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ampio spazio alla presentazione di studi recenti che hanno contribuito ad ampliare le
conoscenze nel campo delle neuroscienze cognitive, in particolare è stata posta maggior
attenzione ai fenomeni di plasticità e riorganizzazione corticale seguenti ad amputazione di
un arto superiore. Infine abbiamo presentato le tre ipotesi che spiegano il deficit funzionale
dei pazienti affetti da paralisi ostetrica: ipotesi periferica, ipotesi midollare, ipotesi centrale.
Nel quarto capitolo è stato descritto il metodo della ricerca. Oltre ad aver brevemente
ripreso la descrizione del gruppo di pazienti coinvolta nello studio, sono stati definiti il
materiale usato e la rigorosa procedura con cui venivano esaminati i soggetti. Inoltre sono
stati riportati i risultati analizzati statisticamente, sia confrontando il gruppo dei pazienti e
quello dei controlli sia valutando alcuni interessanti casi singoli.
La tesi si conclude con una parte dedicata alle osservazioni e alle conclusioni a cui siamo
giunti. Con i dati a nostra disposizione ci è stato possibile escludere l’ipotesi periferica.
Anche se non siamo completamente in grado di distinguere tra le altre due ipotesi di ricerca,
è importante poter affermare che un certo grado di riorganizzazione del sistema motorio è
presente in questi pazienti.
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CAPITOLO 1
LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA
1.1. Cenni storici
La stimolazione magnetica transcranica (TMS) è una metodica di stimolazione non
invasiva del cervello. Per le sue caratteristiche tecniche è considerata un importante e
promettente strumento di analisi delle funzioni cognitive superiori (Cracco et al., 1999;
Walsh, 2000) e della via motoria centrale, rendendo possibile l’esplorazione
dell’eccitabilità, della conduzione motoria e il tempo di conduzione centrale motorio.
L’induzione elettromagnetica, che produce una corrente in un oggetto conduttore
attraverso un campo magnetico, fu descritta per la prima volta da Michael Faraday nel 1831
al Royal Insitute of Great Britain ed è probabilmente l’osservazione sperimentale più
rilevante per la stimolazione magnetica. Faraday avvolse due bobine su un anello e trovò
che ogni volta che il coil, cioè un anello di filo di rame, era connesso o disconnesso a una
batteria da una parte, una corrente elettrica gli passava attraverso dall’altra parte: l’anello di
rame svolgeva il ruolo di canale collegando le due bobine attraverso il campo magnetico.
Un cambiamento nel campo magnetico, collegato alla corrente variabile nel primo coil,
induce una corrente nel secondo anello.
Nel 1896 D’Arsonval riportò la descrizione dei fosfeni (lampi di luce nel campo visivo)
quando posizionava la testa in un coil percorso da corrente alternata. Non si sa se questo
effetto fosse dovuto a una stimolazione diretta della retina o della corteccia visiva perché il
coil che D’Arsonval utilizzava era molto grande (vedi fig. 1.1).
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La prima dimostrazione dell’eccitabilità della corteccia motoria risale al 1870 grazie agli
studi di Fritz e Hitzig che scoprirono come nel cane, previa craniotomia, la stimolazione
elettrica di parti diverse della corteccia cerebrale provoca la contrazione dei muscoli
dell’emisoma controlaterale. Nel 1875 Ferrier estese queste osservazioni alla scimmia,
ottenendo movimenti degli arti controlaterali attraverso la stimolazione elettrica dei giri
precentrale e postcentrale e movimenti degli occhi stimolando la corteccia parietale
posteriore. Nel 1917 Leyton e Sherrington scoprirono che nei primati gli effetti motori a
latenza più breve si ottengono con la stimolazione del giro precentrale (area 4 di Brodmann
o corteccia motoria primaria o M1).
Nel 1950, però, Penfield e Rausmussen stimolarono direttamente la corteccia motoria
dell’uomo ricostruendo la mappa del homunculus motorio e scoprendo la localizzazione e la
funzione delle aree premotorie. Da allora i neurofisiologi tentarono di mettere a punto una
metodica che, sfruttando l’eccitabilità corticale, valutasse in modo non invasivo la
funzionalità della via corticospinale. Da metà degli anni 60 in poi le scoperte si sono
susseguite velocemente: nel 1965 Bickford e Fremming dimostrarono la stimolazione
magnetica non-invasiva dei nervi facciali ma la prima applicazione della tecnica, che fosse
compatibile con un impiego clinico cioè che non presentasse eccessivi effetti collaterali in
particolare una stimolazione dolorosa, si ottenne alla fine degli anni 70, quando Merton e
Morton misero a punto uno stimolatore elettrico che eccitava le aree motorie del cervello
umano attraverso lo scalpo intatto (stimolazione elettrica transcranica, TES) erogando
impulsi di breve durata (50-100 msec) ed elevata intensità o voltaggio (fino a 2000 V). Così
ottennero una risposta del muscolo relativamente sincrona allo shock elettrico, chiamato
potenziale evocato motorio (MEP). Infine nel 1982 Polson e colleghi produssero uno
stimolatore magnetico capace di stimolare a livello periferico e registrare il potenziale
evocato muscolare.
Ma solo nel 1985 con Barker e il gruppo dell’Università di Sheffield si arriva alla messa
a punto dello stimolatore magnetico: finalmente era possibile stimolare sia i nervi che il
cervello usando una metodica che riduceva in modo totale o quasi il disagio per il paziente.
Questo ha rappresentato un momento di partenza nell’utilizzo clinico quotidiano della
stimolazione transcranica.
La fonte di principale interesse per questa tecnica è la possibilità di valutare la
funzionalità della via corticospinale in soggetti sani o con deficit neurologici nella sfera
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motoria. L’attivazione del sistema motorio con la stimolazione magnetica è correlata con il
principio di mutua induzione secondo il quale un circuito elettrico primario determina,
attraverso la produzione di un campo magnetico, una corrente indotta in un circuito
secondario adiacente. La TMS utilizza campi magnetici rapidamente varianti per attivare la
corteccia cerebrale con una risoluzione temporale inferiore al secondo e una risoluzione
spaziale inferiore al centimetro. Stimolando le aree motorie, le risposte elettromiografiche
indotte possono essere registrate sia a livello epidurale con elettrodi a infissione o meno
invasivamente a livello del muscolo target con elettrodi di superficie. In questo modo
possono essere esaminate in dettaglio le proprietà di propagazione delle fibre corticospinali
che controllano il muscolo target e mappare la rappresentazione corticale di tali muscoli,
rendendo la TMS una tecnica efficace per lo studio della plasticità cerebrale. La TMS può
indurre e modulare i fenomeni di riorganizzazione neuronale ed è in grado di facilitare o
inibire in modo relativamente selettivo alcuni circuiti neuronali rispetto ad altri.
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1.2. Basi fisico-tecnologiche dello stimolatore magnetico
1.2.1. Considerazioni introduttive
Quando uno stimolo elettrico è applicato alla superficie della pelle, la maggior parte
della corrente scorre tra gli elettrodi attraverso gli strati più superficiali. Se il tessuto
nervoso (eccitabile) è relativamente superficiale, una porzione significativa di tale corrente
scorrerà nelle sue vicinanze, stimolandolo. Tuttavia, la corrente non può essere incrementata
con facilità per raggiungere il tessuto nervoso più profondo, perchè questo sarebbe doloroso.
Le fibre nervose che portano impulsi dolorifici al cervello hanno terminazioni nella pelle e,
poiché qui la densità della corrente è alta, tali fibre saranno stimolate nonostante la loro alta
soglia di sensibilità. Inoltre un’alta densità di corrente applicata alla superficie della pelle
può provocare danni al tessuto.
Per chiarire l’uso dei sistemi che utilizzano un campo magnetico variabile per indurre
una corrente nelle vicinanze di un nervo, è opportuno richiamare alcuni dei principi
fondamentali dell’elettromagnetismo.
Per quanto riguarda i fenomeni magnetici possiamo considerare una calamita costituita
da due poli che, come ben sappiamo, sono indivisibili. Questo sta a significare che non
esistono cariche magnetiche positive o negative e il concetto stesso di polo magnetico è
fittizio: le forze magnetiche sono una manifestazione del moto di cariche elettriche. Le
proprietà di una calamita non dipendono dalla presenza di “cariche magnetiche” al suo
interno ma dal fatto che essa è percorsa da correnti elettriche. Tra fenomeni elettrici e
fenomeni magnetici esistono profondi legami: lo studio delle reazioni tra questi è l’oggetto
dell’elettromagnetismo.
Gli esperimenti mostrano che una corrente elettrica che scorre in un conduttore rettilineo
genera un campo magnetico intorno a sé: segue che una variazione del campo magnetico
può a sua volta generare una corrente indotta.
Consideriamo ora un solenoide, formato da un filo avvolto a elica cilindrica e percorso
da una corrente elettrica. Essa crea delle linee di uscita (vedi Fig. 1.2) che prendono il nome
di flusso magnetico. All’interno del solenoide, nella regione centrale, le linee di flusso sono
parallele all’asse ed equidistanti e il campo magnetico è uniforme. All’esterno invece
l’intensità è più bassa, le linee di flusso sono divergenti e il campo non è uniforme poiché il
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flusso, uscendo, si dirama riducendo la sua intensità con un indice inversamente
proporzionale al quadrato della distanza.
Il flusso magnetico si misura in weber (Wb) mentre l’induzione, che esprime la
distribuzione delle linee di forza nello spazio, si esprime in tesla che corrisponde a
weber/metro
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.
Riassumendo, una corrente elettrica può generare un campo magnetico e allo stesso
tempo una variazione del campo magnetico può generare una corrente indotta. Applicando
queste osservazioni al campo neurofisiologico, si può intuire che una rapida variazione di un
campo magnetico applicato a una zona del corpo umano origina in esso una vera e propria
corrente indotta e quindi provoca una stimolazione. Questa osservazione è alla base dello
sviluppo della stimolazione magnetica.
1.2.2. Principi tecnici dello stimolatore magnetico
Gli stimolatori magnetici generalmente sono costituiti da due parti distinte: un
generatore di alti impulsi di corrente e un coil che stimola e che produce un campo
magnetico di circa 2 tesla e della durata di circa 1 msec.
Il cambiamento del flusso di corrente attraverso il coil genera necessariamente un
impulso magnetico, come precedentemente descritto. Questo impulso induce una corrente in
un’area elettricamente conduttrice, come il corpo umano. Se la corrente è di ampiezza e
durata sufficiente, è possibile stimolare i tessuti neuromuscolari nello stesso modo della più
convenzionale stimolazione elettrica.
Il primo stimolatore magnetico commerciale venne prodotto a Sheffield nel 1985.
Fig. 1.2. Nella TMS, una corrente elettrica in un coil
sopra il capo genera un campo magnetico che penetra lo
scalpo. Questo campo, in rotazione, stimola una corrente
elettrica entro una piccola regione del cervello.
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L’apparecchio è costituito da un condensatore che carica/scarica insieme all’associato
dispositivo elettronico in modo controllato e sicuro. Usando il circuito caricatore l’energia
accumulata nel condensatore è scaricata a un livello pre-determinato nel pannello di
controllo frontale fino a un massimo di 2,8 kV. Quando lo stimolatore riceve un segnale
trigger come input, l’energia immagazzinata nel condensatore è scaricata nel coil
stimolatore.
L’interruttore di scarica consiste in un dispositivo elettronico ed è capace di sviluppare
ampie correnti in pochi millisecondi. L’interruttore conduce la corrente in una precisa
direzione e perciò lo stimolatore produce una scarica di corrente monofasica
1
con nessuna
corrente inversa.
La scarica monofasica riduce la dispersione del calore nel coil, l’artefatto allo stimolo e
aumenta dell’accuratezza della stimolazione. Inoltre, un impulso monofasico stabile e ben
definito permette una miglior comprensione dei meccanismi coinvolti nella stimolazione
magnetica dei nervi.
Il coil è costituito da una bobina circolare piatta in cui scorre una corrente variabile
capace di produrre un campo magnetico. Per valutare l’intensità di corrente necessaria a
stimolare sono stati realizzati studi teorici che si basano su modelli matematici: queste
simulazioni hanno suggerito che nella bobina il campo magnetico deve aumentare molto
rapidamente e che il raggio della bobina deve essere maggiore della sua distanza dal punto
che si vuole stimolare (nervo = stimolazione periferica; corteccia = stimolazione centrale)
affinché le linee di flusso non siano troppo sfuggenti. Operativamente il generatore carica il
condensatore a un valore di energia impostabile, che a sua volta è caricata successivamente
dalla bobina di stimolazione.
I valori della capacità e dell’induttanza della bobina sono sintonizzati per fornire una
corrente con un fronte di salita molto rapida. Con questo circuito si ottiene un sistema con
un continuo scambio di energia tra il coil e il condensatore fino all’esaurimento dovuto a
perdite nel sistema stesso.
Già oggi lo sviluppo di questi sistemi è in via di perfezionamento. Le osservazioni più
significative si basano sul fatto che, probabilmente, è la prima veloce variazione di flusso a
causare lo stimolo.
1
Non tutti gli stimolatori magnetici oggi sono monofasici. La maggior parte delle apparecchiature moderne eroga uno
stimolo bifasico per sfruttare una maggior potenza nell’eccitamento del tessuto nervoso e per ottenere stimoli molto
brevi e intensi.
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Le onde successive, di ripidità molto inferiore, non hanno alcuna influenza ma inducono
una corrente intensa e persistente nella bobina, provocandone un forte riscaldamento.
Questo inconveniente fa sì che in alcune applicazioni, dove sono necessarie frequenze
elevate, questi stimolatori possono essere utilizzati solo per brevi periodi di tempo: infatti
queste apparecchiature sono dotate di meccanismi di protezione che impediscono il
funzionamento nel caso di elevata temperatura.
Per risolvere questo problema si è pensato di eliminare la corrente indesiderata dalla
bobina, utilizzando un’apposita rete elettrica: l’energia, una volta giunta alla bobina, viene
dissipata prima di tornare al condensatore. La bobina è composta da un certo numero di
spire sovrapposte in modo da formare un disco molto sottile. Poiché l’intensità del campo si
abbassa in modo proporzionale al quadrato della distanza, è importante essere vicini al
tessuto. Inoltre le dimensioni stesse della bobina favoriscono le dimensioni del flusso che
andrà a investire il punto di stimolazione interessato: se tale diametro fosse troppo piccolo,
le linee di flusso seguirebbero percorsi troppo brevi e superficiali senza raggiungere le
strutture profonde. Quindi, in base alle sperimentazioni finora eseguite, il diametro medio
della bobina varia tra gli 8 e i 12 cm.
Nella figura 1.3 è rappresentato lo schema di uno stimolatore magnetico, dove sono
facilmente identificabili le sezioni precedentemente esaminate. Come si può notare, in
questi sistemi scorrono correnti molto elevate e sono presenti tensioni rilevanti. Esse
tuttavia, da un esame sommario, non sembrano rivestire un grosso pericolo per il paziente
poiché esso non vi è collegato elettricamente. La bobina è la parte che interessa più da
vicino il soggetto e normalmente è costituita da un conduttore di grosse dimensioni. Il tutto
è alloggiato in un contenitore fortemente isolato o affogato in una resina dalle stesse
caratteristiche. Perciò, la forza del campo magnetico diminuisce con l’aumentare della
distanza fra il coil e la zona stimolata e le caratteristiche dell’impulso magnetico, quali la
profondità, la forza e l’accuratezza della stimolazione dipendono dall’aumento del tempo,
dal picco di energia magnetica trasferita al coil e dalla distribuzione spaziale del campo.
L’aumento del tempo e il picco dell’energia sono controllati dalle caratteristiche elettriche
dello stimolatore magnetico e dal coil stimolatore, mentre la distribuzione spaziale del
campo elettrico indotto dipende dalla forma del coil e dall’anatomia della regione in cui si
induce un flusso di corrente.