2
La specializzazione della disciplina penale minorile attiene
in particolare al trattamento sanzionatorio riservato al minore,
trattamento differenziato in ragione delle peculiarità che
caratterizzano un soggetto la cui personalità è ancora in
formazione
1
.
La messa alla prova può essere considerata uno tra i più
innovativi ed interessanti istituti forgiati dal Legislatore del 1988
per fronteggiare la questione minorile, nel continuo bisogno di
soddisfare l'esigenza di punire un soggetto che ha commesso un
reato, con quella di risocializzare, rieducare e restituire al mondo
una personalità non più deviata.
Inizialmente, l'introduzione della misura nel nostro
Ordinamento non si è caratterizzata per particolari entusiasmi,
anzi, le difficoltà, resistenze e diffidenze furono numerose, tanto
che il C.S.M. avanzò dubbi di costituzionalità, considerando l' art.
28 addirittura un istituto "potenzialmente devastante" .
L'indicatore concreto delle diffidenze e resistenze è il fatto
che la messa alla prova non è mai veramente "decollata" per
lunghi anni.
Per tutta la prima metà degli anni '90 il trend applicativo
nazionale è rimasto stabilmente caratterizzato da notevole cautela.
1
G. PANEBIANCO, Il minore reo, Milano, pp. 97-98,
3
Finalmente, all'inizio degli anni 2000 i casi risultano, in
valori assoluti, più che raddoppiati rispetto al 1996
2
.
È a causa della forte specializzazione del diritto minorile e
dell'importante ruolo che l'assistente sociale svolge in questo
settore, in particolare nell'ambito della messa alla prova, che ho
deciso di dedicare il presente lavoro al tema del sistema penale
minorile, approfondendo in special modo uno dei suoi istituti più
significativi: la messa alla prova.
I primi due capitoli della mia tesi sono di carattere teorico:
nel primo delineo un quadro dell' attuale sistema penale minorile,
a partire dalle sue radici storiche; nel secondo illustro il
contenuto, le origini, il significato e i presupposti applicativi
della sospensione del processo con messa alla prova dell'
imputato minorenne.
Il terzo capitolo è dedicato al ruolo che la figura
professionale dell'Assistente Sociale ricopre nel processo
minorile, con particolare riguardo alla messa alla prova: un ruolo
che non è meramente eventuale, ma (è bene ricordarlo!) è
necessario ed espressamente previsto dalle leggi in materia.
Nella seconda parte del mio lavoro propongo le statistiche
del Ministero della Giustizia, pubblicate sul sito Internet del
Ministero stesso, relative all'applicazione dell'Istituto fra il 1992
e il 2005.
2
A. MESTITZ, Messa alla proav: tra innovazione e routine, Roma, 2007, pp. 73 e ss.
4
Ho deciso di inserire tali dati nella mia ricerca affinché i
principi teorici, enunciati nella prima parte, potessero avere un
riscontro empirico, anche con il fine di valutare se, e in che
misura, gli obiettivi del Legislatore siano stati effettivamente
raggiunti, a distanza ormai di quasi due decenni dall'esordio del
D.P.R. 448/88.
5
PARTE PRIMA
LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO E MESSA
ALLA PROVA NEL QUADRO DEL DPR 448/88
6
CAPITOLO PRIMO
IL SISTEMA PENALE MINORILE
1.1 Cenni storici e riferimenti legislativi.
Il Codice Penale napoleonico e quello sardo del 1859
consideravano imputabili rispettivamente i sedicenni e i
quattordicenni, i codici parmense ed estense giudicavano non
imputabili i minori degli anni 10 e il Codice Zanardelli, il primo
codice dell’Italia unita, i minori degli anni 9, mentre poi
stabilivano altre fasce superiori d’età entro le quali richiedevano
la prova del discernimento e prevedevano una diminuzione di
pena
3
.
Il Codice Zanardelli del 1889 prevedeva che fosse tenuta
presente, in caso di giudizio, la personalità del piccolo imputato.
Mancava però una magistratura “ad hoc”: i ragazzi venivano
giudicati dagli ordinari organi.
La circolare del Guardasigilli Orlando del 1908 introduce la
previsione di speciali indagini volte ad individuare le cause della
condotta antisociale e a predisporre i provvedimenti più idonei.
Obiettivi delle indagini erano: valutare la responsabilità del
3
F. MANTOVANI, Diritto Penale, Padova, 2001, p. 699.
7
minore per la commisurazione della pena; ricorrere ad eventuali
provvedimenti nei confronti dei genitori, se inosservanti dei
propri doveri; mettere in atto misure preventive anche di
allontanamento dall’ambiente di vita.
Il Codice Penale del 1889 e la Circolare Orlando esprimono
un’idea retributiva di giustizia nella prospettiva della
correggibilità: il concetto di discernimento sta ad indicare gli
spazi entro cui l’imputato minore può essere oggetto di giudizio e
di pena, mentre quello di traviamento unifica le categorie a
rilevanza giuridica e quelle riferibili ala sfera etica.
L’isolamento, la cura, la correzione, rappresentano i termini
dell’intervento e ispirano l’atteggiamento del giudice, che viene a
configurarsi come figura autorevole che esprime e tutela le
esigenze di difesa sociale e l’obiettivo del recupero dei piccoli ma
pericolosi disturbatori dell’ordine
4
.
E’ durante il periodo fascista che tale orientamento viene
sancito con una legge unitaria della materia minorile: il Regio
Decreto n° 140/34 (convertito nella legge n° 885/35).
Tale decreto istituisce i Tribunali per i Minorenni, un
organo giudiziario specializzato per gli affari penali, civili e
amministrativi riguardanti i minorenni e contemporaneamente
stabilisce speciali stabilimenti per l’esecuzione della pena, della
misura di sicurezza ma soprattutto per l’esame scientifico e lo
4
G. DE LEO, P. PATRIZI, Trattare con Adolescenti Devianti, Roma, 1999, pp. 43-44.
8
studio del minore, sia dal punto di vista fisico che psichico.
Per il riadattamento e la rieducazione del minore deviato, il
Regio Decreto prevede la presenza di un giudice laico esperto,
accanto a quelli togati.
La modifica della fascia di minori imputabili, con
l’innalzamento dei limiti di età minimi (dai 9 ai 14 anni) e
massimi (dai 14 ai 18 anni), la sostituzione della categoria di
discernimento con quella capacità di intendere e di volere stabilite
dal Codice Rocco del 1930, l’istituzione del Tribunale per i
Minorenni e la previsione di nuovi istituti per l’applicazione delle
misure penali e amministrative, nel 1934, rappresentano le tappe
di una nuova fase della giustizia minorile e una prima, ma
cauta,integrazione della competenza medica con quella delle
scienze psicosociali
5
.
Nei decenni successivi si afferma la tendenza a guardare
oltre il reato, considerandolo come espressione sintomatica di un
disagio interpersonale e familiare e anticipandolo come
possibilità, attraverso le prime irregolarità comportamentali, cioè
intervenendo quando è ancora possibile prevenire la commissione
di un reato da parte di un giovane cosiddetto “problematico”.
Sono espressione di questa tendenza le leggi 25 luglio 1956
n° 888, 27 dicembre 1956 n° 1441 e 16 luglio 1962, n° 1085. La
prima, quella di più ampia portata riformatrice, sostituisce, in
5
G.DE LEO, P. PATRIZI, op. cit., pp. 45-46
9
materia amministrativa, il concetto di traviamento con quello di
irregolarità per condotta o per carattere e introduce nuovi istituti,
meno “contenitivi” sul piano fisico; ancora, sancisce la pratica
dell’intervento specialistico creando strutture di coordinamento
degli psicologi e psichiatri operanti nel settore con una funzione
diagnostica. La legge 1441/1956 introduce la competenza
psicologica tra quelle previste per i giudici esperti, nonché un
secondo giudice laico di sesso femminile; la legge 1085/1962
disciplina l’ordinamento degli uffici di servizio sociale e
l’istituzione dei ruoli, rendendo possibile l’affidamento al
servizio sociale previsto dalla legge 888/1956
6
.
Sul finire degli anni ’70, si fa strada la necessità di operare
distinzioni più chiare fra gli interventi rivolti agli autori di reato e
quelli attuati per irregolarità della condotta o del carattere.
Questa esigenza verrà accolta dal D. P.R. 24 luglio 1977, n°
616, che trasferisce la gestione dei casi amministrativi agli enti
locali, chiude le case di rieducazione e, in senso più ampio,
accoglie la tendenza, che già si stava profilando, a ricorrere
all’istituzione per i soli casi a rilevanza penale.
Si tratta di una prima importante chiarificazione normativa
tesa a distinguere il sistema penale da quello degli interventi
educativo-assistenziali
7
.
6
G. DE LEO, P.PATRIZI, op. cit., p. 48.
7
G. DE LEO, P.PATRIZI, op. cit., p. 51
10
La nuova normativa processuale per i minorenni, in cui
confluiscono, si puntualizzano e si arricchiscono le precedenti
riforme entra in vigore nel 1989 (D.P.R. 448/88).
Essa si costruisce recependo le indicazioni provenienti da
fonti internazionali, in particolare dalle Regole minime per
l’amministrazione della giustizia minorile, approvate al VII
Congresso delle Nazioni Unite, tenutosi a Pechino nel 1985
8
.
I più rilevanti principi affermati dal D.P.R. 448/88 sono:
1) tutela del minore attraverso
- la specializzazione e formazione professionale di tutti coloro che,
a vario titolo, si occupano del minore;
- l’assistenza affettiva e psicologica del minore con la presenza
delle figure di riferimento (in primis la famiglia) e dei servizi
minorili.
2) Particolare attenzione al contatto dell’imputato con l’apparato di
giustizia:
- privilegiando misure extragiudiziarie;
- ricorrendo in modo residuale all’istituzionalizzazione;
- garantendo rapidità nello svolgimento del processo.
3) Garantire una gestione coerente di tutti i principi enunciati anche
nei casi di ricorso all’Istituzione attraverso:
- l’assistenza:
- l’educazione;
8
G. DE LEO, P.PATRIZI, op. cit., p. 57