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Due modelli caratteristici faranno da cornice al tema in questione:
quello americano da una parte, rappresentato da NYPD (secondo
capitolo), e quello italiano dall’altra, che prende da esempio la
serie La Squadra.
Il serial poliziesco italiano di Raitre, come dal titolo, sarà il tema
fondamentale del viaggio del testo. Scendendo nei particolari
tecnici, strutturali, formali ed esecutivi, attraverso un linguaggio
semplice e specialistico allo stesso tempo, si delineerà un profilo
analitico de La Squadra, giunta ormai alla sua settima edizione,
fino ad analizzarne una puntata dal punto di vista più tecnico,
grazie alle nuove tecnologie messe a punto dalla produzione per
questa nuova serie.
La particolare attinenza alla realtà, la verosimiglianza dei
personaggi-attori con persone prese dalla vita reale, storie
autentiche raccontate con occhio critico da una parte e vivace
dall’altra, sono le peculiarità singolari della serie poliziesca
analizzata. A dare attendibilità al mio discorso saranno le
indicazioni derivate da interviste dirette rivolte al responsabile
della produzione seriale e della Rai Fiction, Francesco Nardella;
alla produttrice esecutiva della serie, Loredana Carbone; e alla
responsabile editor Rai, Giusy Buondonno.
È necessario a questo punto fare una precisazione fondamentale:
l’analisi teorica e critica delle proprietà fondamentali di questi
indispensabili linguaggi televisivi (affrontata nei primi due
capitoli), che prende fondamento dagli insegnamenti di autori
affermati, lascerà spazio ad uno studio dei principali aspetti della
serialità nostrana, attraverso un’analisi diretta sul campo.
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Trattandosi di esperienza personale, anche il linguaggio sarà più
tecnico e poco teorico, si soffermerà sui procedimenti propri della
costruzione televisiva della serie in esame.
Infine nascerà spontaneo il confronto con le tecniche americane
dalle quali anche una serie come La Squadra ha attinto per avviare
nel corso degli anni una sua propria definizione ed esclusività.
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CAPITOLO I
LA SERIALITÀ:
DALLE ORIGINI NARRATIVE AL POLIZIESCO
1.1 Passato, Presente e Futuro della Televisione.
Il forte sviluppo dei mezzi di informazione e di
comunicazione, unito alla consapevolezza del ruolo cruciale che la
loro presenza e la loro influenza conferiscono alla società, ha
indotto molti studiosi a riguardare la comunicazione stessa come
un importante fattore di distinzione. A stimolare questa ricerca è
la convinzione che il panorama odierno della comunicazione di
massa, sia caratterizzato da una produzione testuale frutto di
continue contaminazioni di genere, dove difficilmente si trovano
forme dai confini definiti e delineati, ma al contrario, prodotti in
continua mutazione e permeabili all’ibridazione. Partendo
dall’“età dei segni”, passando attraverso “l’età della parola”,
“della scrittura”, “della stampa”, per arrivare all’“età della
comunicazione di massa” e superarla, la storia dell’esistenza
umana è stata ritmata dall’evoluzione di quelli che possono essere
definiti gli strumenti del comunicare. (Milly Buonanno, le formule
del racconto televisivo, 2002). Sfuggenti e continuamente
sottoposti a ridefinizioni e revisioni, i generi continuano ad essere
una vera e propria bussola per il sistema dei media in generale e
per la televisione in particolare.
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Una bussola che serve a decidere cosa produrre, come
distribuire e con quale atteggiamento fruire dei prodotti culturali.
(Giorgio Grignaffini, i generi televisivi, 2004).
L’ultimo decennio però ha visto l’affermarsi di una serie di
fenomeni di origine economica e tecnologica che hanno avuto
immediate ripercussioni a livello socio-culturale, e hanno creato
le basi per nuove condizioni nella produzione mediale;
perfezionamenti tecnologici hanno portato alla nascita di una
progressiva diffusione dei media interattivi (da internet alla
telefonia mobile) e alla digitalizzazione; nel campo economico si
è assistito a concentrazioni industriali verticali e orizzontali
insieme al prendere piede di fenomeni mediali progettati come
globali (es.: Grande Fratello).
La televisione italiana affronta dagli anni ’90, le nuove sfide:
format globali e nuove tecnologie, il tutto in una rincorsa
all’audience sempre più esasperata che porta a rinnovare
continuamente i generi consolidati. Non possiamo tralasciare il
fatto che il cambiamento, spesso rapido e tumultuoso, delle forme
tecnologiche e quindi dei supporti su cui i testi vengono pensati,
realizzati e diffusi, abbia inevitabilmente riscritto, aggiornato, se
non addirittura cambiato, le regole di genere classiche,
adattandole ai media che le andranno ad usare (basti pensare a
come sono cambiati i supporti per la fruizione di film).
Si può avere un riscontro di tutto questo proprio nei generi, dove i
nuovi sistemi integrati di comunicazione hanno trovato un
elemento di continuità con il passato, senza però perdere centralità
e importanza e diventando così la garanzia del mantenimento di un
contatto con il pubblico.
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La ricchezza (dei canali) si accompagna spesso alla povertà (dei
contenuti), e anzi la provoca. La mancanza infatti di un’adeguata
quantità di materiali “freschi” e sempre innovativi, crea le
condizioni di un largo ricorso ai materiali di archivio, ai vecchi
programmi televisivi, per alimentare in tutto o in parte la voracità
di uno spettro distributivo in enorme espansione. Né la stampa, né
la radio, né il cinema si nutrono, se non eccezionalmente, del
proprio passato; la televisione è l’unico tra i grandi media che ha
creato il museo vivente di se stesso, che ha seguito un percorso
storico che nella sua ultima fase di evoluzione recupera e
riutilizza la propria storia. Per molti aspetti, il medium televisivo
si presenta come un misto di forme e tecnologie riprese dai media
preesistenti, la radio e il cinema in particolare: duplice risorsa del
suono e dell’immagine, erogazione dei suoi contenuti, la capacità
di essere considerato un oggetto domestico…
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1.2 I nuovi linguaggi televisivi.
La televisione è un medium avido, e con il passare del tempo
o con l’avanzare delle nuove tecnologie, lo diviene sempre più.
La sua avidità riguarda i contenuti con i quali devono essere
occupate le ore di trasmissione, tra programmi e pubblicità (un
canale deve coprire circa 8500 ore l’anno).
La programmazione televisiva, per quanto regolata e cadenzata
dallo strumento ordinatore del palinsesto, non si offre agli
spettatori come una successione di singoli programmi distinti e
separati, dotati di precisi e identificabili confini, ma piuttosto
come una sequenza di materiali eterogenei che si riversano dallo
schermo al modo di una corrente ininterrotta: reality, talk show,
sitcom e tv movies, varietà e intrattenimento, quiz, informazione,
fiction e altro, possono susseguirsi su uno stesso canale nello
spazio di poche ore. Ormai tutti gli spettatori hanno imparato a
districarsi tra questi e molti altri termini che costellano l’universo
televisivo e che vanno a far parte di quella categoria che ingloba
l’insieme delle caratteristiche comunicative di un programma (il
modo in cui produce significati condivisi socialmente), e che ci
piace definire Genere.
Per genere intendiamo, fondamentalmente, una categoria nella
quale si ritrovano cose che condividono uno stesso “repertorio di
elementi”. (Lacey, 2000;in Milly Buonanno “le formule del
racconto televisivo”, Milano, 2002). Esistono generi di ogni tipo,
ma per quanto variegata sia la natura del nostro oggetto in esame,
i generi assolvono ad un’identica funzione primaria: contenere la
dispersione, fornendo i criteri unificanti che consentono di far
confluire una pluralità di oggetti in una medesima e riconoscibile
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categoria. Tutte le forme di espressione creativa e artistica hanno i
propri generi (dalla letteratura alla musica) e non potrebbero farne
a meno; ma è soprattutto nel mondo televisivo che i generi si
rivelano una risorsa fondamentale e per certi aspetti
irrinunciabile.
Al fianco delle etichette di genere, che sono continuamente
sottoposte a modifiche e revisioni, sono presenti nel fare
televisivo delle precise categorizzazioni che si ritrovano nei
termini di format e formato. A definire un programma in termini
di formato saranno elementi come la durata, il numero di episodi,
e i modelli produttivi (in studio o esterni; con il conduttore o
senza;…).
A fianco del formato, ha avuto una grande diffusione dagli anni
novanta in poi, la nozione di format: uno schema di programma
che viene commercializzato sui mercati internazionali, corredato
da tutta una serie di informazioni riguardanti la possibile
collocazione in palinsesto, le strategie promozionali, e che
mantiene invariati alcuni elementi ritenuti fondamentali.
Soprattutto, esso è un modo per chi sviluppa programmi televisivi
di proteggere legalmente e far fruttare economicamente un’idea
vincente.
All’interno di un palinsesto si susseguono numerose tipologie di
programmi che in un modo o nell’altro rientrano nella categoria
dei generi sopraelencati; una prima, molto generale segmentazione
nel panorama televisivo è quella tra programmi prodotti
appositamente per la televisione e quelli invece nati per la
diffusione su altri media (il cinema, ad esempio); anche se poi,
con il passare del tempo, la televisione riesce a fare propri alcuni
linguaggi e racconti che nascono prettamente cinematografici.
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Una particolare caratteristica di questo medium si ritrova nel
saper creare al suo interno una consistente area che vada ad
inquadrare linguaggi sempre nuovi e sempre più ricercati dalla
televisione per riuscire a dare al pubblico ciò che si aspetta da
essa. Si è poi soliti distinguere due livelli di classificazione dei
programmi di questa grande area televisiva. A proporre questa
distinzione è l’esperienza pre o extra-televisiva della gran parte
degli spettatori, che offrono così un loro punto di vista sulla
riconoscibilità e fruizione appropriata dei programmi.
Il primo livello, quello più vasto e generale, contiene i tre
cosìdetti macrogeneri: informazione, intrattenimento e fiction, che
raccolgono sotto la loro insegna anche programmi di cronaca e di
attualità, di varietà e di diversione, e programmi che raccontano
storie. Questi tre macrogeneri televisivi, al di là dei loro differenti
modi di costituzione, ovviamente, non si trovano sullo stesso
piano né per “reputazione sociale” né per economie di produzione.
(l’informazione, che si presta ad un utilizzo immediato e non
ripetibile, gode della considerazione più elevata; la fiction, che
appartiene alla categoria dei beni durevoli e che nella maggior
parte dei casi è il genere più costoso da realizzare, appartiene a
quel tipo di programmi che risultano essere suscettibili
all’immagazzinamento, al riutilizzo nelle repliche, e alla
commercializzazione).
Il secondo livello di classificazione dei contenuti televisivi si
colloca all’interno dei macrogeneri e si articola in generi e
sottogeneri, la maggior parte delle volte mutuati da altri media e
altre forme espressive (come il cinema, i giornali, la radio):
telegiornali, rubriche d’attualità, programmi di approfondimento,
e altro nell’area Informazione; varietà, quiz, talk show, reality
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show, nell’area Intrattenimento; film cinematografici, serie e
serial televisivi della più varia specie -di fantascienza,
polizieschi, ospedalieri, d’azione…- nell’area Fiction.
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1.3 Il macrogenere: la fiction.
Fiction è il termine con cui nella lingua inglese si
definiscono tutte le opere di immaginazione e di fantasia. In linea
di principio, quasi ogni forma di produzione creativa che la storia
umana abbia conosciuto rientra nella categoria della fiction: dalle
pitture rupestri, alla poesia epica, al teatro classico e moderno, ai
diversi generi di prosa letteraria, al cinema, ai fumetti, ai cartoni
animati. Tuttavia la pratica corrente circoscrive l’uso e il
significato del termine ad una forma specifica di produzione
immaginaria: la narrativa, il racconto di storie.
Ma non c’è dubbio che nel corso del XX secolo siano stati
soprattutto i grandi mezzi di comunicazione, prima il cinema e poi
la televisione, a soddisfare il bisogno collettivo di racconti di
immaginazione.
La televisione lo ha fatto e continua a farlo mediante un’offerta di
fiction assolutamente senza precedenti per continuità e
abbondanza (si pensi che le reti nazionali italiane, senza
considerare le locali e le digitali, trasmettono oltre 10.000 ore di
fiction all’anno, tra prime visioni e repliche, produzioni nazionali
e importazioni).
Non si tratta semplicemente di riconoscere che la fiction
televisiva è racconto di storie di immaginazione, ma che
costituisce il più grande corpus di storie dei nostri giorni, e forse
di tutte le epoche. Nessun altro sistema narrativo del presente o
del passato ha mai coinvolto audience di decine di milioni di
persone, come quelle che quotidianamente in tutto il mondo si
sintonizzano su serie e serial televisivi.