città l’abbiamo fatta insieme. Voi con le idee e i soldi, noi mettendoci la mano
d’opera. Perché le pietre di questo Palazzo le avranno tagliate i miei antenati”.>>
<<Scoprimmo una cosa curiosa a Malmantile: c’era un posto che si chiamava la
Cava Terzani, un posto in cui questa famiglia per secoli e secoli cavava la pietra,
la tagliava e la portava a Firenze. T’immagini, era un lavoro da egizi che
costruivano le piramidi, quello di portare le pietre in città!>>
<<La cosa che ci impressionò di più quando ci andammo con la Mamma era che i
Terzani stavano dentro le mura di Malmantile, il che voleva dire proprio in una
tana scura, buia, in cui si entrava attraverso una piccola porta. Io notai
immediatamente un enorme tavolo di legno che era impossibile ci fosse stato
portato perché le mura erano di pietra solida. Loro ci dissero che gli antenati lo
avevano costruito dentro la casa e che era il tavolo al quale mangiava la
famiglia.>>
<<Mio nonno Livio era nato in quella casa. Aveva dei bei baffi bianchi, era un
uomo dritto, pieno di belle storie, incazzereccio. Ritiro molto da lui. Aveva quattro
figli, Gerardo, Gusmano, Vannetto, Annetta, più due che sono poi morti, e sua
moglie, la mia nonna Eleonora, quando doveva uscire legava questi sei malandrini
alle quattro gambe del tavolo di cucina e due alle gambe di una panca di legno.
Dovevano stare fermi lì finchè lei non tornava. Stupende storie, no? Non c’era
l’asilo.>>
<<Quando la famiglia aveva un soldo in più, comprava un uovo. Tutti i figli
stavano seduti su quella panca e ognuno doveva ciucciare una volta, perché l’uovo
fresco era considerato di grandissimo valore nutritivo.
Mio padre, Gerardo, diventò tornitore. Fece la terza elementare, credo, e cominciò
a lavorare giovanissimo. Scriveva, leggeva, ma non era che la cosa gli fosse molto
familiare. Più tardi imparò bene a fare di conto perché aveva da gestire una piccola
7
autorimessa che aveva messo su insieme a un socio. E lì di nuovo le storie dei
poveri, meravigliose. Lui conobbe la Lina, mia madre, perché lei stava in via del
Porcellana e faceva la cappellaia a Porta del Prato, sai, a quel tempo le donne
portavano i cappelli. Ogni giorno lui vedeva passare questa bella donna – perché
la nonna Lina era molto bella, aveva un incarnato bianco, di velluto, ed era corvina
di capelli – e in qualche modo lui, che era un tappettino, se la conquistò.>>
<<Mia madre non era molto intelligente. Era limitata, piena di pregiudizi. “Io son
di Firenze, eh! I’mi’ babbo lavorava da i’marchese Gondi!’Un era mica i’ fornaio
di Monticelli, eh!” Lei odiava Monticelli perché era fuori le mura, non c’era
l’ombra del Cupolone. Le pareva di essere in esilio, per cui non stava con quelle
becere campagnole di Monticelli. Lei era così. Aveva questa aspirazione che, devo
dire, in qualche modo si è riflessa anche in me, essere qualcos’altro.>>
<<Non andò mai d’accordo con mia nonna Eleonora, sua suocera. Litigavano in
continuazione. Mia nonna l’accusava di fare la signora, di credere d’essere chissà
chi. Una volta mia madre aveva un cappellino, le piaceva essere elegante, e in una
bottega la nonna le tirò una botta per levarglielo di testa. “Ma che la crede
d’essere, una signora?” E – poff! Glielo tolse di testa.
Tipici rapporti fra suocera e nuora.>>
<<Mia madre era portatrice di tutte le bischerate dei poveri che aspirano a
diventare un po’ più ricchi. Insomma, le storie che tu hai sentito sono stupende,
no? Lei si vantava che suo padre, il mio nonno Giovanni, faceva il cuoco. Faceva
il cuoco in casa del marchese Gondi di cui era il beniamino perché una volta,
avendo scoperto che la marchesa lo aveva tradito, il marchese era andato al
cassetto e aveva preso la rivoltella per ammazzarla. Mio nonno si mise di mezzo e
tolse al marchese la pistola di mano. Grande coraggio, per un cuoco, togliere la
pistola di mano a un marchese! Ma il marchese gliene fu grato per il resto della
8
vita e fu sempre cortesissimo con il cuoco Giovanni, specie verso la fine che non
tardò ad arrivare perché, come le altre due sorelle di mia madre, anche mio nonno
morì di tubercolosi.>>
<<Dopo il suo funerale buttarono fuori dalle finestre del terzo piano tutto quello
che apparteneva alla famiglia per bruciarlo in un falò per strada perché il male non
passasse ad altri. Mia nonna venne allora a vivere con noi con solo quello che
aveva indosso e un fagotto con dei vestiti neri e una spilla d’oro con qualche
piccola perla. La mia meravigliosa nonna Elisa da cui io ritiro molto! Aveva degli
occhi azzurrissimi, una pelle bella, diafana, e il naso un po’ a patata che ho ripreso
io e poi la Saskia. Era saggia, stupendamente saggia, e aveva un senso di sé, una
modestia e anche una sicurezza con cui è riuscita a trovare uno spazio nella sua
nuova famiglia in cui è vissuta per quasi dieci anni.>>
<<Pensa, mio padre cosa le fece, che carino! Con la sua grande genialità fece una
stanza per la nonna che ogni sera veniva ricostruita. Piantava un palo di ferro nel
pavimento del salotto e fra il palo e il muro attaccò una tenda con due ganci. La
nonna Elisa dormiva lì, quella era la sua camera da letto. La mattina appena si
alzava smontava tutto, il palo andava sotto il letto e la tenda veniva ripiegata. La
sera, quando la vita di famiglia era finita, io l’aiutavo a rimontare la tenda e lei si
1
ritirava lì dietro. E’ morta dietro quella tenda.>>
Essendo cagionevole di salute, Terzani passa molto tempo in casa a studiare, per
cui al termine delle elementari il suo maestro spinge i genitori a mandarlo almeno
alle medie. Frequenta la Scuola Media Machiavelli a Santa Trinità. Comincia
così ad assaporare la libertà e a socializzare con un ambiente più aperto rispetto a
quello di Monticelli, facendo amicizia, per esempio, col Baroni, figlio di un
1
Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano, 2006, p. 30.
9
dentista, che gli aprirà le porte della biblioteca avuta in eredità dallo zio prete,
fatto che fa nascere in lui la passione per la lettura e i libri.
Frequenta anche il ginnasio e poi il liceo Galileo, vicino al Duomo di Firenze. E’
una scelta difficile, questa, per la sua famiglia che invece di avere un’entrata in più
si trova a dover affrontare nuove spese, come ad esempio il primo paio di
pantaloni lunghi. Questo fatto verrà spesso sottolineato con sarcasmo dallo zio
Vannetto. E qua comincia a essere predestinato ad una vita diversa da quella di un
comune fiorentino. A quindici anni fa il giornalista per “Il Mattino”, scrivendo
pezzi di cronaca sportiva sulle corse ciclistiche e le partite di calcio. Terzani parla
spesso di quell’emozione nel sentirsi dire “Largo c’è i’ giornalista!”, emozione
che proverà spesso nel corso della sua carriera. Nel 1955 con l’amico Manzella va
a lavorare in Svizzera, per poi dedicarsi ad una meravigliosa avventura in autostop
su e giù per l’Europa, esperienza che determina in lui la consapevolezza che il suo
futuro è in qualche modo legato al viaggiare. Nonostante tutta la sua famiglia
prema perché accetti un posto in banca, Terzani decide di iscriversi alla Normale
di Pisa, dove si laurea in Giurisprudenza nel 1961. Sebbene abbia già chiara l’idea
di diventare giornalista, sceglie legge perché è forte in lui il desiderio di difendere
i poveri contro i ricchi, e gli pare che l’unico modo di farlo sia diventare avvocato
e mettersi a difenderei diritti dei poveri.
A diciassette anni conosce Angela Staude, sua futura moglie. Parlando di
quest’incontro, la signora Terzani sottolinea scherzosamente che Tiziano, così
curioso di conoscere persone e paesi nuovi e a cui l’ambiente fiorentino
10
cominciava a stare stretto, non si lasciò sfuggire l’occasione di conoscere una
ragazza straniera quando venne a sapere che era ospite da alcune amiche. I due
avevano frequentato ambienti del tutto diversi, Angela che è di origine tedesca
studia nella scuola per stranieri, mentre Tiziano nel prestigioso Liceo Galilei,
organizza serate di cineforum per gli studenti, in cui fa anche da commentatore ai
film di De Sica, Rossellini e molti altri, scrive già per la cronaca sportiva di un
giornale di Firenze. Come lo definisce Angela: “Era un bellissimo ragazzo,
conosciuto da tutti, nei cui occhi si leggeva già che avrebbe avuto un destino, una
passione e una curiosità per la vita difficili da non notare.”
Terzani lega moltissimo con la famiglia della futura moglie, sentendola come
valori e ideali molto affine a sé, instaurando un profondo legame soprattutto col
padre di Angela, un pittore, e con la nonna Renate.
La coppia si trasferisce a Marina di Massa, dove una famiglia di pescatori lascia
loro una casetta in un campo, a tre chilometri dal mare. Qui, raccogliendo mattoni
e pezzi di legno, si costruiscono scrivanie e librerie, e Tiziano può dedicarsi così
alla stesura della sua tesi di laurea.
Riesce a laurearsi in giurisprudenza con 110 e lode nel 1961.
Trova lavoro presso l’Olivetti e dopo pochi mesi sposa Angela e si recano in
viaggio all’Orsigna, nel podere lasciato in eredità dall’amata nonna della moglie,
Renate.
Ne La fine è il mio inizio, a proposito del matrimonio con Angela, Tiziano dice
che è stata una cerimonia bellissima: << Volli andare a cercare un posto dove non
ci fosse un sindaco democristiano e il primo che trovammo fu a Vinci. C’era un
sindaco comunista che, carino, si presentò con la fusciacca tricolore, e che
sapendo che la Mamma era di origine tedesca, coprì con la bandiera – di nuovo
l’Italia! – una lapide che diceva quanti partigiani i tedeschi avevano trucidato nel
11
paese di Vinci. Facemmo un pranzo con i miei genitori, i genitori della Mamma,
suo fratello e i due testimoni, otto o nove persone. E poi via! All’Orsigna per il
2
viaggio di nozze.>>
Nel 1961 all’Olivetti comincia come venditore porta a porta, poi fa carriera,
diventa capo dei venditori, insegnante dei capo venditori e infine passa all’Ufficio
del Personale di Ivrea. In seguito diventa reclutatore di giovani brillanti per le
filiali estere, esperienza che gli permette di viaggiare in tutto il mondo:
Danimarca, Portogallo, Francoforte, Sudafrica. Ed è proprio qui che nasce il suo
primo reportage, facendo tante foto e raccogliendo documenti sull’apartheid.
Vengono pubblicati questi suoi primi pezzi, che l’autore confida di aver scritto
con molta difficoltà, sull’Astrolabio, col titolo L’Africa chiusa.
Nel 1965 mette per la prima volta piede in Asia grazie all’Olivetti che lo manda in
Giappone per tenere alcuni corsi aziendali.
Nonostante questi viaggi è per lui un periodo di crisi: si sente destinato alla vita di
giornalista, ma non riesce a fare il grande salto e dedicarsi solo al giornalismo, gli
pare un’impresa utopica come quella di diventare presidente della Repubblica.
Anche se la signora Terzani non lo ammette, credo che parte del merito sia suo e
del suo costante supporto se alla fine suo marito sceglie di seguire questa strada.
Nel 1966 vince una borsa di studio di due anni presso la Columbia University di
New York, dove studia il cinese e la Cina, quella Cina che ai suoi occhi si presenta
come un’alternativa al mondo occidentale, e corrisponde al suo desiderio di
trovare un modello diverso di società e di vita. Ciò avviene grazie all’incontro
presso l’Università di Bologna con un talent scout che lavora per una fondazione
americana che sentendolo pronunciare un discorso apertamente antiamericano in
2
Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano, 2006, p. 53.
12
merito alla questione vietnamita gli chiede come mai odi tanto l’America. Terzani
3
risponde: “Forse perché non conosco l’America, non ci sono mai stato.”
In questi anni si rende conto dell’importanza del giornalismo e leggendo la stampa
americana, alcuni giornalisti gli appaiono come eroi, ne apprezza la libertà
d’espressione, la mancanza di rispetto per il potere che ben si accordano con la sua
visione anarchica delle cose.
Qui passa una settimana lavorando insieme ai giornalisti del New York Times, tra
cui James Raston, uno degli editorialisti che più stima. Ma il suo vero mito è
Edgar Snow, il celebre autore di Stella rossa sulla Cina, che aveva vissuto con
Mao prima della vittoria comunista.
Nell’agosto del 1969 a New York nasce il figlio Folco, che proprio per la passione
di Terzani per la Cina corre il rischio di essere chiamato Mao!
L’attrazione per l’Asia si fa sempre più forte per cui decide di diventare un
giornalista inviato o corrispondente in quel continente. Fa il praticantato al Giorno
diretto da Italo Pietra e diventa amico di Bernardo Valli, uno dei più grandi inviati
italiani. Poi bussa alle porte di Le Monde e The Guardian, senza riuscire a farsi
assumere. Alla fine ottiene un contratto col settimanale tedesco Der Spiegel che lo
manda a Singapore. Comincia così la sua trentennale corrispondenza dall’Asia.
Questo fatto così straordinario di bussare alle porte dei maggiori quotidiani
europei invece di sceglierne uno italiano, fa sì che Terzani non sia mai assunto da
un giornale italiano. Sì, certo, invia i suoi pezzi a Repubblica e al Corriere della
3
Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano, 2006, p. 58.
13
Sera, e sono sempre molto apprezzati, ma non gli viene mai offerto un posto vero
e proprio in redazione, fatto che un po’ lo ha amareggiato.
Nel 1971 nasce la secondogenita Saskia e nel 1972 tutta la famiglia si trasferisce a
Singapore, che diventa la base da cui Terzani sarebbe partito per coprire la guerra
in Vietnam, Laos e Cambogia.
Contemporaneamente all’assunzione presso Der Spiegel collabora con la Banca
Commerciale Italiana, presieduta da un uomo molto colto e coraggioso, Raffaele
Mattioli che gli garantisce 1000 dollari al mese per avere notizie sull’andamento
politico ed economico dell’Asia. Parlando del primo incontro con Mattioli,
Terzani scrive: << La prima volta che mi incontrò parlò poco. Mi mise in mano un
nezuké giapponese e disse: “Questo è cinese vero?” E io dissi: “No, questo è un
nezuké giapponese e serve per chiudere la scarsella”. Raccontai cos’era un nezuké.
Mi aveva messo alla prova! Sai i vecchi, sai i geni, quelli fuori dalle regole, non
fanno le solite domande “Lei quando si è laureato…?Non gliene frega niente. Ti
4
mette in mano un nezuké e dice “E’ cinese vero?” E tu dici no.>>
L’esperienza del Vietnam e della guerra lo colpisce moltissimo e nel 1973
pubblica Pelle di leopardo, in cui racconta delle contraddizioni tra quella società
così antica e semplice e le modernità che la guerra le impone, della paura che
viene quando si sta al fronte, del magico romanticismo di Saigon.
4
Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano, 2006, p. 90.
14