dichiaratamente opera di organizzazioni eversive neofasciste, alla stessa parte politica sono
riconducibili, inoltre, 63 omicidi su un totale di 92.
Gli omicidi compiuti nel periodo 1975-1980 da terroristi sono stati 270 dei quali 115 addebitabili
alla destra. In questo periodo gli attentati sono stati 84OO dei quali circa 3000 attribuibili alla
destra eversiva .
Gli atti compiuti con esplosivo addebitabili ad organizzazioni terroristiche di destra nel periodo 15
aprile 1969 -13 ottobre 1982 sono stati complessivamente 1952.
I vari gruppi della destra eversiva avevano come finalità politica il sovvertimento delle istituzioni
democratiche repubblicane e la loro modificazione in senso autoritario, affiancandosi, talvolta, ad
ambienti e settori delle istituzioni.
Lo Stato veniva considerato dalle organizzazioni neofasciste, nel periodo precedente al 1975, non
come nemico ma entità da rafforzare attraverso l'eliminazione di coloro che,(secondo tali
organizzazioni) con la propria azione lo indebolivano. Ciò valeva anche per quelle organizzazioni
quali Ordine Nuovo che pur proclamandosi "contro lo Stato" intrattennero nel periodo antecedente
al 1975, rapporti con personaggi degli apparati statali poiché in questo periodo la destra eversiva
era orientata nella direzione della realizzazione del colpo di stato quale operazione preventiva
anticomunista.
Fino al 1975 i gruppi della destra eversiva avevano mantenuto rapporti con il potere ufficiale. Dal
1974 le organizzazioni di questo versante eversivo erano in crisi: si era celebrato il processo contro
Ordine Nuovo conclusosi il 21 novembre 1973 con 30 condanne e 10 assoluzioni e vi era stato il
successivo decreto del Ministro dell'Interno del 22 novembre 1973.
Nel 1975 iniziò il processo ad Avanguardia Nazionale. Nel 1974 prese avvio l'istruttoria padovana
sulla 'Rosa dei Venti' (poi sottratto dalla Corte di Cassazione ai giudici di Padova e inviato a Roma
per confluire nel processo per il golpe Borghese che, tentato nel 1970, nel 1974 era ancora ignorato
):"... quanto processualmente emerse rendeva non più proponibile e praticabile la strategia di un
rapporto privilegiato con il potere ufficiale, anche perché in quegli anni la situazione politica
generale cominciava lentamente a mutare in senso favorevole ai partiti della sinistra (il referendum
sul divorzio è del 1974, nel 1975 si verificava il primo notevole successo elettorale del PCI) e ciò si
ripercuoteva all' interno delle istituzioni " 3.
Da quel momento le organizzazioni di destra dichiararono guerra allo Stato. La dichiarazione fu
sancita dall'omicidio del giudice Vittorio Occorsio avvenuto il 10 luglio 1976.
Ovvero, anche se le complicità con apparati dello Stato non cessarono del tutto accadde che " quel
rapporto tra organizzazioni di destra e apparati dello Stato, aveva costituito un aspetto centrale
dell'azione delle prime fino al 1975 "concretizzatosi "soprattutto nel sostegno ai progetti ' golpisti'
2
Vittorio Borraccetti ( a cura di ), EVERSIONE DI DESTRA , TERRORISMO, STRAGI, I FATTI E
L'INTERVENTO GIUDIZIARIO ,Milano , Angeli , 1986.
3
Ivi, ,pg.22.
non esiste più e le organizzazioni della destra -Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale - scelgono
la strada della lotta armata contro lo Stato"4.
I.1.3. I servizi “deviati”: Gladio e “Stay Behind”
L'esistenza di una organizzazione clandestina di sicurezza NATO, emerse per la prima volta nel
corso delle indagini sulle deviazioni del SIFAR nel giugno- luglio 1964 in relazione al c.d. Piano
Solo 'De Lorenzo-Segni'. La relazione di minoranza, relativa ai rapporti tra il SIFAR e i servizi
segreti NATO, presentata da Umberto Terracini, affermava che "...l'aspetto più grave della vicenda
è costituito dal fatto che una notevole parte dell'attività informativa del SIFAR e della stessa Arma
dei Carabinieri veniva espletata per raccogliere informazioni a favore dei paesi dell'Alleanza
Atlantica... quind' anche la creazione dell'USPA (Ufficio di Sicurezza del Patto Atlantico ) fosse
connessa a una clausola non conosciuta di un trattato internazionale , la illegittimità e la violazione
della Costituzione appaiono clamorose " 12.
I.2 UN ANNO DI SVOLTA :IL 1974
Nel 1974 le inchieste della magistratura torinese e di quella padovana erano giunte ormai a toccare
gli alti gradi dell'esercito e dei servizi. Inoltre, era mutato anche il contesto internazionale,
contrassegnato dalla crisi del regime spagnolo, dalle avvisaglie della rivoluzione portoghese, dal
crollo del regime dei colonnelli greci e dallo scandalo Watergate con ripercussioni sulla strategia
della NATO nell'Europa Occidentale.
Sul piano interno la sconfitta della Dc nel referendum sul divorzio, la comunicazione di Tamburino
al Presidente della Repubblica sull'esistenza del Sid parallelo e la strage di Brescia, spinsero il
ministro della Difesa Andreotti ad intraprendere un'iniziativa "risanatrice". Iniziativa che si sarebbe
rivelata in buona parte gattopardesca .
Andreotti esternò la sua iniziativa risanatrice in un'intervista rilasciata al quotidiano "il Mondo",
nella quale promise un'inversione di rotta nell'affrontare i processi sulla destra eversiva, la fine
della gestione Miceli e fece un'autocritica per la copertura fornita a Giannettini e promise il rogo
dei fascicoli del SIFAR.
Taviani, Ministro dell'Interno, anch'egli alla ricerca di consensi nell'opinione pubblica mise in atto
un'operazione di maquillage nel settore dei servizi di sua competenza. Sciolse l'Ufficio Affari
Riservati e costituì l'ispettorato generale per la lotta contro il terrorismo.
La riforma consistette in realtà nella sostituzione di D'Amato con Santillo lasciando inalterata la
4
Ibidem.
12
Citato da Gianfranco Viglietta , Golpismo e servizi segreti nei primi anni settanta , in: Vittorio Borraccetti (
acura di), , op.cit. pg. 45.
precedente struttura del servizio, limitandosi ad affiancare ad essa un nucleo operativo di tredici
funzionari periferici. Inoltre, in un'intervista su "L'Espresso" del 1° settembre 1974, Taviani
rinnegò la teoria degli "opposti estremismi", di cui era stato convinto sostenitore. Nell'intervista si
dichiarò convinto che l'organizzazione sovversiva andasse cercata esclusivamente a destra. Questa
affermazione venne fatta dopo che, con il rapimento Sossi e l'assassinio di due missini a Padova, si
era manifestato nella sua pericolosità il terrorismo di sinistra.
Pochi giorni dopo, l'8 settembre, venne arrestato Renato Curcio, leader delle Br e l'intero gruppo
storico dell'organizzazione, oltre a molti militanti. L'arresto era stato reso possibile dall'infiltrazione
nelle Br di Silvano Girotto (informatore dei Carabinieri), che in breve tempo riuscì ad entrare in
contatto con i vertici brigatisti. Riuscirono a sottrarsi all'arresto soltanto una quindicina di
terroristi,tra i quali Mario Moretti che sostituì Curcio alla guida dell'organizzazione.
Gli arresti non comportarono la scomparsa dell'organizzazione la quale, anzi, sotto la direzione di
Moretti, subì una rapida metamorfosi e, negli anni successivi, raggiunse livelli fortemente
destabilizzanti.
Le nuove Br "saranno molto diverse: più feroci, più teorizzanti, più numerose, più legate ai
problemi del terrorismo internazionale, più misteriose"28. Infatti, dopo il 1974, "nel patrimonio
ideologico brigatista le rotture prevalgono sugli elementi di continuità "29.
Andreotti fece redigere al generale Maletti un rapporto che aveva per oggetto le iniziative eversive
maturate in Italia nel periodo 1970-1974. Il rapporto, anche se non riuscì ad evitare la strage
dell'Italicus, avvenuta il 4 agosto 1974, riuscì a far rivedere i propri piani a coloro che, per lo stesso
mese, avevano progettato un colpo di Stato. Il rapporto, infine, causò alcuni spostamenti ai vertici
militari rimuovendo, tra gli altri, il generale Pietro Zavattaro e il generale Giuseppe Santovito i cui
nomi erano stati trovati tra le carte sequestrate dal giudice Violante all'agente del Sid parallelo
Luigi Cavallo. Il rapporto causò, comunque, non poco scompiglio negli apparati più compromessi
con l'eversione. La crisi degli apparati, esercito e sevizi di sicurezza, portò per la prima volta in
Italia, ad un crisi di governo: una crisi difficile e lunga segnata dall'arresto di Miceli e dal conflitto
tra Tanassi (Ministro della Difesa al tempo della gestione Miceli del Sid) e Andreotti.
Lo scontro in atto da tempo tra Miceli e Maletti ( scontro tra due linee più che tra due persone)
andò a riflettersi sul piano politico nella alternativa Tanassi -Andreotti, entrambi in corsa per
ricoprire l'incarico di Ministro della Difesa. Il nuovo Presidente del Consiglio, Aldo Moro, operò
una mediazione estromettendo Andreotti e Tanassi dai rispettivi Ministeri e allontanando Maletti
dai servizi:.mediazione, questa, che costituiva un prezzo pagato alla linea golpista, sconfitta in
28
Giorgio Bocca , Il terrorismo italiano 1970-1978 , Milano , Rizzoli , 1979 , pg.77 citato da: Giyseppe Fiori
, VITA DI ENRICO BERLINGUER , Bari , Laterza , 1989 , pg. 266.
29
Luigi Manconi, Il nemico assoluto, antifascismo e contropotere nella fase aurorale del terrorismo di sinistra
, in: AA.VV. , IL terrorismo rosso tra solidarietà e ideologia, Polis , II , 2 ,agosto 1988 , pp.gg. 259-286.
quella estate, ma che manteneva una sua virulenza.
L'allontanamento di Miceli e Maletti lasciò inalterate le strutture, le procedure dei servizi di
sicurezza "il 'continuismo' posto alla 'difesa delle istituzioni' in realtà servì a perpetuare, e non
poteva essere diversamente, quel modo distorto di concepire la funzione ed il ruolo, tipico on di
questo odi quel funzionario ma, per tradizione dell'intero apparato" 30. Tale politica altro non era
che la reiterazione della mediazione operata dallo stesso Moro dopo lo scandalo del SIFAR.
Mediazione che, oggettivamente, costituì la premessa dello sviluppo del progetto golpista
all'interno degli apparati negli anni successivi.
Nemmeno dopo i fatti dell'estate 1974 questa linea portò, né, visti i precedenti,avrebbe poututo
portare a risultati positivi. Infatti, tutti i dirigenti dei servizi, compresi quelli allontanati, vennero
arruolati nel nuovo progetto eversivo: il progetto piduista.
Nell'estate 1974 venne sicuramente sconfitta una parte della strategia eversiva. Fu sconfitto
l'agglomerato politico composto da terroristi neri, golpisti o fautori del "colpo di stato liberale",
spezzoni di Stato. Ma questa sconfitta non avvenne nell'interesse della democrazia, ad essa
seguirono nuove forme di inquinamento istituzionale caratterizzate dai processi di
clandestinizzazione del potere e dall'intreccio sempre più diffuso, tra criminalità comune e politica.
Furono sconfitte le strategie golpiste tradizionali ma i fautori del "colpo di stato liberale" i
"presidenzialisti" autoritari, troveranno nel "piano di rinascita democratica"di Licio Gelli una base
più concreta per lo sviluppo delle loro strategie.
Dopo il 1974 lo stragismo scomparve dal panorama eversivo degli anni '70. Ai vertici dei servizi do
sicurezza furono posti gli uomini della P2 di Gelli e nei cinque anni successivi il terrorismo di
sinistra sarebbe divenuto il solo protagonista dell'eversione in Italia.
D'altra parte il 'cambio di colore' del terrorismo era stato preannunciato: il capo del Sid Miceli, nel
settembre 1974 nel corso di un interrogatorio dinanzi al giudice Tamburino svoltosi anche alla
presenza del pubblico ministero Nunziante, aveva infatti dichiarato:"Ora non sentirete più parlare di
terrorismo nero, ora sentirete parlare soltanto di quegli altri"31.
I.3. IL TERRORISMO DI SINISTRA
Fino al '68 la pratica della violenza come metodo di lotta politica apparteneva esclusivamente alla
destra.
Negli anni seguenti, la violenza divenne metodo di lotta politica anche dei gruppi
extraparlamentari di sinistra. Inizialmente questo metodo fu adottato in chiave difensiva,
antifascista. Successivamente divenne strumento di lotta offensivo militarmente organizzato in
30
Giancarlo Scarpari , 1974: l'anno della svolta , in: Vittorio Borraccetti (a cura di) , op.cit. , pg.117.
31
Giuseppe De Lutiis ,STORIA DEI SERVIZI SEGRETI , Roma , Editori Riuniti , 1984 , pg.137.
strutture articolate e armate (Br, Nap, Prima Linea) finalizzato alla destabilizzazione prima e alla
distruzione poi, dello Stato democratico.
Alla metà degli anni '70 la violenza politica assunse la forma della pratica terroristica denominata
"illegalità di massa", che si contrapponeva dialetticamente alla lotta armata clandestina.
Quest'ultimo fenomeno, che raggiunse l'apice nel'77, caratterizzato da uno spontaneismo
apparentemente non organizzato, coinvolse migliaia di giovani.
Il concetto di "autonomia operaia" era stato un principio cardine dell'ideologia del partito armato ed
era l'elemento chiave che distingueva, a livello teorico, i gruppi operaisti da quelli marxisti-
leninisti. La definizione della soggettività rivoluzionaria, per gli operaisti, procedeva dalla classe al
partito. Dalla concezione della classe come dato radicalmente e "naturalmente'' antagonista nei
confronti del capitale, creatrice di nuove forme di organizzazione e di lotta, deriva la
contrapposizione ai partiti storici del movimento operaio e ai sindacati visti come sovrastrutture
burocratiche e ideologiche oppure come istituzioni di controllo e repressione dello Stato del
capitale nei confronti del;proletariato rivoluzionario. Autonomia,quindi, in primis, dalle
organizzazioni storiche del movimento operaio, che dovevano essere attaccate e sconfitte potesse
possa affermarsi la soggettività rivoluzionaria della classe operaia, e solo in seconda istanza, dal
capitale e dalla sua razionalità32.
Il concetto di "autonomia operaia'", fondamento ideologico e politico dei gruppi operaisti, il più
rilevante dei quali é stato Potere Operaio, trovò la sua più coerente applicazione nell'Autonomia
Organizzata. Ma all'autonomia operaia si riferirono costantemente anche le Brigate Rosse fin dal
documento di costituzione del Collettivo Politico Metropolitano. Il documento, infatti, si apriva con
un capitolo sul "movimento spontaneo delle masse e l'autonomia proletaria".
Tra il 1969 e il 1970 tre organizzazioni dell'estrema sinistra fecero la scelta della lotta armata: i
Gruppi di azione partigiana (Gap) di Giangiacomo Feltrinelli, Potere Operaio e il Collettivo
Politico Metropolitano. Ma, mentre i Gap erano un gruppo di scarsa consistenza composto da
elementi di disparata provenienza politica, totalmente dipendente dai finanziamenti e dal ruolo
personale di Feltrinelli, il Cpm e Potere Operaio si muovevano all'interno dei movimenti sociali
della fine degli anni sessanta e da essi prese vita il progetto di costituzione del partito armato.
32
Sindacati e Pci vengono considerati già nell' elaborazione politico-teorica del gruppo che aveva come
riferimento il periodico 'La Classe' dal quale nascerà Potere Operaio , << strumento di repressione diretta
dell'autonomia operaia , nemici di classe>>. da ' La Casse', n°12 , Roma 19 luglio 1969 citato da Lucio
Castellano , AUT.OP. LA STORIA E I DOCUMENTI: DA POTERE OPERAIO ALL' AUTONOMIA
ORGANIZZATA , Roma , Savelli , 1980 , pg.54.
CAPITOLO PRIMO
Nei confronti dell'estremismo di sinistra veniva affermata una linea che si potrebbe definire a metà
strada tra il polemico ed il pedagogico.
Il terrorismo di sinistra aveva ormai fatto le prime vittime e aveva compiuto il suo primo salto di
qualità colpendo al di fuori dell'ambito della grande fabbrica: il 18 aprile 1974 le BR avevano
rapito a Genova il giudice Mario Sossi. Anche in questo caso, come già era avvenuto in occasione
del sequestro Macchiarini il PCI non ebbe dubbi: si trattava di fascisti o, addirittura, di neonazisti:
"non sappiamo di chi si tratti: di fanatici o di professionisti o dell'una e dell'altra cosa insieme.
Conta quel che dicono e che fanno: e ciò reca il marchio dell'allucinazione e della provocazione
neonazista"2. Le azioni del terrorismo di sinistra non trovarono eco nel XIV congresso. Forse il
PCI riteneva che gli arresti che avevano colpito le BR dal settembre del 1974 in poi avessero
debellato definitivamente l'organizzazione: quasi certamente il terrorismo di sinistra veniva visto
come un problema soprattutto di ordine pubblico, destinato, dal punto di vista politico a seguire la
sorte di buona parte dei "gruppetti" di estrema sinistra. Il PCI, d'altra parte, disconosceva qualsiasi
diversità tra le due varianti del terrorismo, diversità che sarebbe stata negata ancora a lungo.
Il PCI rifiutava di considerare l'esistenza di un terrorismo con una matrice ideologica di sinistra,
probabilmente perché riteneva di trovarsi di fronte a qualcosa di molto simile alle provocazioni
messe in atto a Torino negli anni '50 dai servizi segreti. Essi avevano costituito delle organizzazioni
politico-sindacali che, utilizzando un linguaggio estremistico, miravano ad intaccare la base di
consenso di cui godevano nelle fabbriche la CGIL e il PCI. Le due organizzazioni più note, "Pace e
Libertà" e "Iniziativa sindacale", furono dirette dai golpisti Edgardo Sogno e Luigi Cavallo e
finanziate dalla Fiat di Valletta. Ciò che emergeva, comunque, era la riluttanza del PCI a capire di
trovarsi in presenza di un fenomeno eversivo di tipo nuovo.
Le Brigate rosse tornarono a colpire l'8 giugno a Genova. In un agguato vennero assassinati il
Procuratore generale di Genova Francesco Coco e gli agenti della scorta Giuseppe Saponara e
Antioco Dejana.
La segreteria del PCI in un commento pubblicato dal-
l' "Unità" il giorno dopo affermò che "Questo ennesimo episodio di efferata criminalità è l'ultimo di
2
Necessità di pulizia, s.f., 'lUnità', 7 maggio 1974. art. ripotato da Giuseppe Mazzei, Relazione di ricerca , in
Renato Mieli (a cura di ) , op. cit., pg.432.
una serie di avvenimenti che possono sconvolgere l'ordinato e civile svolgimento della campagna
elettorale creare un clima di panico e di terrore, per colpire il regime democratico e impedire che il
popolo italiano compia, nella libertà, nella democrazia e nell'unità, nuove scelte che facciano uscire
il Paese dalla crisi e dal disordine. Di fronte a questa preoccupante realtà appare inadeguata e
debole l'azione del governo e dei pubblici poteri per prevenire gli attentati alla democrazia; per
scoprire, perseguire e liquidare le centrali della provocazione, dell'eversione e della criminalità "3.
La strage di Genova venne giudicata dall'"Unità" come un nuovo episodio della strategia della
tensione, dimostrando che l'analisi compiuta in aprile su "Rinascita" da Giancarlo Bosetti non era
stata recepita. Con il triplice omicidio di Genova, secondo il quotidiano del PCI, "le BR avevano
compiuto un salto di qualità "4. Ed era, almeno in parte, vero.
Il delitto Coco fu la prima azione nella quale le BR scelsero deliberatamente l'assassinio. Esse
avevano già ucciso a Padova nel '74 due militanti missini, ma avevano definito questo duplice
assassinio un incidente. Il delitto di Genova costituì il definitivo passaggio delle BR dalle azioni di
propaganda a quelle finalizzate alla "disarticolazione della struttura dello Stato" coerentemente con
quanto annunciato nella Risoluzione della Direzione Strategica dell'aprile 1975.
Dopo gli arresti che avevano colpito l'organizzazione terroristica dal 1974 in poi, le BR non
disponevano che di una decina di militanti i quali parteciparono tutti alla strage di Genova. Il delitto
Coco, quindi, costituiva per le BR un'occasione per proiettare all'esterno l'immagine di
un'organizzazione efficiente ed in crescita, e in questo senso, il salto di qualità di cui parlava
"l'Unità" non era avvenuto. Come avevamo detto invece le BR stavano per scomparire, ma una
"provvidenziale" ristrutturazione degli apparati di sicurezza fece in modo che il salto di qualità si
compisse nel periodo successivo.
Al delitto Coco la stampa comunista, nei giorni successivi, dedicò numerosi articoli di analisi e
commento.
Un documento della Direzione, esaminando la campagna elettorale e la situazione politica alla luce
degli episodi di terrorismo, tornò a criticare l'inefficienza degli apparati statali responsabili della
lotta al terrorismo: "Gli avvenimenti che hanno funestato la campagna elettorale, culminati nei
nefandi assassinii di Genova hanno riproposto in modo grave ed urgente la questione dell'ordine
democratico e della governabilità del Paese. Si manifestano sempre più evidenti, di fronte alle
provocazioni sanguinose e alla criminalità, le pesanti responsabilità e la colpevole insufficienza del
governo e di alcuni settori degli apparati dello Stato nel garantire un ordinato svolgimento del
confronto elettorale e la stessa convivenza civile della nazione (…). La Direzione del PCI
sottolinea ancora una volta, l'urgenza e la necessità che tutte le forze democratiche operino per
3
PCI- Segreteria Nazionale, Il comunicato della segreteria, ' l'Unità' 9-6-1976 pg.1.
4
Giuseppe Marzolla, Il barbaro assassinio di Genova impone vigilanza e unità contro i nemici della
democrazia, ibidem.
combattere ed isolare le provocazioni da qualunque parte provengano, e si impegnino a condurre a
termine la campagna elettorale in un clima sereno, ordinato, disteso (…). Ancora una volta, la
Direzione del PCI si rivolge a tutti gli elettori, a tutti i democratici e a tutti i compagni perché in
quest'ultima fase della campagna elettorale vi sia una larga presenza e vigilanza democratica che
spezzi la spirale della violenza e della provocazione"5.
Dalle analisi e dai commenti della stampa comunista sul delitto Coco emergeva che, secondo il
PCI, le Brigate rosse erano oggettivamente una componente della strategia della tensione. Ciò
costituiva una innovazione rispetto alla linea dei mesi precedenti. Infatti il terrorismo di sinistra era
stato considerato, nel periodo antecedente il delitto Coco, come parte integrante della strategia della
tensione, ovvero una continuazione di tale strategia collocato in essa anche soggettivamente: i
comunisti pensavano che si trattasse di fascisti che utilizzavano provocatoriamente le insegne del
movimento operaio.
Dopo il delitto Coco, il PCI riteneva che le BR, pur perseguendo soggettivamente fini diversi da
quelli della strategia della tensione, convergessero dal punto di vista oggettivo con organizzazioni
di segno politico opposto. Ciò influiva direttamente sulla questione, più volte richiamata dal Partito
comunista, della reale natura politica delle BR. Il fatto che fossero emersi dei connotati soggettivi
originari di estrema sinistra, sembrava assumere una scarsa rilevanza per il PCI. Infatti, come
risulta dagli articoli succitati, esso pensava che anche le BR avessero potuto godere di protezioni e
di connivenze all'interno di apparati statali: protezioni e connivenze accordate, secondo Alfredo
Reichlin, per avvalorare la teoria democristiana degli "opposti estremismi". Inoltre l'ipotesi, che il
PCI sembrava condividere, di infiltrazioni da parte di elementi legati ad occulte centrali interne ed
internazionali o, addirittura, addestrati in basi segrete della NATO, faceva divenire l'originaria
natura politico-ideologica un elemento secondario. Protezioni, connivenze, infiltrazioni che, non
sarebbero state confermate, ma nemmeno smentite, dalle inchieste giudiziarie degli anni successivi.
Infine, le analisi precedentemente citate non prendevano in considerazione i rapporti esistenti tra le
BR e alcune frange dell'estremismo di sinistra, non scoprendo, quindi, i possibili canali di
reclutamento che avrebbero consentito la rivitalizzazione dell'organizzazione terroristica; rapporti
che, nei mesi precedenti, la stampa comunista aveva individuato ed analizzato. In questa fase,
invece, sembra prevalere l'interpretazione del terrorismo che teorizzava l'esistenza di "convergenze
oggettive" tra organizzazioni di diverso orientamento ideologico.
Alla fine del 1976 era quindi possibile individuare nel PCI due diverse interpretazioni del
terrorismo che confluivano, però, in un'unica linea politica.
L'interpretazione del terrorismo secondo la "teoria del complotto" sosteneva che il terrorismo fosse
5
PCI- Direzione Nazionale, Il PCI chiama alla vigilanza democratica ,
' l'Unità ' , 10- 6-1976, pg. 1.
il prodotto di un'unica trama reazionaria, disegnata da "burattinai" che utilizzavano sigle di
opposto segno politico. Di conseguenza, veniva negata qualsiasi differenza tra i due versanti del
terrorismo. Il terrorismo di sinistra, infatti, veniva considerato una mera mascheratura utilizzata da
elementi fascisti. Questa interpretazione, accreditata anche dalla Segreteria Nazionale e, in prima
persona, da Berlinguer, sembrava essere, conseguentemente, quella maggioritaria. Essa segnava un
notevole arretramento della analisi comunista sul terrorismo. Infatti, dopo il delitto Coco, il PCI era
approdato al riconoscimento dell'esistenza di un terrorismo con matrici ideologiche di sinistra, per
quanto "inquinato". Avvalorando questa interpretazione, invece, l'analisi comunista dei fenomeni
eversivi tornava ad assestarsi sulle posizioni espresse nei primi mesi del '76.
L'interpretazione minoritaria affermava che vi fossero delle "convergenze oggettive" o una
"confluenza strategica" (Pavolini) tra le due varianti del terrorismo. I sostenitori di questa
interpretazione, pur ammettendo che vi fosse differenza tra i due versanti dell'eversione,
giudicavano, tuttavia, fuorviante tale distinzione, poiché ritenevano che anche i militanti delle
organizzazioni eversive di sinistra, pur agendo in "buona fede", favorissero le trame delle forze
reazionarie o, quantomeno, che condividessero con i terroristi di destra, l'obiettivo di destabilizzare
le istituzioni democratiche.
Inoltre si sospettava, implicitamente, che i due versanti del terrorismo fossero diretti, a livelli
occulti, dalle stesse persone e/o dalla stessa organizzazione; trovando, quindi, una convergenza "in
extremis" con l'interpretazione del terrorismo avvallata dalla maggioranza. Entrambe le
interpretazioni concordavano nel considerare la crisi del Paese, un terreno di coltura del terrorismo,
ma, nello stesso tempo, le possibili cause sociali del fenomeno venivano negate o ritenute
secondarie.
La linea politica nella quale le due interpretazioni convergevano, sintetizzabile nella frase
(contenuta in un occhiello dell'"Unità") "Unità democratica contro le forze dell'eversione",
consisteva nel richiamo all'unità dei cittadini contro l'eversione, nell'invito alla solidarietà e alla
collaborazione con le forze dell'ordine e alla mobilitazione per la difesa delle istituzioni
democratiche.
Il PCI sosteneva che per battere l'eversione fosse sufficiente l'applicazione delle leggi esistenti
rifiutando l'adozione di misure straordinarie e/o speciali.
Infine, riteneva che la lotta al terrorismo avrebbe acquisito maggiore efficacia con una direzione
politica autorevole, fondata sull'unità democratiche e capace di ricostruire la società italiana su basi
economicamente e moralmente più avanzate. Ovvero, un governo nel quale il PCI fosse
organicamente presente, insieme alle altre forze politiche democratiche.
Infine, dal nuovo atteggiamento del PCI verso le istituzioni iniziava ad emergere un visione
"monistica" del potere caratterizzata da una concezione esasperatamente formalistica della
democrazia nella quale il potere veniva esclusivamente identificato con i luoghi e i centri della
Costituzione formale. Questa concezione avrebbe caratterizzato la linea politica del PCI sullo Stato
alla fine del triennio della solidarietà nazionale.
CAPITOLO SECONDO
Questa intervista confermò che nel mutamento della linea comunista sul terrorismo aveva influito
in misura determinante la reazione operaia all'attentato a Casalegno del 17 novembre. Pecchioli,
infatti, affermava che nella risposta operaia all'offensiva terroristica vi erano state "debolezze,
ritardi, incomprensioni, reticenze, momenti di passività la classe operaia deve rendersi conto che il
terrorismo è un grande e grave problema nazionale, che non può essere affrontato e risolto soltanto
con l'isolamento, la condanna morale e politica, (…) ma che va trattato concretamente, con azioni
concrete le quali richiedono innanzitutto conoscenza del fenomeno (…). E' alla classe operaia,
comunque, che spetta di assumere in prima persona, e in primo piano il compito di far fronte al
terrorismo, come a un nemico mortale"6.
In quest'ultima affermazione di Pecchioli vi era un ulteriore elemento di innovazione della linea del
PCI sul terrorismo: per la prima volta, anche se con ritardo, veniva attribuito al problema del
terrorismo il rilievo di questione nazionale. L'intervista di Pecchioli, quindi, da un lato, segnava la
fine della sottovalutazione dell'eversione e, dall'altra, faceva emergere una conoscenza
sostanzialmente precisa del fenomeno.
In un dossier pubblicato dalla Federazione romana del PCI vi era un'ulteriore mutamento nella linea
sul terrorismo: la definizione di "burattinai". Nei mesi precedenti questo termine era stato utilizzato
dal PCI per definire gli autori di un disegno eversivo, che si celavano dietro le sigle delle
organizzazioni di destra e di sinistra. Nel documento della Federazione romana si sosteneva invece
che "Anche se non si conoscono per nome i 'burattinai' che stanno dietro alla manovalanza del
terrorismo, si sa che si tratta di forze sia fasciste, sia di 'ultrasinistra' "7.
In questa fase, quindi, con il termine di "burattinai" sembrava che il PCI intendesse riferirsi
semplicemente ai gruppi dirigenti delle organizzazioni eversive. Questo mutamento molto
probabilmente era dovuto al riconoscimento delle differenze esistenti tra le due varianti del
terrorismo contenuto nell'intervista a Pecchioli. Dall'analisi di quest'ultimo e dal dossier della
6
Ibidem.
7
Arminio Savioli, Dossier su terrorismo e violenza a Roma, 'l'Unità', 17-12-1977, pg.1.
Federazione romana emergeva che il PCI non giudicava più il terrorismo un unico fatto politico,
abbandonando, quindi, la strategia della tensione quale schema interpretativo del terrorismo nel
quale rientravano sia la tematica del complotto che la teoria delle "convergenze oggettive".
Il delitto Casalegno e, soprattutto, l'insuccesso dello sciopero del 17 novembre influirono anche
sulla linea di politica interna del PCI, e lo indussero a richiedere il superamento degli equilibri
politici raggiunti a luglio con l'accordo programmatico. Il PCI probabilmente riteneva che gli
atteggiamenti di apatia e assuefazione nei confronti del terrorismo venuti alla luce in occasione
dello sciopero del 17 novembre, fossero motivati anche dalla situazione politica. Inoltre, vi erano
altri due fattori che spingevano il PCI ad interrompere la fase della maggioranza della "non
sfiducia": la mancata applicazione delle misure previste dall'accordo di luglio e, soprattutto, la
manifestazione dei metalmeccanici del 2 dicembre. Il PCI intuiva che quella protesta sindacale
aveva un significato politico, di pressione nei suoi confronti per persuaderlo a mutare politica.
La proposta di aprire una nuova fase politica, dunque, rispondeva a una duplice esigenza del PCI
in questa fase: conciliare il proseguimento della strategia del "compromesso storico" con la
necessità di contenere i dissensi verso la politica di solidarietà nazionale che provenivano dal
sindacato e quindi dal suo principale referente sociale, la classe operaia.
Nei giorni successivi la crisi di governo venne virtualmente aperta da una intervista televisiva a
Enrico Berlinguer, riportata dall'organo del PCI. Il segretario generale del Partito comunista
affermò che esisteva "una contraddizione sempre più evidente e insopportabile per il Paese fra una
situazione di crisi che si aggrava ogni giorno di più e un governo di soli democristiani, che non può
più fare fronte alla emergenza del momento (…). E' ora di andare a una vera svolta, di avviare una
visibile inversione di tendenza: occorre un governo di emergenza (…). Nelle ultime settimane poi
c'è stato un aggravamento di tutta la situazione da tutti i punti di vista (in particolare la situazione
economica e quella dell'ordine pubblico) e quindi noi siamo costretti a porre con forza, con
acutezza, il problema di un governo veramente in grado di fronteggiare una tale situazione"8.
I crescenti contrasti tra i partiti dell'area della "non sfiducia" portarono, nel mese di gennaio, ad una
lunga crisi di governo che si sarebbe conclusa il 16 marzo 1978, giorno del sequestro di Aldo Moro
e dell'assassinio della sua scorta da parte delle Brigate rosse.
CAPITOLO TERZO
La linea sul terrorismo emersa nel corso del 1978 rimase sostanzialmente inalterata anche nei mesi
successivi.
8
L'emergenza c'è: ci vuole un governo che la fronteggi, s.f., 'l'Unità', 16-12-1977, pg.1.
Infatti, Alessandro Natta nell'edizione 1979 dell'Almanacco del PCI, analizzando i principali
episodi eversivi avvenuti nel 1978, sostenne che il PCI non intendeva "ricondurre ad un unico
denominatore, confondere sotto un unico segno le formazioni, i calcoli, gli obiettivi del terrorismo
'rosso' e 'nero' (…). Queste bande criminali, consapevoli o no, per scelta autonoma o perché
pilotate, per fanatismo irrazionale o per aberrante calcolo politico, hanno lavorato e lavorano per
una involuzione, mirano deliberatamente o sono utilizzate per condurre l'Italia a soluzioni, a
sbocchi reazionari"9.
All'analisi di Natta fece eco, nella stessa sede, Ugo Pecchioli, il quale affermò che "le radici del
fenomeno terroristico sono nella crisi italiana. Sbaglieremmo se lo riducessimo a un complotto e ad
operazioni di una sorta di "legione straniera". Per molti motivi, e in particolare per la solidarietà di
cui dispone e per le finalità che proclama, il terrorismo ha radici che affondano nel malessere e
nello sbando dei valori che colpiscono la nostra società (…). Se queste sono le caratteristiche e le
motivazioni dirette del terrorismo, sarebbe erroneo e fuorviante non tenere presente la possibilità di
manovre e interferenze politiche tendenti a influire e a utilizzare il terrorismo per scopi di
ribaltamento degli equilibri politici italiani. Nel sistema internazionale occidentale, il nostro è forse
il Paese in cui i processi democratici unitari di rinnovamento sono più avanzati. Come non pensare
che ciò induca forze reazionarie a giuocare anche sul tavolo della violenza?"10.
CONCLUSIONI
L'abbandono della tematica del complotto fu uno dei risultati a cui pervenne l'approfondimento
della analisi comunista sul terrorismo apertasi in novembre, all'indomani dell'insuccesso della
mobilitazione di protesta per l' attentato al vice-direttore della "Stampa" Carlo Casalegno, regstrato
nelle fabbriche torinesi.
Infatti, in questo contesto venne ripresa l'interpretazione del terrorismo secondo la teoria delle
"convergenze oggettive".
Nelle analisi successive a quell'episodio, si sostenne che il ricondurre l'intero fenomeno terroristico
ad un unico disegno costituiva una semplificazione errata. Inoltre, si sosteneva che tutte le
organizzazioni eversive convergevano nell'obiettivo di provocare una involuzione autoritaria della
società e dello Stato.
Tuttavia, nelle riflessioni sul terrorismo elaborate in questo periodo era ravvisabile il tentativo di
pervenire ad una interpretazione tale da superare sia la "teoria del complotto" sia quella delle
"convergenze oggettive".
9
Alessandro Natta, Perché hanno sequestrato e ucciso Aldo Moro, in Sezione centrale di stampa e
propaganda ( a cura di), ' Almanacco PCI '79', Roma, 1979, pg.89.
10
Ugo Pecchioli, Democrazia e classe operaia di fronte al terrorismo , Ivi, pg.84.
La recrudescenza di attentati terroristici di questo periodo aveva condotto il PCI a ritenere che le
interpretazioni del terrorismo elaborate nei mesi precedenti, fossero scarsamente esplicative. Ciò
poteva essere attribuito a due fattori. Il primo era costituito dall'assenza di elementi che
consentissero di correlare lo sviluppo del terrorismo di sinistra alle trame della fine degli anni '60,
risultando di difficile sostenibilità sia la tesi che riconduceva a un unico disegno la strategia della
tensione e l'eversione di sinistra sia quella che considerava convergenti queste due fasi. Il secondo
fattore era costituito dall'escalation del terrorismo brigatista, il quale, mantenendo oggettivamente
e/o soggettivamente aperta la possibilità di involuzioni reazionarie, impediva di escludere
aprioristicamente un legame tra la vecchia strategia della tensione e le nuove organizzazioni
terroristiche.
L'inesaustività della teoria delle "convergenze oggettive", portò il PCI ad enunciare un nuovo
elemento della propria linea sul terrorismo che si integrava in quella tematica: il concetto di
"complotto oggettivo".
Questo nuovo elemento modificava l'indicazione, data dal PCI nelle analisi precedenti, secondo cui
l'obiettivo principale del terrorismo era lo Stato democratico e gli equilibri realizzati dopo il 20
giugno. Secondo il concetto di "complotto oggettivo" infatti, l'eversione armata mirava non solo a
colpire gli equilibri politici e la democrazia ma, soprattutto, a ostacolare il processo di
socializzazione della politica.
Nel periodo immediatamente successivo al rapimento di Aldo Moro, venne introdotta nella linea
comunista l'ipotesi della "congiura internazionale", secondo la quale l'azione terroristica di via Fani
era il frutto, di un complotto esterno. Tale elemento differiva dalla vecchia teoria del complotto,
poiché esso individuava prevalentemente nel nostro Paese le centrali ispiratrici e organizzative del
terrorismo.
L'ipotesi della "congiura internazionale", non venne condivisa dall'intero gruppo dirigente.
Essa infatti suscitò un dibattito tra i dirigenti del Partito comunista. Gli esponenti comunisti, che
manifestarono il proprio dissenso dall'ipotesi della "congiura internazionale", sostennero la propria
tesi riprendendo la teoria delle convergenze oggettive. I dissensi suscitati dall'ipotesi della "congiura
internazionale" spinsero il PCI ad abbandonare, provvisoriamente, questa teoria.
Infatti, nell'ultima fase del sequestro Moro, il PCI, avanzò l'ipotesi dell' "uso politico", secondo la
quale vi erano alcuni settori del mondo politico e dell'apparato statale che utilizzavano
politicamente l'eversione.
L'ipotesi dell' "uso politico" sembrava avere maggiori affinità con la teoria delle convergenze
oggettive che con quella del complotto. Quest'ultima infatti, imputava le azioni di entrambi i settori
dell'eversione a un unico disegno. L'ipotesi dell' "uso politico", invece sosteneva che non vi era
un'identità ideologico-organizzativa tra i gruppi terroristici e i "fruitori politici" dell'eversione.
Essi, tuttavia, condividevano con i terroristi l'obiettivo politico rappresentato dalla ricerca della
rottura del quadro politico formatasi il 16 marzo.
Dopo la diffusione delle lettere del leader democristiano assassinato dalle Br, nella interpretazione
che il PCI dava dell'"affaire" Moro, si operò una connessione tra l'ipotesi dell' "uso politico" e
quella del complotto. Infatti, il PCI sembrava ritenere le due ipotesi si implicassero vicende-
volmente: l'ipotesi di un uso politico della vicenda delle lettere, infatti, avvalorava l'ipotesi che il
sequestro e l'assassinio del leader democristiano fossero stati originati da un complotto.
L'ipotesi del complotto, d'altra parte induceva il PCI a sostenere che vi erano alcuni soggetti che
attraverso la diffusione delle lettere, si prefiggevano finalità politiche convergenti con quelle degli
autori del complotto.
In questa fase si registrò il definitivo affermarsi di una bipartizione analitica nell'ambito della linea
comunista sul terrorismo, in cui veniva operata una distinzione tra una interpretazione generale
dell'eversione ed un'altra che aveva per oggetto il caso Moro.
Il PCI, infatti, sosteneva che il caso Moro fosse stato il prodotto di un complotto originato dalla
convergenza tra le Br e altri soggetti, esterni all'area del terrorismo.
Nell'interpretazione globale dell'estremismo armato, invece, venne mantenuta dal PCI la linea che
esso aveva elaborato nei mesi precedenti alla vicenda Moro. Infatti, nei mesi successivi, il
fenomeno della violenza eversiva avrebbe continuato ad essere interpretato secondo la teoria delle
convergenze oggettive.
Di fronte all'esplosione del terrorismo, che funestò il nostro Paese negli anni '70, l'atteggiamento del
PCI fu quindi caratterizzato da una serie di svolte prodotte dall'incalzare degli avvenimenti.
Tuttavia, l'emergere di difetti -anche gravi- di analisi, non poteva far dimenticare un valore storico
fondamentale rappresentato dal fatto che il Partito comunista, almeno dal 1977-78 in poi, fu un
cardine essenziale nella tenuta dello Stato democratico contro il terrorismo.