1 – IL CONTESTO STORICO
Prima di entrare nel merito dell’argomento su cui è incentrata la tesi,
mi sembra opportuno svolgere, nei primi due capitoli, una rapida ma
esauriente presentazione della situazione storica e culturale che fa da cornice
alla composizione della Sonata per Violino solo in Re Maggiore, op. 155, di
Prokof’ev. Sono principalmente due le ragioni che mi spingono a impostare
in questo modo la trattazione: la prima attiene alla peculiarità dell’autore e
del brano su cui si focalizza la mia analisi, l’altra è di ordine più generale.
Per quanto riguarda la prima motivazione, penso che chiunque abbia
qualche conoscenza, anche solo superficiale, dell’esperienza artistica di
Prokof’ev non possa ignorare come questa sia inscindibilmente legata alla
travagliata Storia novecentesca della sua patria. Eventi quali la rivoluzione
bolscevica, il suo esito nel totalitarismo staliniano e la resistenza russa
all’invasione nazista durante il secondo conflitto mondiale rappresentano dei
punti cardinali imprescindibili per qualunque analisi dell’opera del nostro
compositore. Avendo chiaro come sia maturata nel suo complesso la
produzione di Prokof’ev, possiamo meglio individuare come si collochi
all’interno di essa la sonata per Violino solo.
Al di là di ciò, credo ad ogni modo che ogni tema, a prescindere dalle
sue tipicità, merita una trattazione che in via preliminare lo metta a confronto
con l’epoca storica in cui si colloca cronologicamente: infatti, l’idea –
fondamentale portato dello storicismo ottocentesco, dalla quale prende le
mosse la stessa musicologia – secondo la quale l’uomo e ogni sua espressione
siano in buona parte un prodotto della Storia, è oramai divenuta
un’acquisizione irrinunciabile di tutta la nostra civiltà.
Davide Madeo - La sonata in Re Maggiore op. 115 di S. Prokof’ev
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1.1 – La fase rivoluzionaria
La Russia zarista, ancora agli inizi del Novecento, sembrava un Paese
fuori dal mondo e della Storia, completamente estraneo ai progressi di ordine
economico e sociale che avevano cambiato il volto dell’Occidente. Tuttavia,
proprio questo immobilismo indurrà la classe politica più attiva alla ricerca di
una soluzione rivoluzionaria, e non improntata a caute e graduali riforme, a
un malcontento sociale fomentato da secoli di ingiustizie e disuguaglianze.
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Presso alcuni gruppi politici minoritari attecchirono con forza le idee
di Karl Marx (1818-1883), che intorno alla metà del secolo precedente aveva
teorizzato la necessità storica che il sistema economico capitalistico, fondato
sulla dominanza della ristretta classe borghese, proprietaria dei mezzi di
produzione, nei confronti delle masse operarie sfruttate, dovesse essere
travolto da una rivoluzione che partisse proprio da queste ultime e che
portasse, dopo una temporanea “dittatura del proletariato”, all’istaurazione
del comunismo, una società ideale in cui non esiste alcuna proprietà privata e
ciascuno è libero di soddisfare i propri bisogni e contribuire, con le proprie
capacità, al benessere della collettività. Gli ideologi della rivoluzione in
Russia, però, tra i quali emerse ben presto Vladimir Lenin, furono per lo più
propensi a rinunciare alle componenti utopistiche della dottrina marxista e a
enfatizzare quelle che più facilmente avrebbero potuto trovare realizzazione
nel peculiare contesto sociale russo, che non aveva ancora un consolidato un
ceto borghese al potere e una vasta classe operaria ma, diversamente dai Paesi
occidentali, una netta prevalenza delle masse contadine. Lenin, inoltre, era
convinto che la rivoluzione non potesse essere affidata alla spontaneità dei
sommovimenti di massa, ma che dovesse essere guidata con fermezza dagli
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Al contrario, nei Paesi occidentali fu preferita, come risposta alle problematiche
sociali sorte con il diffondersi dell’industrializzazione, una linea riformista che, non
sconvolgendo l’ordine sociale, puntasse a una progressiva riduzione delle disuguaglianze tra
classi.
Davide Madeo - La sonata in Re Maggiore op. 115 di S. Prokof’ev
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intellettuali di vertice del Partito: queste forti posizioni provocarono però una
netta frattura tra i bolscevichi, sostenitori di Lenin, e i menscevichi, i quali
optavano per un cambiamento più graduale e democratico.
I rivoluzionari, tuttavia, rimanevano una minoranza nel Paese e la
strada per il crollo del regime zarista si aprì solo quando le pesanti difficoltà
economiche generate dalla partecipazione russa alla Prima guerra mondiale
resero palese la sua totale incapacità e inadeguatezza: allora insorsero anche
i più moderati (nella cosiddetta Rivoluzione di febbraio) e lo zar fu costretto
ad abdicare. Ne seguì l’affermazione di due centri di potere, un governo
provvisorio retto dai moderati di Kerenskij, e il soviet di Pietrogrado, in cui
sedevano socialisti indipendenti, menscevichi e in minoranza bolscevichi.
Tale situazione di stallo politico si concluse quando i bolscevichi,
avendo raccolto vasti consensi alla causa rivoluzionaria, presero il potere con
la forza nella Rivoluzione d’ottobre, occupando il Palazzo d’inverno di
Pietroburgo, sede del governo provvisorio. Per stabilizzare il potere appena
acquisito, essi presero il controllo del sistema economico, ad esempio
nazionalizzando le terre per stimolare la loro lavorazione collettiva da parte
dei contadini, ma senza procedere direttamente all’abolizione della proprietà
privata. Se da un lato i bolscevichi conclusero la guerra con Germania e
Austria con le umilianti condizioni della pace di Brest-Litovsk, dall’altro essi
dovettero ben presto affrontare gruppi armati controrivoluzionari (le
cosiddette “armate bianche” zariste, contrapposte all’Armata Rossa
bolscevica), sostenuti da corpi di spedizione stranieri, in una guerra civile che
durò fino alla primavera del 1921 e che prostrò gravemente il sistema
produttivo, già intaccato dal conflitto mondiale e dal controllo socialista
imposto dai rivoluzionari. La vittoria era nelle mani dei bolscevichi, ma Lenin
si rese conto che per ricostruire il sistema economico era necessario, almeno
fino a quando non si fossero ripristinati i livelli normali di produzione,
rinunciare in parte ad alcune misure tipicamente comuniste e ripristinare la
Davide Madeo - La sonata in Re Maggiore op. 115 di S. Prokof’ev
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proprietà privata e i metodi capitalistici, specie nell’agricoltura. In ciò
consistettero le misure adottate con la Nuova Politica Economica (NEP), che
sortì ampiamente gli effetti sperati: da un lato permise il rilancio
dell’economia, dall’altro permise il consolidamento dello Stato sovietico, dal
1922 denominato come Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche
(URSS), il quale, per quanto non avesse raggiunto in pieno gli obiettivi della
rivoluzione, era senz’altro un modello cui i socialisti degli altri Paesi
potevano guardare.
1.2 – Dalla Rivoluzione socialista al totalitarismo staliniano
Lenin fu costretto ad abbandonare la politica alla fine del 1922 a causa
di frequenti emorragie cerebrali, e morì nel 1924, senza poter vedere a pieno
l’efficacia della NEP. Fin dall’uscita di scena di Lenin, Iosif Stalin lavorò
alacremente per affermare la propria leadership sul partito, e quindi
sull’URSS. La sua visione politica, che privilegiava il consolidamento del
socialismo all’interno dello Stato sovietico russo, non poteva che scontrarsi
con quella di Trockij che puntava a “esportare” la rivoluzione altrove, in linea
con l’ideologia marxista più ortodossa. Grazie alla sua crescente autorità,
Stalin riuscì presto a emarginare Trockij e ogni altra fazione dissidente,
impossessandosi di fatto del partito e del potere.
Stalin volle poi realizzare lo stesso accentramento che aveva
conseguito a livello politico anche in campo economico: pertanto,
abbandonando il liberismo della NEP, egli si volse a una radicale opera di
pianificazione economica, attraverso lo strumento dei piani quinquennali, con
il primo dei quali (1928-1932) si fissò come obiettivo prioritario una forzata
espansione dell’industria, in particolar modo quella pesante. Per raccogliere i
capitali necessari a un così rapido sviluppo fu necessario un aumento della
tassazione nelle campagne e un taglio dei salari; la forza lavoro necessaria
alle industrie fu assorbita forzatamente dal settore agricolo, il quale fu
Davide Madeo - La sonata in Re Maggiore op. 115 di S. Prokof’ev
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sottoposto a una collettivizzazione coatta, a scapito della classe dei proprietari
terrieri (kulak), che fu di fatto annientata.
Come conseguenza di questa di queste misure, l’URSS divenne una
delle più importanti potenze industriali, ma i costi sostenuti dalla popolazione
per tali progressi furono elevatissimi: la totale compressione della libertà
economica e la preferenza data all’industria pesante si ripercossero in
un’iniziale significativa caduta della produzione dei beni di consumo, con un
conseguente peggioramento della qualità della vita, che tuttavia verrà
compensato grazie al miglioramento generale dell’economia che si avrà con
il secondo piano quinquennale (1933-1937).
Al di là delle più dirette conseguenze economiche e sociali, però, la
costruzione di un controllo tanto autoritario e capillare sulla vita economica
di un intero Paese ne comportò alcune più generali e profonde. Infatti, si può
a buon diritto affermare che con Stalin la rivoluzione socialista sovietica, che
già nella visione di Lenin aveva perso molta della spontaneità originaria e del
sincero consenso che lo aveva sostenuto, evolvette in un vero e proprio
totalitarismo. Lo stalinismo, in effetti, per quanto s’ispirasse a un’ideologia
del tutto opposta a quelle su cui nascevano e si consolidavano, nello stesso
frangente, il fascismo in Italia e il nazismo in Germania, applicava di fatto gli
stessi metodi tipici di questi ultimi, consistenti nell’organizzazione del
consenso attraverso un controllo pervasivo e capillare su tutti gli aspetti della
vita dei singoli da parte dell’autorità centrale.
Diversamente dai regimi dell’Europa occidentale, nella cui
propaganda prevalsero i motivi razziali, in Unione sovietica il consenso al
regime fu costruito facendo sentire le masse protagoniste di una grande sfida
collettiva, quella del riscatto della Russia dalla sua arretratezza secolare. Per
raggiungere nel giro di pochi lustri livelli di crescita che i Paesi occidentali
avevano conseguito almeno nell’arco di un secolo, non sarebbero bastati gli