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Capitolo primo.
Gli Anni di Piombo, l'eversione armata, le stragi, la Strategia della tensione
All'incirca nella prima metà degli anni Sessanta, un'Italia in procinto di tuffarsi in due decenni tra i
più turbolenti della sua storia nazionale si trovò a misurarsi con un nuovo fenomeno, difficile da
quantificare o definire. Non si trattava di un singolo evento, ma di una continua e crescente teoria di
avvenimenti più o meno inspiegabili, più o meno misteriosi e scarsamente interpretabili: una tragica
serie di eventi che avrebbe visto nel periodo 1969- 1974 i momenti peggiori, le stragi più crudeli ed
indiscriminate, su cui si accendevano i riflettori e si concentravano la paura, il dolore e la rabbia del
Paese. Poco più in là, appena oltre l'alone di luce ed attenzione pubblica, si muovevano invece
entità, singoli personaggi ed apparati dello Stato i cui fini, per quanto oscuri, determinavano
improvvisi mutamenti nella vita politica e sociale italiana.
Di cosa si trattava, esattamente?
La "Strategia della tensione", a parole, esprime un concetto essenzialmente semplice: il tentativo
occulto di pilotare, o meglio stravolgere, la vita sociale, culturale e soprattutto politica del nostro
Paese. I suoi mezzi erano la violenza e l'inganno, le sue armi l'esplosivo e le pallottole, i suoi
esecutori militanti di entrambi gli schieramenti; il suo modus operandi era il mantenimento del
livello di scontro sociale ad un passo dalla crisi vera e propria, mediante la propagazione del terrore
rosso, del terrore nero, del terrore anarchico, ancora del terrore rosso, e così via. Il disordine sociale
confondeva ed atterriva l'elettorato, giustificava mezzi eccezionali ed ampie cessioni di "poteri
speciali", e, soprattutto, distraeva l'attenzione dell'opinione pubblica. In un periodo di fermento
politico e sociale, in cui grandi sconvolgimenti sembravano nell'aria, è percepibile che gruppi di
potere più o meno occulti abbiano visto nel terrore proveniente dagli estremi dell'arena politica
l'unico mezzo per restare saldamente al loro posto.
Questo concetto, tuttavia, è ben lungi dall'essere storicamente provato. Con il termine "Strategia
della tensione", in realtà, si vuole identificare un'idea, un concreto sospetto, una serie di intuizioni
avallate qua e là da elementi saltuariamente sfuggiti dall'ombra e dal segreto più o meno
istituzionale che, ancora oggi, ricoprono gran parte di quei lontani avvenimenti.
Questo vocabolo, comunque, non è solo. Negli anni si è parlato e scritto molto anche di una teoria
affine, quella degli "Opposti estremismi", si sono imputate molte "stragi di Stato", si è sospettata
fortemente l'ingerenza –quanto mai sanguinosa, purtroppo- di entità straniere nella vita istituzionale
italiana ed europea, si sono ipotizzati complotti e scenari ai limiti della fantapolitica. Tuttavia, la
Strategia della tensione sembra macabramente in grado di riassumere in sé stessa tutto il mistero e
le tragiche conseguenze di queste ipotesi, di questi sospetti, di questi scenari.
Anche il resto del mondo attraversava un periodo inquieto e travagliato. In Europa, le truppe
sovietiche vegliavano alle frontiere della Repubblica Federale Tedesca, dell'Austria e dell'ex
Jugoslavia, fino ad arrivare –mediante la Repubblica popolare bulgara, filosovietica dal 1946- ai
confini greci e turchi, fronteggiavano gli occidentali a Berlino, e nell'agosto 1968 avevano piegato
la Cecoslovacchia. In ogni zona del globo il confronto tra le due superpotenze era acceso, tangibile,
pressante e continuo: inoltre le tensioni trascendevano il contrasto Est- Ovest ed accendevano
conflitti locali ma sanguinosi, come quelli tra Israele ed i Paesi arabi.
Collocata in un arco temporale caratterizzato da intense rivalità internazionali, concentrata in un
Paese in cui erano fortissime le tensioni ereditate dall'ultimo conflitto, volta a deviare o calmierare
l'assetto politico nazionale, la Strategia della tensione nacque in un terreno fertile. Il 1968 aveva
ormai delineato una netta ed abissale differenza tra Destra e Sinistra, accompagnata all'esplosione
della protesta giovanile ed alla nascita del fervore extraparlamentare, in Italia come all'estero. Ma fu
il 1969, e più precisamente la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre, ad inaugurare la cupa
stagione del sangue e della violenza organizzata, della contrapposizione tra "antifascismo militante"
e, dall'altra parte della barricata, "anticomunismo militante".
Paura ed odio reciproco contrapponevano i due schieramenti, in uno scenario nazionale
continuamente agitato da innumerevoli avvenimenti: le rivelazioni sul presunto tentativo di colpo di
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Stato del generale De Lorenzo nell'estate del 1964, con il famoso "Piano Solo" per il
ridimensionamento della politica di Centrosinistra in Italia, gli scontri di Reggio Calabria ed il
tentativo golpista del "Principe Nero" Junio Valerio Borghese nel 1970, la morte dell'editore
Feltrinelli e l'aggravarsi della situazione economica interna nel 1972, il timore di una svolta
autoritaria che nel 1973 portò al "compromesso storico" tra comunisti, socialisti e cattolici.
Oltre a questi eventi, la cronaca riportava uno stillicidio di reciproci agguati tra militanti "rossi" e
"neri", scontri con le Forze dell'ordine, regolamenti di conti, in un clima di insofferenza più o meno
manifesta per il livello di scontro sociale che attraversava i ceti borghesi e le stesse Forze armate.
Concepita dunque in un momento storico caratterizzato da grandi inquietudini sociali e politiche, la
Strategia della tensione sembra costituire una triste dicotomia. Ecco decine di bombe, sparatorie,
dirottamenti, sequestri, omicidi politici e non, con centinaia e centinaia di vittime appartenenti ad
ogni ceto sociale e settore politico dell'Italia. Ecco decenni di processi inconcludenti, rivelazioni
clamorose destinate a richiamare brevemente l'attenzione su "scomode" stragi sepolte nel passato,
ecco il dolore delle associazioni dei parenti delle troppe vittime di quegli anni feroci, ad ogni
ricorrenza. Ecco infine le intuizioni di tante persone, giornalisti, storici, investigatori, uomini e
donne comuni, davanti all'estenuante ripetersi di fatti di sangue dietro ai quali pareva distinguersi un
disegno, un ordine prestabilito, una mano, una mente…
Ma ecco anche l'inafferrabilità della Strategia della tensione, il suo lato inconsistente, che dopo
tante congetture ed analisi, dopo tanti anni, ci lascia con gli stessi dubbi di ieri. Ecco allora presunti
colpevoli assolti dopo anni di dibattiti processuali, ecco latitanti ormai graziati dai termini di
prescrizione, ecco i 'muri di gomma', il segreto di Stato, ecco il provvidenziale suicidio di tanti
testimoni più o meno involontari e più o meno innocenti.
In ultima analisi, ecco misteri italiani sui quali, malgrado l'incredibile mole letteraria e mediatica,
resta l'ombra. Ecco com'è possibile che, dopo tanta fatica e tanta tenacia, tutto si dissolva
nuovamente ed il disegno stragista si allontani nuovamente nei recessi misteriosi che l'hanno creato.
Riassumere degnamente la miriade di strani incidenti ed attentati che hanno dissanguato l'Italia
negli anni Sessanta e Settanta è praticamente impossibile. Così come un tornado, la Strategia della
tensione ha saputo perfettamente creare il caos ed il panico al suo esterno, celando sapientemente
l'occhio del ciclone, la zona interna e più calma da dove –si dice- provengono le micidiali forze
naturali che si scatenano al di fuori. E' impossibile, almeno per un normale cittadino, definire con
certezza cosa sia stata questa Strategia, chi ne abbia tirato le fila, in quanti l'abbiano sfruttata e
perpetrata, cosa si sia lasciata alle spalle, oltre a tante famiglie in lutto ed un Paese dilaniato da anni
trascorsi sull'orlo di una nuova guerra civile. Si può solo notare che questo piano occulto è sembrato
cessare in concomitanza con l'accettazione, da parte della Sinistra, dei termini di democrazia e
libero commercio propri dell'Occidente, cioè con il "Compromesso storico" prima e l'adesione al
consociativismo poi. In altre parole, la Strategia della tensione cessò di manifestarsi quando la
Sinistra italiana smise di apparire come una minaccia al sistema: ulteriore e suprema conferma,
qualora fosse mai stata necessaria, dell'evidente presenza di un'intelligenza nascosta dietro questo
concatenarsi apparentemente insensato di morte e disordine.
La Strategia resta qualcosa di misterioso. Purtroppo, se si vuole riprendere il precedente paragone
del tornado, è possibile valutarne solo i danni e, forse, cercare di intuirne il percorso: ma così come
le forze che muovono le trombe d'aria restano ancora sconosciute, questa macchinazione occulta –o
questo insieme di macchinazioni occulte- resta avvolto nell'ombra. Un'ombra che forse solo il
tempo e la paziente ricostruzione degli storici potrà contribuire a diradare, lavando l'onta che tuttora
grava sull'Italia contemporanea e su ognuno di noi: l'onta pesante di non essere stati in grado di
stabilire, di capire, chi ha voluto mandare al macello le giovani generazioni di quei tempi per
conservare o acquisire momentanei vantaggi politici.
Un'onta che, quando le stragi cadono nell'oblio e nella rassegnazione, diviene ancora più pesante.
Perché se i singoli cittadini non possiedono, semplicemente, i mezzi per arrivare alla verità, è pur
vero che non possono permettersi il lusso di dimenticare quei crimini.
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Capitolo secondo.
Il Rogo di Primavalle, 16 aprile 1973
Il Rogo di Primavalle non è semplicemente la storia di un vile attentato alla vita di un'intera
famiglia, maturato in un clima di forte odio politico e culminato nella morte orrenda di due ragazzi.
Questo orribile episodio è il perfetto indicatore della situazione esasperata ed estremamente violenta
dell'Italia di allora: un attentato figlio di un periodo insanguinato di cui si è scritto e discusso
moltissimo, ma che ancora oggi resta "scomodo" e difficile da dimenticare. Gli strascichi
processuali, o meglio la loro conclusione, non hanno infatti mancato di destare stupore nell’anno
2005, a più di trent'anni di distanza da quell'alba di fuoco.
La cronaca dell'attentato è tragicamente semplice. Come accertò quattordici anni dopo la
Magistratura, fu alle 03.10 del 16 aprile 1963 che alcuni ignoti versarono benzina mista a sostanze
bituminose sotto la porta d'ingresso dell'appartamento della famiglia Mattei, situato al terzo piano di
una palazzina di via Bernardo Bibbiena nella borgata di Primavalle. Questo era un centro abitato
nato in due periodi differenti: tra gli anni Trenta e la fine del secondo conflitto mondiale, quando fu
adibito a campo di raccolta per gli sfollati dall'Africa, e tra il 1950 e 1960, quando migliaia di
manovali e contadini provenienti dal Meridione vi si collocarono in cerca di lavoro.
Gli ignoti attentatori lasciarono un contenitore con altri cinque litri di benzina di fianco alla porta,
prima di dare fuoco al liquido già penetrato all'interno dell'appartamento, in cui riposavano i coniugi
Mattei ed i loro sei figli: Virgilio, Stefano, Silvia, Lucia, Antonella e Giampaolo.
Il capofamiglia, Mario Mattei, fu svegliato dal boato provocato dall'accensione delle fiamme e corse
verso il pianerottolo da dove, pur scivolando sul carburante abbondantemente filtrato sul
pavimento
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, aiutò la consorte a mettere in salvo i due figli minori, Antonella e Giampaolo, mentre il
maggiore, Virgilio, telefonava alla Polizia. I due fratelli Virgilio e Stefano, rifugiatisi nella loro
stanza, aprirono istintivamente la finestra in cerca d'aria e di soccorso: ma fu proprio quest'azione
ad aggravare l'incendio, già alimentato dal tiraggio proveniente dall'appartamento dopo la fortunosa
fuga sulle scale di parte della famiglia. L'ossigeno proveniente dalla finestra alimentò infatti le
fiamme che, in pochissimi istanti, divorarono letteralmente l'abitazione. A nulla valse il disperato
tentativo del padre che, armato di due rudimentali apparecchi estintori, cercò di tornare in casa per
soccorrere i figli intrappolati: riportando gravi ustioni alle braccia ed al resto del corpo, passò allora
in cucina da dove, tra le fiamme, si lasciò cadere sul piccolo balcone del piano sottostante. Qui,
nonostante il dolore, le ferite e l'intossicazione da fumo, l'uomo riuscì ad afferrare la piccola Lucia
che saltò verso di lui: purtroppo l'altra bambina, Silvia, gli sfuggì cadendo al suolo dal terzo piano.
I due maschi rimasero bloccati nella loro stanza, né servì l'intervento dei Vigili del Fuoco, giunti
insieme a rappresentanti delle Forze dell'ordine alle 03.40. Il ventiduenne Virgilio ed il fratellino
Stefano, di dieci anni, morirono atrocemente tra le fiamme; i loro cadaveri, completamente
carbonizzati, vennero recuperati nelle vicinanze di quella finestra che li aveva ingannati.
Chi fu l'artefice di questa strage?
Nel cortile del palazzo venne rinvenuto dagli inquirenti un cartello, composto da carta quadrettata e
fogli adesivi, che rivendicava l'attentato incendiario: Brigata Tanas. Guerra di classe- Morte ai
fascisti- La sede del MSI, Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria.
Per comprendere meglio questa orrenda vicenda, tuttavia, occorre ancora una volta tornare al
contesto storico e sociale in cui è maturata.
Come anticipato, la borgata di Primavalle conteneva nel suo DNA numerosi problemi, tipici di altri
centri abitati similari della periferia romana: povertà –in quegli anni, il reddito medio pro capite non
raggiungeva le 300.000 Lire all'anno-, abitazioni vetuste e misere, abitanti in prevalenza immigrati
dal Sud, e soprattutto un alto tasso di disoccupazione, giovanile e non.
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Secondo la macabra usanza dell'epoca, simili attentati univano al carburante incendiario anche sostanze bituminose,
volte a bloccare le vittime sul pavimento in fiamme.