2
faccia da supporto all’intera trattazione che, partendo dal modello caro a tale tipologia di
istituti, vuole indagare, iniziando dall’esperito, in particolare per il caso della
Sovrintendenza di Pompei, le opportunità di sviluppo per i musei nel sentiero del not for
profit.
Traendo ulteriore spunto dalle osservazioni di Valerio Melandri
6
perveniamo ad una
chiara distinzione tra comparto non profit statunitense ed il caso italiano. Tale settore,
infatti, ha trovato un enorme sviluppo in USA a causa in primo di luogo di ragioni di ordine
storico: negli Stati Uniti la società civile ha sempre ‘anticipato’ lo Stato ed anche
successivamente al rafforzamento del potere statale il cittadino è sempre intervenuto in
prima persona nel finanziamento e nella gestione della ‘cosa pubblica’. Oltre a tale ragione
si evidenzia una forte consapevolezza riguardo ai fallimenti di mercato e alla forte
necessità di “ammortizzatori sociali”: è tale il ruolo del non profit, in una società, quale
quella statunitense, in cui non sempre il cittadino è garantito dall’azione del governo (un
esempio classico è quello della sanità); ruolo che sarebbe in ogni caso trasferibile a
qualsiasi tipo di governo, la cui lentezza nelle azioni spesso va a scontrarsi con le urgenze
delle comunità. Si uniscono a tale ordine di ragioni una serie di motivazioni che potrebbe
trovare un’immediata rappresentazione allo stesso modo nella società italiana: ci riferiamo
all’iniziativa individuale come risposta al bisogno di manifestare sentimenti di solidarietà,
all’esigenza di promuovere il valore della libertà e del pluralismo; tutte motivazioni,
dunque, che trovano una ragione d’esistenza nella profonda modifica della società che ha
creato quel “vuoto di offerta”, di cui parla Borgonovi
7
nelle sue puntuali definizioni del non
profit, per quelle aree di bisogni “deboli” rispetto alle quali né il sistema pubblico né il
settore privato trovano una risposta adeguata. Siamo al punto della questione: la
differenza fondamentale dell’applicazione del principio di sussidiarietà negli USA, rispetto
al caso italiano, trova luogo essenzialmente nella sua operatività al fianco del settore
pubblico. Negli Stati Uniti l’azione governativa perfeziona ciò che le ANP già fanno e
mettono in pratica per risolvere quel vuoto di offerta. In Italia, pur con le stesse basi, tale
cooperazione non è avvenuta, anzi molto spesso l’apparato statale si è sostituito a tali
organizzazioni, non premiandone l’iniziativa. Sintetica e brillante l’osservazione di
Vittadini
8
: “Oltreoceano questo è il non profit, in Italia potrebbe esserlo, ma solo a certe
condizioni”. Quali siano condizioni è chiaro: partendo da una definizione esaustiva del non
profit per il caso italiano, recepire il modello per farne proprie le applicazioni.
6
in G. Vittadini, op. cit.
7
E. Borgonovi, Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Egea, Milano, 2000.
8
in G. Vittadini, op. cit.
3
I musei italiani: not for profit organization o semplicemente non organization?
“Il dato essenziale che emerge dalla nostra ricerca è la non esistenza dei musei in
quanto entità compiute. Più che di organizzazioni non profit, si tratta di non organizzazioni,
entità parziali, inserite in realtà di livello superiore (Comuni, Soprintendenze, Ministero)
entro le quali non sono comunque enucleate compiutamente”. Queste le parole di Luca
Zan
9
in uno dei suoi scritti dal titolo “Assetto istituzionale, strutture di governance e
processi di managerializzazione”.
E’ proprio l’assetto istituzionale qui chiamato in causa per spiegare le ragioni alla
base dell’incompiutezza dei musei, quali organizzazioni NP. Le istituzioni museali, infatti, a
detta di Luca Zan, sono incomplete per quanto concerne gli aspetti di fondo di gestione di
un’organizzazione: sia dal punto di vista delle risorse umane e dell’assetto organizzativo
sia nell’ottica delle risorse economico-finanziarie e della loro rappresentazione contabile. I
singoli musei, dunque, si trovano nella situazione in cui non hanno o non gestiscono
entrate proprie, spesso non sono a conoscenza delle logiche di formazione di alcuni costi
diretti (ad esempio, il personale), inoltre sovente non hanno un rendiconto né un bilancio
autonomo: il problema radicale, dunque, rimane quello dell’accountability, inserito nel più
vasto tema della corporate governance e dello sviluppo di un livello sostanziale di
autonomia, in cui si possano applicare delle logiche di responsabilizzazione e
managerializzazione corrette, al fine anche di migliorare la performance di tali istituzioni. Si
può dunque affermare che ciò che ostacola una gestione più efficiente dell’attività museale
è l’utilizzo di un numero limitato di leve decisionali e l’impiego di un insieme di capacità
ridotto, non solo sul piano organizzativo, ma anche su quello dell’attività caratteristica.
Presa dunque conoscenza del punto focale della quaestio facciamo qualche passo
a ritroso, indagando i meccanismi alla base delle problematiche studiate. Ci chiederemo,
innanzitutto, cosa si intende con assetto istituzionale di un museo e con la sua corporate
governance, la cui definizione va inevitabilmente a toccare i temi dell’accountability e della
performance, per passare successivamente ad analizzare le tematiche inerenti
l’autonomia dei musei e ad individuare una qualche possibile soluzione al problema
prospettato, le istituzioni museali come ANP incomplete (non organization).
E’ chiaro come i problemi dei musei italiani risiedano nelle tematiche inerenti
l’assetto istituzionale di tali enti. Ma come si può parlare di assetto istituzionale dei musei
9
In Conservazione e innovazione nei musei italiani, Etas, Milano, 1999.
4
senza che si tratti della loro economicità? Se, infatti, l’assetto istituzionale è dato dalle
strutture e dai meccanismi di correlazione tra soggetti, contributi, ricompense e prerogative
di governo facenti capo al soggetto economico
10
, non si può parlare di esso senza porre
attenzione alla necessità, come sostiene lo stesso Airoldi
11
, che tali strutture e processi
governati si ispirino al principio di economicità e del contemperamento degli interessi.
Fondamentale a tal punto sottolineare che, benché in questa particolare forma di ANP sia
assente il fine di lucro
12
ciò non vuol dire che in essa non debba essere rispettato il
principio di economicità
13
: il museo, infatti, deve comunque soggiacere al rispetto di un
equilibrio economico duraturo, che ne assicuri l’autonomia, condizione questa basilare per
il concetto stesso di azienda. “L’autonomia è [infatti] condizione perché i fini generali di
istituto possano essere conseguiti non contando sugli aiuti esterni ma facendo affidamento
sulle forze (elementi, fattori, energie) che sono proprie dell’istituto. […] Il rispetto della
condizione di autonomia rende così l’istituto e quindi l’azienda artefici del conseguimento
del bene comune dei suoi membri”
14
. Il principio di economicità altro non è che la regola di
condotta che consente, dunque, di operare in condizioni di durabilità e autonomia. Il
precipuo obiettivo dell’assicurare l’autonomia delle istituzioni museali è dunque quello
favorire iniziative volte ad incrementare l’afflusso del pubblico, a migliorare la
presentazione delle collezioni, a offrire vari servizi collaterali: permeare, quindi, ogni
attività del museo dei fini per cui esso viene creato, generare un outcome e non
esclusivamente un output
15
.
Negli anni Novanta, alla luce delle esperienze straniere e degli studi già avanzati sul
settore, si cominciò in Italia ad affermare il concetto dell’attribuzione di responsabilità
finanziarie ai musei. Il paragone con Francia, Spagna e Regno Unito ha fatto utilmente
risaltare che, mentre da noi, “la gestione museale è integralmente affidata in forma diretta
10
Per assetto istituzionale si intende “la configurazione dei soggetti nell’interessi dei quali l’azienda si svolge, dei
contributi che tali soggetti forniscono all’azienda, delle ricompense che ne ottengono, delle prerogative di governo
economico facenti loro capo, nonché dei meccanismi e delle strutture che regolano le correlazioni tra i contributi e le
ricompense ed attraverso i quali le prerogative di governo sono esercitate” (Airoldi, Brunetti, Coda, Economia Aziendale,
Il Mulino, Bologna, 1994; pag. 92).
11
ibidem, pag. 99.
12
ICOM, Codice di deontologia professionale: tali istituti che “realizzano il fine della cultura” devono perseguirlo “senza
scopo di lucro”.
13
L’economicità altro non è che la “condizione di funzionamento dell’azienda, [la] modalità da rispettare nell’attività
aziendale per perseguire le finalità generali di istituto”. Tale principio sottostà ai caratteri peculiari dell’azienda, quale
ordine economico di istituto: durabilità e autonomia (Airoldi, Brunetti, Coda, ibidem, 1994, cap.9).
14
Airoldi, Brunetti, Coda, ibidem, 1994.
15
Ci si riferisce al modello caro alle pubbliche amministrazioni che intravede nell’attuazione dei processi e delle attività di
un ente statale non solo degli input che si traducono in output (come per le aziende di produzione), ma anche la
generazione di un outcome, cioè il raggiungimento di una rosa di obiettivi allargati rispetto alle azioni operative (ad.
esempio per un museo si tratta di migliorare le conoscenze in determinati ambiti, rafforzare l’opzione di esistenza, e così
via.
5
ad organi del Ministero ed è totalmente regolata dal diritto pubblico, negli altri tre paesi
esistono, in tutto o in parte, soluzioni organizzative più flessibili e dotate di maggiori
margini di autonomia”
16
. Questa la situazione evidenziata da Bobbio nel 1992; egli scrive
ancora, “ciò non significa che in Italia non siano compiuti sforzi per migliorare la fruizione o
ideati progetti di trasformazione museale […]. Ma queste iniziative si scontrano
quotidianamente con una struttura istituzionale che certamente non le favorisce e infatti
non sembrano procedere con particolare dinamicità”. In questi anni si reputa finalmente
urgente la necessità di una riforma che affidi all’istituzione museo le redini dei propri
obiettivi, in una parola, l’autonomia nel senso classico delle discipline aziendali.
Negli anni precedenti, giusto a partire dal 1972, con i primi trasferimenti alle Regioni
delle funzioni amministrative prima esercitate dallo Stato, “si è provato in qualche caso a
ricostituire gli istituti civici nel rispetto delle loro primitive forme e a rianimarne il valore
culturale ed economico, riorganizzandone la struttura e la gestione in relazione al contesto
territoriale e sociale circostante”
17
, ma i frutti del decentramento, ribadito nel 1977,
tardarono a farsi avvertire. In qualche caso addirittura tale processo veniva ostacolato
dalle medesime Soprintendenze, che come ci ricorda Massimo Montella, “rifiutarono
solitamente persino di consegnare la documentazione di archivio relativa ai musei
trasferiti. […] Le Regioni dovettero cominciare dal nulla la propria attività, acquisendo
direttamente e da capo le elementari conoscenze inerenti all’esistenza stessa dei musei e
delle raccolte su cui erano chiamate ad intervenire”
18
. In questi primi anni, dunque, alle
Regioni spettò il vasto campo della produzione legislativa in tale ambito, in cui si avvertiva
comunque la mancanza di una legge cornice statale: la normativa dello Stato, infatti,
sembrò inseguire le legislazioni regionali, quasi come un genitore apprensivo. Di fatto, la
spinta innovativa delle Regioni ed il dibattito innescato dalle Commissioni Franceschini e
Papaldo vennero bloccati dalle ripetute negazioni nonché dall’indifferenza del potere
centrale
19
. Così gli anni Ottanta videro l’interesse dello Stato muoversi esclusivamente sui
temi delle tariffe e delle tasse di ingresso.
L’esigenza di riforme, accentuata negli anni Novanta, prende quindi il via
dall’inasprirsi del lungo percorso del decentramento in seno allo Stato, il quale in questi
anni recepì le spinte innovative delle Regioni in termini di organizzazione in sistema e di
una possibile autonomia, invece che con una altrettanto urgente legge cornice, con due
16
L. Bobbio, Le peculiarità dell’ordinamento museale italiano nel contesto europeo e il dibattito sulla riforma, in P.A.
Valentino (a cura di), L’immagine e la memoria. Indagine sulla struttura del Museo in Italia e nel mondo, Leonardo
Periodici, Roma, 1992.
17
M. Montella, Musei e beni culturali. Verso un modello di governance, Electa, Milano, 2003.
18
M. Montella, ibidem.
19
Già con la Riforma del Ministero del 1975 (D.P.R. 805/75) fu tentato il recupero delle competenze trasferite nel 1972.