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Per realizzare tale mutamento occorre una riqualificazione della spesa per l’ambiente.
Se si riconosce che l’inquinamento causa l’esaurimento di beni ambientali limitati con
conseguenze negative per la produzione e la qualità della vita risulta ovvia l’importanza
di misure di salvaguardia e recupero dell’ambiente. Lo stesso prodotto nazionale lordo
dovrebbe essere calcolato al lordo dei costi economici dei danni ambientali per avere
una reale percezione del benessere economico. Occorre quindi modificare le regole di
misurazione della ricchezza delle nazioni e in questo senso si sta muovendo la Banca
mondiale, la quale sembra avvertire l’esigenza di ridimensionare l’importanza del
tradizionale indicatore del pil a favore di misuratori di fattori quale la tutela
dell’ambiente: il cosiddetto pil verde.
Altro mutamento auspicabile è concepire le politiche ambientali non come un costo ma
come un beneficio. Tale obbiettivo è raggiungibile se si considera che tali politiche
garantiscono la disponibilità di beni immateriali che pur non avendo una quotazione di
mercato contribuiscono comunque all’aumento del benessere nazionale, e proprio in
termini di benessere la produzione di beni ambientali compensa la mancata produzione
di beni di mercato.
Un indagine condotta dall’ISVET nel 1970 arriva alla conclusione secondo la quale dal
confronto tra costi sostenuti per il disinquinamento e benefici potenzialmente derivanti
emerge una giustificazione economica degli interventi a tutela dell’ambiente.
Tenuto conto che occorre risanare l’ambiente e tramandarlo nelle migliori condizioni
possibili ciò sarà più semplice se si dimostra che degrado e risanamento
hanno,rispettivamente, un costo e un beneficio economico.
La politica dell’ ambiente
Una vera e propria politica dell’ambiente da parte dei governi è piuttosto recente, risale
alla fine degli anni 60, quando la crisi ambientale e la nuova consapevolezza sociale
hanno portato a sviluppare in modo coordinato gli sforzi per la difesa ambientale, prima
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affidati a normative e forme d’intervento parziali. A partire dagli anni 70 sono stati
approvati programmi statali e regionali per la difesa dell’ambiente e sono state
organizzate nuove strutture tecnico-amministrative autonome. In questo periodo in Italia
hanno svolto un ruolo significativo le regioni, in particolare nel settore delle aree
protette. Dalla metà degli anni 70 la politica ambientale è diventata di competenza
comunitaria limitando i margini di autonomia statale. Ovunque la politica dell’ambiente
tende ad articolarsi in due settori funzionali, con caratteristiche diverse: la difesa
tecnologica e la difesa ecologica. La difesa tecnologica si propone di rendere minimi i
carichi su singole componenti ambientali, che vengono difese dall’inquinamento,
dall’esaurimento o dalla distruzione connesse con gli usi antropici. Questa concezione
ha portato allo sviluppo di numerose normative e strutture tecnico-amministrative, con
una forte specializzazione territoriale, per la difesa dell’aria e dell’acqua
dall’inquinamento, lo smaltimento dei rifiuti, il risparmio energetico. La difesa
ecologica si propone di rendere minimi i carichi sugli ecosistemi e i complessi di
ecosistemi, ossia i paesaggi; essa ha quindi un carattere trasversale , attenzionando
l’interdipendenza ecologica. Le normative e le strutture sono quelle per la difesa della
natura e in misura minore quelle per la difesa del paesaggio.
Negli anni 80 fallimenti tecnologici come l’incidente di Chernobyl portano il tema della
tutela dell’ambiente all’attenzione generale, il problema dell’ambiente diventa comune a
tutti gli stati.
Sono questi gli anni in cui il generico movimentista verde si precisa: alcuni scelgono la
via della sensibilizzazione, altri quella dell’educazione , altri ancora s’indirizzano verso
l’ambientalismo scientifico.
Gli anni 80 vedono anche la nascita, sebbene non facile, dei Partiti Verdi nei vari paesi
europei. Gli esiti elettorali sono differenti, mai comunque tali da stravolgere il quadro
politico.
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Oggi è possibile affermare che una significativa evoluzione della cultura di governo c’è
stata, si stanno elaborando sistemi di leggi basati su conoscenze più sofisticate, e lo
stesso sistema produttivo sembra più pronto ad affrontare il tema dell’ambiente e si sta
ormai affermando l’idea che l’ambiente è anche un occasione di mercato.
Principi generali della politica ambientale
La politica dell’ambiente ha saputo sviluppare un sistema di principi piuttosto
importanti, tra questi il principio di prevenzione e quello di sussidiarietà. Il primo mira
alla realizzazione di misure idonee a evitare o comunque ridurre i danni ambientali
derivanti dagli interventi dell’economia e della società. Per realizzare questo principio
occorre che le politica ambientale non sia concepita in modo separato, ma integrata
nelle politiche settoriali che provocano il consumo e il degrado delle risorse ambientali.
Il principio di sussidiarietà ha la funzione di garantire che le finalità della politica
dell’ambiente vengano perseguiti al livello territoriale piu’ appropriato assumendo
posizioni concrete il piu’ vicino possibile ai cittadini. La difesa tecnologia
dell’ambiente, avendo implicazioni ecologiche di vasta portata, tende sempre piu’ ad
essere definita a livello internazionale, mentre la difesa ecologica, interessando aree piu’
ristrette, è meglio gestita a livelli territoriali regionali e locali
La politica dell’ambiente in Italia
La prima fase legislativa organica, nel settore della politica ambientale, è
contemporanea alla nascita delle regioni a statuto ordinario, le quali, insieme a quelle a
statuto speciale, si rivelano piu’ dinamiche dello stato occupando spazi lasciati vuoti dai
Ministeri e dal Parlamento. La nostra costituzione è avara di riferimenti alla difesa
dell’ambiente, né avrebbe potuto essere diversamente considerando l’anno di nascita.
Solo l’articolo 9 fa un riferimento alla difesa del paesaggio e l’articolo 117, pur non
facendo nessun riferimento diretto all’ambiente, elenca, nel definire le competenze delle
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Regioni, una serie di materie connesse con l’ambiente, quali agricoltura e foreste,
urbanistica etc.
Solo a partire dalla costituzione del Ministero dell’Ambiente, nel 1986, lo Stato
riprende l’iniziativa
e l’Italia si dota di un dispositivo per gestire l’amministrazione delle questioni legate
all’ambiente.
La centralizzazione dell’impegno ha portato con se importanti conseguenze: l’
instaurazione di una logica di piano, l’adozione di politiche mirate sui problemi , la
crescita dei livelli di spesa per l’ambiente, la ricerca di nuovi strumenti.
Nel 1994 è stata istituita l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, l’ANPA,
con funzioni tecnico-scientifico, di consulenza e supporto del Ministero, d’indirizzo e
coordinamento tecnico delle agenzie regionali. Considerate le carenze generali dello
Stato nella ricerca scientifica, le quali hanno determinato un fabbisogno arretrato
particolarmente forte nelle problematiche ambientali, l’ANPA si trova davanti al
difficile compito di dover promuovere una molteplicità di ricerche settoriali relative alle
singole componenti ambientali e al contempo di tentare un approccio trasversale, al fine
di integrare le elaborazioni tecnico-scientifico settoriali e di conciliarle con le discipline
del diritto, dell’economia e delle altre scienze sociali.
Politica dell’ambiente in Unione Europea
Nel 1972 i capi di stato e di governo riunitisi in un vertice a Parigi riconobbero che il
primo scopo dell’espansione economica è il miglioramento del livello del benessere per
cui occorre prestare particolare attenzione alla protezione dell’ambiente per far sì che il
progresso sia realmente al servizio dell’umanità.
Da allora la CEE ha elaborato sei programmi di azione ambientale che coprono un
periodo che va dal 1973 al 2010.
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Nel primo (1973-76) la politica dell’ambiente veniva intesa come un insieme di azioni
capaci di contribuire a porre l’espansione a servizio dell’uomo e a conciliarla con la
tutela dell’ambiente. Tale obbiettivo si riteneva raggiungibile realizzando tre azioni:
ridurre e prevenire gli inquinamenti, realizzare azioni per migliorare l’ambiente, operare
a livello di organismi internazionali che si occupano di problemi ecologici.
Tale logica viene ripresa nel secondo programma (1977-81). Qui s’insiste sulla
realizzazione di programmi volti ad analizzare le modalità di una procedura detta di
valutazione dell’impatto ambientale. In questo secondo programma s’inizia a delineare
una politica dell’ambiente con caratteristiche di globalità che meglio si accompagnano
alla programmazione economica .
Con il terzo programma (1982-86) le risorse ambientali non vengono individuate solo
come base ma anche come limite di un ulteriore sviluppo economico, per cui l’obiettivo
perseguito è quello di assicurare una buona gestione delle risorse naturali . Si inizia a
creare un quadro di riferimento comunitario al fine di realizzare una politica globale e
preventiva. In questo programma, posto in essere in un momento caratterizzato da una
congiuntura economica sfavorevole, una maggiore attenzione viene rivolta anche ad
azioni capaci di contribuire alla creazione di posti di lavoro stimolando lo sviluppo di
settori industriali di punta nel campo dei prodotti, delle attrezzature meno inquinanti.
Il quarto programma (1987-92) segna una nuova fase nella politica comunitaria: la
protezione dell’ambiente viene considerata parte integrante delle politiche economiche e
sociali. Si consolida l’idea per cui la politica dell’ambiente non è più un quid
facoltativo, ma una condizione imprescindibile per raggiungere più elevati livelli di
benessere.
Il quinto programma segna un ulteriore passo avanti. Il concetto dominante è quello di
sviluppo sostenibile per realizzare il quale occorre:ricerca e sviluppo per una migliore
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conoscenza dei problemi; informazione, educazione e formazione; pianificazione
settoriale; incentivi economico-fiscali; interventi finanziari comunitari e nazionali.
A parte l’azione svolta mediante i vari programmi è da ricordare una relazione dal titolo
“Intervento sull’ambiente con effetti sull’occupazione” approvata dalla sezione
“Ecologia ,salute pubblica e consumo” del Comitato economico e sociale. Nella
relazione viene rilevato come le politiche dell’ambiente hanno sempre avuto un impatto
globale positivo in termini di occupazione sfatando il mito secondo il quale gli
interventi a tutela dell’ambiente ostacolano lo sviluppo economico.
Oggi uno dei sintomi della transizione verso la cosiddetta società post industriale è
costituito dallo spostamento di forza lavoro verso il terziario, un settore che oggi si
connota per lo sviluppo di settori quali la cultura, l’istruzione, la previdenza sociale e
anche la protezione dell’ambiente.
La questione ambientale si pone sempre più come un vincolo anche per la struttura
aziendale, le imprese sono direttamente interessate dai problemi di “ecoefficienza”. Il
termine in questione è stato coniato dal Business Council for Suistainable Development,
esso indica il raggiungimento del massimo valore aggiunto nella produzione ottenuto a
fronte di un minimo impiego di risorse e con il minimo inquinamento possibile. Il
raggiungimento di un tale obiettivo richiede una gestione aziendale che consideri gli
aspetti innovativi riguardanti il controllo ambientale, l’igiene e la salute; tutto ciò a sua
volta presuppone la necessità di avere un management innovativo.