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Uno dei fattori che può spiegare tale fenomeno è sicuramente l'appartenenza
degli studiosi a differenti approcci di teoria e metodo, che nel tempo si sono
succeduti.
Bisogna inoltre considerare che i primi studi che parlano di una disciplina
strategica, risalgono agli anni cinquanta del XX secolo. Solo di recente, è stata
evidenziata la mancanza e di conseguenza auspicata la realizzazione, di uno studio
interno volto a sistematizzare e sintetizzare i vari contributi.
In particolare il problema è stato spunto di riflessione per Zan (1985), che
suggerisce come in realtà nella disciplina strategica i contributi più rilevanti
vengano dal campo professionale-aziendale (di stampo prevalentemente
americano), più che da quello accademico.
In questo fenomeno egli trova la ragione della frammentazione, a livello
concettuale, che caratterizza la disciplina. E' perciò suo obiettivo indagare con
metodo scientifico aspetti di teoria e di metodo, al fine di contribuire all'opera di
focalizzazione dell'identità specifica della disciplina strategica.
Zan arriva a dire come non sia possibile parlare di concetto di strategia,
poiché la strategia non ha un significato, ma è " un significante che assume in
diversi contesti e approcci, differenti significati".
Al fine di dare risposta ai quesiti sopra proposti, ritengo dunque sia
interessante ripercorrere le principali tappe evolutive del "pensiero strategico",
così come individuate da Grant (1999). Ho ritenuto necessario dedicare ad esse un
intero capitolo, perché i concetti affrontati rappresentano la struttura portante di
un qualunque discorso sulle strategie. Comprendere come è evoluto l'approccio
degli studiosi nei confronti della disciplina strategica, e più in particolare della
definizione del concetto di strategia, è inoltre un utile strumento per affrontare
l'analisi di quanto scritto, dagli stessi autori, sul tema della diversificazione.
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Scopo di questo capitolo è perciò rispondere alla domanda: cosa vuol dire
strategia, per un'impresa?
1.2 L'evoluzione dello "stategic management"
Il percorso evolutivo può essere così schematizzato:
Tab. 1.1. L'evoluzione del management strategico
Fonte: Grant, 1999, p. 33
1.2.1 Dalle origini agli anni '70
Negli anni '50 chi si occupa di strategie, in realtà pianifica. L'esigenza di
progettare l'attività dell'impresa in un orizzonte temporale più lungo, rispetto al
normale processo di previsione annuale di bilancio, si traduce in documenti di
pianificazione della durata di 5 anni, che stabiliscono gli scopi e gli obiettivi
dell'impresa, prevedono gli andamenti delle variabili economiche chiave
(domanda di mercato, ricavi, costi ecc.), individuano priorità tra i diversi prodotti
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e aree di attività dell'azienda ed allocano gli investimenti di capitale. (Grant,
1999).
Tale funzione divenne un compito di primaria importanza per l'alta
direzione. Lo sviluppo della pianificazione è stato associato ai problemi incontrati
dai manager, durante gli anni '50 e '60, nel coordinare le decisioni e nel mantenere
il controllo di imprese sempre più grandi e complesse.
Tale approccio emerge chiaramente da quanto affermato da uno degli autori
più rappresentativi del periodo, Alfred Chandler (1980): strategia è " determina-
zione delle finalità e degli obiettivi di lungo periodo di un'impresa, e attuazione
delle linee di condotta e allocazione delle risorse necessarie alla realizzazione di
tali obiettivi".
Chandler dimostra dunque di considerare il processo decisionale come un
processo razionale e consapevole, e di intendere la strategia come un disegno, un
progetto, non come un comportamento.
Così come affermato da Grant (1999), l'attenzione alla pianificazione di
lungo termine durante gli anni '60 rifletteva l'intenzione di conseguire il
coordinamento e la coerenza della pianificazione degli investimenti in un periodo
di stabilità ed espansione.
Le condizioni favorevoli alla crescita e la tendenza delle grandi aziende a
considerare le proprie capacità manageriali slegate dalle separazioni settoriali,
fanno sì che le attenzioni dei vertici aziendali si concentrino inoltre sulla crescita
dell'impresa attraverso la diversificazione, coerentemente con l'attività di
pianificazione.
Anche il concetto stesso di strategia è influenzato dall'attenzione dimostrata
dalle imprese per la diversificazione, così come si può osservare nella definizione
di Igor Ansoff (1974), uno dei fondatori del nuovo campo di studi: "le decisioni
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strategiche sono innanzi tutto connesse ai problemi esterni all'azienda piuttosto
che a quelli interni, ed in particolar modo riguardano la scelta dell'assortimento
di prodotti che l'impresa produrrà e dei mercati dove li porrà in vendita".
Più recentemente, di entrambe le posizioni, sono stati evidenziati pregi e
limiti: ad esempio, nel pensiero di Ansoff si è visto come limite il fatto che esso
trascuri la dimensione interna del soggetto impresa, e in quello di Chandler la non
distinzione del concetto di strategia da quello di pianificazione (Zan, 1985). E'
questo un tema trattato da molti autori, che in tal modo sottopongono a critica
l'intero approccio del periodo.
Poiché il tema è tuttora attuale, e soprattutto importante per comprendere
cosa significhi strategia, ritengo sia utile indagare le ragioni di tali critiche.
1.2.2 La pianificazione e la strategia
Sono necessariamente due concetti separati poiché vi sono strategie operanti
anche quando non sono il risultato di un processo di pianificazione formalizzato
ed esplicato. (Rispoli, 1998)
In sostanza, benché ancora non siamo giunti a comprendere cosa sia in
concreto una strategia, possiamo già cominciare a dire cosa non è. Non vuol dire
pianificazione. Sebbene sia possibile affermare ciò con sicurezza ora, è necessario
attendere la metà degli anni '80 e gli scritti di Mintzberg (1996) perché queste
idee siano formalizzate. Egli arriva a affermare che è finito il tempo della
pianificazione strategica, poiché non è garanzia di successo il fatto che le
decisioni strategiche siano rese esplicite, cioè supportate da una procedura
decisionale organizzata.
Secondo Mintzberg è importante distinguere la strategia realizzata
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dall'intenzione strategica.
Fig. 1.1. Dall'intenzione strategica alla strategia realizzata
Fonte: Rispoli, 1998, p. 168
La distanza è costituita dai condizionamenti dovuti a fattori imprevisti,
adattamenti alle mutevoli situazioni che continuamente si presentano in un
ambiente dinamico, quale è quello in cui agiscono le imprese. (Rispoli, 1998)
In sostanza la strategia attuata è la sintesi di un continuo processo dialettico
tra ciò che è stato deliberato (che solo in qualche caso è anche completamente
esplicitato), e ciò che deriva dall'emergere di fattori imprevisti, sia interni sia
esterni all'impresa. (Mintzberg, 1987)
Studi successivi hanno ulteriormente approfondito il tema. Prahalad e
Hamel (1994) hanno, ad esempio, sostenuto che le fasi di formulazione e
implementazione della strategia non sono separate e sequenziali, così come
affermato dall'approccio razionalista. Con tale affermazione concorda Grant
(1999).
Una strategia ben formulata deve tenere in considerazione il processo
attraverso il quale essa sarà attuata, perché attraverso l'implementazione le
strategie sono formulate e riformulate.
Al contrario, l'approccio razionalista ritiene che l'implementazione non
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debba preoccupare i decisori perché, nel momento in cui la strategia è comunicata
all'organizzazione, l'attuazione avviene in modo automatico, a cascata,
progressivamente coinvolgendo i livelli inferiori nelle gerarchie.
Tale schema è puramente teorico. Nella pratica i decisori non possono
prescindere dal considerare, anche, i processi attraverso i quali le decisioni
strategiche si concretizzano.
"La diffusione della pianificazione durante gli anni '60 e i primi anni '70 va
collocata nel clima di entusiasmo formatosi nelle aziende e nelle amministrazioni
pubbliche per le tecniche decisionali cosiddette «scientifiche»" (Grant, 1999, pag.
30), che includevano: analisi costi-benefici, programmazione lineare, previsioni
econometriche. A tal punto vi era fiducia nella capacità di previsione, che molti
economisti sostennero l'idoneità di tali metodi di decisione scientifica e di
pianificazione razionale a governare il funzionamento causale dell'economia di
mercato.
1.2.3 Porter e il vantaggio competitivo
Durante gli anni '70 le condizioni mutarono. Cresce l'instabilità dei mercati,
a causa di crisi economiche mondiali, e cresce la pressione concorrenziale da parte
di imprese operanti in aree geografiche emergenti.
Se da un lato viene meno la fiducia nella capacità dell'impresa di tracciare a
priori e con metodi razionali il proprio percorso futuro, si sente sempre più
l'esigenza di monitorare la concorrenza e conseguire vantaggi competitivi, grazie
ai quali conquistare una leadership rispetto ai concorrenti, piuttosto che di
perseguire obiettivi di crescita dimensionale.
Tutto ciò si riflette in uno sviluppo dei concetti e degli schemi della
11
disciplina strategica: la strategia è la ricerca di un piano di azione che porterà a
sviluppare un vantaggio competitivo e quindi a rafforzarlo.
Divengono fondamentali per il decisore le analisi della struttura del settore e
della concorrenza, al fine di comprendere tra le decisioni strategiche, anche quelle
riguardanti la scelta dei settori e segmenti di mercato in cui operare e del
posizionamento all'interno di essi.
Secondo Henderson (1989) è fondamentale la presa di coscienza che i
concorrenti più pericolosi sono quelli più simili a noi. Le differenze tra noi e i
nostri concorrenti sono le basi del nostro vantaggio. L'obiettivo è di allargare
l'ampiezza del nostro vantaggio a spese dei nostri concorrenti.
Il principale autore del decennio, che ha dato stimolo, con le sue ricerche,
agli studi sui vantaggi competitivi, è Michael Porter. Egli, benché dichiari
l'esistenza di due accezioni di strategia, implicita ed esplicita, focalizza
l'attenzione sulla seconda: "la scelta di una strategia è la messa a fuoco di una
formula circa il modo di competere di un'impresa, agli obiettivi da raggiungere e
le politiche necessarie per realizzare detti obiettivi" (Porter, 1982). Inoltre la
strategia decisionale separa e considera sequenziali, in base a uno schema
structure-conduct-performance (ovvero ambiente-strategia-prestazioni), le fasi di
formulazione e implementazione (De Toni e Tonchia, 1999).
La strategia riguarda il posizionamento competitivo di un'impresa in un
settore la cui struttura è data. Analizzare tale struttura, cioè l'ambito competitivo
in cui opera l'azienda, nel momento in cui essa si relaziona col mercato e con i
concorrenti, è la base da cui partire per comprendere la redditività dell'impresa, il
rapporto con la tecnologia e la sostenibilità del vantaggio competitivo.
"Le scelte strategiche si concretizzano nella selezione delle priorità
competitive (ovvero nell'individuazione dei fattori critici di successo del settore di
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appartenenza) e nell'effettuazione delle scelte d'intervento maggiormente consone
al conseguimento delle suddette priorità competitive. Tali contenuti sono definiti
secondo una sequenza che vede prima l'individuazione delle priorità competitive e
poi la scelta delle aree/modalità d'intervento" (De Toni e Tonchia, 1996).
1.2.4 La teoria della conoscenza
Un'ulteriore tappa è individuabile tra la fine degli anni '80 e gli inizi degli
anni '90. La strategia è volta a far conseguire all'impresa vantaggi competitivi, ma
si basa sia su un'analisi dei punti di forza e debolezza, confrontati con quelli dei
concorrenti di riferimento, sia sull'individuazione delle risorse e delle competenze
strategiche.
La Resource-Based View postula infatti, che è l'identità aziendale, come
sintesi delle specifiche capacità, risorse e competenze organizzative ad essere ciò
che determina il successo dell'impresa, in modo irriproducibile.
Le decisioni strategiche devono avere come fine quello di individuare tali
risorse interne e potenziarle, al fine di consolidare ed accrescere il vantaggio
competitivo. La strategia si traduce nella definizione di politiche, che meglio
permettono di gestire le risorse.
In tale fase i decisori strategici, più consapevoli anche delle carenze di cui
soffre la struttura interna, si concentrano maggiormente su operazioni di
reengineering del processo di business, al fine di potenziare quei business che
danno valore all'impresa ed eliminare quelli con un saldo di gestione passivo (per
quanto riguarda la creazione di valore).
La maggiore consapevolezza dei propri limiti interni si traduce inoltre in
acquisto di know-how e competenze dall'esterno, anche attraverso accordi
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interaziendali.
Un'analisi significativa sulla "Teoria delle competenze", è stata condotta da
Hamel e Prahalad (1990). Essa si sviluppa attorno al concetto di core competence
(competenza chiave), ossia la capacità di gestire le risorse chiave, come fonte di
vantaggio competitivo.
In realtà, per essere rigorosi, bisognerebbe distinguere tra Resource-Based
View (RBV) e Competence-Based Competition (CBC), concetti attraverso i quali
riassumere i numerosi principi e contributi elaborati dai diversi autori.
Entrambe vedono nelle risorse e nelle competenze di un'impresa, la fonte
del vantaggio competitivo, ma la seconda accentua l'individuazione, a priori, di
quelle competenze chiave, che decreteranno il successo dell'azienda. (De Toni e
Tonchia, 1999).
Alcuni tratti distintivi, comuni a entrambe le teorie, sono:
1) la competizione fra le imprese e la prevaricazione da parte del "carattere
vincente" dell'impresa dominante, quali fattori influenzanti l'ambiente stesso
2) l'apprendimento, ossia la capacità di auto-organizzarsi attraverso l'esperienza
(learning by doing) e l'importanza della conoscenza
3) la dipendenza dal percorso (path dependancy), ossia l'impatto cumulativo delle
azioni passate che influenzavano i corsi futuri
4) la routine organizzativa come patrimonio genetico di un'azienda, ossia le
procedure e le modalità operative che ne permettono il funzionamento (ad es.
la gestione scorte, la politica delle risorse umane e le strategie di
diversificazione e di internazionalizzazione).
I rapporti tra la "Teoria delle competenze" e il pensiero di Porter non
devono essere interpretati in termini di contrasto tra l'analisi esterna e l'analisi
interna. In realtà, esse non sono solo complementari (come ha affermato lo stesso
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Porter (1991) in risposta alle critiche proveniente dagli esponenti della RBV), ma
imprescindibili vicendevolmente (De Toni e Tonchia, 1999).
Grazie a tale evoluzione ed integrazione, la disciplina strategica è in grado
di offrire nuovi strumenti di analisi della complessità, ai soggetti decisori.
1.2.5 Innovazione strategica
Nell'ultimo decennio il dibattito culturale ha tratto spunti dai contributi
precedenti, ed in parte li ha adattati all'evolvere del contesto culturale.
Se negli anni '80 si comincia a parlare di strategia di reengineering, e di
potenziamento delle risorse e capacità interne, negli anni '90 si giunge attraverso
un'opera di sintesi, al concetto di Innovazione Strategica.
In un articolo del 1998 Markides, spiega chiaramente che cosa si deve
intendere per IS: «a fundamental reconceptualization of what the business is all
about that, in turn, leads to a dramatically different way of playing the game in an
existing business».
E' l'autore stesso a spiegare, che l'azienda deve adeguarsi alla dinamicità
dell'ambiente che la circonda. Sia che sia un'impresa innovativa, sia che abbia
una posizione consolidata, lo Strategic Management non può prescindere dal
valutare continue soluzioni di cambiamento e innovazione, attraverso
l'individuazione di nuove posizioni strategiche.
Il concetto chiave è cercare il nuovo. Markides (1998) spiega che per
individuare una posizione strategica, l'impresa deve identificare opportunità nel
posizionamento del settore (segmenti di mercato emergenti o trascurati dagli
attuali concorrenti, potenziali utilizzatori del prodotto, nuovi modi di servire gli
attuali consumatori) e far sì che queste si trasformino in un successo.
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Il punto fondamentale è che non basta raggiungere per una volta il successo.
La strategia di innovazione strategica consiste nel monitorare la dinamicità
dell'ambiente e dell'impresa, ed evitare la stasi.
Per fare ciò il sistema azienda deve essere continuamente destabilizzato,
così che tutto possa essere messo in discussione.
Non si tratta solo di eliminare i "rami secchi" di un'impresa (e cioè attuare
un reengineering) o deciderne l'espansione: innovazione strategica vuol dire
pensare continuamente alla trasformazione, alla sperimentazione e al
rinnovamento per conseguire uno stabile successo di lungo periodo.
Condizione affinché sia possibile, sia individuare nuove posizioni
strategiche sia mantenere dinamico il processo di rinnovamento, è la presenza (o
la creazione) di una cultura aziendale innovativa. Per cultura Markides intende la
struttura, la forza lavoro, le persone.
Ecco dunque il legame con la Teoria delle Competenze: l'identità aziendale
alla base del vantaggio competitivo.
La differenza risiede però nel fatto che l'Innovazione Strategica non segue
un percorso di path dependancy, non si accontenta del successo raggiunto e non
lo considera replicabile infinite volte, ma sfida l'impresa a misurarsi con il nuovo
e con l'incertezza che ne consegue, con coraggio.
Questa teoria è molto importante ai fini dell'analisi della strategia di
diversificazione e delle prospettive di rivalutazione di tale concetto, dal momento
che questo è per definizione legato al concetto di novità.
Rimando quindi a tale capitolo un suo approfondimento.
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Per concludere questa breve raccolta di alcune tra le più significative
definizioni di strategia, al fine di comprenderne il concetto, saranno qui presentati
due prospetti riassuntivi proposti da Rispoli (1998). La risposta a cui si vuole
inizialmente rispondere è: cosa è, in concreto, la strategia.
Quadro 1.1. Cos'è la strategia
Fonte: Rispoli, 1998, p. 25
Ma anche attraverso le funzioni che la strategia svolge, si può cercare di
definirne il concetto:
Quadro 1.2. Le funzioni della strategia
Fonte: Rispoli, 1998, p. 26
17
1.3 La gerarchia delle decisioni
Il precedente paragrafo si è concluso con l'elenco delle funzioni della
strategia. In particolare, l'ultima funzione ricordata è la riduzione della
complessità, che ha caratterizzato l'ambiente competitivo dal secondo dopoguerra
in poi.
Complessità che si traduce soprattutto, in aumento del numero di opzioni
tra le quali il decisore strategico dell'impresa può scegliere.
Ma chi è, in sostanza, tale decisore? E' sempre identificato nel vertice
aziendale e la sua volontà è semplicemente attuata dai livelli gerarchici inferiori?
e soprattutto, come possiamo individuare tali livelli?
Cercherò di dare risposta a queste domande riferendomi in particolare al
contributo di Rispoli (1998), poiché tale schematizzazione è una premessa per
comprendere il concetto di diversificazione.
Le risposte alla complessità dell'ambiente e dell'organizzazione interna di
un'impresa, sono la gerarchizzazione delle decisioni e il decentramento dell'analisi
strategica a più livelli.
Tale gerarchizzazione può essere effettuata secondo due modalità: una di
tipo verticale e una di tipo funzionale. In base a quest'ultima si "individuano in
ogni centro funzionale dell'impresa gli aspetti che assumono un carattere
strategico, nel senso che danno corpo e contenuti operativi alle opzioni adottate".
(Rispoli 1998)
Ciò che si vuole dire è che la realizzazione della strategia richiede la
partecipazione di tutte le aree funzionali. Ognuna di esse ha un ruolo strategico,
ma non ha un'autonomia tale da porre in essere decisioni strategiche, a prescindere
dalle relazioni con le altre aree funzionali.
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In realtà è necessario prendere in considerazione anche la gerarchizzazione
verticale per completare la nostra analisi.
Infatti, le decisioni e gli obiettivi che si manifestano e si attuano a livello di
aree funzionali devono essere coerenti con la strategia complessiva e con le
singole opzioni strategiche adottate, che non sono riferibili alla direzione di ogni
centro funzionale, bensì ad ognuno dei 5 livelli decisionali strategici così
identificabili:
1. enterprise
2. corporation
3. divisione
4. unità di business
5. componente strategica elementare
Per enterprice strategy si intende la strategia che ha come oggetto il
rapporto tra l'impresa e la società, che si traduce, ad esempio, nella costruzione e
nello sviluppo di un'immagine aziendale, spesso sulla base di un approfondimento
del tema della cultura dell'impresa. (Scholz, 1987)
Per corporate strategy, si intende la strategia che riguarda
contemporaneamente i diversi campi di attività dell'impresa, rispetto ai quali deve
assicurare i collegamenti, il condizionamento e la coerenza. Con essa si devono
definire gli obiettivi di fondo e le azioni volte a conseguirli, che si traducono in
specifici percorsi evolutivi, sintesi del processo dialettico tra impresa e ambiente.
(Rispoli 1998)
In particolare l'analisi strategica a livello corporate si occupa delle
combinazioni prodotto-mercato-tecnologia, che saranno alla base dell'attività
futura.