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CAPITOLO II
2.1 La rete di «Quaderni storici»
«Quaderni storici» è stato uno degli spazi di discussione all’interno dei quali si è
creata una forte sinergia tra le proposte e gli interessi, eterogenei, per nuovi temi di
ricerca o per nuove domande a vecchi temi da parte delle storiche delle donne.
La rivista nasceva ad Ancona nel 1966, portava all’inizio la dizione «Quaderni
storici delle Marche». Sul frontespizio comparivano tre nomi di redattori: Anselmi,
Paci, Caracciolo ed è lecito sostenere che forse la rivista sia stata più avvantaggiata
che ostacolata dal fatto di nascere in provincia sfruttando questa marginalità
geografica per sviluppare percorsi storiografici d’avanguardia e alternativi. Grazie
a tale collocazione i promotori diventavano più facilmente crocevia di scambi ed
esperienze ed erano sentiti come un territorio libero per opinioni originali o
problematiche innovative. Tuttavia, ha raccontato Anselmi:
[…] ad Alberto Caracciolo, vero punto di forza dei «QSM», l’area
marchigiana, per quanto interessante e importante, come risulta anche
dai suoi studi sullo Stato Pontificio, andava stretta. E così si fecero
cadere le due ultime parole del titolo e la rivista si trasformò in
«Quaderni storici» tout-court. Un salto di qualità notevole connesso
anche alla «entrata in ditta» di Pasquale Villani, Giorgio Porisini,
Edoardo Grendi, Mario Rosa, Arnaldo Salvestrini, Angelo Ventura,
Ercole Sori
58
Significativo il livello di continuità formale che si confermava comunque lungo gli
anni: per esempio la scadenza rispettata era sempre quadrimestrale pur passando
58
Mutamenti nella proprietà e nella direzione, in «Quaderni storici», 55, 1984, p.307. La citazione
appartiene alla lettera che Sergio Anselmi scrisse alla direzione per spiegare le ragioni che lo
avevano portato a lasciare la rivista.
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attraverso i cambiamenti della dicitura (dal 1966 «Quaderni storici delle Marche»,
dal 70 solamente «Quaderni storici», e dal 1984 con l’aggiunta di «nuova serie»);
e anche formato, veste, numerazione progressiva e indicazione del direttore
responsabile restavano invariate.
In sostanza, che cosa teneva insieme e sviluppava quell’impresa nelle sue varie fasi?
Prima di tutto l’idea di assicurare con essa uno spazio per così dire d’avanguardia,
di sperimentazione, di contatto con suggestioni minoritarie emergenti nel mondo
degli studi: idea confermata da un dato generazionale (è da notare che i promotori
della testata «delle Marche» era intorno ai quarant’anni e l’età degli altri entrati via
via in campo era anche più giovane) e da un taglio poco accademico (nessun
professore ordinario in direzione per i primi quattro anni e pochi anche negli anni
Settanta; perifericità della sede iniziale; stampa e distribuzione rimaste a lungo
artigianali e autogestite).
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Seconda cosa, generalmente nota anche se non detta, era la collocazione “a sinistra”
e laica, non soggetta peraltro ad affiliazioni ideologiche o a nessi partitici.
Terza caratteristica, un forte interesse per temi, metodologie, gruppi di lavoro altri
rispetto a quelli propriamente storici, con frequentazione continua, spesso resa
esplicita fin nei titoli dei fascicoli monografici o dei dibattiti, da parte di studiosi di
altre scienze sociali.
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Un altro elemento contava nella storia della rivista ed era
venuto in evidenza gradualmente, empiricamente, senza un preciso progetto, ma
diventava un po’ alla volta centrale e dunque meritava di essere dichiarato
esplicitamente: «Lo enuncio subito, così come lo vedo – scriveva Caracciolo nel
59
A. Caracciolo, Gli Indici di «Quaderni storici»: una rivista modernistica?, in «Quaderni storici»,
62, 1986, pp. 613-614.
60
Ibid.
40
1986 - «Quaderni storici» è una rivista di storia moderna»,
61
seppur ci si scontra
con il problema della periodizzazione della dicitura stessa “storia moderna”.
Intanto basti considerare che più che le tematiche di storia moderna, erano i temi
della storia delle società moderne – pur nel loro riferimento col mondo
contemporaneo o con società più antiche e diverse – che formavano l’interesse
prevalente della rivista, che però in ogni caso dava vita a una serie di fascicoli di
argomento volutamene non isolato né settoriale, ma che rivelano, in termini generali
e per confronto col panorama storiografico circostante, accanto alle diverse
«specializzazioni», una sostanziale unità di aspirazioni.
Gli autori di «Quaderni Storici» propendono per lo studio del sociale, del micro,
delle espressioni simboliche e metaforiche a scapito dell'attenzione per il terreno
politico macro-economico e macro-istituzionale. Questa attenzione a realtà più
frammentate sposta il focus dal momento giuridico e politico ad un'ottica storico-
sociale che recupera i momenti e gli spazi di convivenza civile, istituzionale,
religiosa e scientifica, di carità, del lavoro, del controllo e dell'attenzione ai processi
produttivi.
Il contesto culturale richiedeva anche il tempo di ristrutturare il reticolo dei redattori
e dei collaboratori della rivista: operazione che si esprimeva sul frontespizio in una
sobria indicazione, verosimilmente temporanea, di Caracciolo e Villani come unici
direttori e di Anselmi come caporedattore, in attesa di organiche e più collegiali
articolazioni.
La nuova composizione redazionale veniva discussa di lì a qualche mese in due
riunioni allargate che furono tenute nel 1978 a Roma e a Bologna, di cui si
61
Ibid.
41
diceva più diffusamente nel fascicolo 37 di quell’anno.
62
In una nota redazionale di
quel numero, infatti, si collegava la nuova organizzazione della redazione,
affiancata da un comitato scientifico, all’ampliamento degli interessi tematici e agli
scambi tra storiografia e altre scienze umane. In particolare la Direzione, formata
da un comitato di otto membri, aveva il compito di progettare il lavoro, di vagliare
preliminarmente le proposte di collaborazione intorno a temi rilevanti, di sollecitare
a sua volta e di consentire un contributo costruttivo al Comitato scientifico,
riunendolo per discutere i nodi tematici più impegnativi:
«Con maggiore elasticità di presenze, questo secondo Comitato riunirà,
tra i collaboratori più vicini ai «Quaderni», non soltanto coloro che si
sono dimostrati disposti a darle un apporto continuo, ma anche studiosi
che, pur non praticando terreni di indagine strettamente storiografici,
sono interessati al contatto tra storiografia e altre «scienze umane».....e
si confermeranno o smentiranno quelle tematiche di storia delle società
moderne che formano l'interesse prevalente della rivista"
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Pertanto,
non è forse un caso che i direttori – benché abbiano differenti interessi
e orientamenti – possano essere definiti degli «storici» in senso stretto,
mentre non è così per tutti i componenti del comitato scientifico».
Gli otto membri della Direzione erano: Sergio Anselmi, Alberto Caracciolo, Carlo
Ginzburg, Edoardo Grendi, Giovanni Levi, Carlo Poni, Raffaele Romanelli,
Pasquale Villani. Erano anni molto laboriosi, in cui spesso i temi dei fascicoli
venivano sviluppati o ripresi in seminari o rilanciati come libri antologici derivati
dalla rivista; le prefazioni ai fascicoli monografici documentavano, anche se in
modo discontinuo, la sinergia tra una proposta microanalitica appena emersa e la
scelta di nuovi temi di ricerca e i metodi di ricerca delle storia delle donne.
62
Cfr. La nuova organizzazione redazionale, in «Quaderni storici», n. 37, 1978, pp. 5-6.
63
Ivi, p.5.
42
Nel fascicolo «Questioni di confine» del 1979 Carlo Poni e Carlo Ginzburg
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tematizzavano il nesso esistente tra la microstoria e la storia delle donne riguardo
al posizionamento dello storico rispetto agli oggetti osservati, fatto reso manifesto
sia dalla microstoria che dalle studiose di storia delle donne che fin dalla loro nascita
davano peso alla riflessione teorica e metodologica, prendendo consapevolmente le
distanze dalle visioni storiciste o funzionaliste. Un nesso che sarebbe stato poco
indagato anche in seguito: da parte di Giovanni Gozzini nel 1990,
65
in uno scritto
sull'individualismo metodologico, tematizzava il nesso tra microstoria e storia delle
donne e più tardi Emmanuel Betta scriveva "l'affacciarsi della soggettività nella
ricerca storica ha preso le mosse in una prospettiva di critica del potere e delle
relazioni di potere".
66
Infine, nel 2016, Ida Fazio vi dedicava un saggio che lo
tematizzava esplicitamente.
67
Sul finire degli anni Settanta emergono altri temi rispetto a quelli fino ad ora trattati
dalla maggior parte della storiografia che emargina il vissuto con un approccio di
lungo periodo che può «generare un'astratta omogeneizzata storia sociale, priva di
carne e di sangue e non convincente malgrado il suo statuto scientifico».
68
Secondo
Poni e Ginzburg era necessario, superando la storia quantitativa seriale, indagare
l'immenso materiale conservato negli archivi italiani con un'analisi ravvicinata di
fenomeni circoscritti come il villaggio, la famiglia e l'individuo, operando una
ricostruzione microstorica. Il filo conduttore è il "nome" dal quale parte una sorta
di ragnatela di rapporti sociali in cui l'individuo è inserito; Edoardo Grendi parla di
64
C. Poni, C. Ginzburg, Il nome e il come. Scambio ineguale e mercato storiografico, in «Quaderni
storici», n. 40, 1979, pp. 181-190.
65
G. Gozzini, Dentro la "scatola nera": individualismo metodologico e razionalità, in «Meridiana»
n. 10, 1990, pp. 183-210.
66
E. Betta, Il mestiere dello storico e la soggettività, in M. Balsamo (a cura di), Psiche e storia. Il
caso clinico, la storia, il metodo, FrancoAngeli, Milano 2009.
67
E. Betta, Il mestiere dello storico e la soggettività, in M. Balsamo (a cura di), Psiche e storia. Il
caso clinico, la storia, il metodo, FrancoAngeli, Milano 2009. Fazio….
68
Cfr. C. Ginzburg, C. Poni, in «Quaderni Storici», n. 40, 1979 p. 183.
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"eccezionale normale" riguardo a quella documentazione solo apparentemente
eccezionale ma che può mettere in discussione un paradigma consolidato.
Quindi l'approccio micro-analitico, usato anche dalla storia delle donne, da un lato
si muove su una scala ridotta permettendo una ricostituzione del vissuto
impensabile in altri tipi di storiografia, dall'altro si propone di indagare le strutture
invisibili entro cui quel vissuto si articola.
Molto del dibattito che s’è venuto svolgendo su «Quaderni Storici» in questi ultimi
fascicoli riguardava proprio la rilevanza di un approccio microanalitico che è stato
troppo facilmente interpretato come un rovesciato interesse per contenuti quotidiani
e impalpabili, contro un modo storiografico tradizionale, attento ai grandi
mutamenti e ai grandi avvenimenti. In realtà si tratta non della rilevanza degli
oggetti ma del modo di inserirli nel loro contesto: la fragilità dei meccanismi causali
che gli storici usano è legata al fatto che le loro indagini si svolgono «a partire dal
nome dell’assassino» e le cause diventano campo di opinioni che non modificano
il fatto; è – credo – per questa via che per noi è stato facile un assorbimento
superficiale degli strumenti delle altre scienze sociali e concetti macrosociologici si
sono insediati senza mutar nulla nel nostro modo di spiegare: la verifica era
impossibile se in ogni «esperimento» le conseguenze, i risultati erano già noti in
partenza».
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Nel frattempo, in quegli stessi anni altri fascicoli rivelano l’interesse per nuovi temi
di analisi, tra cui la storia delle donne. Già nel n. 41 del 1979, nel volume Religioni
delle classi popolari, vengono pubblicati i saggi di Elide Casali, Luisa Accati e
Luisa Ciammitti che trattano temi che saranno propri della storia delle donne.
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G. Levi (a cura di), Villaggi: studi di antropologia storica, «Quaderni storici», n. 46, 1981, p. 7.