fare sempre del nostro meglio.
Ringrazio anche Deborah per la vicinanza negli anni dell’università e
l’affetto che ha sempre avuto nei miei confronti.
Un ringraziamento e un abbraccio speciale va a Emiliano, Gabriele, Gino,
Anna, Walter, Mariella, Sergio, Ivana, Danilo, Nicola, Massimo, Charlie,
Pietro, Paolo e tutti gli amici del ‘martedì sera’ e del ‘mercoledì sera’: senza di
loro e di Lui non sarebbe stato possibile per me arrivare al giorno della laurea.
CAPITOLO PRIMO
L’OGGETTO DI STUDIO: L’IMPRESA FAMILIARE E IL
PROCESSO SUCCESSORIO
1.1. Definizioni e tipologie
1.2. La rilevanza delle imprese familiari
1.3. Ruolo e funzionamento degli organi di governo
1.4. La sovrapposizione istituzionale
1.5. Il problema della successione
La finalità del presente lavoro è lo studio dell’impresa familiare dal punto
di vista dei problemi e delle opportunità legate al ricambio generazionale nella
funzione imprenditoriale.
Un’analisi delle problematiche del passaggio generazionale nelle aziende
non può quindi che incominciare da un inquadramento teorico dell’oggetto di
questo studio: l’impresa familiare.
Il sistema economico, nel corso della storia, ha svolto in modi diversi le
funzioni di produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi. Pur
accettando una certa semplificazione del discorso, si possono dividere le
economie in preindustriali e industriali, vista la rilevanza della rivoluzione
industriale avvenuta nel XVIII secolo a partire dall’Inghilterra.
La distinzione, come scrive Bagnasco
1
, “ha comunque un fondamento.
Nelle economie preindustriali, essendo semplici le tecniche di produzione
utilizzate, la produttività del lavoro, vale a dire la quantità di un prodotto che in
media una persona può produrre in un certo tempo, era in generale più bassa.
Ne derivava che una parte importante del prodotto era in quelle società
destinata alla sussistenza degli stessi produttori, ovvero all’autoconsumo”.
In un’economia preindustriale, perciò, le famiglie consumano in larga
parte ciò che esse stesse hanno prodotto per il loro sostentamento e scambiano
con altri una parte di quanto prodotto per comprare quelle merci necessarie alla
loro vita che non sono in grado di ottenere con il loro lavoro.
Con l’intensificarsi degli scambi grazie al miglioramento dei trasporti e
l’introduzione sempre più capillare di macchinari nei processi produttivi, la
produzione gradualmente si stacca dall’ambito familiare.
Nascono le imprese, istituti economici dotati di un loro patrimonio,
generatrici di un reddito autonomo, distinte spazialmente dalle abitazioni
familiari e aventi come fine proprio la produzione di beni e servizi per
ricavarne un utile.
Nelle moderne economie di mercato si attua quindi una divisione sociale
delle diverse funzioni economiche che ha portato alla separazione fra chi
produce beni e servizi (le imprese) e chi consuma questi prodotti (le famiglie).
Si iniziano ad intravedere la presenza di distinti soggetti economici, organismi
personali, patrimoni.
2
1
Cfr. Bagnasco,Barbagli,Cavalli, Corso di Sociologia, Il Mulino, 1997, p. 490
2
Cfr. G. Corbetta, Le imprese familiari, Milano, Egea, 1995
Una distinzione così marcata è difficilmente sostenibile però anche nella
condizione odierna, a più di due secoli dalla nascita di un sistema economico
basato sul libero scambio delle merci. Si pensi ad una attività commerciale di
ridotte dimensioni (ad esempio un piccolo negozio di abbigliamento), dove la
separazione fra i locali dell’impresa e l’abitazione familiare non è così netta, il
patrimonio e gli investimenti dell’impresa si confondono con quelli della
famiglia.
I prossimi paragrafi saranno dedicati a capire quali sono i caratteri che
distinguono le imprese familiari da altre forme produttive come ad esempio le
public company o le grandi aziende a proprietà statale.
1.1. Definizioni e tipologie
Si proverà ora a dare “corpo” alla nozione di impresa familiare cercando
di discutere criticamente le proposte che vengono offerte dalla letteratura
aziendale italiana e straniera.
3
Il compito non è facile perché va ricordato che la
stessa definizione deve abbracciare una varietà di casi, che va da una grande
azienda come la Fiat, senza dubbio con un significativo grado di dipendenza
dalla famiglia proprietaria, fino al piccolo negozio di provincia o alla piccola
impresa artigiana.
Si vorrebbe quindi abbracciare una larga parte di imprese differenti quanto
a numero di addetti, fatturato, tipo di struttura organizzativa, rappresentanti
della famiglia negli organi direttivi.
Una prima definizione potrebbe essere la seguente: si dice familiare
un’impresa in cui l’intero capitale di rischio è detenuto da una famiglia e tutti i
membri prestano il loro lavoro nell’impresa.
3
Il lavoro si limiterà a considerare i contributi della dottrina aziendale. Non viene quindi accolta in questo
lavoro la definizione di impresa familiare del Codice Civile che all’art. 230 bis dice che: “…il familiare
che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto
al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa
familiare…ai fini delle disposizioni di cui al primo comma si intende per impresa familiare quella in cui
collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo ” . La finalità del
legislatore è la tutela del lavoro svolto senza un contratto di lavoro subordinato, ma per solo vincolo di
parentela. La nozione di impresa familiare accolta nel Codice però richiede la effettiva partecipazione
all’attività non solo del coniuge, ma anche di altri familiari (…parenti entro il terzo grado e affini entro il
secondo). Nello scritto si vorrebbe invece far rientrare nella definizione anche quelle imprese dove ad
esempio lavorano solo i due coniugi e nessun altro membro della famiglia
Questa definizione, accolta in passato dalla dottrina
4
, pare troppo
restrittiva non considerando la possibilità di avere più famiglie detentrici del
controllo e di considerare familiari anche le imprese dove il lavoro dei membri
di una o più famiglie sono affiancati da manager professionisti.
Questa sia pur troppo restrittiva definizione aiuta a mettere in evidenza
due criteri, almeno uno dei quali si trova nelle differenti definizioni degli
studiosi:
1. Il grado di controllo, sul capitale di rischio, di una o più famiglie
legate fra di loro da legami di parentela o affinità;
2. Il grado di coinvolgimento dei membri appartenenti alla famiglia o
alle famiglie nel lavoro dell’azienda. Il lavoro prestato può essere
sia manuale che direttivo;
La definizione precedente mette bene in evidenza, da un lato, il controllo
totale del capitale da parte di una sola famiglia e, dall’altro, il coinvolgimento
di tutti i membri nell’attività imprenditoriale.
Rimuovendo le semplificazioni e accettando come rientranti nel novero
delle imprese familiari anche altre fattispecie, si trovano le diverse definizioni
di vari studiosi dell’impresa familiare.
Dyer
5
pone l’accento su tutti e due gli aspetti quando scrive che “una
impresa familiare è una organizzazione nella quale le decisioni riguardanti la
proprietà e il management sono influenzate dalle relazioni con una famiglia o
poche famiglie”.
Schillaci
6
considera anch’essa i due criteri quando dice che “per impresa
familiare si intende una attività imprenditoriale che possa intimamente
identificarsi in una famiglia (od anche in più di una famiglia), per una o più
generazioni. L’influenza della famiglia sull’impresa è legittimata dalla
titolarità di tutto o parte del capitale di rischio ed esercitata anche attraverso la
partecipazione di alcuni dei suoi membri al management”.
4
Cfr. G. Dell’Amore, Le fonti del risparmio familiare, Milano, Giuffré, 1962, in G. Corbetta, op. cit.,
1995
5
W.G Dyer , Cultural Change in Family Firms, San Francisco, Jossey-Bass, 1986, in G. Corbetta, op.
cit., 1995, p. 18
6
C. E. Schillaci, I processi di transizione del potere imprenditoriale nelle imprese familiari, Torino,
Giapichelli, 1990
Gennaro
7
si rifà solo al secondo criterio quando differenzia imprese
familiari e non sulla base “non tanto dell’origine del capitale quanto
l’occupazione delle posizioni di controllo dell’impresa”.
All’opposto Corbetta e Demattè
8
, considerano solo il primo dei due
aspetti: “un’impresa si definisce familiare quando una o poche famiglie,
collegate da vincoli di parentela, di affinità o da solide alleanze, detengono una
quota del capitale di rischio sufficiente ad assicurare il controllo dell’impresa”.
Per le finalità proprie di questo scritto, è importante accogliere una
definizione di impresa familiare che tenga conto di tutti e due i criteri sopra
evidenziati. Se infatti si accogliesse la definizione data da Corbetta e Demattè,
dovremmo includere fra le imprese familiari anche quelle dove nessun membro
della famiglia partecipa direttamente alla gestione.
L’impresa in questo caso è vista dalla famiglia come semplice occasione
di investimento del proprio patrimonio e quindi essa è estranea ai problemi che
pone una successione imprenditoriale. Non si pone la questione di educare un
giovane familiare all’arte di gestire una azienda, ma solamente la trasmissione
giuridica di quote o azioni di proprietà della famiglia.
Quest’aspetto non è affrontato in questo lavoro, perché si porrà attenzione
sulle tematiche gestionali e non giuridiche di successione nell’organo e
nell’attività imprenditoriale.
Dopo aver scorso alcune tra le principali posizioni dottrinali, si propone
una definizione che sarà utilizzata nel prosieguo dello scritto:
un’impresa si definisce familiare quando una quota del capitale di rischio
sufficiente a garantire il controllo dell’impresa è posseduta da una o più
famiglie e uno o più membri di queste famiglie lavorano all’interno di questa,
prestando il loro lavoro direttivo ed eventualmente anche manuale.
Da quanto detto si può notare che:
o non c’è alcun riferimento alla dimensione dell’attività
aziendale, potendo rientrare in questa definizione una grossa
7
P. Gennaro, “Le imprese familiari di grandi dimensioni in Italia”, Sviluppo e Organizzazione, n°87,
1985, in S. Tomaselli, Longevità e Sviluppo delle imprese familiari, Milano, Giuffrè, 1996
8
C. Demattè- G. Corbetta, I processi di transizione delle imprese familiari, Milano, Mediocredito
Lombardo, 1993, p. 5 in G. Corbetta, op. cit., 1995, p.20
multinazionale come un piccolo esercizio commerciale al
dettaglio;
o si evidenzia il forte legame di dipendenza delle sorti
dell’impresa da quelle della famiglia;
o uno o più membri della famiglia sono coinvolti nell’attività
operativa dell’impresa;
o le relazioni familiari costituiscono uno dei fattori più importanti
nei processi di successione e di trasmissione del potere;
o non è considerata impresa familiare quella in cui nessun
familiare è impegnato in una attività lavorativa in azienda;
o è considerata familiare anche un’impresa di prima generazione
9
;
o in una simile impresa i valori dell’impresa si identificano in
larga parte con quelli della famiglia
10
;
Così definite le imprese familiari, è possibile trovare altre tre specie
d’impresa che popolano un sistema economico ad economia di mercato:
11
o Le imprese private il cui capitale sia frazionato fra molti soggetti
differenti (Famiglie, Società finanziarie, ecc….), dove pochi
shareholders, non legati fra loro da vincoli di parentela e riuniti in
una coalizione di governo, hanno facoltà di decidere i membri
dell’alta direzione e le linee strategiche dell’impresa. I poteri
accordati ai rappresentanti delle minoranze fungono da contrappeso
al potere della coalizione di comando, che invece è predominante
nelle imprese familiari. Il modello ideale di questo tipo di impresa è
la public company anglosassone;
12
o Le imprese private dove i detentori di capitale di rischio sono uno o
pochi soggetti diversi dalle famiglie (Banche e Intermediari
9
Un autore anglosassone considera imprese familiari quelle che hanno superato almeno la prima
generazione. Cfr. D.F. Channon, The Strategy and Structure of British Enterprise, London, Macmillan,
1971, p.161 in G. Corbetta, op. cit., 1995, p. 20. Sulla stessa posizione è R. G. Donnely, The Family
Business, Harvard Business Review, July-August, 1964 in S. Tomaselli, op. cit., 1996
10
Cfr. C. E. Schillaci, op. cit., pag. 7
11
La distinzione è ripresa da G. Corbetta, op. cit., pag. 22. Ci si riferisce qui solo ad imprese che godano
di autonomia gestionale, proprietaria e finanziaria. Si pensa ad imprese capogruppo, non a società
partecipate da altre società.
12
Per esemplificare non si considera familiare il gruppo Olivetti-Telecom, visto che il capo-azienda è a
capo di una cordata di investitori finanziari e non è il rappresentante di una famiglia. Differente il caso di
Fiat S.p.a., legata ancora inscindibilmente ad una famiglia proprietaria.
finanziari in genere) che hanno il potere sufficiente per esercitare il
controllo sull’impresa. E’ il caso di molte aziende tedesche;
o Le imprese pubbliche dove il controllo dell’impresa è assicurato da
organi dello Stato. Si pensi in Italia alle imprese municipalizzate o
a vere multinazionali ancora di fatto controllate dallo Stato come
Iri, Finmeccanica, Enel;
Giunti a questo punto è facile affermare che la stragrande maggioranza
delle imprese possono dirsi familiari, ma si rimandano queste considerazioni al
prossimo paragrafo dedicato appunto alla questione della rilevanza delle
imprese familiari nei diversi sistemi economici nazionali.
Quello che qui invece interessa sottolineare è la ricca varietà di tipologie
di impresa familiare celata all’interno di questa classe. E’ importante dare conto
delle diverse fattispecie di impresa analizzate in questo lavoro, anche per non
far pensare che “familiari” siano solo le imprese di piccola dimensione.
Si ritrovano ritrovato in letteratura due proposte che possono adattarsi al
nostro scopo.
Il primo modello è stato elaborato da Gallo
13
e tiene conto del diverso
grado di coinvolgimento della famiglia nelle attività dell’impresa. Distingue
quindi tra quattro categorie di imprese familiari:
1. Impresa familiare di lavoro: tutta la famiglia promuove al suo
interno l’idea che molti membri della famiglia svolgano la loro
attività lavorativa nell’impresa familiare;
2. Impresa familiare di direzione: la famiglia seleziona i membri
più capaci e meritevoli dal punto di vista imprenditoriale e li
inserisce in azienda;
3. Impresa familiare di investimento: la famiglia non partecipa
direttamente all’attività di lavoro, ma mantiene una supervisione
sulle decisioni di investimento e sul controllo delle scelte
gestionali;
4. Impresa familiare congiunturale: il legame fra i membri della
famiglia è più di carattere storico che nato da una vera volontà
di proseguire assieme l’attività imprenditoriale. Se si
13
M. A. Gallo, Cultura en impresa familiar, nota tecnica de la Divisione de Investigacion del IESE
N.DGN-457, Barcelona, come riportato in S. Tomaselli, Longevità e Sviluppo delle imprese familiari,
Milano, Giuffrè, 1996
manifestasse un’occasione per vendere le azioni o per fare
entrare altri soci nel capitale, la decisione verrebbe presa senza
guardare troppo alla continuità del legame che ha tenuto
assieme l’impresa e la famiglia;
Scrive inoltre Tomaselli
14
che “sebbene le quattro tipologie sopra descritte
costituiscono delle estremizzazioni che difficilmente trovano riscontro empirico
in forma pura, deve riconoscersi che le imprese familiari tendono,
frequentemente, ad assumere nei primi anni le caratteristiche dell’impresa
familiare di lavoro, per evolversi solitamente, in impresa familiare di direzione
e, con il passare delle generazioni, assumere l’una o l’altra delle due rimanenti
configurazioni sopra delineate”. Si può quindi astrattamente pensare ad un
percorso evolutivo simile per molte imprese, che nelle diverse generazioni
tendono ad allentare i legami con la famiglia fondatrice e proprietaria.
La semplificazione appare eccessiva e riduttiva pensando a quanti gruppi
di imprese multinazionali in tutto il mondo, pur essendo arrivati oltre la terza
generazione, possono ancora essere classificati come familiari.
15
Il limite di questo modello potrebbe essere quello di basarsi su un’unica
variabile (il coinvolgimento della famiglia nell’impresa) nel distinguere i vari
tipi di impresa familiare.
Non c’è un accenno esplicito a fattori quali la dimensione dell’impresa, la
proprietà del capitale, lo stadio generazionale, anche se implicitamente Gallo
lascia intendere che i primi due tipi prevedano imprese alla prima o seconda
generazione, con proprietà del capitale quasi interamente detenuto da una sola
famiglia, di dimensione piccola o media e gli altri due caratterizzate da apertura
del capitale ad altri soggetti, dimensione più elevata, stadio generazionale oltre
il primo.
Un’analisi più dettagliata e approfondita che tiene conto di un approccio
“multivariato” al problema si trova in un lavoro di Corbetta.
16
Le tre variabili
considerate dall’autore sono le seguenti:
1. Il modello di proprietà del capitale dell’impresa:
o Assoluto: una sola persona detiene tutto il capitale;
14
Cfr. S. Tomaselli, op. cit., 1996, p. 15
15
Cfr. G. Corbetta, op. cit., 1995, p. 5, nota 11. L’autore ricorda, tra le altre, imprese come Levi-Strauss e
Johnson (Usa), Porche e Bmw (Germania), Heineken (Olanda), Metro e Peugeot (Francia).
16
Cfr. G.Corbetta, op. cit., 1995, p.81 e seguenti
o Familiare chiusa stretta: poche persone partecipano al
capitale;
o Familiare chiusa allargata: capitale posseduto da un numero
di persone più ampio;
o Familiare aperta: capitale posseduto da discendenti del
fondatore (o dei fondatori) e altri soci;
2. La presenza di familiari nel consiglio di Amministrazione e negli
organi di direzione dell’impresa:
o CdA e organi direttivi composti solo da membri della
famiglia;
o Cda composto da soli membri della famiglia e organi
direttivi dove sono impegnati familiari e non;
o Cda e organi di governo con presenza di familiari e persone
estranee alla famiglia;
3. La dimensione dell’organismo personale dell’impresa divisa in
piccola, media e grande
Dall’incrocio di queste tre variabili nei loro diversi aspetti l’autore
individua quattro classi di imprese familiari, di interesse per analizzare le
diverse vicende successorie che esse sottendono:
o Imprese familiari domestiche: il modello proprietario è di tipo
assoluto o stretto; le dimensioni aziendali sono piccole; il Cda (se
esiste) e gli organi di direzione sono composti solo da familiari.
o Imprese familiari tradizionali: il modello proprietario è di tipo
assoluto o stretto; le dimensioni dell’impresa possono anche essere
piccole, ma di norma sono medie o grandi; il Cda è composto solo
da familiari mentre negli organi di direzione sono quasi sempre
coinvolti familiari e non familiari.
o Imprese familiari allargate: si afferma il modello di proprietà
allargata; le dimensioni aziendali sono di norma medie o grandi (in
pochi casi le imprese sono di piccole dimensioni); il Cda può
essere composto solo da familiari o anche da non familiari e gli
organi di direzione, date le dimensioni aziendali, vedono coinvolti
familiari e non familiari.
o Imprese familiari aperte: persone non discendenti dal fondatore o
dai fondatori sono proprietarie di quote del capitale; le dimensioni
dell’impresa sono medie o grandi; il Cda e gli organi di direzione
sono composti da familiari e non familiari.
Questi quattro tipi mostrano quanto sia variegato al suo interno l’universo
delle imprese familiari. Si passa da una interdipendenza totale tra impresa e
famiglia nel caso dell’impresa familiare domestica fino ad un coinvolgimento
sempre più forte di persone estranee nella proprietà e nella gestione nel caso
dell’impresa familiare aperta.
La successione si presenterà diversa nei vari casi: ad esempio, in
un’impresa familiare domestica il successore sarà probabilmente scelto
all’interno dei membri della famiglia, non sarà così probabile se l’impresa
risponde ad uno degli altri tre tipi.
1.2. La rilevanza delle imprese familiari
Per molto tempo la dottrina aziendale dominante sembra aver guardato alle
imprese familiari come forme d’impresa sopravvissute al passato e destinate a
scomparire.
Secondo un filone della letteratura economico-manageriale, esse sarebbero
state eliminate inevitabilmente dalla scena con l’avvento in tutti i settori
economici delle grandi imprese governate da una organizzazione manageriale.
La separazione fra proprietà e controllo delle imprese veniva profetizzata
come una necessità, un passo obbligato nell’evoluzione del sistema economico.
Dopo gli anni settanta, con la crisi della grande impresa, l’attenzione degli
studiosi si è fissata anche sulle realtà imprenditoriali di piccole e medie
dimensioni, constatando la loro tenuta e addirittura il loro sviluppo in un
contesto dove i mercati sono sempre più instabili.
Ad un’analisi più approfondita, è stato messo in luce che la funzionalità di
molte imprese dipende da un qualche legame con una famiglia proprietaria.
Durante gli anni ’80 nasce un filone di studi chiamato Family Business,
che analizza la rilevanza delle imprese a controllo famigliare e ne indaga le
possibili modalità di funzionamento.
17
Negli studi si analizzano anche casi di molte imprese di grandi dimensioni
che funzionano secondo queste modalità.
17
Si possono citare, nella letteratura nord-americana, W.G. Dyer, Cultural Change in Family Firms, San
Francisco, Jossey-Bass, 1986; J.L. Ward, Keeping the family business healthy, San Francisco, California,
Jossey-Bass publishers, 1990.
Società di consulenza, centri studi delle Banche centrali, gruppi di ricerca
universitari hanno cercato di stimare il peso nelle diverse economie nazionali di
queste imprese.
18
In Italia il lavoro di ricerca più completo e attendibile è quello svolto dalla
Banca d’Italia nel 1994 su un campione di oltre 1200 imprese industriali con
almeno 50 addetti
19
.
La ricerca ci dice che il 68% delle imprese del campione ha una struttura
proprietaria familiare, e sono a controllo familiare 69 dei primi 150 gruppi (il
46%). Non sono disponibili studi attendibili su aziende con meno di 50 addetti,
ma si è certi che la percentuale superi il 90%
20
.
Da questi dati si conclude, come era facile intuire, che in Italia le imprese
familiari esercitino un ruolo di primo piano nella creazione della ricchezza
nazionale.
E’ invece più sorprendente il dato di altri Paesi. Secondo attendibili stime
negli Usa sono oltre 20 milioni i Family Business, pari al 92% delle imprese, in
Svezia il 90%, in Svizzera l’85%, in Spagna l’80%, nel Regno Unito il 75%
21
.
Ciò che desta ancor più meraviglia è la presenza di questa tipologia
d’impresa anche in business che richiedono grandi aziende. Una interessante
ricerca effettuata dagli studiosi della Sda Bocconi
22
, porta questi dati:
18
Cfr. G. Corbetta, “Il vantaggio della continuità”, Il Sole 24 Ore 15/02/1999, p. 31. “Le aziende
familiari, di piccole, medie e grandi dimensioni, costituiscono un elemento essenziale nell’economia dei
paesi sviluppati. Negli Usa se ne sono accorti: il Congresso sta studiando alcune norme per faclitare i
processi di successione; ad Harvard lo studio delle aziende familiari costituisce una delle tre priorità per i
prossimi anni; oltre 100 business school offrono corsi in family business”
19
Cfr. AA.VV., Proprietà, modelli di controllo e riallocazione nelle imprese industriali italiane, Roma,
Banca d’Italia, marzo 1994 in G. Corbetta, op. cit., 1995
20
Cfr. Daniela Montemerlo, Un’enorme ricambio generazionale, Italia Oggi, 3/10/1998, p.37
21
“Un mito da sfatare è che la percentuale di imprese familiari, in Italia, sia molto più alta che altrove.
Ovunque ci si attesta attorno al 90%, persino negli Stati Uniti, che sono considerati la patria delle Public
Company a capitale diffuso. In America le imprese familiari sono il 92% e passano per il 60% della forza
lavoro e per il 50% del prodotto nazionale. In Italia, nella classe dimensionale oltre i 50 dipendenti, gli
addetti delle imprese familiari sono il 50%”. Daniela Montemerlo, Un’enorme ricambio generazionale,
Italia Oggi, 3/10/1998, p.37
22
Cfr. Franco Vergnano, Aziende di famiglia al passo di carica, Il sole 24 ore, 15/2/99, p.31