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la vita cittadina nanchinese degli anni Trenta e Quaranta,
dall’altro racconti e romanzi di matrice realistica ambientati nel
presente.
Come nel Fiume Qinhuai di notte, anche nella Storia del
giuggiolo Ye Zhaoyan compie un viaggio a ritroso nella società
del passato, per descrivere, assieme all’avventurosa cattura del
feroce capobrigante Faccia Candida da parte del guerrigliero
comunista Eryong, le vicissitudini di Xiuyun, una donna
incompresa e relegata ai margini della società per la sua condotta
illogica e licenziosa. Giacché le vicende narrate hanno inizio con
l’invasione giapponese di Nanchino nel 1937 e terminano nel
1979 con la tragica morte del figlio di Xiuyun, La storia del
giuggiolo rappresenta dunque una parabola della Storia cinese
contemporanea.
La grande attenzione per le possibilità espressive del mezzo
linguistico e il complesso intreccio dell’opera, che richiamano
l’attenzione del lettore più sull’arte della narrazione che sullo
svolgimento della trama, fanno di questo romanzo una delle prove
migliori dell’esperienza artistica dell’avanguardia. Oltre a ciò, è
proprio per l’originale trattamento della Storia che Ye Zhaoyan
entra con La storia del giuggiolo nel novero di scrittori
d’avanguardia come Su Tong, Ge Fei e Yu Hua: caratteristica
comune di questi autori è l’immergersi in una narrazione storica
del tutto aliena alla logica e agli eventi della storiografia ufficiale,
per riportare in superficie un mondo fantasioso e decadente,
violento ed erotico.
La curiosità di comprendere quali significati siano nascosti in
questo affascinante trattamento della Storia, mi ha spinto a
indagare tanto il background socioculturale in cui esso si inserisce
quanto le motivazioni poetiche e ideologiche insite nella visione
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della Storia degli scrittori d’avanguardia. Il lavoro critico su cui
questo tema viene sviluppato è diviso in due parti. La prima
confronta, anzitutto, la concezione storica della letteratura delle
radici con quella dell’avanguardia, poi osserva i punti in comune
fra quest’ultima e le teorie postmoderne sulla Storia. La seconda
analizza la presenza e i significati della Storia nella Storia del
giuggiolo, alla luce di quanto detto nella prima parte.
La narrativa storica d’avanguardia va inquadrata anzitutto nel
generale processo di risveglio della coscienza storica degli anni
Ottanta. Mutato il corso politico, molti scrittori s’interrogano
sulla veridicità della storiografia ufficiale. Gli scrittori della
letteratura delle radici, nel tentativo di rivitalizzare le risorse
tradizionali della cultura cinese, s’impegnano in una ricerca
letteraria che dà grande importanza tanto al recupero di passato e
tradizione quanto della soggettività, reagendo a una crisi
d’identità culturale prodotta in primo luogo dalla Rivoluzione
Culturale. Il dialogo con le radici, però, svela l’impossibilità di
attualizzare un passato ormai distante e ancorare a esso l’identità
del soggetto, come dimostra la pubblicazione di Sorgo rosso di
Mo Yan, dove la realtà storica è trasformata in un pezzo di
fantasia il cui interesse non è analizzare il passato o la cultura
tradizionale, ma inventare, per loro tramite, un mondo fortemente
soggettivo. Gli scrittori d’avanguardia non possono non tenere in
considerazione la lezione di Mo Yan. Essi infatti fioriscono verso
la fine degli anni Ottanta, un momento di grandi cambiamenti
storici e culturali che allontana in maniera irrimediabile questi
giovani scrittori dal passato. Consci dell’incolmabile distanza che
separa passato e presente, ciononostante profondamente attratti
dalla Storia, non si rivolgono a essa per conoscerne la verità, ma
per trasformarla in un racconto.
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A tale operazione si possono dare due spiegazioni. La prima è
il profondo scetticismo degli scrittori d’avanguardia verso la
possibilità di descrivere il reale e di attingerne la verità. Per loro
la rappresentazione letteraria è un fatto di stile, e la narrazione è
essenzialmente un gioco linguistico. La seconda, è la volontà di
sovvertire i principi dell’ideologia ufficiale, e quindi, a livello
storico, di abbattere il mito della Storia rivoluzionaria del partito.
Inserendo nelle loro narrazioni una gran quantità di elementi
fittizi e giungendo a distorcere i fatti storici tramandati, gli
scrittori mettono in discussione le verità stesse della Storia scritta
dal Partito Comunista.
Mi sembra che il pensiero postmoderno, per quanto sia un
paradigma culturale sviluppatosi nelle società industriali avanzate
dell’Occidente, sia utile a interpretare e chiarire i due aspetti
sopraindicati. Le teorie culturali postmoderne e le realizzazioni
letterarie del postmodernismo, che approdano in Cina verso la
metà degli anni Ottanta, sono conosciute e maggiormente
condivise proprio dagli scrittori d’avanguardia, perché incarnano
un atteggiamento culturale e un approccio verso la letteratura
molto distanti dal logos della cultura ufficiale e dai dibattiti
culturali cinesi dell’epoca.
Il nocciolo del pensiero postmoderno si può considerare
l’incredulità verso quelle che esso chiama le metanarrazioni della
modernità, ovvero i racconti ideologici con cui la modernità
intende legittimare la Storia umana configurandola come uno
svolgimento verso un certo fine. Il postmoderno crede che l’idea
moderna della Storia come progresso necessario, infinito, e
guidato dall’uomo, in realtà, giustifichi molti soprusi ideologici, e
vi contrappone una nozione secondo cui la Storia è priva di un
ordine razionale e un senso comprensivo. Piuttosto, essa è una
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costruzione umana, con cui i diversi gruppi sociali ricercano il
significato della propria identità, in termini simbolici, più che
reali. Il postmoderno, inoltre, professa un atteggiamento di
radicale relativismo, conseguente al crollo di ogni fondamento
trascendente per interpretare il reale. Esso si ripercuote anche
sulla distinzione fra Storia e letteratura, non più tanto netta, che
viene deliberatamente sfidata da numerosi romanzi
postmodernisti, come Cent’anni di solitudine, molto popolare fra
gli scrittori cinesi.
Così, il rifiuto e la demistificazione della concezione storica
ufficiale fatta dagli scrittori d’avanguardia possono essere letti
come un atteggiamento culturale postmoderno, visto che il Partito
Comunista ha costruito il proprio progetto moderno
giustificandolo con le leggi ritenute necessarie del progresso
storico marxista. L’incapacità di rappresentare la realtà storica,
invece, è interpretabile come una crisi epistemologica
conseguente alla crisi di valori della modernità cinese, ovvero il
marxismo.
Tuttavia, se anche gli scrittori d’avanguardia non narrano il
passato autentico, ciò non vuol dire che distorcere il vero e
sostituirlo con la fantasia sia il loro unico obiettivo. Due autori
come Su Tong e Ye Zhaoyan, per esempio, usano la Storia come
uno specchio deformante che, riflettendo il passato, illumina
anche il presente e le sue incertezze, alimentate dalla totale
perdita del passato ancestrale che produce nel soggetto una crisi
d’identità e lo priva di legami culturali stabili.
La seconda parte della dissertazione è dedicata all’analisi della
Storia del giuggiolo, che ho definito un esempio di metanarrativa
storiografica perché, oltre a porgere una singolare ricostruzione
storica che invita il lettore a riflettere sulla possibilità e i limiti
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della scrittura storiografica, richiama costantemente l’attenzione
sul processo della narrazione, mostrandone l’artificiosità. Il primo
paragrafo descrive la trama dell’opera, chiarisce il quadro storico
in cui è inserita, e illustra, cercando di spiegarne il significato,
come gli eventi storici si intersecano con le vicende dei
protagonisti. Il secondo, mostra come la progressione e l’integrità
dell’intreccio, caratterizzato da una fitta rete di piccoli racconti,
siano distrutte per mettere in primo piano la struttura narrativa. Il
terzo è dedicato ai temi ideologici che sottendono al romanzo,
individuando un parallelo fra la psicologia dei personaggi, nei
quali la volontà e l’autocoscienza vengono obliterati per lasciare
spazio a irrazionalità, violenza ed erotismo, e la visione della
Storia nel romanzo: una Storia soggetta al caso e all’errore, tanto
quanto dominata da istinti sessuali e violenti.
La conclusione, infine, vuole puntualizzare che La storia del
giuggiolo si configura, dopotutto, anche come una ricerca, visto che
il narratore cerca di compiere un’indagine per venire a capo di
alcune vicende successe nel passato, ma la sua ricerca fallisce per
l’irrestibile tendenza della verità a essere oscurata dalla menzogna
e dall’affabulazione. Ciò non gli impedisce di ricercare e finanche
sentire un vincolo con i personaggi di cui ha raccontato le vicende e
il passato, che, ancorché ricostruiti con la fantasia, si fanno
metafora della toccante esperienza dell’individuo “gettato” nella
Storia.
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Capitolo Primo
Nessuno sapeva che dentro a quella cavità delle mura cittadine, in
quella spaccatura ruvida e irregolare, potessero nascondersi così
tanti uomini. Tutti pensavano che fosse una spaccatura e basta,
un’ombra nera, riparo di serpenti in letargo e cani moribondi per
la fame. Mentre Faccia Candida conduceva Xiuyun a fare fieno, i
corvi spaventati abbandonarono in volo il loro rifugio, le farfalle
si sparpagliarono in volo, topi dalle striature bizzarre guizzarono
fuori squittendo. I briganti furono accerchiati e annientati. E la
battaglia ebbe inizio.
Ciò che preoccupava di più Eryong era che quel maledetto
buco dentro le mura portasse da un’altra parte. Erano più di sei
mesi che stava alle calcagna di Faccia Candida: sette mesi interi,
duecentoundici giorni.
Stavolta la partita andava chiusa.
Il finale dimostra che Eryong si stava preoccupando troppo.
Quell’apertura a forma di bocca di murena non portava da
nessunissima parte. Faccia Candida nella sua vita di errori ne
aveva commessi un’infinità, questo però, purtroppo per lui, lo
pagò con la vita. La pancia del pesce custodiva un deposito di
munizioni in stato di abbandono, che, sebbene avesse una
struttura portante di cemento armato, era già stato deformato una
volta a causa di una tremenda esplosione. L’aver scelto quella
cavità come nascondiglio e via di fuga, ricordò Eryong a distanza
di anni, faceva piuttosto credere che lo splendido Faccia Candida
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di un tempo in realtà fosse un idiota senza pari. Non occorre mica
essere una volpe, perfino un topolino sa lasciarsi una via per la
ritirata.
La primavera del millenovecentocinquanta parve arrivare con
un po’ di anticipo. Il tempo era secco come d’estate e allo spirar
della brezza si udiva lo spezzarsi dell’erba secca. Xiuyun cadde
nella bocca della murena suo malgrado, con la testa proprio
accanto al petto possente di Faccia Candida, ma d’un tratto, come
un muro che si schianta, quel petto possente la scostò con un
sussulto. Il crepitio degli spari divenne un boato, più forte dei
fuochi di capodanno.
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Capitolo Secondo
Ammirata per la sua pelle di pesca, Xiuyun era quel che si dice
una bella di umili origini. Era figlia di un fruttivendolo.
All’epoca, nella zona del fiume Qinhuai
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tutti sapevano che a
Dongguantou viveva un tale negoziante Xiao, e che questi aveva
adottato un’unica figlia di nome Xiuyun.
La nonna di Xiuyun aveva fatto la vita in un bordello, ma pur
non essendo mai stata fra le favorite, non l’era mancato il suo bel
colpo di fortuna: un riccone l’aveva riscattata e l’aveva fatta sua
concubina. Costui divenne più tardi un pezzo grosso della
politica, però, siccome alla ganza ex-puttana non gli andava di
rinunciare, mise mano al portafogli per liberarsi del bastardo che
quella si portava appresso. Quel bastardo era appunto il futuro
negoziante Xiao. Egli all’età di sedici anni faceva il venditore
ambulante davanti al tempio di Confucio. Gli affari non gli
andavano né male né bene. Il negoziante Xiao non era né ricco né
povero.
Bastava uno sguardo per capire che Xiuyun non avrebbe fatto
del male a una mosca. Era un tipino minuto, ma bello in carne.
Perduta la madre in giovane età, aveva una matrigna, che di
cognome faceva Zhang, e che, non avendo figli, sperava Xiuyun
le portasse in casa un buon genero. Sennonché i genitori di questa
signora Zhang gestivano un monte dei pegni, ed ella per la roba
migliore aveva un fiuto speciale. Questo no, quell’altro neanche:
a furia di rinviare la ragazza aveva di già diciannove anni, ma
ancora non ci si dava alcuna premura. L’anno successivo vennero
i giapponesi.
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Fiume che attraversa Nanchino.
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Tanto per cominciare, appiccarono il fuoco alla bottega appena
restaurata; subito dopo, alcuni dei loro soldati si trasferirono nel
cortiletto dell’esattoria.
L’esattoria si trovava a ridosso della casa del negoziante Xiao.
Con l’arrivo dei giapponesi vi cominciò un andirivieni di
donnine allegre. I giapponesi, però, facendo mostra di voler
vivere e lasciar vivere, se erano di buon umore davano addirittura
le caramelle ai bambini del vicolo, per far loro una moina. La
convivenza pacifica durò qualche mese, finché i soldati, incapaci
di tenersi a freno, non incominciarono a infastidire le donne del
circondario.
Fortuna che nella famiglia Xiao marito e moglie si erano presi
anzitempo le loro misure, e per un bel po’ di mesi Xiuyun non
aveva messo il naso fuori. I soldati giapponesi allungarono prima
le mani sui bersagli facili da acchiappare, e presero di mira la casa
della comare che lavava loro i panni, dove se la spassavano con
una tale sfrenatezza da sembrare in visita a un bordello.
Distribuivano le caramelle ai cinque figli della comare e facevano
fumare sigarette giapponesi a suo marito, che giaceva sofferente a
letto. Una giovane passante si trovò davanti all’ingresso della
casa della comare. Forse attirata dal rumore di risate che veniva
da dentro, forse incuriosita alla vista dei ragazzi che uscivano a
rincorrersi con le caramelle variopinte in mano, buttò un occhio:
il gruppetto di soldati fra le risate la portò in braccio nella camera,
e la scaricò a fianco della seconda cognata, che se ne stava stesa
inebetita di traverso.
Senza un minuto da perdere, le ragazze del vicolo si
mobilitarono per cercar marito, mentre il negoziante Xiao e la
moglie capirono che quel loro essere sempre stati così sofistici si
dimostrava in fin dei conti un imperdonabile errore. I maschi a un
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tratto divennero rari e preziosi come l’oro, tanto che perfino i
quattro sfigati che in vita loro una donna non l’avevano mai
sfiorata se ne avvantaggiarono per scegliere a loro piacimento. In
poco tempo il clima circostante cambiò radicalmente, e, a chi a
casa aveva molte figlie, sembrò quasi una concessione divina
trovare uomini disposti a sposarle, se solo queste avevano passati
i tredici quattordici anni.
Si dice che la buona sorte cada dal cielo. Ecco perché, se ti
piomba addosso, non c’è modo di scansarla. Ma la buona sorte ha
anche due gambe; quando viene viene, quando se ne va, addio.
Un bel giorno Erhan andò col signor Li a casa di Xiuyun; senza
dire né a né bah si sedette in salotto e attaccò a bere tè. La signora
Zhang con un sorriso a trentadue denti se lo studiava e se lo
mangiava con gli occhi, e intanto scherzava col signor Li, un
tempo garzone del negoziante Xiao, ma poi, essendo uno in
gamba, diventato anche lui padrone. La Zhang, sazia di guardare
Erhan, si limitò a parlar col signor Li del più e del meno, e quello,
da parte sua, non la finiva più di sdilinquirsi con le parole ‘mia
cara signora, la mia cara signora’. Non aveva la puzza sotto il
naso di un ricco, anche se da quando aveva lasciato il negoziante
Xiao per aprirsi un negozio in proprio gli affari gli erano subito
andati meglio che a quest’ultimo. La Zhang, di colpo, era
ringiovanita di dieci anni: non prestando più nessuna attenzione al
negoziante Xiao, che le sedeva a fianco in un silenzio di tomba,
chiamò ad alta voce Xiuyun, affinché uscisse a salutare. Xiuyun
rispose e uscì, elargì a ciascuno uno sguardo colmo di languore e,
dopo aver versato a ciascuno il tè, tornò nella sua cameretta.
Quando si voltò per tornare in camera, Erhan si limitò a pensare
che il pareo indiano di seta verde chiaro che aveva addosso le
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incorniciava un gran bel sedere. Questa impressione gli sarebbe
rimasta fino alla morte.
Le nozze vennero preparate in fretta e furia: in pratica la Zhang
e il signor Li impacchettarono Xiuyun e la consegnarono a Erhan.
Quest’ultimo non ignorò di aver fatto un grosso affare, per quanto
gli restassero delle perplessità che si levò solo l’indomani della
memorabile prima notte di nozze. Sull’innocenza di Xiuyun ci
metteva la mano sul fuoco, il fatto era che proprio questa parola,
innocenza, lo tormentava di rimorso per la propria bassezza.
Era grazie alle prostitute che il negoziante Li aveva fatto i
soldi. In quel viavai di puttane che c’era nella zona del fiume
Qinhuai, era infatti difficile dire quale di loro non avesse
adoperato la roba della bottega del negoziante Li. Nel suo negozio
le prostitute erano di casa, e nessun commesso riusciva a fare
affari senza essere in intimità con loro. Erhan a tredici anni faceva
l’apprendista, a quindici aveva già sperimentato cosa fosse una
donna. Con passo baldanzoso portava la mercanzia al bordello,
dove uomini e donne lo spaventavano con frasi sconce, e alla fine
venne portato a letto da una donna che poteva essere sua madre e
che aveva due poppe tanto grandi da poter far la balia a cinque
bimbi. Se lo staccò di dosso come se l’avesse appena partorito, e
lo fece infilare sotto la sua nuova trapunta di raso scarlatto. Lei
invece si rassettò con esasperata lentezza, poi spostò una sedia e
si sedette accanto al cuscino di Erhan, per parlargli.
A forza di spendere tutti i suoi risparmi nel bordello, Erhan
divenne dunque un esperto puttaniere. Meno male che non aveva
molti soldi, perché questo gli impedì di diventare un libertino a
tutti gli effetti; d’altra parte, non avere molti soldi equivaleva a
non potersi sposare, e ciò lo costringeva a frequentare il bordello.
Insomma rimaneva un libertino dilettante, sempre sull’orlo della
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depravazione, ma incapace di voltarle le spalle. Presa in moglie
Xiuyun, dritto come un razzo portò la sposina nel suo paese
natale; i bordelli di Nanchino erano un grande campo magnetico:
più lontani se ne stava, meglio era.
Xiuyun pensò per anni che lei e Erhan, andandosene in
campagna, avevano commesso un errore enorme, preludio di una
serie di tragedie e miccia di una reazione a catena di errori. I due
novelli sposi non avrebbero dovuto abbandonare Nanchino, punto
e basta; per che motivo Erhan si sottomise in tutto e per tutto al
volere del suocero, fu una cosa che Xiuyun non capì mai. Di
sicuro c’era che il negoziante Xiao e la moglie se l’erano fatta
addosso per la sfrenatezza dei giapponesi, per cui avevano
schiaffato la figlia al primo che capitava costringendolo a
portarsela via, e buonanotte al secchio.
Xiuyun aveva studiato in tutto due anni, solo che in un periodo
così breve non era stata promossa nemmeno una volta. Figlia
unica, l’amore non le veniva lesinato, ma per lei il negoziante
Xiao non era disposto a spendere un soldo più del necessario.
Correva voce che il denaro che aveva dato al genero in dote fosse
ancora quello che sua madre aveva messo da parte facendo la
puttana. Nessuno capiva dove volesse andare a parare con ciò il
negoziante Xiao; ma di questo fruttivendolo con un unico vestito
buono per tutte le stagioni, le cose che la gente non capiva erano
molte. Ragionando in base al buon senso, il negoziante Xiao non
avrebbe mai, senza motivo, consegnato al genero una tale somma
di quattrini, probabile quindi che considerasse la figlia un’inetta, e
anche a dare i soldi a lei presto o tardi se li sarebbe intascati
Erhan. Ma ancora più probabile è che non si fidasse della non più
giovane seconda moglie; per mantenere una donna così un
patrimonio non sarebbe bastato.
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Il villaggio natale di Erhan era infestato dai briganti. Laggiù
cent’anni fa di briganti ne venivano fuori da tutte le famiglie.
Tutti dicono che all’epoca delle loro scorrerie era un miracolo se
le chiatte che percorrevano il fiume potevano transitare senza
pagare un pedaggio. Quindi, per proteggere il denaro affidatogli
dal suocero, una volta a casa Erhan si consultò con urgenza con
suo fratello Eryong. Faccia Candida stava ormai reclutando un
vero e proprio esercito, e aveva il potere di fare il bello e il cattivo
tempo. Con la capitale Nanchino ormai abbandonata nelle grinfie
dei giapponesi, la Cina era nel caos più totale: le rive sabbiose del
Fiume Azzurro e le distese a perdita d’occhio dei canneti erano il
luogo ideale per darsi alla macchia. Non essendoci giustizia,
bisognava farsela da soli, fu opinione di Eryong. Così Erhan, dal
momento che di soldi ne aveva, cominciò con il comprare due
pistole.
In questa zona di gente gagliarda erano molte le famiglie che
nascondevano armi, e brandire un bastone o impugnare una
pistola non era certo una cosa fuori dal comune. Ma ogni volta
che Erhan e il fratello Eryong gareggiavano con in pugno le due
rivoltelle appena comprate, Xiuyun sapeva solo che il cuore le
batteva più rapido del normale, come se una mano le martellasse
forte il petto. Forse è l’intuito femminile che, stranamente, in
questi frangenti è più affidabile di quello dell’uomo, sta di fatto
che Xiuyun dentro di lei era convinta che quelle due rivoltelle
sarebbero state sicura fonte di guai. Per questo, quando gli sgherri
di Faccia Candida misero la casa a ferro e fuoco e trovarono in
una fessura del muro i soldi e le pistole, Xiuyun ebbe la
sensazione di avere già previsto tutto. Proprio come quella strana
paura di dieci anni dopo, quando, nel vedere Faccia Candida con
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la Mauser premuta sul petto avrebbe sentito all’improvviso che
per lui la rovina era dietro l’angolo.
Fino al momento in cui Erhan venne accoppato come un cane
randagio, Xiuyun credette di vivere un incubo: come in un incubo
piangeva, pensando di gridare con tutta la forza che aveva, ma in
realtà era muta. Allora, il fratello minore Eryong si trovava molto
lontano, e per fortuna, perché altrimenti la vendetta di dieci anni
dopo sarebbe stata tutta un’altra storia. Inutile rammentare che
Erhan aveva un fratello solo, poiché, tanto, con i tempi che
correvano, non sarebbe rimasto in vita neanche se di fratelli ne
avesse avuti dieci.
Come i soldi e le pistole furono scovati, Erhan non disse più
una parola. Si sedette per terra pieno di terrore, le gambe
divaricate, in volto un’espressione che Xiuyun conosceva bene.
Faccia Candida sedeva a cavalcioni di una panca, e ridacchiando
si mordicchiava senza posa le unghie. Forse stava aspettando che
Erhan implorasse perdono, o magari la tirava per le lunghe di
proposito, perché ancora più persone si facessero attorno a
vedere. Quelli che avevano familiarità con Faccia Candida
sapevano che quando si mordicchiava le unghie e ridacchiava,
nove volte su dieci avrebbe ucciso.
Erhan se ne stava lì, seduto zitto zitto, mentre si assiepavano
gli spettatori, e una miriade di occhi lo fissavano. Xiuyun non se
lo immaginava nemmeno di quale splendore, in questa miriade di
occhi, scintillassero i suoi. Lacrime gelate continuavano a rigarle
le guance, in gola le pareva di avere un topo che cercava di
arrampicarsi fuori. Perché Erhan si incaponisse a star seduto per
terra come un bambino, non lo sapeva nessuno; ma forse lui
stava più comodo così, e, ormai prossimo alla fine, non voleva
rinunciare a quest’ultimo piacere.