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L’evoluzione della Cardiologia dal Medioevo ai giorni
nostri
La storia della sperimentazione cardiologica si sviluppa sin dai tempi più
antichi, inizialmente con lo studio, o meglio con la scoperta, della
consistente formazione dell’apparato cardio-circolatorio, attraverso la
sua costituzione e il suo complesso funzionamento, analizzando
dapprima il complesso sistema animale e poi passando ad applicare ciò
che si era scoperto,sempre con una certa cautela,sull’essere umano.
Sappiamo che numerosi interrogativi, a partire dal XVII secolo e
numerosi trattati denotano come, soprattutto in Italia, vi siano stati
notevolissimi esperimenti, volti a determinare, ad esempio, la struttura
ed il funzionamento della circolazione sanguigna e del sangue, tanto da
essere largamente analizzati da studiosi e cardiologici di tutta Europa, e
non solo, ma anche da molti studiosi britannici e statunitensi. Ad
esempio di tale linea adottata è rilevante costatare come tre grandi
contributi del secolo XIII, relativi alla dimostrazione della circolazione
del sangue, sono considerati precursori di quella che sarebbe stata la
storia fattiva, e poi sperimentale della cardiologia. Infatti, il primo,
riguardante la trasfusione di sangue, costituisce una delle più belle e più
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chiare prove della circolazione, fu la prima volta ammirata, e con molto
calore sostenuta, non solo da Marsilio Ficino nel XVI secolo, ma
addirittura indicata da Cordano. Infatti, in seguito Giovanni Colle,
professore dell’Università’ di Padova, in un’opera pubblicata nel 1628
dal titolo “Methodus facilis parandi jucinda, tuta, et nova medicamenta.
De vita, et senectute longius, protrahenda, etc non solo parlò della
trasfusione del sangue e della infusione dei medicamenti, e dei loro
effetti, ma minutamente e diligentemente ne descrisse il metodo per
praticarla. E’ chiaro che successivamente anche l’esimio professore
Fracassati rendeva onori al Malpigli, in un’esatta relazione, delle
esperienze molteplici e delle iniezioni da lui praticate negli animali con
diverse materie acri e stimolanti,per le quali ne avveniva la morte degli
animali su cui le praticava. Andando avanti nell’analisi delle nostre
testimonianze, troviamo, dopo di lui, Geminiamo Montanori nel 1667
che, in casa Cassini, trasfuse il sangue da un agnello all’altro, e questo,
con stupore dei dotti dogmatici, visse otto mesi. Contemporaneamente al
medico Major e ad altri, anche in Italia, la trasfusione del sangue veniva
arditamente praticata sugli uomini. A tal proposito abbiamo notizia del
piemontese Guglielmo Riva, che esercitava chirurgia a Roma, il quale
fece questa operazione in tre infermi, e ne pubblicò il metodo e la
riuscita nelle “Ephemerides naturae curiosorum Decad. I An. Obs 149”.
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Manfredi, come riferiscono le cronache dell’epoca (1668-1670) fece la
trasfusione del sangue di un bruto in uno stipettaio febbricitante, e
Teofilo Basseto dice di aver visto Manfredi praticarlo a Roma in sua
presenza,e dopo alcuni mesi aver egli verificato che l’uomo era sano ed
esercitava il suo mestiere. Le conseguenze di questo “ardire” furono
pero’ che gli uomini più illustri d’Italia si astennero per altro dal
partecipare all’entusiasmo che svegliò questo metodo, ed aspettavano
tranquillamente il risultato dell’esperienza e dei fatti. Ma inizialmente,
ahimè, quest’ultimi non parlarono interamente in favore della scienza
medica, quale metodo terapeutico, e la morte degli individui, sui quali
era stato praticato, fu giusto motivo perché fosse proibito dalla Corte di
Roma e dal Parlamento di Parigi. Successivamente, negli anni che vanno
dal 1670 al 1674, altre prove furono date in relazione a quest’argomento
e non solo. Le scritture di Harvey, relative ai cosiddetti “Discorsi sul
cuore( come egli soleva denominare i suoi studi) risvegliarono le
conoscenze e travolsero parte delle convinzioni dei più scettici, infatti,
esse sono comprovate cosi’ bene e cosi’ sapientemente connotate, che è
quasi impossibile non soffermarsi su ciò che esse rappresentano, cioè
una moderna fisiologia cardiaca e circolatoria, e più largamente di come,
si affacci la nascita e il successivo sviluppo del moderno metodo
sperimentale in ambito cardiologico. Infatti, ai suoi insegnamenti si
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ancorò l’illustre Marcello Malpigli attraverso le sue prove
microscopiche. Egli, trent’anni prima di Leeuwenhoekio, attraverso un
microscopio da lui costruito, esaminò la circolazione polmonare e quella
del mesenterio delle ranocchie, e cosi’ non solo poté mostrare sotto gli
occhi di tutti questa sorprendente funzione, ma anche aggiungere una
nuova serie di vasi sanguigni a quelli già conosciuti, dando la prima idea
dei capillari. Però bisogna sottolineare che, dopo gli incoraggiamenti dati
dagli ultimi esiti, molto si sta facendo ancora nell’epoca medesima in
Italia per meglio determinare le funzioni delle singole parti nell’atto
della circolazione, anche se le condizioni, data l’epoca ancorata al
dogmatismo e alle troppe “certezze”, a detta mia non è delle migliori.
Nonostante tutto, Tommaso Cornelio di Cosenza volle continuare il
discorso intrapreso dal suo predecessore, attraverso l’esperimento
indicato da Galeno, e che ad altri non era riuscito, cioè di troncare
l’arteria, ponendovi un tubo di canna ben legato per lasciare il passaggio
del sangue, e vide che la pulsazione continuava, sebbene più debole,
anche al di là del tubo artificiale, e ne dedusse che derivava dall’impulso
dato dal sangue. Arrivò quindi alla conclusione che Galeno intanto non
vide la pulsazione al di sotto del tubo, perché né impiegò uno di grosso
calibro, nel quale il sangue si arrestava e si coagulava. Sicuramente tale
risultato creò panico nei dotti convinti dell’epoca, ancorati alle loro
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convinzioni, ma questo non fu nulla, rispetto al colpo di grazia fornito
nel 1675 da Fortunato Fedele, padre della medicina del Foro alla Corte di
Carlo V, la cui opera fu la prima di medicina legale che fu promulgata.
Infatti, i suoi meriti, ricordati all’epoca in tutta Europa, furono
molteplici, così riassunti e schematizzati: a)Di aver conosciuto l’uso
delle valvole delle vene, benché desunto dall’uso delle valvole del cuore,
insegnatogli per la prima volta dal Rudio, e conosciuto da tutti gli
Anatomici italiani b)Di aver praticato le sezioni di animali vivi, con cui
dice di aver conosciuto cose “nuove e inaudite”c)Di aver provato con le
legature e col taglio delle vene che il sangue che per le arterie si porta a
tutte le parti del corpo, da queste per le vene ritorna al cuore. Ma quegli
esperimenti erano stati suggeriti, e in parte eseguiti dagli altri, e
Cisalpino anche si avvale dell’argomento della legatura, sicuramente
meriti reali e grandissimi furono l’esattezza e la concretezza delle
indizioni ,della perizia unitamente alla diligenza degli esperimenti.
Appare strano, all’esito di queste argomentazioni, volte più alla
costruzione che alla scoperta, come di lì a pochi anni, intorno al 1700,
tali studi si riflettono sulla ricerca farmacologica, dando un forte impulso
alle indagini, volte alla conoscenza dei farmaci di origine vegetale, delle
droghe e della loro azione. In tutta onestà, volendo inserire una nota
critica al tutto, voglio affermare che in tale ambito l’atteggiamento
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critico verso la materia medica comportò una certa prudenza anche
nell’accettazione dei nuovi rimedi. Per questa ragione i progressi furono
lenti, poiché non si poteva ancora procedere ad analisi sperimentali e
sistematiche delle sostanze impiegate, ma si cominciava a valutare
l’efficacia pratica delle singole medicine. Infatti, la particolarità era che
nel Settecento era possibile acquistare speciali cassette contenenti una
quantità di medicinali propri, nel frattempo, si diffondevano sempre più i
consigli, perché si seguissero le precedenti strade dell’uso preventivo e
curativo di tanti rimedi, in una specie di divulgazione della medicina
attraverso manuali e libretti di istruzione. Devo aggiungere(per rendere
credibile e spiegare l’affermazione precedente)che tutto questo era
dovuto a ciò che negli Stati Uniti accadeva,vigendo l’uso di giovani
laureati in medicina, i quali,avendo opportunità minime di compiere
studi avanzati in loco, intorno al 1725, compivano molti viaggi
scientifici, soprattutto a Edimburgo, Londra e talvolta a Leida. Dovranno
passare molti più anni per ritrovare i loro successori a Parigi, attratti
dalle prospettive che lì si riscontravano nelle cliniche di Louis e
Laennec. Comunque appena 20 anni dopo, Vincenzo Meneghini stupiva
ancora in quanto scoprì l’esistenza del ferro nel sangue ed i suoi usi, e fu
uno dei primi a dar l’analisi del sangue, infatti, partono da lui le
discussioni sostenute in Italia intorno al sangue, al suo colore, alla sua
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composizione, al ferro che vi si contiene, e relativamente agli usi cui
quel fluido vitale è destinato. Egli vi scoprì (straordinario a dirsi e a
pensarsi, a detta mia)“quel metallo, ne confermò la costanza, e volle
determinarne anche gli usi. Ad avvalorare ciò, nei suoi Commentarii,
Meneghini parla delle particelle ferree trovate nel sangue di vari animali,
nelle ossa e nelle carni, e dichiara che la vera sede di quel ferro sia nel
grumo del sangue, oltre ad affermare che nell’uomo vi si trovi in
maggiore abbondanza degli altri animali. Aggiunge inoltre che il ferro
circoli nel sangue e formi parte essenziale della composizione di esso,
assicurando di aver ottenuto uno scrupolo di ferro da due once di parte
rossa del sangue residuo della svaporazione dell’acqua. In realtà, dopo
ulteriori studi, egli arrivò a pensare che il ferro arrivi nel sangue per
mezzo degli alimenti che lo contengono, e quindi faccia parte del chilo, e
per quella strada passi nel torrente della circolazione. Su tali basi(ed è il
caso di dirlo!), Lazzaro Spallanzani nel 1745 si occupò di chiarire
sperimentalmente la funzione della circolazione del sangue, e la esaminò
in primis nelle salamandre, quindi nel pulcino appena sgusciato, e subito
dopo nelle lucertole, nei ramarri, nelle rane degli alberi ed in altri
animali. Dai suoi esperimenti ricavò che l’impulso del cuore sostiene la
circolazione in tutto l’albero arterioso fin nei minimi capillari,nei quali il
sangue scorre con pari velocità a quello delle arterie. Nelle vene poi il
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sangue prima si muove lentamente, poi si arresta e si ristagna, talvolta le
vene rimangono vuote o cancellate, fin quasi (parole di Spallanzani)
“quasi a rimaner inermi. Dedusse parimenti di non esservi interruzione
nel circolo sanguigno e che le estremità delle arterie continuassero ad
“imboccarsi con le estremità delle vene”. Inoltre, vide che in ogni sistole
il cuore si vuotava del sangue, meno nelle salamandre e nelle rane degli
alberi, nelle quali una piccola quantità di sangue rimane nella sistole.
Sicuramente poche osservazioni si possono presentare, le quali siano
state eseguite con un’industria sperimentale, e con un criterio così
ingegnoso, come quello di Spallanzani. Tuttavia,soprattutto gli italiani,
non si sgomentarono innanzi alle difficoltà dell’argomento,e molti altri
lavori pregevoli furono pubblicati intorno a tale materia .Giacomo
Tommasini, per esempio,dimostrò, tramite notevoli sperimentazioni,che
il sangue continua a circolare nelle arterie, anche dopo il distacco
dell’aorta dal cuore,che in alcune circostanze morbose si osservava
nettamente la differenza di moto in arterie diverse;che la velocità del
sangue non diminuisce nelle tortuosità e negli angoli delle arterie,che in
alcuni animali a sangue freddo il sangue si ferma al momento della
diastole,e si rimette in corso nella sistole;che il sangue dal taglio di una
vena non esce a salti,ma con un getto sempre costante ed eguagliabile, e
infine che la circolazione nei vasi si compie per azione propria degli
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stessi vasi, dietro le leggi “dell’eccitamento vitale”,indipendentemente
dall’impulso e dall’urto. Facile come non immaginare, come una volta
gettata una pietra nel mare della conoscenza, le onde formatesi si
propaghino sempre più lontano e frequentemente. Infatti, a queste
argomentazioni, Lorenzino Pressioni, nei suoi Discorsi di anatomia e di
fisiologia, cominciò ad esaminare la circolazione sanguigna secondo la
diversità della struttura del cuore e dei vasi nei diversi animali. Si
aggiunge poi come Michele Araldi, nelle memorie della Società italiana,
esponga, in maniera compiuta, alcune riflessioni sulla circolazione del
sangue, e cerchi di provare che i movimenti della macchina animale non
si sottraggono alle leggi generali della meccanica. In particolare, già
all’epoca, queste osservazioni si rilevano fondamentali nel 1772 per lo
studio di John Hunter relativo all’angina pectoris.Egli, infatti, notò sia
nell’animale, sia nell’uomo, in 20 anni di fenomeno, che l’angina da
sforzo è perfetta e si arricchisce delle nozioni relative all’angina
ingravescente, post prediale, da decubito e spontanea, nonché alla “walk-
through angina”(angina che scompare proseguendo nella marcia).Questo
studio fu ripreso dal professor Bassiano Carminati nel 1783 con alcune
sperimentazioni, la vera innovazione, però arrivò nel 1798 attraverso le
modifiche apportate da Scarpa alla cura degli aneurismi, ed alla legatura
dell’arteria portando un grande rivolgimento nella pratica. Dalle sue
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osservazioni risultava, infatti, che il metodo migliore per la legatura delle
arterie era quello di Anel, impropriamente detto di Hunter, consistente
nel legare circolarmente l’arteria al di sopra del sacco aneurismatico,
senza aprirlo, ma, dopo alcune riflessioni, per evitare ogni inconveniente,
venne a dedurne un proprio metodo, quello dello spianamento e del
ravvicinamento delle pareti opposte dell’arteria, sulla quale erano stati
fatti pochi tentativi. Egli eseguiva la legatura passando sotto l’arteria due
nastri incerati, ciascuno di due linee, collocati uno presso l’altro, poi
applicava sull’arteria un piccolo cilindro di tela ed allacciava la legatura
sul cilindro. Ma dopo questo tempo le esperienze si moltiplicarono,
soprattutto in Francia ed in Inghilterra, intorno al vario modo di legare i
vasi, ed il metodo di Scarpa fu da molti chirurghi approvato e sviluppato.
Anzi, si dirà di più! Yones cercò di dimostrare che il miglior modo di
legatura era quello di stringere fortemente e circolarmente il nodo, per
troncare le tuniche interne e medie dell’arteria. Ma Scarpa, consapevole
della sua “rivoluzione”, non si arrestò a queste difficoltà, e ne trasse
argomento a nuove ricerche, tanto che, intorno al 1799, istituì numerose
esperienze sugli animali, volendo dimostrare che le arterie s’infiammano
con facilità attraverso la semplice pressione, unitamente al
riavvicinamento delle parti opposte, e di conseguenza il tutto rendendo
più facile l’aderenza. Le esperienze sugli animali riuscirono
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perfettamente, e Paletta riferisce anche due casi di successo sull’uomo.
Sulla base di questi studi vale sicuramente la pena narrare un episodio
illustre (anche se non enunciato dalle cronache dell’epoca)accaduto
proprio in questi anni. Nel 1799 George Washington, presidente degli
Stati Uniti, era in fin di vita per un’infezione del sangue, causata da
“sangue affetto aggressivo”. Poco prima della morte, precisamente 13
ore prima, i dottori rimossero 2,5 quartene di sangue. Secondo standard
correnti, questo “trattamento”sembra va incomprensibile ma, al di fuori
di ogni aspettativa,esso migliorò di gran lunga(sempre nei limiti della
situazione)la condizione del paziente. Per fortuna, gli studi di tutti questi
anni erano serviti a qualcosa!Infatti, dopo un periodo travagliato anche
da atteggiamenti di rifiuto, nella prima metà dell’ottocento, con molti
medici che reclamavano il ritorno nella cura e nella sperimentazione
cardiologia a un maggior rispetto per la forza “mediatrice della natura”,
secondo la tradizione ippocratica, la chimica venne in soccorso delle
mutate esigenze cliniche, dando dimostrazione della sua forza e delle sue
capacità mature. La vecchia materia medica, strettamente legata ai
presupposti delle dottrine tradizionali e alle personali esigenze di ogni
medico, si trasformò nella farmacologia, una disciplina scientifica
autonoma, indiscutibile nell’oggettività dei suoi dati, impegnata, come
all’epoca, nella ricerca sperimentale e sostanzialmente ben distinta anche
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dalla pratica clinica. Le tecniche di laboratorio, di isolamento e di
purificazione dei farmaci naturali, avevano permesso un
perfezionamento del corredo di rimedi a disposizione. A testimonianza,
nel 1821, Francois Magendie pubblicò in ambito della sperimentazione
clinico-cardiologica un formulario per la preparazione e l’uso dei nuovi
farmaci, e pochi anni dopo, nel 1865, il famoso cardiologo francese
Claude Bernard, nella sua introduzione agli studi di medicina
sperimentale affermo che “i medici, soprattutto in ambito del core,
eseguono esperimenti terapeutici ogni giorno, essendo certamente un
dovere e un diritto del medico l’eseguire un esperimento sull’uomo,
sempre che ciò possa salvargli la vita, curarlo o dargli beneficio,infatti il
principio della moralità medica e chirurgica sta nell’evitare esperimenti
sull’uomo potenzialmente pericolosi per un dato individuo, persino se il
risultato potrebbe essere altamente vantaggioso per la scienza e
definitivo per la salute degli altri. In conclusione, l’interesse esclusivo
del singolo paziente non è preclusivo, comunque, di un profitto generale
per la scienza”. Tale pensiero così ebbe modo di svilupparsi verso la
metà del XIX secolo, in quanto gli studenti di cardiologia cominciarono
ad essere attratti da Dublino, avendo assunto, le cliniche tedesche, una
posizione predominante nell’ultimo secolo. A conferma di tale
orientamento, nel laboratorio di Carl Ludwig lavorò Henry Bowditch
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che, una volta ritornato in America,organizzò a Harvard il primo
laboratorio moderno americano di cardiologia. In questo modo
l’approccio sperimentale cominciò a dominare il Curriculum didattico,
così come illustrato dall’insegnamento del giovane erudito Rolley
Dungleson, portato da Thomas Jefferson dall’Inghilterra agli Stati Uniti
per fondare la Virginia University. Come era giusto che sia,l’opera di
Dungleson “Human Cardiology”apparve nel 1832. Qualche anno dopo
nel 1893 un medico di Filadelfia e redattore di molte riviste scientifiche
Giorgio Gould dichiarò che esistono da tempo in tutto il mondo 100 diari
della più antica pratica sperimentale cardiologia e che, il loro
proliferare,in modo crescente,determinò che le decisioni terapeutiche e
sperimentali in cardiologia fossero guidate da una schiacciante evidenza
dedotta da prove cliniche e casualizzate che personalizzarono ogni
singolo paziente. Infatti, duecento anni fa il metodo sperimentale
prevedeva che molti medici d’Europa e Nord America utilizzavano
sanguisughe e flebotomi per sanguinare pazienti con “pressione
sanguigna alta”ed altri problemi clinico-cardiologico. Agli inizi del
Novecento il ritmo di scoperta e l’innovazione della Cardiologia
americana aumentò le aspettative della società, in particolar modo della
classe sanitaria, e soprattutto degli assicuratori, tanto che, il nostro
governo, lotta sul come e quando incorporare medicine nuove,