Capitolo 1
LE IMPRESE SOCIALI
Definizione di impresa sociale, nascita e sviluppo
L’impresa sociale è quel soggetto economico che ha lo scopo di produrre
attività economiche in settori di utilità sociale attraverso la partecipazione attiva
dei lavoratori e dei beneficiari dei servizi offerti. La dimensione reddituale non
costituisce l’obiettivo ma un vincolo da rispettare, congiuntamente allo studio
sul territorio dei bisogni della popolazione beneficiaria di tali attività.
Da uno studio delle varie esperienze di imprenditorialità sociale sviluppatesi in
Europa, è possibile individuare le caratteristiche essenziali di queste
organizzazioni
1
. La loro natura imprenditoriale è dimostrata dal possesso di
quattro requisiti:
a) prevalenza di un’attività di produzione di beni e/o di servizi in forma
continuativa: la distinzione tra le imprese sociali e le altre organizzazioni non
profit si basa, quindi, sulla presenza, nelle prime, di un’attività produttiva
stabile direttamente gestita dall’organizzazione;
b) elevato grado di autonomia: le imprese sociali sono in genere create
volontariamente da un gruppo di agenti che le governano in autonomia, senza
vincoli, diretti o indiretti, di autorità pubbliche o di altre organizzazioni, salvo
quelli contrattuali volontariamente sottoscritti.
c) significativo livello di rischio economico: i promotori delle imprese sociali e i
loro proprietari assumono direttamente anche il rischio d’impresa,
impegnandovi sia proprie risorse finanziarie, sia soprattutto il proprio lavoro, e
il relativo investimento in capitale umano specifico;
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Lavoro realizzato dal Network di Università europee “The Emergence of Social Enterprises in
europe- EMES”. Si veda Borzaga, Defourny (2001).
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d) presenza di un certo ammontare di lavoro retribuito: sotto il profilo delle
risorse umane, le imprese sociali ricorrono sia al lavoro volontario sia a forza
lavoro remunerata, con una tendenza all’aumento della seconda.
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Essa è definita non in relazione al tipo di servizi prodotti, ma in funzione:
a) degli obiettivi dell’organizzazione: le imprese sociali sono impegnate a
realizzare attività che apportino benefici ai lavoratori delle stesse, nonché ai
membri della comunità in cui tali imprese sono inserite, piuttosto che un
profitto ai proprietari. Esse, inoltre, rincorrono una sostenibilità temporale di
lungo periodo delle attività economiche svolte. Mentre le organizzazioni non
profit sono definite in’negativo’ come organizzazioni che non distribuiscono
utili, le imprese sociali sono definite, in positivo, in funzione degli obiettivi
perseguiti. Il vincolo alla distribuzione di utili può anche essere parziale,
ammettendo, come nel caso delle cooperative sociali, che una parte limitata dei
profitti possa essere distribuita ai soci, al fine di remunerare l’apporto di
capitale di rischio o di incentivare l’impegno nello svolgimento dei compiti
assegnati;
b) delle modalità di gestione dell’organizzazione; in particolare, le imprese
sociali sono generalmente caratterizzate da: processi decisionali democratici
volti a favorire una ‘dinamica partecipativa’ dei portatori di interesse, il
coinvolgimento nel governo dell’organizzazione dei diversi stakeholder
(lavoratori remunerati, volontari). Solitamente la modalità di gestione
dell’impresa è di tipo orizzontale, con una divisione dei compiti e delle
responsabilità poco gerarchizzata.
La nascita delle imprese sociali, quindi, è spesso legata all’evoluzione di gruppi
spontanei di volontariato i quali trasformano con il passare degli anni quello
che in un primo momento poteva essere un impegno costante, ma gratuito, in
un’attività professionale necessariamente retribuita. Il rischio è che con il
passare del tempo le persone che lavorano nell’impresa non siano più gli stessi
volontari che l’hanno costituita e, di conseguenza, che i bisogni individuati
inizialmente non siano più sentiti come prioritari. È importante mantenere
come obiettivo primario dell’azione la centralità della persona, strutturando
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Questa classificazione è proposta da C. Borzaga, Sull’impresa Sociale, Working Paper n. 19
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l’impresa intorno alla capacità di individuarne i bisogni e soddisfarne le
richieste.
Successivamente, una volta ovviato ai problemi economici di mantenimento di
una sede, si entra in una seconda fase di vita dell’impresa sociale, in cui si
accresce la professionalità delle competenze imprenditoriali e delle attività,
nonché un’organizzazione articolata delle funzioni all’interno dell’impresa
stessa.
Un ulteriore passaggio nella crescita ed evoluzione dell’impresa sociale avviene
quando incominciano a consolidarsi le conoscenze maturate negli anni con
persone ed Enti al fine di creare una rete di lavoro e sviluppare accordi per
programmi in comune.
Sono affrontati i problemi legati all’organizzazione interna e alla formulazione
di strategie, si cercano i finanziamenti attraverso l’impostazione di nuove
politiche finanziarie. Come anticipato precedentemente, nel susseguirsi da una
fase all’altra di sviluppo dell’impresa, il problema cui si rischia di andare
incontro è la perdita di alcune persone e l’entrata in scena di altre. La continuità
dello sviluppo deve quindi essere assicurata da un nucleo di soci fondatori, i
quali garantiscono l’attuazione degli obiettivi ricercati fin dalla fondazione
dell’impresa, mantenendo intatta l’identità valoriale e culturale originaria.
Durante l’evoluzione di un’organizzazione nasce il problema di controllo della
stessa che solitamente si esercita con il rispetto delle procedure; nelle imprese
sociali, invece, si passa da una dimensione di fiducia implicita, all’introduzione
di meccanismi formali, non necessariamente persecutori. Non si tratta solo di
un controllo gestionale, ma di una riallocazione delle risorse umane in modo
che quest’ultime si sentano maggiormente integrate all’interno dell’impresa.
Stabilita la missione organizzativa dell’impresa sociale l’azione si orienta verso
un procedimento operativo rappresentato da:
- la delimitazione dei confini dell’organizzazione e obiettivi perseguiti;
- la creazione di forze trainanti rappresentate da impegno e motivazione
degli attori sociali;
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- l’assunzione della stessa come termine di riferimento per la valutazione
delle attività svolte;
In generale si può affermare che l’intervento delle imprese sociali si esplica nei
confronti di categorie quali tossicodipendenti, immigrati, emarginati, portatori
di handicap o, semplicemente, persone che si trovano in una condizione
svantaggiata all’interno della società in cui vivono.
La sfida più grande, quindi, è trovare un compromesso tra la spontaneità legata
all’attività sociale e le esigenze burocratiche-organizzative tipiche dell’essere
impresa.
Teorie economiche e loro limiti
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Le teorie economiche che hanno studiato le organizzazioni non profit non
hanno specificato quale tipo di sottoinsieme di organizzazioni costituisce
oggetto della loro analisi, prendendo come riferimento le non profit che si
occupano di beni e servizi.
Al fine di spiegare l’esistenza e il ruolo dell’impresa sociale si possono utilizzare
queste teorie economiche a partire da quattro principali interpretazioni:
a. l’interpretazione più diffusa individua nel vincolo alla distribuzione di utili un
modo per superare i fallimenti del contratto determinati dall’esistenza di
asimmetrie informative tra produttore e consumatori (o donatori), che
impediscono a questi ultimi di valutare e controllare ex-post la qualità del
prodotto concordata ex-ante.
Vincolandosi a non distribuire utili, l’organizzazione segnala al consumatore
che non è interessata a sfruttare ex-post tali asimmetrie, riducendo la qualità del
prodotto al fine di massimizzare il profitto
4
. Le organizzazioni non profit si
sviluppano, quindi, nella produzione di beni o servizi (quali quelli sociali,
sanitari, educativi) dove ciò che impedisce o rende difficile la transazione è la
difficoltà del consumatore a controllare la qualità del prodotto. Esse possono,
tuttavia, essere scelte anche da imprenditori che intendono minimizzare
obiettivi diversi dal profitto, quali il reddito di impresa o la possibilità di godere
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Vedi nota 2
4
Hansmann, 1980
8
di migliori condizioni di lavoro, e che ritengono che ciò sia più facilmente
realizzabile in presenza di relazioni fiduciarie con i consumatori
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;
b. l’interpretazione che individua nelle non profit la risposta alle difficoltà del
governo a soddisfare una domanda di beni pubblici eterogenea
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; l’offerta di
beni pubblici è disposta sulla base della domanda del cittadino medio e lascia,
quindi, insoddisfatti coloro i quali hanno una domanda più elevata o diversa; la
presenza di forti esternalità, la possibilità di free riding e asimmetrie
informative non permettono alle imprese for profit di rispondere
adeguatamente alla domanda di questi beni, dirigendo così i consumatori verso
organizzazioni non profit;
c. l’interpretazione che spiega le non profit come le istituzioni che permettono
ai consumatori di massimizzare il controllo sull’output al fine di superare le
asimmetrie informative tra produttore e consumatore
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; si tratta evidentemente
di un’interpretazione simile a quella proposta da Hansmann e che si
differenzia da questa soprattutto per l’accento posto sul ruolo di controllo
esercitato dai consumatori, invece che sul vincolo alla distribuzione di utili
8
;
I limiti di queste teorie (a, b, c)si manifestano nel fatto che spiegano il non
profit solo dal lato della domanda e considerano esclusivamente i problemi di
agenzia esterni.
d. le tesi che spiegano le non profit come il risultato dell’azione di particolari
tipologie di imprenditori (Young, 1980, 1997; Rose-Ackerman, 1996), di
gruppi, religiosi e non, intenzionati ad allargare la propria influenza
9
, anche
finanziando attraverso il reddito non distribuito attività di proselitismo (Rose-
Ackerman, 1987).
Solo le teorie d) spostano l’attenzione dal lato dell’offerta prendendo in
considerazione i problemi di agenzia interni. Il problema sta nel fatto che
queste ultime considerano rilevante solo l’imprenditore e non valutano il ruolo
che possono svolgere manager e lavoratori.
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Glaester, Shleifer, 1998
6
Weisbrod 1975, 1988
7
Ben-Ner, Van Hoomissen, 1991
8
Krashinsky, 1997
9
James, 1989
9
Hansmann ha così formulato la teoria più nota tra quelle esposte, mettendo al
centro due diritti: quello a vagliare e organizzare i contratti con gli agenti con
cui l’impresa si relaziona e il diritto di trattenere i profitti generati. Poichè
l’organizzazione non profit è vincolata a non distribuire gli utili, essa è
caratterizzata, secondo Hansmann, dall’assenza di proprietari perché sia i costi
di contratto che quelli di proprietà sono così elevati, per almeno una categoria
di stakeholder, da impedire l’assegnazione efficiente dei diritti di proprietà
10
..
Non essendoci la proprietà non vi è alcun vantaggio nel godere di informazioni
private sulla qualità del prodotto da parte del proprietario: ne consegue una
maggiore protezione per i consumatori nei confronti dei cosiddetti fallimenti
del contratto.
L’interpretazione di Hansmann sembra valere solo per le organizzazioni
vincolate a non distribuire utili e la cui gestione è delegata a soggetti terzi,
diversi dai fondatori e dai finanziatori. Quando, tuttavia, ciò non si verifica
(come nella maggior parte delle imprese sociali diffuse in Europa) chi fonda e
gestisce l’impresa continua a mantenere il diritto al controllo residuale
sull’attività e quindi la possibilità di orientare l’attività dell’impresa,
influenzandone nel concreto gli obiettivi e selezionando, di fatto, i
beneficiari(C.Borzaga, 2005).
Tutte le teorie della domanda e gran parte di quelle dell’offerta (James, 1989;
Rose-Akerman, 1987) assumono che anche gli agenti che si impegnano nella
gestione di organizzazioni non profit siano interessati, con possibilità di
comportarsi in modo opportunistico, limitatamente al meccanismo di governo
adottato dall’organizzazione. Solo alcune tra le teorie dell’offerta ipotizzano
agenti mossi anche da interessi non self-interest. Ma quasi mai i lavoratori sono
tra questi.
Nessuna delle teorie considerate riesce, quindi, a proporre un’interpretazione
sufficientemente generale dell’esistenza dell’insieme delle organizzazioni non
profit e soprattutto della pluralità di forme istituzionali con cui queste
organizzazioni si presentano nella realtà. Alcune di loro (soprattutto quelle di
Hansmann e Weisbrod), considerando esclusivamente la domanda di
organizzazioni non profit, non spiegano perché degli agenti razionali e
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Hansmann, 1996
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ottimizzanti scelgano di dar vita ad organizzazioni di questo tipo (Barbetta,
1990).
Anche le altre teorie che si pongono dal lato dell’offerta (sub d) riescono a dare
ragione solo di forme molto particolari di non profit (le non profit religiose, ).
Ciò spiega anche perché le verifiche empiriche delle diverse teorie abbiano
dato risultati coerenti in alcuni casi, ma non in altri.
Un modo per superare la difficoltà a fornire una spiegazione abbastanza
generale del fenomeno potrebbe essere quello di considerare le diverse teorie
come tra loro complementari (come suggeriscono Anheier, Ben-Ner, 1997).
La gestione delle risorse umane
Per un’impresa sociale il patrimonio è costituito dalle persone che vi lavorano,
le quali costituiscono i mezzi di produzione. Un turn over elevato, infatti, non
permetterebbe di procedere con le azioni previste, poiché ogni uscita comporta
l’interruzione di una serie di legami che possono essere ritessuti, ma con una
dimensione relazionale diversa. È per questo motivo che il capitale umano
deve essere reso visibile, ritenendosi necessario non impoverire la ricchezza
intrinseca nelle relazioni tra le persone.
È sbagliato pensare che all’interno delle imprese sociali ci siano solo persone
che, grazie alla loro forte motivazione, offrono il loro tempo
all’organizzazione. Si possono, quindi, identificare due categorie di dipendenti:
1. dipendenti che scelgono in primis l’impresa sociale e lavorano in un servizio
anche come volontari: l’appartenenza è la scelta fondante, sulle quali poggiano
le altre;
2. operatori che si identificano più nei servizi che nell’organizzazione, non si
sentono appartenenti all’impresa sociale e partecipano poco alla vita
organizzativa
È rilevante, quindi, far percepire a questa seconda categoria l’importanza di
riconoscere che si è parte di un tutto, che c’è una cultura sottostante alle azioni
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