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diventando ad oggi, uno dei principali indiziati ed artefici della crisi tuttora in
atto, che, iniziata dal mercato finanziario, date le forti connessioni, ha finito poi
per travolgere anche il mercato immobiliare.
Per ciò che riguarda l’analisi dei soggetti della filiera immobiliare, ho
ripercorso lo schema del nuovo ciclo edile, partendo quindi dalla fase iniziale
della finanza, passando attraverso le fasi di progettazione e costruzione per poi
terminare con quella della gestione. Per ogni singolo momento, ho evidenziato i
principali aspetti e attori che vi partecipano, indicando le loro responsabilità,
competenze e attività. Ho, infatti, elencato quelle che sono le funzioni
fondamentali di figure professionali del tipo, Project Manager, Construction
Manager, Portfolio Manager, Asset, Property e Facility Manager, Advisory e
Building Manager e tutta un’altra gamma di soggetti che negli ultimi anni si
sta affacciando sul mercato immobiliare con nuove conoscenze sempre più
specializzate.
Una volta rappresentate tutte queste figure professionali, molte delle
quali diffusesi con il processo di finanziarizzazione immobiliare, nella parte
centrale del lavoro, rappresentata dal terzo capitolo, ho concentrato l’attenzione
sul cosiddetto Developer o Promotore Immobiliare. Il suo obbiettivo consiste
essenzialmente nell’individuare nuove opportunità di trasformazione o
rivalutazione di aree e complessi in disuso, con lo scopo poi di gestire e
coordinare, tutte le fasi di progettazione, costruzione e commercializzazione,
per poi infine, far acquisire a gruppi finanziari con fini speculativi l’intero
progetto.
In questa parte, oltre ad essermi dedicato al ruolo ed alle attività svolte
da tale figura, ho mostrato quelli che sono gli altri soggetti che prendono parte
ad un processo di sviluppo immobiliare, come, le imprese costruttrici, i
proprietari fondiari, gli istituti di credito, i progettisti, gli enti pubblici, i
mediatori e infine i proprietari. Ho terminato poi tale capitolo esprimendo le
varie fasi di un processo di sviluppo immobiliare, passando dalla fase di scelta
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della localizzazione fino ad arrivare alla fase conclusiva della
commercializzazione.
Nel quarto capitolo ho espresso quelli che sono i fattori chiave nella
realizzazione di un Factory Outlet Centre, riguardanti da un lato tutti gli
aspetti relativi alla scelta della localizzazione, alle caratteristiche
architettoniche della struttura e alla presenza di servizi e di parcheggi,
dall’altro le risorse finanziarie necessarie per implementare progetti di queste
dimensioni e per supportare tutta una serie di costi molto elevati. Infine nella
parte finale del capitolo ho approfondito, attraverso il caso dell’Outlet di
Barberino del Mugello, quelli che sono gli effetti, in termini d’impatto sul
territorio, dovuti all’apertura di un Factory Outlet Centre, valutando da un
punto di vista economico, sociale, ambientale ed urbanistico le ripercussioni
sulla relativa area d’ insediamento.
Il lavoro si conclude con lo studio di un caso operativo specifico, cioè il
Barberino Designer Outlet, realizzato nel 2006 a Barberino di Mugello
dall’impresa anglosassone McArthurGlen, specializzata nello sviluppo e
gestione di questo formato, in joint venture con la holding immobiliare
fiorentina Fingen Real Estate dei fratelli Fratini; Il Foc di Barberino di
Mugello è il terzo progetto, in ordine di tempo, realizzato in Italia dalla
McArthurGlen, dopo le esperienze precedenti molto positive di Serravalle
Scrivia (nel 2000) e di Castel Romano (nel 2003). Oltre a queste prime tre
strutture, nel 2008 è stato aperto il Foc di Noventa del Piave e sempre nel 2010
è prevista l’apertura di un’ennesima struttura a Napoli, sempre targata Fingen
– McArthurGlen.
Attraverso una serie d’interviste effettuate direttamente ad alcuni
dirigenti, rappresentanti delle società che hanno preso parte al processo di
sviluppo immobiliare della struttura di Barberino di Mugello, ho potuto capire
quelli che sono stati gli aspetti più importanti e i ruoli specifici ricoperti
proprio da tali soggetti. In particolare sono così venuto a conoscenza del fatto
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che la società fiorentina, la multinazionale inglese e gli altri attori mugellani,
hanno definito da subito un network di relazioni molto approfondito, nonché
strutturato un insieme di regole e obiettivi ben precisi, in grado di aumentare
da un lato il consenso sociale e la fiducia intorno all’iniziativa, dall’altro uno
sviluppo economico locale sostenibile.
Durante la mia ricerca operativa sul campo, ho potuto scoprire la
disponibilità da parte sia dei promotori e degli investitori che degli altri
interlocutori locali, al dialogo, alla collaborazione e alla partecipazione: infatti,
tutti questi soggetti mi hanno permesso di comprendere a fondo le dinamiche
che caratterizzano un processo immobiliare di questa importanza e di capire la
strategia economica adottata da tali società.
In definitiva gli obiettivi di questo lavoro sono fondamentalmente quelli
di prendere spunto da un fenomeno commerciale molto recente e in forte
crescita in Italia, quale è quello del Factory Outlet Centre, per individuare
quelli che sono i vari attori che partecipano ad un processo di sviluppo
immobiliare ed in particolare il Developer, evidenziandone le sue attività e il
suo ruolo all’interno del processo stesso.
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1. Evoluzione del settore della grande distribuzione in
Italia.
Negli ultimi anni il settore della grande distribuzione
commerciale in Italia, è stato caratterizzato da una forte dinamicità e da
importanti trasformazioni. Due sono gli elementi rilevanti, che
riguardano le attuali tendenze del settore: la globalizzazione delle
imprese e la moltiplicazione delle formule commerciali.
Il costante sviluppo che si è avuto a partire dalla metà degli anni
Settanta, delle numerose tipologie di distribuzione, è stato
accompagnato, in particolare, da una spiccata tendenza alla
specializzazione nelle formule distributive e nei contenuti merceologici,
che ha moltiplicato le tipologie della offerta. La crescente fortuna di
questo tipo di offerta commerciale fondata sulla grande dimensione,
può esser fatta risalire ad una serie di aspetti diversi ma fortemente
complementari fra loro.
Il primo aspetto consiste, nel progressivo e radicale mutamento
verificatosi nelle abitudini dei consumatori, che attribuiscono una
maggiore rilevanza al fattore tempo anche nell‟effettuazione degli
acquisti; ciò ha portato alla concentrazione dei diversi profili di offerta
commerciale all‟interno della medesima struttura edilizia (centro
commerciale integrato), fondata su economie di scala e di varietà, o in
sedi diverse ma collocate in stretta prossimità tra loro, al fine di
sfruttare esternalità localizzative di tipo settoriale e intersettoriale (è il
caso di molti retail parks, oggi diffusi in maggior parte nella zona
settentrionale del Paese, spesso ubicati alle porte di centri urbani).
Questo fenomeno ha introdotto, nelle modalità d‟acquisto, due variabili
determinanti: la prima, è rappresentata dalla riduzione della frequenza
degli acquisti, che comporta una diminuzione degli spostamenti e del
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tempo complessivamente dedicato alle compere; la seconda, in certo
modo speculare alla prima, riguarda la concentrazione della spesa, con
un aumento dell‟importo degli acquisti per singola visita.
Il secondo aspetto consiste invece, sul processo di sviluppo e di
modernizzazione della rete distributiva al dettaglio, messo in atto dai
vari gruppi operanti nel settore commerciale, attraverso specifiche
strategie d‟impresa.
Infine il terzo aspetto, risulta essere il particolare rapporto che si
è creato tra le logiche di sviluppo settoriale e l‟ingresso nel settore di
operatori provenienti dai mercati immobiliari d‟impresa (ad esempio
Gruppo Fingen e McArthurGlen) e dal settore creditizio finanziario
(Morley Fund Management e BP Investment Management Limited),
sempre più interessati a forme di diversificazione delle attività
d‟impresa e degli investimenti.
Nel corso dei primi anni Settanta, l‟avvento delle nuove formule
distributive fondate sulla grande dimensione è, da una parte,
rappresentato dalla proliferazione di minimercati ed esercizi alimentari
con superficie compresa tra i 200 e 400 mq, e dall‟altra, dalla comparsa
di un numero non elevato di centri di grandi dimensioni, fenomeno
confinato in alcune regioni del Nord (Lombardia e Veneto).
Nella prima tipologia, l‟assortimento della merce è comunque di
tipo alimentare, entro strutture di vendita di ridotte dimensioni. La
diffusione di questi punti vendita è piuttosto rapida, poiché, avviene
per innovazione incrementale fondata sull‟ammodernamento di punti
vendita esistenti. La loro caratteristica principale, è quella di offrire un
servizio di prossimità simile a quello dei negozi tradizionali, che tende
ad ubicarsi in prevalenza nelle zone urbane dense, frontiere
dell‟urbanizzazione residenziale.
I nuovi centri commerciali invece, presentano una superficie
media e un‟identità commerciale piuttosto netta, costituita da un
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grande ipermercato con funzioni di anchor e da una galleria di piccole
dimensioni.
In una seconda fase, il cui inizio è collocabile intorno alla
seconda metà degli anni Settanta, si osserva un dualismo crescente tra
l‟espansione della superficie media delle strutture di vendita esistenti, e
la diminuzione della superficie media dei centri commerciali costruiti ex
novo, con la progressiva riduzione numerica delle piccole strutture di
vendita. L‟esodo verso le aree periferiche delle regioni urbane e
metropolitane si accentua, ma si tratta comunque di localizzazione
prossime al cuore delle città e alle concentrazioni residenziali, in
vicinanza di incroci di arterie di grande percorrenza, caselli autostradali
e centri attrattori, come le località turistiche.
La fine degli anni Ottanta, costituisce lo spartiacque tra quello
che potremmo definire un periodo di convivenza tra fenomeni
sostanzialmente incrementali e lo sviluppo di centri commerciali di
nuova fondazione. Questi ultimi proliferano nelle aree a maggior
concentrazione di domanda, nelle aree metropolitane, ma anche nelle
città medie urbanizzate presenti nelle regioni settentrionali. In pochi
anni, quindi, accanto al tradizionale supermercato e al grande
magazzino, si sono diffuse, dopo essere state sperimentate nei Paesi di
origine, altre formule, come l‟ipermercato di origine francese, il
superstore di origine anglosassone, il soft discount di provenienza tedesca
e il warehouse store di origine americana.
L‟innovazione della distribuzione negli ultimi tempi, è stata
particolarmente vivace e sono diminuiti anche i tempi di diffusione di
una nuova formula – dal paese in cui è stata sperimentata agli altri
paesi – proprio grazie al processo d‟internazionalizzazione delle
imprese. L‟analisi di quanto avviene al di fuori dei nostri confini è
perciò sempre più interessante, dal momento che fornisce indicazioni e
anticipazioni su quanto potrebbe accadere da noi in un futuro anche
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prossimo. La differenziazione della formula distributiva è una strada
che può essere perseguita per competere con gli altri retailers
concorrenti.
Infine, è necessario tenere in considerazione il fatto che
l‟internazionalizzazione delle imprese e il proliferare delle formule
distributive sono tra loro strettamente collegate. Non è raro, infatti, il
caso d‟imprese che nel loro Paese hanno lanciato una formula
distributiva con successo, decidano di esportarla anche in altri contesti.
L‟esportazione di formule innovative e la saturazione dei mercati di
origine sono stati due elementi che hanno influito sul processo di
esportazione all‟estero di formule distributive.
1.1 L’outlet.
In questo panorama, sempre mutevole e fortemente dinamico,
c‟è un nuovo ingresso: si tratta degli Outlet. Una tipologia distributiva
che si sta ritagliando uno spazio importante nel panorama europeo e
sembra diffondersi in misura decisamente interessante in molti Paesi
avanzati.
Il concetto di Outlet nasce negli Stati Uniti quando, già nella
seconda metà dell‟Ottocento, alcune fabbriche di abbigliamento e di
scarpe cominciarono a svendere, attraverso un locale interno o esterno
all‟azienda, giacenze di magazzino e articoli difettati, dapprima soltanto
ai propri dipendenti e successivamente, in conseguenza dei buoni
risultati ottenuti, anche ai privati.
All‟inizio del Novecento molte altre imprese sperimentarono
questa iniziativa con successo e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, vi
fu una forte esplosione degli Outlet. I vantaggi della formula erano
infatti reciproci: l‟azienda riusciva a commercializzare eccedenze di
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magazzino, pezzi con qualche imperfezione o danneggiati, mentre i
clienti (dipendenti o esterni), riuscivano a risparmiare acquistando
direttamente alla fonte prodotti di buona qualità, sebbene di una
stagione passata o con piccole imperfezioni.
Durante gli anni Settanta alcuni fattori socioeconomici quali la
diminuzione del potere di acquisto dei consumatori, la crisi energetica e
la maggiore attenzione verso gli articoli firmati, portarono all‟apertura
di poli commerciali che riunivano nel medesimo edificio alcuni “spacci”
di aziende diverse. Negli anni Ottanta e Novanta il numero di spacci
aziendali negli Stati Uniti, ha continuato a crescere, grazie anche ad un
minore interesse dei consumatori per i centri commerciali di tipo
tradizionale; è dunque in questi anni che tale formato distributivo viene
formalizzato e nel quale la parola d‟ordine diventa “basso prezzo e alta
qualità”.
In definitiva possiamo affermare che il concetto di Outlet, è nato
negli Stati Uniti come fenomeno socioeconomico, per poi diventare una
particolare tipologia commerciale basata sulla vendita di prodotti di
marca ribassati dal 30% al 50%, in quanto relativi a stagioni precedenti,
con lievi difetti o esuberi di produzione; tale concetto è poi stato
trasferito in molti altri Paesi, penetrando nel tessuto storico e culturale e
contribuendo a modificare usi e costumi locali. Recentemente l‟outlet è
diventato a pieno titolo un canale distributivo alternativo agli altri (e
non solo complementare); ciò è, infatti, dimostrato dal fatto, che le
imprese industriali che lo utilizzano iniziano a fabbricare prodotti
destinati a essere venduti esclusivamente in questo tipo di formato
commerciale.
In Italia gli Outlet hanno rappresentato un‟importante novità
degli anni Novanta, cioè la progressiva diversificazione delle formule
distributive in tutti i settori. Come abbiamo visto, Outlet è un termine
anglosassone, la cui traduzione letterale in italiano è “sbocco, uscita,
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punto di vendita” (out = fuori, uscita; let = mandare, far uscire); in ogni
caso si intende qualcosa da “gettare fuori” da eliminare. Il termine, tra
l‟altro, è usato anche e soprattutto per definire gli spacci aziendali ed ha
preso piede in Italia proprio come sinonimo più nobile di spaccio, che
probabilmente evoca scenari meno raffinati. “Outlet” viene sempre più
spesso associato a “factory” che significa “azienda”. Letteralmente
“factory outlet” vuol dire “spaccio aziendale”: un punto di vendita al
dettaglio gestito direttamente da imprese produttrici o da grandi
distributori, che integrano la funzione produttiva (da cui l‟aggettivo
factory) e la funzione di vendita dei prodotti di marca a prezzi scontati.
Outlet come spaccio quindi. Ma la parola inglese, si sa, fa chic;
soprattutto quando si parla di moda supergriffata venduta a prezzi più
o meno stracciati. Comprare il massimo e spendere il minimo, fare
acquisti senza rinunciare alla qualità, ma prestando attenzione al
budget: questa è la filosofia di chi si rivolge agli outlet. I prodotti sono
venduti direttamente a prezzo di fabbrica o con sconti oltre il 50%. Tale
risparmio è consentito dal fatto che le aziende mettono in vendita, in
questi spacci, i campionari, le produzioni delle stagioni precedenti, i
surplus produttivi, le ultime taglie e tutto quello che a causa di difetti a
volte impercettibili non può essere venduto in canali di vendita
consueti. Il mix di prodotti commercializzati è concentrato soprattutto
sui beni di consumo personale. Inizialmente il fenomeno era circoscritto
all‟abbigliamento, che ancora oggi copre il 70% della merce in vendita;
la restante parte riguarda altre categorie no food quali design,
accessoristica, tecnologia, profumeria, gioielleria, ecc. Oltre
all‟attenzione ai prezzi scontati, il comportamento d‟acquisto del
consumatore è anche segnato dall‟idea di shopping come esperienza.
Andare a caccia di affari, del miglior prezzo dei prodotti di ragionevole
qualità, è più che mai una parte intrinseca dello shopping experience.