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PARTE PRIMA:STORIA DELLA
CECOSLOVACCHIA
CAPITOLO 1:LA PRIMA REPUBBLICA CECOSLOVACCA
CAPITOLO 1.1: lineamenti dello stato cecoslovacco
Il crollo della monarchia austro-ungarica al termine del primo conflitto
mondiale, creò nell’Europa centrale un nuovo assetto politico ed economico. Tra gli
stati che sorsero dalle ceneri dell’Impero asburgico, la Cecoslovacchia rappresentava
la realtà più importante sia dal punto di vista economico, (il 75% del complesso
industriale dell’Impero era all’interno dei nuovi confini cecoslovacchi) che da quello
strategico- politico. Posta al centro dell’Europa, confinava a Sud con i nuovi territori
d’Austria e Ungheria, ad Ovest con l’altra grande sconfitta della Prima Guerra
Mondiale, la Germania, a Nord con la Polonia mentre ad Est confinava con il primo
stato socialista dell’età contemporanea: la Russia. Per i vincitori del conflitto, la
Cecoslovacchia doveva rappresentare il “baluardo” dell’Occidente borghese davanti
alla minaccia del movimento rivoluzionario e all’espansione del Comunismo russo.
I confini della prima Repubblica cecoslovacca furono fissati durante la
Conferenza di Pace di Parigi: facevano parte del nuovo stato la Boemia, la Moravia,
la Slovacchia e il territorio dell’Ucraina Transcarpatica (nonostante la maggioranza
della popolazione fosse d’origine ucraina e desiderasse ricongiungersi all’Ucraina
sovietica); il nuovo stato contava circa 15 milioni d’abitanti di cui solo 10 erano di
nazionalità cèca e slovacca. Gli altri 5 milioni erano rappresentanti di minoranze
etniche: i tedeschi (3.250.000) raggruppati principalmente nelle terre che confinavano
con la Germania (Nord-Ovest della Boemia e ad Est della Slesia); gli ungheresi
(700.000 e per lo più concentrati nella regione della grande isola danubiana al confine
con l’Ungheria); erano presenti anche piccole rappresentanze di etnie polacche,
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russo-ucraine ed ebraiche. La molteplicità d’etnie spiega perché gli Alleati richiesero
ai rappresentanti cecoslovacchi presenti alla Conferenza la firma di un “trattato sulle
minoranze”, il quale garantiva ad esse ogni protezione “senza distinzione di nascita,
di lingua, di razza e di religione”.
La Repubblica Cecoslovacca esprime diverse realtà politiche ed economiche
nate da una differente storia e ruolo all’interno dell’Impero asburgico. La Boemia-
Moravia rappresenta la regione più “Occidentale” del nuovo stato; privata della
propria indipendenza dopo la battaglia della Montagna Bianca (1620), la regione fu
ridotta ad una nazione di contadini. Nei secoli successivi, in particolare con lo
sviluppo industriale nel XIX secolo, i Cechi si trasformarono in una nazione che
comprendeva una borghesia colta e ricca, una classe operaia organizzata e un ceto
contadino in cui l’analfabetismo era pressoché sconosciuto. Grazie alla
contemporanea crescita economica, sociale e politica dell’Impero, la Boemia-
Moravia divenne il primo centro industriale della Monarchia austro-ungarica.
La Slovacchia, situata a Nord dell’Ungheria della quale faceva parte integrante,
visse un processo di rivoluzione industriale, diversamente dall’Austria e dalla
Boemia, solo verso la fine dell’800. Ancora agli inizi del XX secolo, in Slovacchia
non esisteva né un proletariato urbano, né una borghesia colta e organizzata, ma solo
un gran numero di contadini e salariati agricoli.
Nonostante gli squilibri tra le diverse realtà regionali, la Cecoslovacchia
possedeva al momento della sua nascita, la maggior parte delle risorse necessarie per
diventare una nazione ricca ed economicamente sviluppata. Grazie all’apparato
industriale ereditato dall’Impero, la Repubblica cecoslovacca si poneva al decimo
posto tra le nazioni più industrializzate del mondo. Il sistema si fondava su un giusto
equilibrio tra industria pesante (l’esempio maggiore erano gli stabilimenti
metallurgici della Skoda nel Nord-Ovest), quella leggera e produttrice di beni di
consumo. Il settore agricolo era anch’esso legato all’industria attraverso la
produzione di colture destinate alla trasformazione industriale, come l’orzo e il
luppolo per la fabbricazione della birra.
I nuovi leader politici che si posero alla guida della fondazione del nuovo stato
cecoslovacco, avevano il compito importante di livellare gli squilibri presenti tra le
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diverse regioni dello stato e risolvere i problemi lasciati aperti dalla monarchia, il
primo dei quali era la riforma agraria. Queste e molte altre difficoltà incideranno sulla
politica dei primi governi della Cecoslovacchia.
CAPITOLO 1.2:dal dopoguerra alla minaccia nazista (’18-‘38)
Come in tutti gli altri paesi del defunto Impero austro-ungarico, anche la
Cecoslovacchia si trovava in uno stato di profonda crisi economica, politica e sociale.
Molte difficoltà economiche derivavano dalla nuova condizione d’autonomia dello
stato che, da un lato, perse il sicuro mercato interno dei territori che facevano parte
dell’Impero, dall’altro, aprì la propria economia al confronto con i prodotti
tecnologicamente più avanzati dell’industria occidentale. Oltre a questi problemi
“nazionali”, lo stato doveva affrontare le difficoltà “comuni” a tutti i Paesi che
avevano partecipato alla guerra: il mantenimento dell’esercito al fronte aveva esaurito
le scorte. La mobilitazione in massa per la guerra aveva privato sia l’industria, che
l’agricoltura, della manodopera necessaria, favorendo così la diminuzione dei beni di
consumo e la continua crescita dell’inflazione.
Il primo ministro K.Kradar, alla guida del primo governo di coalizione,
appoggiò l’attuazione di una rigorosa politica economica con il duplice obiettivo di
fermare l’inflazione e favorire la ripresa economica. Grazie alla fama di cui godeva
presso il popolo, egli riuscì ad evitare, anche se per breve tempo, i contrasti con i
partiti di sinistra presenti nell’alleanza. Infatti nel marzo del ’19 i ministri
socialdemocratici accusarono il governo di voler rinviare l’attuazione della riforma
agraria. Nonostante il tentativo di compromesso da parte del vice-ministro di Kradar,
le prime elezioni locali, tenute secondo la nuova legge elettorale con il sistema
proporzionale, sancirono la preferenza del popolo per i partiti socialisti (i
socialdemocratici ottennero il 30,1%, il partito agrario il 20,5%, i socialnazionali il
15,6%, i nazionaldemocratici l’8,2% e i populisti il 9,7%).
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La nuova coalizione,
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A.CHIRIBIRI, Storia della Cecoslovacchia 1918-1948, CELID, 2000, pp.33
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“rossoverde”, comprendeva il partito socialdemocratico, socialnazionale, il Club
slovacco e il partito agrario, con l’esclusione dei populisti e nazionaldemocratici.
Tra il 1919 e il 1920, due leggi fondamentali e attese furono promulgate
dall’Assemblea Nazionale: la riforma agraria (16 aprile del 1919) e la nuova
Costituzione (29 febbraio 1920). La prima, era tra le riforme sociali ed economiche
che Masarik promise durante il discorso a Washington dopo la fine della guerra, e
permetteva allo Stato di espropriare tutte le grandi proprietà che superassero i 150
ettari di terra arabile o quelle che superassero i 250 ettari di foresta. L’indennizzo per
l’esproprio fu stabilito nel prezzo d’anteguerra dei terreni. Per molti la legge permise
alla Cecoslovacchia di avvicinarsi all’Occidente con una legge progressista e
illuminata, ma è necessario evidenziare che la sua attuazione non favorì, soprattutto
nelle regioni agricole della Slovacchia e Rutenia, il miglioramento delle condizioni di
vita dei contadini; infatti la distribuzione delle terre si risolse nella formazione di un
gran numero di piccole e piccolissime proprietà che in 320.000 casi su 357.907, non
superavano i 5 ettari, una superficie insufficiente a garantire un tenore di vita minimo
per una famiglia. Nelle province ceche, i piccoli proprietari potevano integrare gli
scarsi introiti dell’agricoltura con lavori nell’industria, mentre nelle regioni agricole
la vita nelle campagne rimase precaria a causa della mancanza di fonti alternative o
integrative di guadagno.
La carta costituzionale dello stato cecoslovacco era ispirata ai principi delle più
avanzate democrazie occidentali. Divisa in sei parti, definiva semplicemente la
Cecoslovacchia “una repubblica democratica” con un presidente eletto; attribuiva
ogni compito legislativo all’Assemblea Nazionale, i cui membri erano eletti
attraverso il voto a suffragio universale con scrutinio diretto e segreto con sistema
proporzionale; il potere esecutivo spettava al presidente del consiglio dei ministri; il
potere giuridico era affidato ad una magistratura indipendente. Erano anche assicurati
i diritti civili e politici fondamentali di tutti i cittadini su una base d’eguaglianza; una
particolare protezione era garantita alle minoranze nazionali e religiose.
Le prime elezioni dell’aprile del ’20 segnarono l’inizio dell’attività politica
costituzionale della repubblica cecoslovacca. I risultati confermarono l’orientamento
del voto amministrativo dell’anno precedente: i partiti socialdemocratici ottennero
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136 seggi su 281 (la maggioranza ottenuti dai socialdemocratici cecoslovacchi),
mentre i partiti di centro e destra persero terreno.
Il primo ministro Vlastimil Tusar, modificò la costituzione del governo per
tener conto del risultato elettorale: all’alleanza tra agrari e socialdemocratici si
aggiunsero i socialisti. Due ministeri chiave, Esteri e Finanze, furono affidati a due
“tecnici” voluti dal presidente Masarik: Edward Benes agli Esteri e l’economista
Karel Englis, alle Finanze.
Negli anni ’20 la Cecoslovacchia riuscì ad ottenere buoni risultati nell’ambito
economico: l’occupazione nel settore industriale raggiunse i livelli d’anteguerra, il
bilancio dello stato tornò attivo nel 1921 e anche la nuova valuta nazionale che era
stata fortemente svalutata nel 1918 raggiunse negli stessi anni la stabilità. Il
sostanziale miglioramento dell’economia, permise alla Cecoslovacchia di evitare i
disordini e i contrasti sociali che coinvolsero gli altri paesi europei negli anni del
dopoguerra. L’armonia sociale fu il frutto di un’assidua collaborazione tra i partiti
socialisti che permise la promulgazione di una serie di misure legislative in favore dei
lavoratori e dei ceti meno abbienti: la riduzione dell’orario giornaliero ad otto ore, la
già citata riforma agraria, l’assicurazione contro la disoccupazione, l’aiuto agli orfani
e vedove di guerra, la riforma scolastica e l’aumento dei salari.
I maggiori contrasti nella politica interna riguardavano la questione
dell’autonomia nazionale per la popolazione di origine tedesca. Le posizioni
all’interno dei partiti tedeschi variavano dalla possibilità d’autonomia culturale (con
la possibilità di amministrare le proprie scuole), alla più estremistica possibilità di
creare uno stato nello stato. Tuttavia è necessario evidenziare che questa era
un’ipotesi minoritaria, infatti, nelle elezioni effettuate negli anni ’20, i partiti tedeschi
moderati, opposti a tutte le idee irredentiste, ottennero tra il 74 e l’83% dei voti
tedeschi.
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Solo dopo l’ascesa di Hitler nel 1933, quelle che erano rimaste esigue
minoranze che propagandavano il pangermanesimo, acquisirono un ruolo attivo e
pericoloso per la vita democratica del paese. Dopo la crisi mondiale del ’29, fu
proprio il partito filo nazista di Konrad Henlein a ricevere i maggiori consensi tra
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Ivi
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l’elettorato tedesco, deluso dai partiti governativi che si erano dimostrati incapaci di
affrontare la crisi economica e difendere gli operai delle regioni industrializzate (dove
risiedevano la maggioranza dei tedeschi). La vittoria di Henlein non fu solo il
risultato di un’abile campagna elettorale che ingigantì i contrasti tra la maggioranza
cecoslovacca e la minoranza tedesca, ma fu anche favorita dall’incapacità da parte dei
leader politici cecoslovacchi di trovare una soluzione organica alle esigenze delle
minoranze etniche, che furono solo affrontate in modo sporadico ed isolato.
Se in politica interna la nuova nazione era riuscita a dimostrare la propria unità
nonostante le difficoltà che sono state evidenziate, in politica estera, Edward Benes si
dimostrò tra i maggiori e più attivi diplomatici dell’Europa del dopoguerra. Scelto
come ministro degli affari esteri fin dalla formazione del governo provvisorio in
esilio a Parigi, Benes controllò la politica estera cecoslovacca senza interruzioni fino
al 1935, quando fu eletto Presidente della Repubblica.
La Cecoslovacchia era un nuovo stato circondato da grandi potenze con
tradizioni secolari di lotta e alleanze, costrette a cercare un nuovo equilibrio
nell’assetto diplomatico dell’Europa postbellica. Benes, considerando la precaria
posizione della Cecoslovacchia in questa situazione, basò la sua attività su due
postulati: in primo luogo la Cecoslovacchia era un piccolo stato il cui destino era
legato agli sviluppi europei e, in secondo luogo, essa non aveva nemici tra le grandi
potenze. Il garante della sicurezza europea dopo il ’18 era la nuova Società delle
Nazioni, voluta dal presidente americano Wilson; al suo interno era tuttavia evidente
un’alleanza anglo-francese che perseguiva l’obiettivo di salvaguardare il sistema
politico uscito dalla Conferenza di Pace del 1919 che le aveva viste imporre le
condizioni agli altri partecipanti. Benes, dopo aver inserito la Cecoslovacchia nella
Società delle Nazioni, completò il proprio “sistema di alleanze” accordandosi da un
lato con la Francia (interessata al mercato e al controllo dell’Europa centro-orientale),
dall’altro stringendo un patto difensivo con la Jugoslavia e la Romania (nasceva così
la Piccola Intesa) contro i due maggiori pericoli che minacciavano la zona danubiana:
il revisionismo ungherese e la restaurazione della Monarchia degli Asburgo.
Alla situazione sostanzialmente tranquilla della seconda metà degli anni ‘20,
iniziò a sostituirsi un clima crescente di turbamento all’inizio degli anni ’30 dovuto
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alla crescita del movimento nazionalsocialista in Germania, alla proposta di
Mussolini di un Patto a quattro, al deteriorarsi della situazione interna austriaca, alle
agitazioni politiche e sociali in Francia che indebolivano il paese, ai conflitti in
Estremo Oriente e in Etiopia, infine dallo scoppio della guerra civile in Spagna.
Benes, nonostante tutto, riusciva ancora a trovare aspetti positivi negli avvenimenti
internazionali del periodo: l’ingresso dell’Urss nella Società delle Nazioni gli
appariva come
“un avvenimento di primaria importanza.[…] essa entra in pieno nella comunità
delle nazioni e prende parte in pieno alla politica europea, mano in mano con le
potenze occidentali, questo fatto segna in modo determinante, per lo sviluppo
futuro della politica internazionale, un cambiamento nel raggruppamento delle
forze in Europa”.
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Benes ravvisava in questi cambiamenti “un incontestabile vantaggio, in
particolare per la Cecoslovacchia e la Piccola Intesa tutta intera”.
La diplomazia cecoslovacca non guardava solo ad Est ma anche verso le grandi
potenze occidentali, cercando di consolidare sia l’alleanza anglo-francese, che
attenuare i contrasti “storici” tra Francia e Germania. Tuttavia gli sforzi legati ad
impegnare l’Inghilterra nei precari equilibri centro europei risultò vano, favorendo
l’apertura di un “vuoto diplomatico” di cui Hitler riuscirà ad approfittare alla fine
degli anni ’30.
Prima della creazione del Protettorato di Boemia e Moravia (’39), la
diplomazia cecoslovacca tentò di coltivare con Berlino delle “relazioni amichevoli”,
favorite anche dall’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni e
dall’influenza di Stresemann nel panorama europeo degli anni ’20. Tuttavia, nel corso
del ’27-’28, i contrasti riemersero davanti al progetto d’unione tra Austria e
Germania. La Cecoslovacchia, non potendo permettersi di essere circondata da una
“Grande Germania”, tentò di spostare gli interessi tedeschi verso Danzica e di
conseguenza verso la Polonia. Anche nel ’31, quando si ripresenterà la questione
dell’Anschluss, la Cecoslovacchia si opporrà fermamente.
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WOLF GIUSTI, Tramonto di una democrazia, RUSCONI EDITORE, 1972, pp. 114
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Dopo la crisi economica mondiale del ’29, la morte di Stresemann e la fragilità
dimostrata dalla Società delle Nazioni in diverse occasioni (crisi della Manciuria nel
’31 e fallimento degli accordi sul disarmo tra il ’32-’34), s’andava delineando in
Europa una politica di spartizione in zone d’influenza: l’Italia fascista firmò
l’alleanza con Austria e Ungheria (con l’apertura di Mussolini ad un Patto a quattro
con la nuova Germania di Hitler), l’Inghilterra continuò a dimostrare la propria
indifferenza verso l’Europa continentale (noncurante della crescita e del pericolo
della Germania hitleriana, firmò con questa un accordo navale), mentre la
Cecoslovacchia si trovava ormai isolata davanti al possibile attacco di Hitler
(Jugoslavia e Romania rifiutarono di rivedere la Piccola Intesa solo per aiutare Praga,
la Francia era intenzionata a recuperare la sua libertà d’azione, la Russia era
impossibilitata ad aiutarla a causa del rifiuto di Bucarest al transito delle truppe
sovietiche sul proprio territorio). L’occupazione dell’Austria da parte di Hitler sancì
la fine di Praga.
Abbandonata dall’ovest, isolata dall’ostilità dei vicini, Benes e la
Cecoslovacchia saranno costretti a subire le decisioni di Monaco e alla fine della
Prima Repubblica. Nell’Europa centro orientale, solo lo stato cecoslovacco era
riuscito per venti anni a garantire al proprio popolo le libertà politiche e istituzioni
sociali progressiste. Come afferma Hugh Seton-Watson:
“La sua fine è stata per tutta l’Europa una perdita non solo strategica, ma anche morale.”
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HUGH SETON-WATSON, Le democrazie impossibili: l’Europa orientale tra le due guerre mondiali, RUBETTINO
EDITORE, 1992, pp. 236