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INTRODUZIONE
“Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme.
Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi
di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. […]
Il Mediterraneo è una buona occasione per presentare un altro modo di
accostarsi alla storia.”
1
Fernand Braudel
Il Mediterraneo è sempre stato presente all’interno delle agende politiche dei
governi che hanno guidato la Spagna, compresa quella del dittatore Francisco Franco,
questo per ragioni geografiche, storiche, culturali ed economiche. Basti pensare al
legame esistente tra le due sponde, nello specifico quelle occidentali, dominate per
secoli dagli arabi e poi, con la Reconquista terminata nel 1492, diventate spagnole e
conservate gelosamente fino agli anni ’50 del Novecento e, in misura minore, ancor
oggi. Legame successivamente sviluppato da aragonesi e catalani, i quali crearono dei
veri e propri insediamenti lungo le sponde mediterranee, gli alfóndigos, trasformando
Barcellona in uno dei maggiori e trafficati porti medievali.
Allo stesso modo, il Mare Nostrum è rimasto una priorità della politica estera dei
governi della Spagna democratica nata con la transizione, avvenuta in seguito alla
morte del Caudillo. Grazie al consenso bipartisan e alla stabilità politica garantita dai
governi del Partido Socialista Obrero Español di Felipe González, nonché alla
capacità del leader di creare alleanze con gli omologhi europei e non solo, Madrid è
uscita dall’ostracismo internazionale nel quale era relegata ed ha guadagnato prestigio
al punto di diventare, una volta entrata nelle Comunità Europee, un punto di
riferimento nello sviluppo della stagnante politica mediterranea.
1
F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Bompiani, 2019,
cit. pp. 5-8.
6
Per un paese con più di millecinquecento chilometri di coste mediterranee, una
politica diretta a quel mare è imprescindibile. Eppure, essa si è sviluppata in modo
lento e graduale, trovando una prima definizione solo nella seconda metà del secolo
scorso, durante la fase più intensa della dittatura franchista, partendo però da un focus
diretto solo ai paesi arabi e magrebini, con i quali esisteva – e doveva quindi essere
coltivata in ogni modalità possibile – una relazione storica.
Solamente con l’avvento della democrazia e l’ingresso nelle Comunità Europee la
Spagna ha avuto la possibilità di sviluppare una politica mediterranea a tutto tondo,
grazie ad un processo di europeizzazione a doppio senso – top down e bottom up – che
le ha permesso di acquisire da un lato le obbligazioni derivanti dalla membership
comunitaria ed i legami creati dai partner e dall’altro di lasciare il segno nella politica
europea, da circa un ventennio relegata all’immobilismo.
Quando si parla di politica mediterranea in ambito europeo, il Processo di
Barcellona diventa inevitabilmente il punto di riferimento, per via dell’innovazione
che esso ha comportato, le ambizioni ma anche il suo fallimento. L’iniziativa è stata
indubbiamente spagnola, con il supporto di Italia e Francia e, di conseguenza, una
domanda sorge spontanea: com’è riuscita la Spagna a plasmare la politica europea nei
confronti del Mediterraneo e soprattutto da dove è partito l’interesse di Madrid per
sviluppare un approccio globale all’area come quello prodotto attraverso il
Partenariato Euromediterraneo (PEM)? L’elaborato si pone quindi l’obiettivo di
rispondere a questo quesito ripercorrendo le tappe della definizione della proposta
spagnola partendo dalla fine della Guerra Civile nel 1939, passando per la transizione
democratica fino all’ingresso nelle Comunità Europee, analizzando gli sviluppi della
stessa e sottolineando i punti più rilevanti. Senza l’analisi del passato non è possibile
capire a fondo le motivazioni che hanno portato Madrid a mettersi alla testa del
rinnovamento della politica mediterranea, insistendo molto sul concetto di globalità e
condivisione delle responsabilità.
Dal punto di vista metodologico, è stato fatto largo uso di fonti secondarie in lingua
spagnola, inglese e, in misura minore, italiana e francese. Sono state altresì utilizzate
fonti primarie, nello specifico trattati, atti dei Consigli Europei, della Commissione,
7
risoluzioni delle Nazioni Unite, Gazzette Ufficiali e quotidiani per affiancare alla
narrazione storica i riferimenti ufficiali.
Il lavoro è stato diviso in tre capitoli che ripercorrono altrettante tappe della politica
mediterranea spagnola. Il primo capitolo descrive l’approccio della dittatura franchista
al mare, partendo dal 1939, ultimo anno di Guerra Civile nonché inizio della Seconda
Guerra Mondiale, e proseguendo in modo cronologico. Il Caudillo, desideroso di
ampliare i possedimenti spagnoli in Africa e di recuperare Gibilterra, sotto dominio
inglese da oltre duecento anni, avrebbe cercato garanzie in cambio dell’ingresso nel
conflitto al fianco delle potenze dell’Asse, che non sarebbe avvenuto a causa della
situazione di estrema arretratezza e distruzione del paese dopo il conflitto interno.
Con l’ingresso degli Stati Uniti ed il successivo turn of the tide, Franco si sarebbe
avvicinato progressivamente a Washington, nella speranza di non rimanere ai margini
del nuovo sistema internazionale. Tuttavia, la Spagna sarebbe rimasta isolata
diplomaticamente fino a metà anni Cinquanta quando, grazie alle relazioni con gli
americani ed i paesi arabi soprattutto, venne integrata nelle Nazioni Unite. In quel
periodo quindi sarebbe stata abbozzata la politica mediterranea, assumendo però il
nome di politica araba, basata su visioni di breve periodo nonché sul mantenimento
dei territori coloniali nel continente africano.
L’avvento al Palazzo di Santa Cruz, sede degli Affari Esteri, di Fernando María
Castiella avrebbe portato una ventata di aria nuova e di speranza poiché, per la prima
volta, vi sarebbe stato il tentativo di plasmare una politica estera coerente, lungimirante
e moderna. Tuttavia, il regime bicefalo di Franco e Luis Carrero Blanco, Capo di
Governo del Caudillo, avrebbe precluso ogni possibilità. Con l’aggravarsi delle
condizioni di salute del Generalísimo, i vertici avrebbero avviato quella che sarebbe
diventata la transizione democratica, guidata dal Re Juan Carlos I e da Adolfo Suárez.
Il secondo capitolo tratta il passaggio dalla dittatura alla monarchia parlamentare.
La prima parte è dedicata ai governi post-franchisti nonché a quelli dell’Unión de
Centro Democrático, che si sarebbero concentrati sullo smantellamento dello Stato
franchista e della costituzione di quello democratico, mettendo momentaneamente a
lato, fino al 1977, la politica estera. La seconda invece si sofferma sul primo governo
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a guida socialista dai tempi della Seconda Repubblica spagnola, guidato da Felipe
González con Fernando Morán agli Esteri. Nonostante la conferma delle linee guida
della politica estera, prima fra tutte il Mediterraneo, il PSOE adottò un approccio
diverso, definito globale e d’insieme, rinnegando quello equilibrista ed opportunista
della dittatura. L’obiettivo sarebbe stato dialogare con tutti i partner della sponda sud
– puntando allo stato forte, ovvero il Marocco – con il fine ultimo di stabilizzare l’area.
Inoltre, il partito di Calle Ferraz avrebbe guidato il paese nel processo di adesione alle
Comunità Europee nel 1986, nonché confermato la sua collocazione atlantica ereditata
dal Governo Calvo Sotelo. Durante questa fase, sarebbero stati dedicati molti sforzi al
recupero per via diplomatica di Gibilterra, senza però giungere all’obiettivo primario.
Tuttavia, sarebbero iniziate una serie di negoziazioni con la Gran Bretagna che
avrebbero generato un clima di cordialità e disponibilità, il cui climax sarebbe stato la
Dichiarazione di Bruxelles del 1984.
Infine, il terzo capitolo analizza la definizione finale della politica mediterranea
spagnola nell’alveo della Comunità/Unione. Dopo una prima fase di rodaggio
all’interno delle istituzioni brussellesi e, in virtù degli avvenimenti internazionali come
la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, la Spagna avrebbe iniziato
ad avanzare le proprie proposte con il fine di riformare la politica mediterranea
comunitaria che si trovava in una fase di blocco oramai dagli anni Settanta. Passando
per l’approvazione della Politica Mediterranea Rinnovata e la proposta (fallita) della
Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione nel Mediterraneo plasmata sul modello
CSCE – e lavorando con i commissari Matutes e Marín – nel 1995 sarebbe stata
convocata la Conferenza di Barcellona, la quale avrebbe generato l’omonimo
Processo, basato su tre pilastri o cesti concernenti politica, sicurezza, economia,
finanza e cooperazione socio-culturale. Tuttavia, fin dall’anno successivo sarebbe
diventato evidente come gli obiettivi definiti fossero troppo ambiziosi da raggiungere
in un arco temporale di dieci anni ed il Processo sarebbe stato mantenuto in vita per
non decretarne il fallimento, conclamato già nel periodo 1997-1999. Proprio nella fase
attuativa del Procés, la Spagna avrebbe vissuto, per la prima volta, l’arrivo al governo
dei popolari di José María Aznar che, dopo aver assunto un atteggiamento di continuità
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durante il primo mandato, si sarebbe discostato nel secondo dalla linea del
predecessore allontanando la Spagna dall’asse franco-tedesco, fondamentale per
qualsiasi sviluppo delle politiche europee e mediterranee. Il ritorno dei socialisti nel
2004 non sarebbe stato sufficiente per recuperare il prestigio e la centralità perduti
dalla Spagna la quale, dopo il fallimento della Conferenza del Decennale nel 2005 e
l’avvio della Politica Europea di Vicinato, si sarebbe allineata alla proposta francese
di Unione Mediterranea, diventata Unione per il Mediterraneo dopo l’intervento della
cancelliera Merkel, di fatto cedendo la leadership nello sviluppo delle iniziative
regionali.
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CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO PRI MO. LA POLITICA MEDITERRANEA DURANTE LA
DITTATURA FRANCHISTA (1939-1975)
“Una política exterior no la formula quien quiere,
sino quien puede”
1
R. Mesa
Il Mediterraneo è sempre stato presente all’interno delle agende politiche delle
donne e degli uomini che hanno regnato in Spagna e quella del dittatore Francisco
Franco Bahamonde non fa eccezione, questo per ragioni geografiche, storiche,
culturali ed economiche. Basti pensare al legame esistente tra le due sponde, nello
specifico quelle occidentali, dominate per secoli dagli arabi (moros) e poi, con la
Reconquista terminata nel 1492, diventate spagnole e conservate gelosamente fino agli
anni ’50 del Novecento e, in maniera ridotta, ancor oggi.
Nonostante la longevità del regime, risulta difficile individuare una vera e propria
politica mediterranea come la s’intende oggigiorno; una politica di strategia, unitaria,
decisa da un responsabile in materia oppure da un Consiglio dei ministri, poiché la
linea della dittatura non è stata coerente nel corso degli anni, è stata condizionata dalla
presenza di divisioni all’interno dei governi franchisti e dalla situazione internazionale.
Per alcuni autori essa è stata una politica improvvisata, per altri invece, come Rosa
Pardo Sanz, non è nemmeno esistita fino all’avvento della democrazia.
2
Di
conseguenza, l’obiettivo di questo primo capitolo è analizzare come la Spagna
franchista sia riuscita, con molte difficoltà causate da fattori interni ed esterni, a gettare
1
R. Mesa, Democracia y política exterior en España, EUDEMA, Madrid, 1988, cit. p. 16.
2
R. Pardo Sanz, The Mediterranean Policy of Franco’s Spain, in “Mediterranean Historical Review”,
2001, 16(2), pp. 45-68.
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le basi per una politica mediterranea che avrebbe iniziato a dare i propri frutti solo una
volta riabbracciata la democrazia, in seguito alla morte del Caudillo e la conseguente
transizione.
Per analizzare la visione spagnola del Mediterraneo durante il Franchismo possono
essere utilizzati diversi approcci metodologici: quello cronologico, quello tematico
oppure quello basato sull’operato dei nove ministri degli esteri che si sono succeduti
dal 1937 al 1975. A causa della grande interconnessione esistente tra i diversi
argomenti e per ragioni di praticità, in questo capitolo verrà adottato il primo. La prima
parte sarà dedicata al periodo tra la Seconda Guerra Mondiale e l’uscita
dall’isolamento, la seconda al ritorno nello scacchiere internazionale e la terza alla
turbolenta fase finale del regime.
1.1 La postura spagnola durante la Seconda Guerra Mondiale
Quando nel settembre del 1939 la Wehrmacht entrò in territorio polacco dando così
inizio al secondo conflitto mondiale, la Spagna di Franco si era appena lasciata alle
spalle la Guerra Civile, terminata con l’ingresso trionfante del Caudillo a Madrid e
l’annuncio della vittoria.
3
Data la vicinanza politica ed ideologica a Berlino e Roma,
era del tutto ragionevole che, nonostante tre lunghi anni di conflitto interno, la Spagna
appoggiasse l’Asse: Franco infatti si era ispirato ad Hitler e Mussolini per instaurare il
proprio regime, aveva portato il proprio paese all’interno del Patto Anti Comintern e
le relazioni con il vicino in Nordafrica, la Francia, non erano delle migliori.
4
Ciononostante, all’interno del governo esistevano posizioni divergenti, frutto di
considerazioni militari oppure politiche. I falangisti, lo zoccolo duro della dittatura,
3
“En el día de hoy, cautivo y desarmado el Ejército Rojo, han alcanzado las tropas nacionales sus
últimos objetivos militares. La guerra ha terminado”. La lettura dell’ultimo bollettino di guerra venne
data tramite la Radio Nacional il 1 aprile 1939. È possibile ascoltare l’audio originale al seguente
indirizzo: http://www.rtve.es/alacarta/audios/80-anos-de-la-guerra-civil/parte-oficial-victoria-del-
ejercito-franco-1-abril-1939/451790/# consultato il 24 luglio.
4
E. M. Sánchez Sánchez, Franco y de Gaulle. Las relaciones hispano-francesas de 1958 a 1969, in
“Studia Histórica. Historia Contemporanea”, 2004, 22, pp. 105-136.
12
erano propensi alla guerra, poiché essa avrebbe permesso di guadagnare nuovi territori
oltre i confini coloniali africani, nello specifico Marocco, Sahara e Guinea. Inoltre,
essi si erano formati proprio in quelle zone ed erano ancora mossi dallo spirito del 17
luglio, data del levantamiento responsabile dello scoppio della guerra civile. I ministri
degli esteri, del commercio e dell’esercito invece, così come lo stesso Franco, erano
più cauti; questo perché erano consapevoli che il paese non disponeva degli strumenti
sufficienti per affrontare un nuovo conflitto, né da junior partner tedesco né se si fosse
concentrato su un’area ridotta, ad esempio il Mediterraneo occidentale. In aggiunta,
era prioritario il riavvio dell’economia interna così come la costruzione delle basi dello
stato franchista, che era ancora vulnerabile e appena uscito dalla roccaforte di Burgos.
5
Per questi motivi, a pochi giorni dall’inizio del conflitto in Europa, Franco emanò
il Decreto di Neutralità, che avrebbe permesso alla Spagna di risollevarsi tramite
approvvigionamenti esteri e commercio ma, soprattutto, di guadagnare tempo. Come
riporta Norman Goda
6
, Franco aveva già comunicato al ministro degli Esteri italiano
Galeazzo Ciano che il proprio paese avrebbe avuto bisogno di circa cinque anni per
risollevarsi, ma la tentazione di prendere parte al conflitto era palpabile per
un’ulteriore motivazione che rispondeva ad un ragionamento geopolitico. Data la
possibilità di un nuovo ordine europeo guidato dalle potenze fasciste amiche era
necessario prendere il treno prima che fosse troppo tardi, onde evitare un isolamento
come era avvenuto alla fine della Prima guerra mondiale e dire addio alle possibilità
di stabilire un impero africano.
7
Il Generalísimo era convinto che presto o tardi la Germania nazista avrebbe esteso
il proprio dominio in Europa, ponendo le basi per un ingresso della Spagna nel
conflitto. Di conseguenza, per i primi mesi egli impostò la propria strategia sullo
sfruttamento dello status di neutralità attraverso una politica di equilibrio che gli
5
J. Gil Pecharromán, La política exterior del franquismo. Entre Hendaya y El Aaiún, Barcelona, Flor
del Viento Ediciones, 2008, pp. 30-31.
6
N. J. W. Goda, Franco’s bid for empire: Spain, Germany and the Western Mediterranean in World
War II, in “Mediterranean Historical Review”, 1998, 13(1-2), p. 172.
7
R. Pardo Sanz, La política exterior del franquismo: aislamiento y alineación internacional, in R.
Moreno e F. Sevillano Calero (a cura di), El franquismo. Visiones y balances, Alicante, Universidad de
Alicante, 2009, pp. 93-118.
13
permise di continuare a relazionarsi con Hitler e Mussolini ma, al tempo stesso,
stringere accordi commerciali con Francia e Gran Bretagna, essenziali per dare respiro
ad un’economia ancora sofferente.
8
Questa situazione continuò fino al giugno del 1940, momento in cui Hitler,
consolidato l’est europeo, si dedicò all’invasione della Francia. Il Caudillo ormai non
poteva più prolungare l’attesa e, una volta dato il proprio appoggio all’Italia fascista
nella sua lotta contro le democrazie plutocratiche, passò dalla neutralità alla non
belligeranza, anticamera dell’ingresso in guerra. Quest’ultimo sarebbe avvenuto una
volta garantite le condizioni richieste da Franco, che non avrebbe sacrificato il proprio
paese per non ottenere nulla. Di conseguenza, il generale Juan Vigón dell’Alto
Comando della Difesa presentò al Fuhrer le aspirazioni spagnole definite
“rivendicazioni storiche”
9
: Gibilterra
10
, il Marocco Francese e la zona di Orano in
Algeria, un ampliamento considerevole del Sahara spagnolo e della Guinea, oltre ad
approvvigionamenti ed armi. Come era prevedibile, la Germania fece cadere nel vuoto
le richieste della Spagna, principalmente per tre ragioni: la prima era la preferenza per
una collaborazione con il neonato regime di Vichy, la seconda era la debolezza delle
forze armate ispaniche, la terza consisteva nella sovrapposizione di interessi in Africa
settentrionale tra le forze dell’Asse.
11
Ancor prima di questo rifiuto da parte tedesca, Franco aveva occupato l’attuale
città marocchina di Tangeri, posta sotto amministrazione internazionale dal 1925, in
virtù del fatto che, essendo la Spagna neutrale nell’aprile del 1940, solo lei poteva
garantirne la sicurezza e l’indipendenza. Grazie all’assenso italiano, la città venne
8
Gil Pecharromán, La política exterior del franquismo, op. cit., pp. 30-32.
9
Ibid. pp. 45-47. Circa un anno dopo, i futuri Ministri degli Esteri Fernando Maria Castiella (1957-
1969) e José Maria de Areilza (1975-1976) pubblicarono “Reivindicaciones de España”, un libro di
oltre seicento pagine nel quale, in maniera estremamente dettagliata, venivano illustrate, come da titolo,
le rivendicazioni territoriali spagnole che coincidevano con le richieste avanzate alla Germania. Gli
autori allegarono anche mappe molto precise, alimentando il mito imperiale spagnolo.
10
Gibilterra veniva reclamata dal 1714, anno della fine della Guerra di Successione Spagnola sancita
dalla firma del Trattato di Utrecht, ancor’oggi oggetto di contrasti tra Spagna e Regno Unito a causa
dell’ambiguità del testo e, di conseguenza, delle diverse interpretazioni date.
11
G. Di Febo e S. Juliá, Il franchismo, Roma, Carocci, 2003, pp. 32-33; R. García Pérez, España y la
Segunda Guerra Mundial, in J. Tusell, J. Avilés, R. Pardo (a cura di), La política exterior de España en
el siglo XX, Madrid, Editorial Biblioteca Nueva, 2000, p. 311.