6
pianificazione economica. In questo caso si è immaginata una linea ideale
capace di congiungere le discussioni avvenute in sede di terza
Sottocommissione, nell’ambito della Commissione dei 75, sulla base della
relazione di Fanfani relativa appunto ai rapporti tra Stato ed economia; il
dibattito in Assemblea sull’emendamento Montagnana teso ad introdurre
esplicitamente la pianificazione in una norma relativa al diritto al lavoro; le
discussioni in Assemblea riguardanti l’articolo 37 del progetto di Costituzione
sull’attività di controllo statale dell’economia, frutto delle proposte di Fanfani
in terza Sottocommissione.
La terza parte, infine, si basa su di una ricerca svolta alla Biblioteca
della Camera dei Deputati sui periodici di cultura politica ed economica
pubblicati durante i lavori della Costituente. Alcuni di questi erano
par tic olarmente vic ini ai par tit i polit ic i o alla Chiesa c attolic a; altr i fac evano
invece riferimento alle più importanti aree politiche, mantenendo però una
certa indipendenza. Vi erano inoltre delle differenze nelle materie trattate, nella
rilevanza attribuita alla attualità o a questioni di carattere più generale,
nell’attenzione dedicata ai temi dell’economia, e nel modo di seguire i lavori
dell’Assemblea Costituente. Si sono volute selezionare le riviste cercando di
rappresentare le tre più importanti aree culturali di riferimento: la cattolico-
democratica, la liberaldemocratica e la socialcomunista. Nella selezione si è
anche cercato di tener conto delle differenze e dei dissidi all’interno di
ciascuna di quelle tre aree, individuando le posizioni più originali e
interessanti. Seguendo anche quest’ultimo criterio, non è sempre stato
possibile prendere in considerazione solo gli articoli usciti durante il 1947,
anno di riferimento per il dibattito in Assemblea Costituente sulla
pianificazione, ma anche alcuni articoli precedenti o di poco successivi.
Vi è da fare una ulteriore osservazione. La pianificazione economica
non è certamente una tematica nuova. Esiste una vasta ed autorevole
letteratura in merito, specie sulla politica economica del dopoguerra e sulla
pianificazione intesa come soluzione indispensabile per la ricostruzione
materiale del paese. Ma in questo lavoro la pianificazione è da intendersi in
maniera affatto diversa. Infatti, nei dibattiti per la scrittura di un nuovo patto
costituzionale, destinato presumibilmente a durare nel tempo, si discute di
principi e norme che avranno poi la possibilità di inc idere durevolmente sulle
strutture di una società. Se questo è vero, discutere di pianificazione
economica in un simile contesto, come era quello dell’Assemblea Costituente
7
nel dopoguerra, significava non considerarla semplicemente uno strumento di
risoluzione di problemi contingenti, gravi ed urgenti, o meglio non poteva
significare soltanto quello. Significava invece discutere del controllo pubblico
dell’economia come principio di fondo, e della pianificazione come mezzo più
adeguato per dare attuazione a quel principio, a prescindere da qualunque
considerazione di carattere congiunturale.
8
PARTE PRIMA
DALL’OTTOBRE DEL 1922 AL 22
DICEMBRE DEL 1947. LE PRINCIPALI
VICENDE POLITICHE ED
ECONOMICHE
Capitolo I
L’ordinamento corporativo e la politica
economica fascista
1.1 Mussolini al potere
In Italia Mussolini riuscì lentamente, ma progressivamente, ad irrigidire
e ingabbiare il sistema economico attraverso la realizzazione delle corporazioni
e di una coerente politica di interventi fiscali, monetari, industriali e finanziari
sulla vita economica del paese, inseguendo il sogno dell’autarchia, poiché solo
in una sfera di piena indipendenza economica dal resto del mondo il regime
avrebbe potuto dare agli italiani la poss ibilità di toc c are con mano c iò che le
altre grandi democrazie occidentali riuscivano solo a promettere, e che
l’Unione Sovietica affermava di aver realizzato, anche se al duro prezzo della
violenza rivoluzionaria: giustizia sociale, fine dei conflitti di classe e sviluppo
della potenza nazionale. Il regime fascista stabilì che il benessere di ogni suo
singolo cittadino passava attraverso la realizzazione di questi obiettivi che solo
uno Stato fortemente interventista avrebbe potuto garantire.
Ma, in realtà, il passaggio al dirigismo e all’ordinamento corporativo fu
piuttosto lento e non sempre del tutto coerente. Il 16 novembre 1922 Benito
Mussolini, incaricato da Vittorio Emanuele III di formare il nuovo governo, si
presentò alla Camera dei deputati per chiedere la fiducia. La ottenne con 306
voti favorevoli, 116 contrari e 7 astenuti. Il 3 dicembre successivo la Camera
approvò un legge che affidava a Mussolini poteri non usuali per un Presidente
del Consiglio. L’esecutivo guidato da Mussolini era costituito solo in parte da
esponenti del Partito Nazionale Fascista, visto che era nato anche grazie al
consenso di popolari, liberali, demoliberali, nazionalisti e demosociali, per cui
ci furono importanti esponenti di queste forze politiche che assunsero
responsabilità di governo, tra cui Cavazzoni e Tangorra in rappresentanza
dell’ala destra del partito cattolico, rispettivamente al Lavoro e al Tesoro, il
giolittiano Teofilo Rossi al ministero per l’Industria e il liberale Gentile
all’Istruzione. Ma al ministero delle Finanze c’era De Stefani, e fu
quest’ultimo ad incidere più di ogni altro sull’orientamento generale della
L’ordinamento corporativo e la politica economica fascista
10
politica economica dei governi a guida Mussolini nella prima metà degli anni
venti, orientamento che fu senz’altro di carattere liberista, basti pensare
all’eliminazione di tutta una ser ie di sovr impos te, vincoli e controlli introdotti
durante la prima guerra mondiale e nella fase immediatamente successiva, alla
privatizzazione del servizio telefonico pubblico, alla eliminazione di alcune
impos te sugli immobili, alla abolizione del monopolio delle assicurazioni sulla
vita nonché della nominatività dei titoli, e a tutta una serie di altre misure
destinate ad incentivare iniziative ed investimenti privati, o comunque a venire
incontro alle istanze dei ceti industriali. D’altra parte, Mussolini godeva da un
lato di condizioni economiche internazionali abbastanza favorevoli che, in
particolare, avevano consentito un forte rilancio delle esportazioni, e dall’altro
dell’appoggio politico di una parte considerevole dell’ambiente industriale e
della grande proprietà terriera, che aveva così ricevuto in contropartita un
numero non indifferente di provvedimenti a favore di rendite e profitti. Le
banche nazionali a capitale misto, ad esempio, attuarono nei confronti delle
grandi imprese del capitalismo italiano una polit ic a c redit izia di es tremo
favore. Inoltre, l’atteggiamento decisamente antisindacale del regime impresse
un forte ridimensionamento alle rivendicazioni salariali, grazie anche alla
collaborazione attiva della Confindustria, la quale non ebbe esitazione alcuna
ad aderire all’accordo siglato a Palazzo Chigi il 21 dicembre 1923 con il
sindacato fascista, un patto destinato a ridurre la conflittualità tra le parti
attraverso la mediazione, attiva e incontestabile, di Mussolini, al quale spettava
l’onere di s tabilire le dirett ive cui poi avrebbero dovuto ispirarsi sindacalisti e
confindustriali nella ricerca delle soluzioni alle questioni di loro pertinenza. Ma
Mussolini controllava le corporazioni sindacali, e poteva così influire sulle
loro rivendicazioni contrattuali, sia normative che remunerative, lasciando
all’associazione dei datori di lavoro la posizione di soggetto forte delle
relazioni industriali. L’effetto sulle retribuzioni fu tutt’altro che irrilevante:
L’ordinamento corporativo e la politica economica fascista
11
Tabella 1
Andamento dei salari industriali
Anni Prezzi al minuto Salari
industriali
1913 100 100
1920 452 424,70
1921 501 557,74
1922 527 539,53
1923 518 503,57
1924 538 505,95
Particolarmente significativo anche lo strumento legislativo utilizzato
per la gran parte della politica interna, il decreto-legge, destinato a diventare
una prassi per l’esecutivo a guida Mussolini. L’esautorazione del Parlamento,
infatti, passò oltre che attraverso la spoliazione delle sue prerogative da parte
del Gran Consiglio del Fascismo, un organo di partito lentamente
tras formatos i in organo is t ituzionale, anche per il tramite di ques ti dec reti, utili
a concentrare sull’esecutivo la titolarità della potestà legislativa.
1.2 L’economia rallenta, la lira s’indebolisce
Le prime avvisaglie di un cambiamento di linea nella politica economica
del governo Mussolini si avvertirono già verso la fine del 1924 quando, con
l’ indebolimento della lira nei confronti della s ter lina e del dollaro, e un più
pericoloso andamento del fenomeno inflazionistico, cominciarono a mutare le
circostanze che avevano reso più semplice la scelta liberale dell’esecutivo in
materia economica e finanziaria
1
. Di fatto, l’autoritarismo fascista ebbe la
fortuna di salire al potere dopo che la fase più negativa del ciclo economico
pos t-bellic o s i era ormai esaur ita da c irc a sei mes i, ed era iniziata una lenta ma
decisa espansione. Mussolini doveva solo evitare di ostacolarla.
Ma tra la seconda metà del ’24 e il 1927 la debolezza della lira,
accompagnata dal ristagno dell’economia ed un più sostenuto rialzo dei prezzi
interni, spinse il governo ad assumere tutta una serie di iniziative volte a
stabilizzare e difendere il valore della moneta nazionale e, al contempo,
rilanciare lo sviluppo economico, ma discostandosi sempre più dalla dottrina
del liberalismo classico, per approdare a nuove e più avanzate formule di
1
GIAMPIERO CAROCCI, Storia d’Italia dall’unità ad oggi, Feltrinelli, Milano, 1989, p. 258.
L’ordinamento corporativo e la politica economica fascista
12
politica economica di natura dirigistica. D’altro canto, è proprio questo il
periodo in cui molti storici individuano la vera e propria svolta dittatoriale di
Mussolini sotto il prof ilo is tituzionale, evidentemente necessar ia alla
programmata modifica delle strutture economiche del paese. Tra i
provvedimenti adottati da Mussolini, nella seconda metà degli anni venti, per
rafforzare la sua posizione sia nei confronti del Parlamento che nei riguardi
della monarchia va senz’altro segnalata la legge del 24 dicembre 1925: con
questa norma vennero meno le basi del sistema parlamentare, poiché la
Camera dei deputati, pur restando libera di esprimere la sua sfiducia nei
confronti del governo, non aveva più la possibilità di revoc ar lo. Ques t’ult ima
facoltà era ormai prerogativa esclusiva del re.
I primi interventi di carattere antinflazionistico vennero presi dal
ministro delle finanze De Stefani, interventi che però gli costarono il posto a
favore di Giuseppe Volpi
2
, che assunse la carica il 10 luglio del ’25. Già il 24
luglio venne reintrodotto il dazio sul grano. Infatti, per il rilancio della
produzione industriale ed agricola si iniziò a realizzare una più solida
protezione doganale dell’economia nazionale attraverso, ad esempio, il
ripristino dei dazi su classici prodotti dell’industria alimentare come lo
zucchero e, appunto, il grano. E proprio il grano fu protagonista di una serie
di diversi interventi pubblici volti ad incentivarne una più abbondante
produzione (“battaglia del grano”), visti gli alti costi determinati
dall’importazione dall’estero, interventi che erano comunque inquadrati in un
più generale obiettivo di rilancio dell’attività agricola, attraverso diverse
iniziative statali di ammodernamento tecnico ed organizzativo, di
finanziamento e di bonifica, che fosse utile al riassorbimento della mano
d’opera in eccesso. I disoccupati venivano convinti ad accettare la vita
agres te s ia per il tramite di una esaltazione mitic a degli aspett i più vir ili e felic i
della vita rurale, s ia attraverso più prosaic i vincoli e c ontrolli alla mobilità della
forza lavoro dalle campagne verso le città. Dunque, l’obiettivo prioritario di
tutti questi provvedimenti divenne ben presto la necessità di combattere una
disoccupazione crescente, figlia sia della fase di ristagno che l’Italia cominciò
a vivere dal 1925, che dalle sempre più gravi difficoltà che emergevano sul
lato dell’emigrazione di mano d’opera verso l’estero, ed in particolare verso
gli Stati Uniti, dove le politiche per l’immigrazione diventavano mano a mano
2
Furono gli ambienti finanziari a lamentarsi duramente dei provvedimenti di De Stefani miranti a proibire le
contrattazioni a termine, troppo importanti per le attività borsistiche.
L’ordinamento corporativo e la politica economica fascista
13
più rigide e rigorose. La battaglia del grano, prescindendo dai suoi risultati
quantitativi, comunque non trascurabili, rappresentò cer tamente uno dei
passaggi fondamentali verso una politica economica di stampo autenticamente
fascista, per il suo spirito di conquista di una indipendenza alimentare che
desse maggiore forza e dignità al paese.
Il 2 ottobre dello stesso anno un nuovo accordo tra le parti sociali,
raggiunto a Palazzo Vidoni, rese obsoleto il patto di Palazzo Chigi,
riconoscendo come unica parte sindacale legittimata a rappresentare i
lavoratori le corporazioni fasciste. A questo proposito il testo è chiarissimo:
“Tutti i rapporti contrattuali fra industriali e maestranze dovranno intercorrere tra le
organizzazioni dipendenti della Confederazione dell’industria e quelle dipendenti della
Confederazione delle Corporazioni”.
A ciò vi è da aggiungere l’instaurazione, su iniziative del Gran Consiglio
del Fascismo, di una particolare giurisdizione del lavoro, ovvero di una
magistratura che si occupasse direttamente delle controversie sindacali, e
l’adesione ufficiale e formale al fascismo delle Confederazioni dell’industria,
dell’agricoltura, del commercio e di altri importanti settori dell’economia
nazionale. Il sistema di istituzionalizzazione delle relazioni industriali fece così
un ulteriore passo in avanti.
1.3 Quota novanta
Nell’agosto del 1926 venne pubblicamente annunciata l’intenzione del
governo di stabilizzare la lira a quota 90 (ovvero, 90 lire per una sterlina); la
retorica di regime parlò di “battaglia della lira”, mentre l’esecutivo adottava
provvedimenti che colpirono i salari reali, fecero aumentare le imposte sui
consumi e consentirono di introdurre nuove ulteriori imposte sui redditi. A
questi e ad altri provvedimenti di carattere restrittivo si aggiunse la
conversione forzosa del debito pubblico a breve e medio termine in titoli di
più lungo termine (novennali). L’obiettivo di rivalutazione della lira venne poi
raggiunto effettivamente nel dicembre del 1927, con il cambio fissato a 92,64
lire per una sterlina, anche se in realtà diversi esponenti dell’industria, degli
ambienti finanziari, e probabilmente lo stesso Volpi, avrebbero preferito,
considerandolo più realistico, un valore di cambio intorno a quota 120.
Cosicché, a pagare maggiormente questo alto livello di rivalutazione furono
L’ordinamento corporativo e la politica economica fascista
14
naturalmente tutte quelle aziende, per lo più di medie e piccole dimensioni,
come quelle tes s ili ed alimentar i, c he legavano le loro for tune alle espor tazioni,
mentre rinforzò l’immagine dell’Italia davanti ai paesi creditori, a cominciare
dagli Stati Uniti, e diede un’importante spinta al consolidamento del regime e
al consenso del suo duce, grazie alla sicurezza che una lira così forte
infondeva ai piccoli risparmiatori e ai titolari di reddito fisso:
“...per Mussolini quota 90 era un fatto di prestigio: un fatto che, lungi dall’essere
vuota declamazione retorica, diventava, nella tecnica politica mussoliniana, uno strumento
fondamentale di affermazione di potenza all’estero e di formazione del consenso
all’interno”
3
.
Ma se la battaglia contro una lira troppo debole nei confronti delle altre
valute e contro un’inflazione dai ritmi sempre più sostenuti poteva dirsi vinta
già alla fine del 1927, questi tre anni di stretta monetaria si rivelarono
controproducenti nei confronti di un’economia reale entrata in crisi già
all’inizio del 1925, e che mostrava i sintomi più pericolosi, come già
anticipato, sul delicato fronte dell’occupazione.
Nel frattempo prese l’avvio un’opera di legiferazione volta a superare
teoricamente e fattualmente il sistema capitalistico di produzione e
distribuzione della ricchezza. Il termine corporazione vide la luc e in I talia per
la prima volta in una legge del 1926, lo stesso anno in cui venne abolito il
diritto di sciopero. Le Corporazioni nacquero come organi nazionali di
collegamento tra i sindacati fascisti dei lavoratori e le omologhe associazioni
dei datori di lavoro per i diversi settori dell’economia nazionale.
Il 21 aprile 1927 nacque invece la Carta del lavoro, trenta articoli divisi
in quattro titoli, per definire il lavoro come un obbligo sociale ed indicare
come obiettivo prioritario lo sviluppo della potenza della nazione. Ma questa
carta non era una legge, nonostante fosse stata pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale; era solo un programma ideologico, dal contenuto piuttosto
generico, approvato dal Gran Consiglio del Fascismo che aveva provveduto a
definirlo come un “documento fondamentale della rivoluzione fascista”. In
effetti, l’attuazione dell’ordinamento corporativo dello Stato passò attraverso
altre due tappe e, soprattutto, la crisi economica internazionale. La prima di
queste tappe fu la legge del 5 febbraio 1934 con la quale vennero finalmente
istituite, con otto anni di ritardo e dopo essere state solo teoricamente
3
Ibidem, p. 260.
L’ordinamento corporativo e la politica economica fascista
15
inquadrate, ventidue corporazioni destinate, nelle intenzioni del duce, a
realizzare in Italia la pace e la giustizia sociale, oltreché, naturalmente,
fac ilitare la c resc ita...
“...della potenza globale della nazione, per i fini della sua espansione nel mondo”
4
.
Le corporazioni, così come vennero istituite dal regime fascista,
trovarono i loro riferimenti teorici nelle idee del giurista Alfredo Rocco. Pur
non mancando un riferimento ideale alle società medievali caratterizzate,
quantomeno nella mistica fascista, dall’assenza di conflittualità sociale grazie
alla regolazione dei rapporti di produzione basata, appunto, sulle corporazioni
tra produttori e salariati, la versione aggiornata delle corporazioni medievali
avrebbe dovuto favorire il superamento delle fratture e dei conflitti di classe
attraverso un dialogo permanente perché istituzionalizzato in organismi
burocratici nazionali, destinati a regolamentare ogni rapporto collettivo di
lavoro.
Ogni corporazione doveva rappresentare un diverso comparto
dell’economia, e per ogni corporazione dovevano essere presenti i
rappresentanti dei lavoratori, naturalmente già organizzati nei sindacati
fascisti, i rappresentanti dei datori di lavoro, ed in questo caso a farla da
padrone furono gli associati della Confederazione fascista degli industriali,
mentre a rappresentare i superiori interessi nazionali vennero chiamati i
membri del par tito nazionale fasc is ta. Naturalmente, le soluzioni per i
problemi determinati dal contrasto, fisiologico in un sistema capitalistico
dinamico, tra le due parti sociali, dovevano trovare la loro principale
ispirazione nella necessità di conferire grandezza e potenza alla nazione.
La seconda tappa fu invece rappresentata dalla trasformazione di ciò
che rimaneva del sistema liberal-parlamentare in Italia in un nuovo
esperimento di ingegneria istituzionale, volto a porre al centro dello Stato le
corporazioni, affinché assurgessero al ruolo di collaboratori del governo
nell’esercizio delle funzioni legislative. Va sottolineato che Mussolini, durante
la seconda metà degli anni venti, e con più precisione a partire dal noto
discorso alla Camera dei deputati del 3 gennaio 1925, aveva già reso lo
Statuto un mero fantasma con una serie neanche troppo coordinata di
provvedimenti legislativi che dallo scioglimento di tutti i partiti
dell’opposizione, attraverso l’istituzione del “capo del governo”, arrivò, nel
4
FEDERICO CHABOD, L’Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi, Torino, 1961, p. 85.
L’ordinamento corporativo e la politica economica fascista
16
1927, alla realizzazione di una nuova legge elettorale basata sul cosiddetto
“plebiscito”, in cui gli elettori erano chiamati ad esprimere semplicemente un
“si” o un “no” ad un listone, accuratamente predisposto dal Gran consiglio
del fascismo, di 400 candidati per altrettanti posti da deputato. Stato fascista
e Stato corporativo marciarono, sostanzialmente, di pari passo:
“Il processo (...) di consolidamento delle strutture monopolistiche nell’industria e
nell’agricoltura e di freno imposto alla dinamica sociale si accompagnò, nel 1925-29,alla
creazione dello Stato fascista, che di quel processo mirò ad essere l’istituzionalizzazione
giuridica”
5
.
Si giunse, quindi, alla legge del 19 gennaio 1939, con la quale venne
eliminata dall’ordinamento statale la Camera dei deputati, per fare posto ad
una più efficiente e remissiva Camera dei Fasci e delle Corporazioni, costituita
dai membri del Gran Cons iglio del fasc ismo e dai membri del Cons iglio
nazionale delle corporazioni. Il Senato sopravvisse e restò di nomina regia.
5
G. CAROCCI, op. cit., p.265.
Capitolo II
L’evoluzione politica ed economica
dall’armistizio al periodo costituente
2.1 All’origine dell’ordinamento provvisorio
L’estate del 1943, con lo sbarco degli Alleati in Sicilia (10 luglio) ed il
primo bombardamento su Roma (19 luglio), non può che rappresentare la
s tagione s imbolo del trac ollo militare della nazione, e degli ef fett i devas tanti
che questo tracollo ebbe sul regime fascista.
Vittorio Emanuele III, nel tentativo di escludere l’istituzione monarchica
dalle più gravi responsabilità della dit tatura fasc is ta, garantendo in tal modo un
certo grado di continuità costituzionale, approfittò dell’ordine del giorno
votato dal Gran Consiglio nella notte fra il 24 e il 25 Luglio, e fece arrestare
Mussolini
6
. Successivamente, con un decreto del 2 agosto, il re decise lo
scioglimento della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. L’elevata rischiosità
di questa operazione doveva essere compensata dal fidato appoggio
dell’eserc ito, sotto la guida s ic ura del maresc iallo Badoglio.
Ed il vecchio maresciallo d’Italia assunse la guida del nuovo esecutivo.
Naturalmente, con il crollo del regime, si disgregò l’intero apparato repressivo
fascista, lasciando così riemergere dalla clandestinità tutte le organizzazioni
polit ic he antifasc is te.
Il gabinetto guidato da Badoglio, costituito da tecnici ed alti funzionari
dello Stato, e che dunque escludeva inizialmente i rappresentanti dei partiti
antifascisti, restò in carica fino al 17 Aprile del 1944. Ma il periodo che va
dalla caduta del regime fino all’otto settembre si rivelò estremamente difficile
da gestire.
Nonostante le prime importanti manifestazioni popolari di entusiasmo
per la fine della dittatura, la priorità assoluta venne data al mantenimento
dell’ordine pubblico. Si verificarono, così, diversi scontri armati tra
6
La destituzione di Mussolini vide come protagonisti mancati i rappresentanti dell’antifascismo. I conservatori
vicini al regime, i veri autori del “ colpo di stato”, furono inizialmente tentati di realizzare un fascismo senza il
duce, secondo i progetti di Dino Grandi, e su questa linea potevano certamente godere del favore del re e del
ministro della real casa Acquarone, suo consigliere civile. Cfr., GIAMPIERO CAROCCI, op. cit., p. 313.
L’evoluzione politica ed economica dall’armistizio al periodo costituente
18
manifestanti e forza pubblica
7
. Venne, di fatto, instaurata una dittatura
militare.
Il 3 settembre il governo firmò segretamente con le forze
angloamericane l’armistizio, che prevedeva una resa incondizionata e
l’attribuzione all’Italia dello status non di paese alleato, ma solo cobelligerante.
L’otto settembre questo armistizio venne annunciato attraverso un discorso
alla radio dello stesso maresciallo Badoglio, dopo che era già stato reso
pubblico dal generale Eisenhower. Ma la situazione era comunque destinata a
precipitare. L’armistizio era stato reso noto troppo presto da parte degli
americ ani, e colse del tutto impreparati i ver tic i dello Stato italiano. Inoltre,
non si era giunti a nessun accordo militare tra italiani e gli alleati per la
protezione della capitale. In questa situazione le truppe tedesche iniziarono ad
oc cupare militarmente l’I talia centro-settentr ionale, avendo già acquisito
posizioni strategiche all’interno del Paese anche prima dell’arresto di
Mussolini, ed essendosi rinforzate durante tutto il mese di agosto. E una di
queste posizioni strategiche era proprio rappresentata dal Lago di Bolsena, da
dove la minaccia tedesca su Roma acquisiva caratteri particolarmente forti e
realis t ic i.
La famiglia reale lasciò immediatamente la capitale (9 settembre) per
raggiungere prima Pescara, poi Brindisi. Roma venne occupata dai nazisti
dopo una breve resistenza da parte delle popolazioni locali, mentre gli alleati
sbarcarono a Salerno, iniziando la marcia verso Napoli. Cominciarono a porsi,
così, le condizioni per la nascita del cosiddetto regno del sud, il cui confine
settentrionale fu rappresentato, fino al maggio dell’anno successivo, dalla
“linea Gustav”. Nel frattempo, i tedeschi avevano già occupato l’Italia
settentrionale, nonché liberato Mussolini dalla prigionia a Campo Imperatore,
sul Gran Sasso (12 settembre). A lui affidarono, successivamente, il controllo
nominale del nord con il governo di Salò
8
.
Il 30 ottobre il re dichiarò guerra alla Germania, ma con un esercito
regolare in ser ia dif f ic oltà, data l’as senza di ordini prec is i oltre quelli des tinati
a far c es sare le os tilità nei c onfronti degli alleati. Frattanto, il 9 settembre, a
Roma, i partiti antifascisti avevano costituito il Comitato di Liberazione
7
Particolarmente grave fu l’esito dello scontro fra esercito e dimostranti a Bari, dove in piazza Roma vennero
uccise 23 persone e 70 rimasero ferite. Cfr., PAUL GINSBORG, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi,
Einaudi, Torino, 1989, p. 9.
8
La Repubblica Sociale Italiana (RSI) fu chiamata anche repubblica di Salò per il nome del suo centro sul lago
di Garda.
L’evoluzione politica ed economica dall’armistizio al periodo costituente
19
Nazionale
9
. Cominciò a svilupparsi, nel nord, la resistenza, ed il suo organo
supremo di rappresentanza divenne il comitato clandestino di Milano, il
Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Ma i rapporti tra i partiti del
CLN e il gabinetto guidato da Badoglio non erano dei migliori. Troppo freschi
erano ancora i ricordi che legavano Vittorio Emanuele III ed il vecchio
maresc iallo al regime fasc is ta, e l’ ingres so nell’esecutivo di uomini polit ic i
antifascisti venne così ulteriormente ritardato, fino alla primavera dell’anno
successivo.
Frattanto la situazione economica stava progressivamente peggiorando,
con una repentina fiammata inflazionistica che colpì il sud più duramente del
nord subito dopo l’armistizio, per poi placarsi solo nella prima metà del 1945.
Certamente, la difficile applicazione del controllo sui prezzi e la
incontrollata emis s ione di moneta militare alleata (am-lire) , resero il mer idione
assai più vulnerabile del nord d’Italia, dove la lira riuscì a difendersi meglio
grazie alla minore diffusione del mercato nero, e al perdurare del meccanismo
del circuito dei capitali, che dirottava parte dei fondi privati verso impieghi
pubblici
10
.
2.2 Il CLN al potere
Il 22 Aprile venne varato dallo stesso Badoglio, a Salerno, il primo
esecutivo con l’apporto determinante delle sei forze che costituivano il
Comitato di Liberazione Nazionale : la Democrazia Cristiana, il Partito
Comunis ta, il Par tito Soc ialis ta, il Par tito Liberale, il Par tito d ‘Azione e la
Democrazia del lavoro. La nascita di questo esecutivo non fu però così
semplic e. Alla fine di gennaio del ’44, infatt i, i par tit i del CLN del
Mezzogiorno si erano riuniti in congresso a Bari, chiedendo l’abdicazione da
parte del re e l’assemblea costituente. Si era, praticamente, instaurata una
sorta di concorrenza tra la monarchia ed il CLN per la conquista della
legittimazione a gestire ciò che restava del paese, e la componente
progressista del CLN si dimostrò particolarmente ansiosa di liberare l’Italia
9
Cominciarono anche ad organizzarsi le formazioni combattenti sottoposte al comando del comitato militare del
CLN.
10
S. RICOSSA, E. TUCCIMEI, La Banca d’Italia e il risanamento post-bellico, in AA.VV, Collana storica
Banca d’Italia-Documenti, Laterza, Roma-Bari,1992.