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Introduzione
Il presente elaborato di tesi ha come oggetto di studio l’istituto della
probation che oltre a rappresentare una significativa novità nel campo
del diritto processuale minorile, è stato di recente trasposto nell’ambito
del rito per imputati maggiorenni, con i dovuti adeguamenti. Dopo una
breve panoramica sui principi di natura costituzionale e processuale
che si pongono come sfondo allo svolgimento del procedimento penale
ordinario e ne vanno a scadenzare le varie fasi, il presente lavoro si
sofferma sui caratteri essenziali dei protagonisti della celebrazione del
rito, ciascuno dei quali ha un ruolo prestabilito e specifiche funzioni in
virtù del principio della separazione delle fasi processuali. Si conclude
con l’esporre i tratti salienti relativi ai riti speciali, quale valida
alternativa allo svolgimento ordinario del procedimento, istiutiti al fine
di deflazionare il carico giudiziario presente nei tribunali.
Tema centrale dell’elaborato è l’istituto della probation, di origine
anglosassone, introdotto in Italia dall’art.28 del D.P.R. 22 settembre
1988 n.448. che ha completamente ridisegnato l’assetto della giustizia
penale criminale minorile. Si colloca in un contesto in cui si assiste ad
una marginalizzazione del carcere e all’adozione di provvediementi
alternativi. Consiste nella sospensione del processo da parte del giudice
minorile con messa alla prova dell’imputato minorenne per la durata
massima di tre anni. Partendo da un’indagine sulle origini e sulla ratio
di tale istituto, se ne configurano i presupposti e le modalità applicative,
fino ad analizzare l’importante ruolo svolto in tale ambito dai Servizi
Sociali, sia a livello ministeriale che territoriale. Filo conduttore della
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disamina è la figura del minore deviato, i propri diritti e doveri di
reinserimento sociale. L’attenzione è rivolta alla personalità del minore
più che al fatto-reato in sé, atteso che la stessa sarà valutata non come
si presentava al momento della commissione del delitto, e neanche
come si presenta attualmente al momento del processo, ma in
prospettiva, ovvero come potrà evolvere in seguito al compimento di
uno specifico progetto. Il minore viene sottoposto ad un percorso
rieducativo, tale da essere invogliato a ricollocarsi nella rete dei
rapporti relazionali e sociali al fine di evitare una eventuale ricaduta,
mirato altresì al rafforzamento della personalità e della propria
autostima sia attraverso il superamento positivo di singoli aspetti del
progetto come scuola, lavoro, volontariato sia con riguardo alla
responsabilizzazione e alla riparazione rispetto al fatto di reato
compiuto. Il modello di intervento a cui sono chiamati a rispondere i
Servizi Sociali e il Tribunale per i minorenni prevede, quindi, un
percorso più educativo che punitivo, individualizzato e modificabile in
itinere che, considerando i mutevoli bisogni, coinvolge in un intervento
integrato le risorse statali e territoriali. .
In conclusione si analizzano le principali caratteristiche della probation
per adulti, istituto introdotto nel nostro ordinamento con Legge n.67
del 2014 intitolata “Deleghe al Governo in materia di pene detentive
non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in
materia di sospensione del procedimento con messa alla prova nei
confronti degli irreperibili” che ha provocato la trasposizione della
discplina inerente alla messa alla prova nell’ambito del procedimento
per maggiorenni, ponendo in luce gli elementi principali dell’istituto
per poi sviluppare un confronto fra le due misure. La messa alla
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prova costituisce istituto di diritto sostanziale, inserito radicalmente nel
contesto del procedimento di cognizione penale, quale strumento per
evitare – una tantum (concedibile, infatti, una volta sola, in base al
comma 4 dell’art. 168 bis) – la celebrazione di un giudizio che possa
portare ineluttabilmente alla condanna dell’imputato. Nel rito per
adulti, emerge l’importanza attribuita all’Ufficio di Esecuzione penale
Esterna in quanto figura in grado di realizzare l’obiettivo proprio
dell’isituto in esame, ovvero l’inclusione sociale del reo. La principale
funzione della probation è difatti quella di offrire programmi di
trattamento individualizzati che possano facilitare il recupero del
condannato, evitando il danno derivante dalla detenzione. La pena non
è più vista come strumento unico e rigido di prevenzione, quanto come
extrema ratio, cioè irrinunciabile solo nei casi di reato nei confronti dei
quali lo Stato non è in grado di applicare strumenti sanzionatori
dissuasivi alternativi. La declaratoria di estinzione del reato può essere
conseguita attraverso l’esecuzione di un programma di trattamento che
ha nel lavoro di pubblica utilità l’unica prescrizione in grado di
assicurare (ed esaurire)le finalità riparative. In forza di questo principio
innovativo, la “sospensione del processo con la messa alla prova” ha
fatto ingresso nel nostro ordinamento, realizzando finalmente un passo
importante in una prospettiva di reale decarcerizzazione. Novità della
messa alla prova è quella di riferirsi alla fase antecedente la sentenza;
trattandosi di probation processuale. L’impianto normativo della legge
n. 67/2014 si concilia non solo con i principi di proporzionalità e
legalità della pena, ma anche di rieducazione ed umanizzazione della
stessa, in linea con quanto stabilito dall’art. 27 della Costituzione. Le
finalità perseguite dal legislatore consistono nell’offerta di un percorso
di reinserimento alternativo ai soggetti processati per reati di minore
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allarme sociale, accompagnata dalla funzione deflattiva dei
procedimenti penali, attuata attraverso l’estinzione del reato dichiarata
dal giudice nell’ipotesi di esito positivo della prova.
Vengono dunque analizzate le differenze più rilevanti rispetto
all’istituto operante nel rito minorile. Oltre ad una prospettiva di fondo
radicalmente diversa risultano difatti ben differenti qualitativamente e
quantitativamente sia la progettualità globale, quanto la tipologia delle
prestazioni, improntate al ravvedimento. L’impostazione che connota il
giudizio minorile, lo differenzia profondamente dal processo penale
ordinario impedendo in tal senso una integrale trasposizione della
disciplina. L’istituto della probation si svolgerà secondo dinamiche
differenti atteso che differente è il punto di partenza: si parla di una
personalità già formata, dato il parametro dell’età più elevato.
Differente è anche l’essenza della valutazione del giudice, in quanto
l’importanza che si attribuisce alla personalità del minore viene
sfumando nel rito per maggiorenni, dove al contrario assumono
maggiore rilevanza ai fini della prognosi le condizioni di vita personale,
familiare e sociale, nonché il suo ambiente di vita. Il consenso
dell’imputato maggiorenne, inoltre, assume un’iportanza fondamentale
nell’ambito applicativo della probation in quanto la richiesta potrà
essere avanzata solo dall’imputato, nonché sarà decisiva la sua
approvazione nell’ipotesi di amissione da parte del giudice di prove o
modifiche del contenuto del programma elaborato.
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Capitolo I: Analisi dei Principi di natura
Costituzionale e processuale sottesi allo
svolgimento del procedimento penale.
1. Sistema accusatorio e principio dialettico
Il giudizio penale quale indagine volta ad accertare l’effettiva
commissione di un reato e ad identificare il responsabile dello
stesso, ha efficacia giuridica solo se condotto sulla base di leggi
di natura costituzionale e processuale prestabilite. Il parametro di
riferimento di cui si chiede l’osservanza è dato dal bilanciamento
di due interessi contrapposti: quello dello Stato a reprimere i fatti
previsti dalla legge come reato e quello del singolo a non vedersi
condannare per un fatto di reato di cui non sia il responsabile o
ancora vedersi comminare una condanna di più grave entità
rispetto al reato compiuto.
“La struttura del processo deve essere tale da ridurre al minimo
possibile prima di tutto il rischio dell’errore e, in secondo luogo,
la sofferenza ingiusta che ne deriva”
1
E’ il “principio
dell’obbligatorietà dell’azione penale” a rappresentare l’incipit
per l’instaurazione di un procedimento, principio sancito
1
Cfr. F. Carnelutti, Principi del processo penale, Napoli 1960, p. 56
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all’art.112 Cost.
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“L’obbligatorietà dell’azione penale, che
comprime gli spazi di discrezionalità dell’accusa e introduce
forme di controllo giudiziali sul suo operato”
3
Il pubblico ministero, in quanto organo appartenente alla
magistratura requirente, riveste la qualifica di parte processuale:
sostiene l’accusa in giudizio sulla base del materiale probatorio
raccolto durante la fase delle indagini preliminari e contribuisce
con le proprie argomentazioni alla formazione della prova
durante il contraddittorio, cuore del processo penale.
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Principio di obbligatorietà che impone al P.M. di valutare la
fondatezza di ciascuna notizia di reato e compiere le indagini
necessarie. Azione che non necessariamente sfocerà
nell’instaurazione di un processo, in quanto in seguito alle
indagini, laddove l’organo pubblico ritenga che il materiale
probatorio non sia sufficiente a sostenere l’accusa in giudizio,
rivolgerà al giudice una richiesta di archiviazione,
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sulla quale ,
come verrà meglio specificato successivamente con riguardo alla
trattazione del principio della separazione dei poteri, dovrà
comunque pronunciarsi il giudice per le indagini preliminari.
Lo Stato in quanto titolare di un potere sovrano di matrice
costituzionale, ha il dovere di intervenire laddove si verifichi
un’ ipotesi di commissione di reato. Dovrà, per tale ragione,
attivarsi la macchina giudiziaria nel rispetto delle regole
predisposte dal Legislatore e dal Costituente, al fine di accertare
2
Cfr. art.112 Cost.: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”
3
Cfr. F.Cordero, Procedura penale, cit.p.948
4
Cfr. M.Chiavario, Diritto processuale penale. Profilo istituzionale, Utet, Torino 2005,
p.82
5
Ibidem.
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l’identità del reo. Concetto ribadito dal Sabatini: “L’azione
penale, nella sua essenza di funzione, cioè di attribuzione di
poteri per l’attuazione dell’interesse generale dello Stato alla
giurisdizionalità del rapporto penale, è costituita da un
complesso di attività ordinate al fine dell’esercizio della
giurisdizione”
6
.
Esercizio dell’azione penale da considerare sotto ulteriore
aspetto, ovvero quale momento decisivo per la mutazione di
qualifica della persona accusata, che da semplice indagato in
quanto nome iscritto nel registro notizie di reato, acquisterà
dunque quella di imputato.
L’azione penale deve, dunque, essere qualificata in termini di
inquisizione. ”L’inquisizione è un’esigenza etica e logica, prima
che processuale.”
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Ritiene autorevole dottrina: “non si può
creare né mutare il giudice, che ha la potestà di punire, se non
per opera della legge, poiché la giurisdizione punitrice deriva
dalla legge e non dall’arbitrio dell’uomo”
8
. Dunque, lo
svolgimento di un procedimento penale si pone con una funzione
garantista per il reo, in quanto potrà espletare le proprie ragioni
al fine di discolparsi dalle accuse mosse a suo carico, in virtù del
disposto costituzionale che riconosce in capo all’ accusato la
titolarità del ‘diritto di difesa’
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. Il diritto alla difesa inteso nelle
sue implicazioni logiche di diritto all’informazione dell’accusa
che contro lui viene mossa, diritto a difendersi dalle prove a
6
Cfr. G.Sabatini, Principii costituzionali del processo penale, Napoli, Jovene, 1976,
pp.31-32
7
Ivi., p.34.
8
Cfr .C.Taormina, L’essenzialità del procedimento penale, Napoli, Jovene, 1974, p.20
9
Cfr. art. 24,2 Cost.: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”