4
Introduzione:
La produzione di Elsa Morante, sin dagli esordi
1
, si è contraddistinta per la sua orgogliosa
“indipendenza”
2
rispetto alle mode letterarie vigenti, in conformità con una poetica che la
scrittrice stessa avrebbe confermato nel corso degli anni Sessanta, quando una prolifica
serie di interviste e di interventi
3
avrebbero squarciato il velo di tradizionale riserbo di cui
l’autrice soleva cingere la propria officina creativa.
Tale presunta “inattualità”,
4
in cui pure affiora un’inesauribile ricchezza di fonti, ispiratrici
discrete
5
dell’ubertoso tessuto narrativo, ha sovente attirato sull’incurante
6
Morante, le
1
Il presente elaborato, come sarà sottolineato anche più avanti, si è soffermato sulla produzione morantiana
più nota ed acclamata che va da Menzogna e sortilegio (1948), sino all’ultimo romanzo Aracoeli (1982),
tralasciando scientemente le collaborazioni giornalistiche, sotto forma di articoli e di racconti, che
rappresentarono il caparbio e febbrile incipit letterario di Elsa, unite alla raccolta di racconti Il gioco segreto
(1941), poi parzialmente confluita ne Lo scialle andaluso (1963).
Per una disamina bibliografica della folta attività giornalistica della Morante, cfr. E. Morante, Opere (a cura
di C. Garboli-C. Cecchi), II, Mondadori, Milano 1988, pag. 1637-1643.
2
L’insofferenza, la ribellione canzonatoria ai conformismi, fu un principio ispiratore di tutta la vita della
Morante (cfr. supra, cap. 1) che, fin dall’infanzia, cominciò a constatare la meschina ipocrisia del codice di
valori borghese. Ricusando la prosecuzione degli studi universitari, si allontanò altresì dalla famiglia,
provvedendo autonomamente al proprio sostentamento, sino all’incontro con il futuro marito Alberto
Moravia (1936). Manifestatesi ben presto le incompatibilità caratteriali che condannarono al fallimento il loro
matrimonio, la scrittrice romana visse altre relazioni non sempre contraccambiate (è il caso di Luchino
Visconti), ma coerenti con la sua vulcanica passionalità, l’ultima delle quali (quella col pittore ventenne Bill
Morrow) sfociò in tragedia. La ripulsa per le consuetudini fu confermata anche sul piano culturale e politico
dalle scelte “isolazionistiche” che la contraddistinsero sino alla morte (1985), persistentemente fedele ai suoi
ideali anarchici e critica nei confronti del presenzialismo di molti suoi colleghi letterati, a cominciare dallo
stesso Moravia.
Pur se aliena dai circoli letterari ufficiali, la Morante strinse molte durature amicizie con poeti ed intellettuali,
come attesta il bel volume, curato da Adriano Sofri e da Goffredo Fofi, che raccoglie le testimonianze ed i
tributi affettuosi attestati da coloro che ebbero la fortuna di frequentarla più o meno assiduamente, cfr. G.
Fofi-A. Sofri (a cura di) Festa per Elsa Sellerio Palermo 2011. Sulla scia di questo omaggio postumo a Elsa,
se ne segnala anche un altro, meno recente, ma altrettanto sincero per ispirazione e per commozione, cfr. J.N.
Schifano-T. Notarbartolo (a cura di) Cahiers. Elsa Morante vol. 2 Esi Napoli 1995.
3
Cfr. infra, cap. 3.1.
4
L’opera morantiana più “anacronistica” rispetto alla temperie culturale vigente è forse proprio Menzogna e
sortilegio, edito in piena “dittatura” neorealista e, nonostante ciò, tenacemente estraneo a quell’imperativo di
impegno civile affibbiato alla letteratura dai teorici del movimento. Il primo romanzo morantiano, di
conseguenza, fu accolto con scetticismo ed impaccio, soprattutto in ragione della sua patente
“extravaganza”.
5
La Morante, “onnivora” lettrice, è immune da quella anxiety of influence di bloomiana memoria, dal
momento che riesce sempre a “riscrivere” le sue molteplici fonti di riferimento che affiorano, perciò, spesso
cripticamente dalle pagine, riconoscibili solo al lettore più accorto.
6
E’ nota la diffidenza, comprovata anche nei successivi capitoli, che la Morante nutriva nei confronti dei
giudizi critici, ad eccezione di quelli formulati da coloro di cui apprezzava profondamente la levatura
intellettuale, come nel caso di Cesare Garboli e di Giacomo Debenedetti, strenuo difensore, sin dai tempi di
Menzogna e sortilegio, delle doti della scrittrice romana. A conferma dell’imperturbabilità ben presto
acquisita dalla scrittrice di fronte alle recensioni più meno polemiche nei suoi confronti, basti citare il
silenzio di quest’ultima all’epoca delle virulenti reazioni suscitate dal romanzo La Storia, soprattutto tra i
critici militanti di sinistra, i quali tacciavano l’opera di disfattismo reazionario (si veda in particolare la
valutazione impietosa espressa da Rossana Rossanda, cfr. infra, cap. 3.2.4.)
5
ironie, lo sbigottimento e finanche le accuse di snobismo
7
da parte di alcuni dei suoi
recensori, concordi ben presto sull’inadeguatezza di qualsivoglia classificazione dell’ opera
morantiana all’interno di una determinata corrente o di un filone letterario, a conferma
della sua irriducibile e peculiare unicità.
I testi di Elsa, la cui raffinatezza stilistica
8
e densità meditativa
9
attestano le straordinarie
doti “metamorfiche”
10
di una scrittrice mai iterativa e in costante rinnovamento, hanno
rappresentato e rappresentano ancora oggi un’ambiziosa sfida ermeneutica per i critici che
vi si sono accostati
11
e vi si accostano tuttora,
12
nella consapevolezza condivisa della
7
Si vedano in particolare le evidenti difficoltà con cui molti illustri critici recensirono, alla sua apparizione,
Menzogna e sortilegio, accostato caoticamente alle più disparate espressioni romanzesche del Settecento e
dell’Ottocento francese, nel cieco misunderstanding della sua più autentica natura di parodia, contenutistica e
stilistica, del romanzo tradizionale.
8
Dal narratore “barocco” di Menzogna e sortilegio, al dialetto “verghiano” dell’Isola di Arturo, agli impasti
linguistici de Il Mondo salvato dai ragazzini, è evidente la costante attenzione morantiana nei confronti del
linguaggio che non soggiace mai ad una mimesi meramente naturalistica della realtà, ma che, più
“espressionisticamente”, fa affiorare il calore dell’autrice a confronto con i suoi Nunziata, Arturo, Nino,
Useppe, etc….
9
Secondo la Morante (cfr. Sul romanzo, 1959) l’impegno morale è connaturato ad ogni vera opera letteraria,
anche nel caso in cui quest’ultima non ostenti alcun legame con la contemporaneità. Coerentemente con
quest’idea (da cui consegue, secondo la scrittrice romana, l’assimilazione del poeta al filosofo-psicologo), i
testi morantiani propongono al lettore una riflessione, spesso problematica e persistentemente “aperta”, su
tematiche universali, la cui eco travalica le considerazioni politiche che pure nell’ultima parte della sua
produzione imbevono le pagine di denunce civili. Ne è una conferma Aracoeli (1982), il romanzo della
decadente maturità, che rinuncia, contrariamente ai precedenti, all’invettiva ideologica, per raccontare una
vicenda individuale che però ha una chiara “estensione” corale.
10
Su questo aspetto si è giustamente soffermato uno dei più fini critici (ed amici) morantiani, Cesare Garboli,
che ha sottolineato la capacità della scrittrice di sorprendere anche i suoi lettori più affezionati, ideando opere
che pur ribadendo alcuni tratti inconfondibili, hanno, di volta in volta, spiccato per originalità,
differenziandosi l’una dall’altra. La svolta più netta, se si guarda complessivamente alla produzione di Elsa,
si origina alla metà degli anni Sessanta, con l’approdo, che più avanti si è tentato di illustrare nella sua
eziologia (cfr. cap. infra, cap. 5.1), ad una letteratura impegnata, che non ha paura di confrontarsi (e di
scontrarsi) con le ipocrisie e le contraddizioni politiche, sociali, economiche e morali della società moderna.
11
La bibliografia critica della Morante è amplissima e arricchita da nomi prestigiosi, irrinunciabili punti di
riferimento, questi, per il presente studio che ha tentato di intrecciare le acquisizioni critiche ormai
consolidate con le stimolanti letture interpretative formulate negli ultimi anni. Esemplificativi di contributi
attendibili pur se, in alcuni punti, ormai datati, sono G. Venturi, Elsa Morante La Nuova Italia Venezia 1977,
C. Bria Elsa Morante Ciranna Roma 1976 e A.R. Pupino Strutture e stile nella narrativa di Elsa Morante
Longo Ravenna 1968.
12
Negli ultimi anni, l’approssimarsi dell’anniversario morantiano (il centenario della nascita di Elsa, 1912)
ha contribuito senza dubbio a ridestare l’interesse dei critici nei confronti della scrittrice romana, mai del
tutto sopito, in realtà, come rivelano pubblicazioni relativamente recenti, pur se risalenti ormai ad una decina
di anni fa, come nel caso del denso saggio della D’Angeli, che esplora acutamente l’influenza esercitata dalla
filosofa francese Simone Weil sulla Morante, cfr. C. D’Angeli, Leggere Elsa Morante Carocci Roma 2003.
Per uno studio ancora più specifico a riguardo, si veda anche C. Cazalé Bérard Donne tra memoria e scrittura
Carocci Roma 2009.
Ancora fresche di stampa sono il contributo della Barnabò (cfr. G. Barnabò, La fiaba estrema. Elsa Morante
tra vita e scrittura Carocci Roma 2012) che indaga l’intreccio tra la biografia e l’opera morantiana e il bel
volume curato da Daniele Morante, certosino nel raccogliere, oltre a quelle già pubblicate, le lettere inedite
della zia, fondamentali per ricostruire i rapporti amicali e professionali da lei intrecciati con intellettuali, ma
anche con ammiratori comuni, cfr. D. Morante (a cura di) L’amata. Lettere di e a Elsa Morante Einaudi
Torino 2012.
Per completezza, è doveroso citare, in rigoroso ordine cronologico, le due esposizioni più recenti dedicate
alla scrittrice romana, entrambe allestite presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, da cui sono
6
ricchezza ancora in parte inesplorata delle pagine morantiane. Queste, come è stato
giustamente osservato,
13
serbano la testimonianza più attendibile ed efficace di una
scrittrice capace come pochi di suscitare polari sentimenti di plauso e di disapprovazione,
di commozione e di ostilità, delimitando nettamente il confine degli entusiastici estimatori
da quello dei detrattori più critici.
Il presente lavoro, focalizzandosi sulla produzione più spiccatamente engagée della
scrittrice, senza tuttavia tralasciare gli elementi di continuità con l’ opera precedente, ha
tentato di illustrare le dinamiche di interazione della Morante con la propria
contemporaneità, risoltesi ora in feconda estraneità, ora in combattiva contestazione,
14
nella dolorosa convinzione, da parte dell’intellettuale romana, delle pericolose affinità tra
Passato e Presente, parallelamente all’accorata premonizione dei medesimi rischi per un
Futuro analogo.
15
Si fornisce, di seguito, un abstract relativo al contenuto dei capitoli che compongono lo
studio sopra delineato:
-Capitolo 1: una rassegna biografica volta a individuare gli intrecci che è possibile istituire,
lungi da ogni imperativo deterministico, tra la vita e l’opera della Morante
16
. La suddetta
cronaca, intervallata da testimonianze dirette della scrittrice stessa, oltreché dei suoi
familiari ed amici, si sforza di illustrare l’intensa esistenza di Elsa, affrancandosi da punti
di vista precostituiti e mirando a restituire il più possibile la sua multiforme personalità.
-Capitolo 2: nella prima parte, una disamina delle principali fonti morantiane, perseguita
nella consapevole impossibilità di rintracciare esaurientemente le letture di cui si è nutrita
la scrittrice romana, ignara di confini geografici e cronologici nelle sue innumerevoli
“peregrinazioni culturali”.
scaturiti due esaustivi cataloghi, preziosi per gli studiosi ed appassionati morantiani, cfr. G. Zagra-S. Buttò (a
cura di) Le stanze di Elsa. Dentro la scrittura di Elsa Morante Colombo Roma 2006 e G. Zagra (a cura di)
Santi, Sultani e Gran Capitani in camera mia. Inediti e ritrovati dall’archivio di Elsa Morante Biblioteca
Nazionale Centrale di Roma 2012.
13
Ancora una volta la giusta osservazione appartiene a Cesare Garboli, cfr. C. Garboli, Scritti servili Einaudi
Torino 1989.
14
“Manifesto” drammatico dell’indignazione morantiana nei confronti della società moderna è il romanzo
La Storia (1974), il cui sottotitolo (“uno scandalo che dura da diecimila anni”) rivela l’allusione di Elsa
all’attualità. In realtà anche la raccolta Il Mondo salvato dai ragazzini (1968) di poco antecedente, esprimeva
una valutazione critica dei tempi moderni, seppure formulata all’interno di uno sfondo sereno e scanzonato,
imbevuto ancora della speranza palingenetica risposta nei “ragazzini”, contrariamente all’orizzonte plumbeo
in cui si muovono i personaggi delle opere successive.
15
Nella Morante in veste di “vate”, procedono parallelamente due “tensioni argomentative”: la
demistificazione della società moderna ed il tentativo disperato, ma perseguito sino alle soglie del romanzo
Aracoeli (1982), di edificazione del mondo su nuove basi, su una nuova scala di valori da consegnare alle
generazioni future.
16
Nella stesura del suddetto capitolo, si è rivelato punto di riferimento imprescindibile il già citato volume di
Graziella Barnabò, cfr. G. Barnabò, La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura, cit.,
7
Nella seconda parte, un’analisi della fortuna coeva riscossa dalle sue opere in ambito
internazionale, con particolare riferimento all’orizzonte editoriale francese, spagnolo
17
e
statunitense che, per dissimili motivi, si mostrarono più ricettivi di altri.
-Capitolo 3: nella prima parte una ricostruzione della poetica morantiana condotta sulla
base delle interviste e degli interventi teorici rilasciati dalla scrittrice, presentata nelle vesti,
per lei inconsuete, di critica letteraria.
Nella seconda parte, un rapido sguardo sui giudizi critici più significativi formulati
all’apparire delle opere morantiane.
18
-Capitolo 4: una riflessione sull’ideologia politica morantiana nei suoi contenuti più
problematici ed irrisolti, suffragata da riferimenti tratti dalle opere meno note, come nel
caso de Il Piccolo Manifesto dei Comunisti (senza classe né partito).
19
-Capitolo 5: prosecuzione naturale del capitolo precedente, un’indagine che attesta il
partecipe interesse morantiano nei confronti delle vicende politiche e culturali della società
italiana negli anni della contestazione studentesca e dello stragismo. In particolare, sono
oggetto di commento le posizioni espresse dalla Morante nell’ambito del controverso caso
giudiziario in cui fu imputato Aldo Braibanti (1967-1968) e la Lettera alle Brigate Rosse
(1978)
20
che la scrittrice redasse profondamente scossa, a seguito del sequestro di Aldo
Moro.
-Capitolo 6: focus storico sulla Seconda Guerra Mondiale a Roma,
21
celeberrimo sfondo
del romanzo morantiano La Storia: dal bombardamento di San Lorenzo (19 luglio 1943)
alla liberazione alleata della città (4-5 giugno 1944), sottratta all’occupazione tedesca.
17
Il recentissimo catalogo curato dalla Zagra precedentemente citato, ospita un interessante saggio sulla
controversa traduzione spagnola del romanzo La Storia, capace, per le evidenti manipolazioni del testo
originale, di attirarsi le ire della stessa Morante. Per l’approfondimento di tutto l’affaire, si rimanda
naturalmente al suddetto capitolo.
18
Come sarà opportunamente illustrato all’interno del capitolo, si è attribuito maggiore spazio, rispetto ad
altri, al dibattito critico suscitato dal romanzo La Storia, l’opera della scrittrice che più si presta a quella
capacità, peculiare della Morante, di segmentare nettamente il campo degli estimatori e dei detrattori.
19
Il Manifesto, come sarà ribadito più avanti, ci è pervenuto non per volontà della scrittrice, bensì per la
preziosa intercessione dei curatori dei materiali morantiani, Cesare Garboli e Carlo Cecchi, che ne
promossero la pubblicazione nel 1970.
20
Anche in questo caso, la Morante rinunciò a pubblicare il testo e finanche ad ultimarlo. La volontà degli
amici Cesare Garboli e Carlo Cecchi si rivelò ancora una volta propizia al lettore che non può rimanere
insensibile di fronte ad un appello vibrante di humanitas come quello rivolto dalla scrittrice ai giovani
brigatisti.
21
La bibliografia in materia è naturalmente amplissima. Nel presente lavoro sono stati privilegiati quei
contributi storiografici che hanno consentito di approfondire gli avvenimenti storici citati nel romanzo
morantiano: il tragico bombardamento di San Lorenzo (cfr. U. Gentiloni Silveri-M. Carli Bombardare Roma.
Gli alleati e la città aperta (1940-1944) Il Mulino Bologna 2007), la repressiva occupazione tedesca di Roma
(cfr. R. Katz, Roma Città Aperta. Settembre 1943-Giugno 1944 Il Saggiatore Milano 2004, W. De Cesaris,
La borgata ribelle. Il rastrellamento nazista del Quadraro e la Resistenza popolare a Roma Odradek Roma
2004 e R. Katz Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine Il Saggiatore Milano 2004) e il
rastrellamento del Ghetto (cfr. G. Debenedetti, 16 ottobre 1943 Einaudi Torino 2005).
8
Capitolo 1:
Una “ragazzina” di nome Elsa
1
“Niente ha molta importanza, ed è spaventoso che noi torturiamo e distruggiamo questo
poco tempo che quasi certamente è l’unica vita che abbiamo, per cose senza importanza.
Bisognerebbe vivere sempre come se il giorno dopo si dovesse morire e nello stesso tempo
come se si fosse immortali e quindi tutto fosse relativo e noioso. Bisognerebbe!”
2
1.1 Un’infanzia intensa:
Elsa Morante nacque a Roma
3
poco dopo il 1910 (conformemente ai suoi desideri, la data
esatta non deve essere specificata
4
), in una famiglia appartenente alla piccola borghesia
impiegatizia, segnata al suo interno da dinamiche conflittuali
5
che non avrebbero tardato a
rivelarsi agli occhi della scrittrice, cui fu rivelato dalla madre, la modenese Irma
1
Il titolo del capitolo è legittimato dalla peculiare accezione morantiana di “ragazzini”, categoria non
anagrafica, bensì dello spirito, estesa dalla scrittrice a tutti coloro che si oppongano ai disegni corruttori della
Grande Opera (la “Storia”) mediante la violazione delle sue collusioni, delle sue regole e dei suoi
conformismi.
2
Frammento di una lettera indirizzata dalla Morante alla disegnatrice ed amica Luisa Fantini (31 gennaio
1936), cfr. D. Morante (a cura di) L’amata. Lettere di e a Elsa Morante, cit.,
3
Roma restò sempre la città cui Elsa rimase più legata, nonostante i molteplici viaggi che, nel corso della sua
vita, la condussero da un continente all’altro. Si legga, in proposito, un commosso panegirico (risalente al
1962) che la scrittrice rivolge a Piazza Navona, indicata, attraverso una vivace argomentazione ed un serrato
confronto con altre piazze, come insuperata realizzazione architettonica. Il suddetto articolo si può leggere in
E. Morante, Opere, (a cura di C. Garboli-C. Cecchi), II, cit., pag 1529-1536: “[…] io, tutti i giorni, almeno
per un poco, vado a consolarmi dalla mia Navona. D’estate ci vado in villeggiatura: e dove si trova un’altra
villeggiatura come questa, con Quattro Fiumi [la fontana dei Quattro Fiumi], e i delfini, e i cavalli marini, e i
leoni? La sera, ci vado a cena: e si può esser sicuri che mai nessun imperatore, in tutta la storia, ha mai
cenato in un salone più bello di questo. Ma il più delle volte, poi, ci vado a non far niente, solo per
assicurarmi che ancora esiste: perché, fino a quando esiste una Navona, c’è ancora qualche speranza per
questo mondo. Magari, se sono stanca, non guardo nemmeno i suoi bei palazzi, le facciate delle chiese, le
fontane; mi basta di sentirmeli intorno, tutti caldi di questa vitalità superba della mia Navona, che
basterebbe a ridar fiato a una popolazione intera. […]
Per fortuna, ci sono io per difenderti Navona mia; ma sugli altri romani non ci contare. Un milione almeno
di romani sarebbero pronti a darti via in cambio di una Seicento, o di un juke-box”.
4
A tal proposito, in una delle ultime interviste rilasciate, la Morante dichiarò con malcelato compiacimento
di aver spesso indicato, nel corso di tutta la sua vita, una data di nascita erronea, allo scopo di risultare più
giovane, agevolata in questo anche dal suo aspetto, che, prima del misterioso declino fisico che l’attraversò
negli ultimi anni, denunciava un’età non corrispondente con la realtà effettiva.
Tale circostanza si può leggere in G. Barnabò, La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura, cit.,. e in
J- N. Schifano- T. Notarbartolo, (a cura di) Cahiers, cit.,
5
La Morante stessa ha raccontato il sordo rancore che la madre nutriva nei confronti del marito, oggetto di
ostilità e di dileggio anche da parte dei figli. Echi palesi di queste esperienze familiari così traumatiche si
possono cogliere nel romanzo Menzogna e sortilegio (1948), in particolare nella fallimentare vicenda
coniugale di Teodoro e di Cesira. Questa stessa infelicità domestica (non aliena, forse, da reminescenze
pirandelliane sul medesimo tema, ossia la crisi dell’istituto familiare) con esiti anche più drammatici, è
destinata a reiterarsi nella generazione successiva, quella di Anna, sposa sprezzante di Francesco, secondo
una concezione del matrimonio che esclude la reciproca spontaneità dell’amore (se si eccettua la coppia
Aracoeli-Umberto, nell’omonimo ed ultimo romanzo), con ineluttabili ripercussioni sulla serenità del nucleo
familiare.
9
Poggibonsi,
6
il segreto che l’accomunava agli altri fratelli: l’esistenza di due padri,
entrambi siciliani
7
: quello naturale,
8
Francesco Lo Monaco, e quello anagrafico, Augusto
Morante,
9
istitutore presso il riformatorio “Aristide Gabelli”.
6
Irma Poggibonsi, maestra elementare ebrea, è senza dubbio un personaggio complesso, come hanno
giustamente osservato tutte le più attendibili biografie morantiane. Colta e determinata, dopo aver accettato
amaramente il manifesto fallimento del suo matrimonio, marginalizzò sempre più il marito Augusto,
instaurando con i figli, in particolare con Elsa, un rapporto quasi simbiotico. Certo non casuale è la presenza
ricorrente, nei romanzi morantiani, della figura della maestra elementare che si materializza nei personaggi di
Cesira (Menzogna e sortilegio), della madre di Wilhelm (L’isola di Arturo) e della celeberrima Ida Ramundo
(La Storia).
7
Molti critici hanno giustamente individuato nell’opera della Morante l’influenza della sua origine siciliana,
mettendo in luce l’interesse “sociologico”, oltreché la condivisione emotiva, della scrittrice nei confronti
della mentalità e del folclore meridionale mitico-arcaico, ritenuto, assieme ai suoi interpreti, più autentico e
genuino del costume morale diffuso nella società contemporanea. Infatti, se si fa scorrere lo sguardo sui
personaggi più amati dalla scrittrice, su cui, cioè, quest’ultima proietta le idealità più positive o di cui
condivide gli slanci emotivi, si perviene alla convinzione che la Morante individua nel proletariato o
sottoproletariato meridionale una “sacca” di persistente estraneità alla corruzione del mondo moderno. Si
pensi, a titolo esemplificativo, a figure femminili quali Nunziata, Antigone, Caterì, la cui solare affettività è
contrapposta polemicamente alla fredda mentalità razionalistica dei tempi moderni.
8
La dialettica padre naturale/padre anagrafico, con le relative ripercussioni sentimentali, è un altro elemento
autobiografico che confluirà nel personaggio di Francesco in Menzogna e sortilegio, in cui la corrispondenza
col protagonista è segnalata anche a livello onomastico: Ruggero Monaco, padre effettivo di Francesco,
riecheggia in modo evidente il Francesco Lo Monaco padre naturale della scrittrice. Il suicidio di
quest’ultimo, negli anni Quaranta, lasciò la Morante piena di rimpianti per un rapporto affettivo mai vissuto
sino in fondo; la frequentazione tra i due, soprattutto nei primi anni, si limitava difatti a brevi incontri,
durante i quali l’uomo, per superare l’impaccio della situazione, intonava arie d’opera con la sua calda voce
baritonale (anche questo elemento, mediante un’opportuna trasfigurazione letteraria, sarà proiettato sul
personaggio di Francesco De Salvi, che senza dubbio racchiuderà tratti, anche e al tempo stesso, di Augusto
Morante, padre un po’ goffo e tiranneggiato dai figli, come accade allo stesso “Butterato”, evitato quasi con
disprezzo dalla figlia Elisa, totalmente succube della madre).
In realtà, stando alle confessioni della scrittrice raccolte da J.-N. Schifano in un’intervista del 1984, il lettore
ed il critico devono rifuggire da autobiografismi troppo rigidi nell’interpretare Menzogna e sortilegio ed altri
testi morantiani, cfr. J.-N. Schifano-T. Notarbartolo, (a cura di) Cahiers, cit.,: “nessuno dei miei personaggi
è preso direttamente dalla mia costellazione familiare, tranne la nonna di Menzogna e Sortilegio, che è
precisamente la mia nonna materna. Si è spenta come lei, piena di silenzi e di dolori, e non domandava ,
seduta nel suo angolo, che pane e acqua”.
Le ricerche filologiche focalizzatesi sul manoscritto di Menzogna e sortilegio hanno peraltro rivelato la
presenza originaria di una mesta ed affettuosa dedica a Francesco Lo Monaco (che figura con la sigla F.), poi
soppressa al momento della pubblicazione, cfr. G. Barnabò, La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e
scrittura, cit.,: “alla memoria di F./ dedico questo libro/ dove il nostro paese natale/ sconosciuto a me
nell’esilio/ appare non qual è nel vero/ma quale mi è tramandato/ da un’infanzia non più mia/ fatta amara
leggenda/ da me perduta insieme/ alla mora figura di lui/ Amore e Memoria/ daranno testimonianza/ del
nostro vero:/ mio principio oscuro/ sua povera fine. Roma 1945”.
9
Era stato lo stesso Augusto a presentare Francesco Lo Monaco alla moglie Irma, nella speranza che la
frequentazione dell’amico con la consorte e le gravidanze che ne sarebbero scaturite, celassero la propria
inconfessabile impotenza, che, nell’Italia dell’epoca e, in particolare, secondo la mentalità siciliana,
costituivano una macula infamante ed incancellabile, come ben rappresentato da Vitaliano Brancati nel
romanzo Il bell’Antonio.
A diciotto anni la Morante lasciò la famiglia per abitare in un piccolo appartamento; a partire da quel
momento, non volle più incontrare Augusto, il padre putativo, nonostante i sensi di colpa che tale scelta così
netta le determinò. In quegli stessi anni si consumò lo strappo anche con la madre, Irma Poggibonsi, che non
si rassegnò mai davvero a quella che interpretò come una vera e propria fuga della figlia, risoluta, tuttavia, ad
emanciparsi dalla soffocante influenza materna. Irma era amata e stimata da Elsa, che, tuttavia, una volta
cresciuta, cominciò a valutare criticamente i limiti ed i compromessi di sua madre, che aveva accettato un
matrimonio privo di amore e minato dal segreto disonore. Il legame problematico con quest’ultima avrebbe
scosso Elsa sino ai suoi ultimi giorni, se, come hanno raccontato gli amici, la Morante la sognava
frequentemente, ricavando da questi intervalli onirici una sgomenta impressione di irrisolta incomunicabilità
con la figura materna.