2
fonti secondarie, già individuate dal legislatore. Ciò è avvenuto, per
esempio, con la delibera n. 15911 pubblicata dalla Consob il 2 maggio 2007,
oggetto della presente trattazione.
L‟attenzione rimane alta dunque sulla tutela degli investitori e sulla
trasparenza dei mercati finanziari. Di recente i riflettori si sono poi accesi
sulle eventuali insidie che può nascondere il gruppo di società, anche alla
luce delle note vicende di cronaca finanziaria sull‟avvenuto trasferimento
del pacchetto di controllo di Telecom senza alcun passaggio dal mercato.
Non solo. La struttura di gruppo può inoltre danneggiare i creditori
rendendo incerti i confini patrimoniali delle singole società che ne fanno
parte “e generando la convinzione – spesso erronea – che l‟intero gruppo
garantisca per i debiti di ciascuna società”4. Attraverso le operazioni
infragruppo, è possibile anche allocare o riallocare gli asset tra le varie
società, con il risultato, più o meno intenzionale, di sottrarre attività a
danno degli stakeholder. Rebus sic stantibus, pur nella mancanza di uniformità
regolamentare, nessun Paese arriva però a proibire i gruppi di società: «In
effetti, anche strutture problematiche come quelle «piramidali » – gruppi
controllati da azionisti di minoranza attraverso catene di società holding
quotate – sono generalmente ammesse, nonostante esse rappresentino
l‟equivalente funzionale delle azioni a voto plurimo, la cui emissione è
invece spesso vietata».5
Ma tale fenomeno è pesantemente regolato in alcuni ordinamenti.
Si pensi alla Germania, dove si è dedicato un settore specifico
dell‟ordinamento societario ed una cospicua giurisprudenza. Se le corti
degli Stati Uniti, invece, ignorano ampiamente le strutture di gruppo, nel
Regno Unito, in Francia ed in Giappone si hanno molte previsioni
normative e casi giurisprudenziali in materia6.
L‟Italia si trova in una posizione intermedia tra i Paesi appena
indicati e la Germania, avendo di recente previsto una disciplina specifica
sui gruppi “ma assai più embrionale e parziale di quella tedesca” 7. Prima di
allora il fenomeno del gruppo di imprese era sconosciuto al codice, il quale
si limitava a considerare solo il rapporto di controllo tra società, al fine di
4
R.R. KRAAKMAN, P. DAVIES, H. HANSMANN, G. HERTING, K.J. HOPT, H. KANDA, E.B. ROCK,
The Anatomy of Corporate Law. A comparative and functional approach, Oxford University Press, Oxford 2004;
trad. it. L. ENRIQUES (a cura di), Diritto societario comparato, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 93 s.
5
R.R. KRAAKMAN, ivi, p. 94 s. Cfr. ivi, p. 69 ss; L. SPAVENTA, L’unica via è il capitalismo all’inglese, in
“Affari & Finanza – La Repubblica”, sottolinea come “in molti paesi nordici [sia] diffuso, o consentito,
l‟uso di azioni a voto plurimo: alcuni azionisti si intestano azioni che danno diritto a più voti di quelli
delle azioni ordinarie”; A. ROSATI, Disegno di legge n. 1624 “Delega del Governo in materia di controllo delle società
quotate e di contrasto al fenomeno delle cosiddette scatole cinesi”, in occasione dell‟Audizione del Vice Direttore
Generale della Consob alle Commissioni 2° (Giustizia) e 6° (Finanza e Tesoro) del Senato della
Repubblica, Roma, 25 ottobre 2007, p. 3 s., parla del fenomeno come “assai diffuso nei paesi scandinavi, in
Francia nella forma del voto doppio e, disponibile, sebbene di uso limitato, anche nei paesi anglosassoni,
ma attualmente non consentito in Italia, dove l‟azionista di controllo detiene azioni che hanno diritti
patrimoniali uguali alle altre ma un potere di voto maggiorato”.
6
Peraltro tutti i più importanti ordinamenti, compresi gli USA, impongono di redigere un bilancio
consolidato a beneficio dei creditori e degli azionisti di minoranza.
7
R.R. KRAAKMAN, op. cit., p. 95.
3
regolare l‟acquisto e la sottoscrizione di azioni della controllante da parte
della controllata: dall‟art. 23598 del Codice civile si ricavava la nozione di
società controllata. Lo stesso valeva per le numerose definizioni contenute
in leggi speciali a carattere settoriale9. È noto come nel 2004 il legislatore
italiano, introducendo nell‟ordinamento “una disciplina del gruppo di
imprese dotata di una qualche organicità”10, abbia evitato di fornire una
nozione di gruppo o di controllo11 ed abbia invece preferito soffermarsi
accuratamente sulla disciplina della responsabilità della controllante verso
i soci ed i creditori della controllata. Ma esso non ha mancato di prevedere
tratti di disciplina che guardassero al profilo organizzativo12, potendosi
così correttamente affermare l‟esistenza di “un compromesso tra due linee
di politica legislativa”13. A differenza del legislatore tedesco, che contempla
anche il gruppo di diritto14, quello italiano ha voluto disciplinare solo il
gruppo di fatto15, prescindendo anche dal tipo societario assunto
dall‟impresa16. Ciò amplia, in generale, il ruolo dell‟interprete nella
“ricostruzione della disciplina concreta della società di gruppo” 17 e, in
particolare, ai fini della presente trattazione. Infatti il legislatore italiano
non ha distinto neppure tra «gruppi con società quotate», che
rappresentano una realtà cospicua del nostro mercato finanziario, e
«gruppi senza società quotate», sebbene i problemi che pongono non siano
del tutto coincidenti18.
In ambito comunitario, il cosiddetto Rapporto Winter19, prendendo
atto dell‟ascesa della realtà del gruppo di imprese e ravvisandone la liceità,
non aveva valutato conveniente l‟introduzione di una disciplina organica di
8
Tale norma, sul cui testo è intervenuta la riforma del diritto societario, era stata già modificata dalla
Legge n. 216 del 1974 e poi sostituita dal Decreto legislativo n. 127 del 1991.
9
Vedi n. 180 con l‟elenco di tutte le leggi speciali in cui è presente una specifica nozione di controllo
settoriale.
10
U. TOMBARI, Riforma del diritto societario e gruppo di imprese, in “Giurisprudenza commerciale”, vol. 1,
2004, p. 61.
11
Sui motivi della mancanza di una nozione di controllo, si rinvia a quanto indicato nella Relazione di
presentazione della disciplina sui gruppi di società alla n. 202.
12
Cfr. U. TOMBARI, La nuova disciplina dei gruppi di società, in BENAZZO P., PATRIARCA S., PRESTI G.
(a cura di), Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, Giuffrè, Milano, 2003, p. 241 ss.; Riforma,
op. cit., p. 62 ss.: “Non sembra potersi dubitare, del resto, che l‟approfondimento dei profili organizzativi di
una società di gruppo sia ciò di cui la pratica esperienza sente maggiormente il bisogno”.
13
U. TOMBARI, Riforma, op. cit., p. 62, parla di Schutzrecht e di Organisationsrecht, cioè di disciplina sotto il
profilo della tutela e sotto quello dell‟organizzazione.
14
U. TOMBARI, Riforma, op. cit., p. 66, sottolinea come il gruppo di diritto si fondi sul cosiddetto
“contratto di dominio”, conosciuto nell‟esperienza tedesca ed esportato in altri ordinamenti, o sulla
cosiddetta “dichiarazione di gruppo”, proposta dal Forum Europaeum sul diritto dei gruppi.
15
Cfr. U. TOMBARI, La nuova, op. cit., p. 241 ss.
16
Cfr. U. TOMBARI, Riforma, op. cit., p. 67, che parla di Rechtsformneutral. Cfr. R.R. KRAAKMAN, op. cit.,
p. 106 ss.
17
Ibid.
18
U. TOMBARI, La nuova, op. cit., p. 241 ss.
19
Report of the High Level Group of Company Law Experts on a Modern Regulatory Framework for
Company Law in Europe, presentato il 4 novembre 2002,
http://ec.europa.eu/internal_market/company/docs/modern/report_en.pdf. Cfr. U. TOMBARI, Riforma, op.
cit., p. 78 s.
4
tale fenomeno. Tuttavia nello stesso documento si era suggerito di
garantire la trasparenza della struttura e dei rapporti di gruppo, si era
riconosciuto la rilevanza della teoria dei vantaggi compensativi – soluzione
che contempera l‟interesse alla politica unitaria di gruppo con la tutela dei
soci di minoranza e dei creditori – ed infine si invitava a prevedere, per le
società appartenenti a strutture piramidali, condizioni di ammissione alla
quotazione più rigorose20. A sua volta, la Commissione Europea, in una
comunicazione del 2003 sulla modernizzazione del diritto societario, in
risposta al ricordato rapporto, raccomandava agli Stati membri “di non
ammettere alle quotazioni società appartenenti a strutture piramidali
abusive”21. Sembrava dunque pacifico il grado di criticità del gruppo
piramidale, caratterizzato dalla dissociazione tra potere e rischio di
impresa, in quanto freno alla crescita ed allo sviluppo dei mercati
finanziari, che sottrae al mercato i trasferimenti del controllo proprietario,
riservandone i benefici a pochi eletti (si pensi al caso Telecom). Secondo
alcuni “ i gruppi piramidali sono fonte di possibili abusi e per questo
andrebbero fortemente scoraggiati”22 attraverso una via fiscale, vista la
facilità di elusione delle norme che sono finalizzate a ridurne la portata.
Altri propendono invece per la regolamentazione in dettaglio delle
operazioni con parti correlate23. È recente, a tale proposito, il documento di
consultazione, diffuso dalla Consob il 9 aprile del corrente anno, volto ad
introdurre una disciplina regolamentare in attuazione dell‟art. 2391-bis24
del Codice civile, al fine di contrastare i „benefici privati‟, cioè tutti quei
vantaggi che, in situazioni di conflitto di interessi, recano danno agli
stakeholder. L‟autorità di vigilanza ha proposto di affiancare altri obblighi,
volti ad assicurare la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni
con parti correlate, a quelli tradizionali di disclosure e di valorizzare l‟ufficio
degli amministratori indipendenti, affidando loro la responsabilità di
seguire le trattative e svolgere la conseguente istruttoria in occasione di
operazioni che rientrino in specifiche soglie di rilevanza. Tale policy risulta
apertamente in controtendenza con la proposta di legge delega, nella
passata legislatura, con primo firmatario il senatore Zanda, in materia di
controllo delle società quotate e di contrasto al fenomeno delle cosiddette
20
U. TOMBARI, Riforma, op. cit., p. 79, prevedeva: “Se queste saranno le linee di intervento in sede
comunitaria, la disciplina italiana potrebbe forse essere destinata ad alcune modifiche, nella conferma,
peraltro, dell‟impianto generale”.
21
Cfr. n. 224. Si rinvia al par. 4.1. del presente Capitolo.
22
S. MENGOLI, S. SANDRI, La via fiscale contro le piramidi, http://www.lavoce.info, 10 settembre 2007, p.
1.
23
Cfr. M. ONADO, La struttura proprietaria dell’impresa: società quotate e imprese medio-grandi, relazione al
XXII Convegno di studio su “Proprietà e controllo dell‟impresa: il modello italiano – Stabilità o
contendibilità?”, Courmayeur, 5-6 ottobre 2007, http://www.radioradicale.it; cfr. A. ROSATI, op. cit., p. 17.
24
CONSOB, Disciplina regolamentare di attuazione dell’art. 2391-bis del Codice civile in materia di operazioni con
parti correlate, documento di consultazione, 9 aprile 2008.
5
„scatole cinesi‟ che, di fatto, scoraggiava il „gruppo piramidale in senso
lato‟25.
In generale non si può invece criminalizzare il modello reale del
gruppo, che permette alle singole società che ne fanno parte di essere più
competitive, riducendone i rischi e aumentandone i vantaggi: riduzione al
minimo della pressione fiscale, allocazione efficiente dei costi di
monitoraggio e di sopportazione del rischio d‟impresa, salvaguardia degli
investimenti relativi a specifici affari. Occorre poi ricordare che la
competitività delle imprese italiane con quelle straniere, per molti decenni,
pur in un sistema di finanziamenti fortemente penalizzato come il nostro, è
stata possibile, oltre ai distretti industriali, anche grazie alla struttura
organizzativa del gruppo di imprese26. Per queste ragioni, già nel parere in
risposta alla Commissione, il Parlamento Europeo sottolineava come fosse
necessaria una più puntuale distinzione tra ciò che è abusivo e ciò che è
invece normale, nel timore di interventi regolamentari eccessivamente
restrittivi contro una realtà economica “legittima e utile”27. Su questa stessa
linea di opinione, si è levata la voce autorevole di chi dissuadeva, anche in
Italia, dal prevedere “provvedimenti drastici quali l‟esclusione dalle
negoziazioni”28. Risulta dunque fondamentale distinguere tra gruppi
piramidali – fenomeno da disciplinare sempre meglio – e „scatole cinesi‟,
ricettacolo di abusi da avversare. Nel primo caso, una società quota una sua
controllata operativa, mentre, nel secondo, si crea una catena di società, a
monte della quale vi sono solo società meramente finanziarie: «Siamo di
fronte a una libera organizzazione dell‟attività produttiva che può avere
una motivazione virtuosa (quotare una società per permetterle di reperire
risorse per finanziare la crescita) o una motivazione opportunistica:
controllare una società con poco capitale. Questo secondo tratto è tipico
delle scatole cinesi piuttosto che dei gruppi piramidali. Nel controllo
tramite scatole cinesi , e in minor misura nella struttura di gruppo, si
annidano anche conflitti di interesse».29
Resta comunque il fatto che il gruppo piramidale sia uno
strumento per la separazione tra proprietà e controllo, così come i patti di
sindacato. Proprio entrambi questi due fenomeni distinguono il nostro
25
Si rinvia al par. 2.1. del presente Capitolo, dove si dimostra come il progetto Zanda avesse un elevato
ambito di applicazione, al di là del mero fenomeno delle „scatole cinesi‟, e al par. 6 del Capitolo II, dove
sono indicate le drastiche soluzioni pratiche del presente disegno di legge e le conseguenti critiche.
26 U. TOMBARI, Riforma, op. cit., p. 64 s.
27
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla COM. (2003) 284 def., INT/186, 10
dicembre 2003, p. 8 (4.8.1).
28
A. TANTAZZI, Presidente di Borsa Italiana s.p.a., in “Indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle
imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio”, in audizione alle Commissioni Congiunte 6° (Finanza e
Tesoro) e 10° (Industria, Commercio e Turismo) del Senato e VI (Finanze) e X (Attività produttive,
commercio e turismo) della Camera dei Deputati, il 10 febbraio 2004, p. 29.
29
E. BARUCCI, Scatole, patti e scalate, http://www.lavoce.info, 27 luglio 2007, p. 1 s.
6
mercato finanziario da quello degli altri paesi30. Tuttavia queste differenze
non sembrano essere il riflesso di condizioni iniziali diverse, né tanto meno
di un diverso impulso dato dall‟ordinamento. Infatti all‟inizio dello scorso
secolo, un osservatore avrebbe fatto fatica a trovare differenze nei modelli
proprietari di Regno Unito, Germania ed Italia, i cui mercati erano tutti
caratterizzati da strutture fortemente concentrate. Allora il sistema inglese
non era più attento alla protezione degli investitori di quanto lo fossero
quelli tedesco o italiano. In seguito però le strutture proprietarie inglesi si
sono evolute, non grazie alla legge che lo imponeva, ma in forza
dell‟atteggiamento, sia degli imprenditori, che hanno realizzato, tra le due
guerre mondiali, un forte processo di concentrazione e diluizione del
controllo, sia degli amministratori, che hanno deciso di condividere i
benefici delle operazioni societarie con tutti gli azionisti. E ciò
indipendentemente da una regolamentazione dell‟Offerta pubblica
d‟acquisto (in seguito abbr. in Opa)31.
Attualmente la dottrina è abbastanza divisa circa i mutamenti sulla
concentrazione della proprietà32 in Italia. Se è vero però che il fenomeno dei
gruppi piramidali sembra tendere ad una qualche riduzione – “il grado di
complessità e la profondità de tali gruppi si sono drasticamente ridotti”33 –
tuttavia la “tutela degli azionisti di minoranza […] va ancora rafforzata”34.
La discussione sul tema della separazione tra proprietà e controllo nelle
imprese rimane dunque sotto i riflettori della politica. Nel programma di
governo dell‟Unione, nel 2006, si sottolineava la necessità di “incidere sulle
forme di chiusura proprietaria, come gruppi piramidali, accordi e patti di
sindacato”35 e si prevedeva l‟adozione di misure che limitassero l‟oggetto
dei patti di sindacato “a questioni proprietarie e non gestionali”36. Sviluppo
concreto di questo programma è sembrata essere, in chiave estremamente
drastica, la proposta Zanda, già al vaglio delle commissioni del Senato nella
passata legislatura, che ha scatenato ingenti reazioni in dottrina e tra gli
operatori del settore. Alle critiche puntuali sulle soluzioni prospettate, si è
aggiunto infatti il giudizio negativo circa gli interventi legislativi molto
stringenti sui profili riguardanti la struttura proprietaria delle imprese, che
30
Cfr. M. ONADO, op. cit.; contra P. MONTALENTI, Gli strumenti di controllo: i gruppi piramidali, relazione al
XXII Convegno di studio su “Proprietà e controllo dell’impresa: il modello italiano – Stabilità o contendibilità?”,
Courmayeur, 5-6 ottobre 2007, http://www.radioradicale.it.
31
Ibid.
32
M. BIANCHI, M. BIANCO, Stato, coalizioni e famiglie: l’evoluzione della governance dei gruppi quotati italiani,
relazione presso la Facoltà di Economia di Roma, Università di Roma – Tor Vergata, 16 dicembre 2005,
http://www.ceistorvergata.it/conferenze&convegni/5bianchi_bianco.pdf, non vedono segni di
cambiamento sostanziali (la riduzione del fenomeno delle piramidi societarie è compensato dall‟aumento
dei patti di sindacato); contra S. MENGOLI, S. SANDRI, La via, op. cit., p. 2; M. BELCREDI, C. DI NOIA,
Un’atomica contro le piramidi, http://www.lavoce.info, 28 giugno 2007, sottolineano come il numero delle
società stand-alone, cioè ”indipendenti”, sia raddoppiato dal 1978 al 2003.
33
L. CARDIA, Presidente della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (in seguito abbr. in
Consob), in Incontro annuale con il mercato finanziario del 9 luglio 2007, a Milano, p. 17.
34
M. DRAGHI, Governatore della Banca d‟Italia, Considerazioni finali, 31 maggio 2007.
35
AA.VV., Per il bene dell’Italia, Programma di governo 2006/2011, p. 124.
36
Ivi, p. 134.
7
rischiavano di “generare fenomeni di opacità”37. Dal canto suo, la proposta
Zanda ha valutato di fatto come insufficienti gli interventi, già disposti in
materia, da Borsa Italiana s.p.a. e dalla Consob. La prima ha infatti imposto
specifici requisiti di diversificazione degli investimenti, di limitazione sia
delle esposizioni verso uno stesso emittente, sia dell‟oggetto sociale, per
l‟ammissione alla quotazione delle Investment Companies38. Inoltre ha
impedito l‟ammissione a quotazione di quelle società, conosciute come
“scatole vuote”, il cui attivo è rappresentato in misura prevalente da
partecipazioni, per lo più di controllo, in altre società quotate39. La
seconda, con la delibera n. 15911, in attuazione della Legge sul risparmio, ha
individuato le condizioni per la quotazione di una società che ne controlla
un‟altra, costituita e regolata dalla legge di Stati esterni all‟Unione Europea,
le condizioni per la quotazione di una società sottoposta all‟altrui attività
di direzione e coordinamento e le condizioni per la quotazione di società
finanziarie. Secondo altri, invece, il legislatore italiano ha introdotto norme
particolarmente incisive in materia di gruppi di società40, e questi
interventi hanno rappresentato un progresso nel rafforzamento delle tutele
degli azionisti, pur non eliminando del tutto il fenomeno delle piramidi:
«Peraltro, invocare un nuovo intervento legislativo ad hoc, quando ancora si
devono applicare le leggi appena emanate e in presenza di un quadro
comunitario non ancora definito, correrebbe il rischio di ingenerare
ulteriore confusione. Si potrebbe, con più equilibrio, operare sul piano della
autoregolamentazione; potrebbero cioè essere le borse a porre vincoli più
stringenti alla quotazione di società appartenenti a piramidi e a richiedere
per quelle già quotate più forti tutele degli azionisti di minoranza nelle
ipotesi di operazioni infragruppo».41 Naturalmente l‟autoregolamentazione,
in capo alle società di gestione dei mercati regolamentati, pone il problema
37
R. RORDORF, XXII Convegno di studio su “Proprietà e controllo dell‟impresa: il modello italiano –
Stabilità o contendibilità?”, relazione introduttiva alla Prima Sessione, su “L‟impresa”, Courmayeur, 5-6
ottobre 2007, http://www.radioradicale.it
38
BORSA ITALIANA, Avviso n. 2355, 21 febbraio 2006, p. 2 (par. 4) che illustra le modifiche al
Regolamento mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana s.p.a., deliberate dall‟Assemblea della società
di gestione, nella seduta del 21 dicembre 2005, approvate dalla Consob con la delibera n. 15319 dell‟8
febbraio 2006 ed entrate in vigore il 1° marzo 2006. Cfr. A. TANTAZZI, op. cit., p. 27 s.; PEDRIZZI,
PONTONE (relatori), A conclusione dell’indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati
finanziari e la tutela del risparmio, doc. XVII n. 17 approvato dalle Commissioni riunite 6° (Finanze e tesoro) e
10° (Industria, commercio, turismo) del Senato, nella seduta del 24 marzo 2004, p. 94, dove ci si augura
“una progressiva esclusione delle società «scatole vuote» dal listino di borsa, nonché la creazione di un
mercato separato delle società che controllano altre società, ai fini di una maggiore trasparenza”.
39
L‟art. 2.2.1, punto 6, del Regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A.,
rubricato “Requisiti degli emittenti di azioni”, in vigore dal 23 luglio 2007, recita: “L’attivo di bilancio ovvero
i ricavi dell’emittente non devono essere rappresentati in misura preponderante dall’investimento o dai risultati
dell’investimento in una società le cui azioni sono ammesse alle negoziazioni in un mercato regolamentato”. Cfr. A.
TANTAZZI, op. cit., p. 28, che parla anche di moral suasion; S. MENGOLI, S. SANDRI, La via, op. cit., p. 1, che
spiegano come sia stato possibile eludere il presente disposto normativo.
40
P. MONTALENTI, Gli strumenti, op. cit., che riferisce proprio della delibera CONSOB n. 15911.
41
F. VELLA, All’ombra delle piramidi, http://www.lavoce.info, p. 2. Sulle operazioni infragruppo cfr. A.
ROSATI, op. cit., p. 17. Circa la funzione di listing e trading si rinvia al par. 2.1. del Capitolo II.
8
dell‟effettivo enforcement: la concorrenza tra mercati non incentiva, certo,
una maggiore rigidità nell‟ammissione a quotazione.
Rebus sic stantibus il fenomeno del gruppo appare ancora oggi come
un “campo problematico”42 almeno relativamente al suo impatto in Borsa.
In particolare, ai fini della presente trattazione, l‟attenzione sarà
concentrata sulla società sottoposta all‟altrui attività di direzione e
coordinamento aperta al mercato finanziario43, per verificarne la
compatibilità. Compatibilità tra il suo status di controllata, di società che “è
orientata alla realizzazione della Konzernpolitik”44 e quello di quotata, di
società che ha deciso cioè di raccogliere capitale di rischio sottoponendosi
al giudizio del mercato. Siamo di fronte dunque a due differenti modelli
reali di società, uno “diverso ed alternativo a quello della società
autonoma”45, l‟altro che pone più marcate questioni di tutela degli
investitori, entrambi forieri di una vasta gamma di potenziali conflitti di
interesse. Ciò richiede l‟intervento dell‟interprete nel quadro di “un diritto
pensato in positivo come disciplina dell‟attività”46 in quanto, proprio
durante lo sviluppo di quest‟ultima, tali conflitti prendono corpo47. Ecco
allora l‟utilità di definire lo „statuto organizzativo‟48 (par. 2.2.) di una
società che sia controllata e, allo stesso tempo, quotata, cioè l‟insieme delle
regole che ne indichino le modalità per l‟inizio, lo svolgimento e la
cessazione dell‟impresa.
Per fare ciò si è ritenuto necessario partire nel Capitolo I
dall‟individuazione della rilevanza del gruppo nell‟economia nazionale, con
particolare attenzione per la situazione nei mercati regolamentati (par. 1),
tenuto conto delle finalità che questa struttura organizzativa permette di
perseguire (par. 2), compresa, in particolare, la separazione tra la proprietà
ed il controllo (par. 2.1.). Quindi si è lasciato ampio spazio alle perplessità
presenti in dottrina, nel legislatore e in giurisprudenza (par. 3), anche alla
luce degli abusi ai quali il fenomeno si presta (par. 4). La trattazione di
specifici interventi legislativi, come la „teoria dei vantaggi compensativi‟
(par. 3.1.), coadiuvati da quelli regolamentari, come in materia di
ammissione a quotazione (par. 3.2.1.), ha permesso di valutare la volontà
generale di riconoscere la piena legittimità del fenomeno.
42
U. TOMBARI, Gruppi e diritto societario: profili metodologici, individuazione del problema e tecniche di
ricostruzione della disciplina, in I gruppi di società. Atti del Convegno internazionale di studi, Venezia 16 – 17 – 18
novembre 1995, Giuffrè, Milano, 1996, p. 2218, che cita, a sua volta P. SPADA, Gruppi di società, in “Rivista di
diritto civile”, II, 1992, p. 222.
43
Come aggiunto dall‟art. 2 del Decreto legislativo n. 51 del 28 marzo 2007, l‟art. 1, comma 1, let. w-ter,
identifica il mercato regolamentato con quello definite dall‟art. 4, punto 14 della direttiva 2004/39/Ce del
21 aprile 2004, conosciuta come Mifid (Market in Financial Instruments Directive).
44
U. TOMBARI, Gruppi e, op. cit., p. 2222.
45
Ivi, p. 2223 ss.
46
Ivi p. 2224 s. Ciò è stato in parte attuato dal legislatore con l‟introduzione degli artt. 2497 ss. Cfr. par.
3 del Capitolo I.
47
Cfr. ivi, p. 2226 ss.
48
Cfr. U. TOMBARI, La nuova, op. cit., p. 241 ss. e Riforma, op. cit., p. 73 ss.
9
Nel Capitolo II si è posto l‟accento sui diversi aspetti di policy che
caratterizzano l‟intervento della Consob in materia, circa la quotazione di
società controllate sottoposte all‟attività di direzione e coordinamento
(par. 3 e ss.), la quotazione di società finanziarie (par. 4) e di società che
controllano società estere extraeuropee (par. 5), per poi analizzare le
proposte, nella passata legislatura, del progetto Zanda (par. 6.1.) e le
conseguenti obiezioni (par.6.2.).
10
Capitolo I
Società di gruppo e quotazione
1. Il fenomeno dei gruppi
Solo a partire dal XIX secolo, l‟economia italiana vide la costituzione di
gruppi aziendali49. Intorno ad una società “madre” cominciarono a
svilupparsi infatti aggregati di imprese, legati tra loro da una comune
proprietà: al vertice della piramide c‟era una persona fisica che concentrava
su di sé la proprietà delle singole aziende. Proprio a queste condizioni
devono la loro grande fortuna le famiglie storiche del capitalismo nazionale
(Agnelli, Marzotto, Olivetti, Pirelli…), dalle quali, in certi casi, ancora oggi,
non possiamo prescindere. Allora esse si curarono di acquisire il controllo
di diritto o di fatto di altre imprese già esistenti, pur mantenendone
l‟indipendenza giuridica, e di costituire nuove società, formalmente
autonome ma da loro controllate, sul piano patrimoniale.
In Italia dunque la formazione di gruppi di società rappresenta un
processo naturaliter che contraddistingue il nostro sistema economico da
quelli stranieri, soprattutto di tradizione anglosassone, dove si preferisce il
modello della società multidivisionale, cioè un unico soggetto giuridico al
cui interno operano divisioni o dipartimenti, privi di una propria
personalità giuridica50. Per questa ragione si può affermare che “la struttura
organizzativa a gruppo non è un‟eccezione, ma la regola"51.
Del resto la forte concentrazione azionaria continua a
caratterizzare il nostro sistema economico52 ed a rappresentarne un limite,
anche se oggi esiste un rapporto più indiretto tra la persona fisica e le
società. Alle famiglie si sono in parte sostituite le coalizioni di soci53. Così
49
Cfr. P. DI TORO, Governance, etica e controllo, Cedam, Milano, 2000, p. 133 ss.
50
Questo almeno per quanto riguarda la forma organizzativa interna, mentre per l‟estero si preferisce il
modello di gruppo. Cfr. C. DEMATTÉ, La gestione dei gruppi: la prospettiva aziendale, in I gruppi di società. Atti del
Convegno Internazionale di studi, Venezia 16-17-18 novembre 1995, Giuffrè, Milano, 1996, p. 1121 s.; cfr. P.
MONTALENTI, Conflitto di interessi nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi , in Studi in onore di
Gastone Cottino, vol. 2, Cedam, Padova, 1997, p. 960.
51
C. DEMATTÉ, La gestione dei gruppi: la prospettiva aziendale, in I gruppi di società. Atti del Convegno
Internazionale di studi, Venezia 16-17-18 novembre 1995, Giuffrè, Milano, 1996, p. 1120. Cfr. M. BIANCHI, M.
BIANCO, Stato, coalizioni e famiglie: l’evoluzione della governance dei gruppi quotati ita liani, relazione presso la
Facoltà di Economia di Roma, Università di Roma – Tor Vergata, 16 dicembre 2005,
http://www.ceistorvergata.it/conferenze&convegni/5bianchi_bianco.pdf, p.1.
52
Si pensi, a titolo esemplificativo, alle famiglie Benetton, Berlusconi, Stefanel. Cfr. M. BIANCHI, M.
BIANCO, op. cit., p. 1 ss.
53
Cfr. A. VENTURA, Gruppi e mercato azionario, in I gruppi di società. Atti del Convegno internazionale di studi,
Venezia 16 – 17 – 18 novembre 1995, Giuffrè, Milano, 1996, p. 2327.
11
abbiamo gruppi in cui ciascuna società è giuridicamente autonoma,
sebbene legata da vincoli patrimoniali alle altre e sotto la direzione di un
unico vertice: la holding.
Il fenomeno dei gruppi di società è andato sempre più
diffondendosi in Italia, non solo riguardo alla maggiore imprenditoria
italiana, ma anche alle piccole e medie imprese, che da sempre
caratterizzano il substrato economico nazionale54. Già nel 1994, il 10%
delle imprese, con un numero di dipendenti tra le dieci e le venti unità, ed il
15% di quelle con un numero di dipendenti tra venti e cinquanta, potevano
essere ricondotti al fenomeno del gruppo. La percentuale saliva a circa un
terzo per le imprese con addetti tra le cinquanta e le cento unità. Il
fenomeno caratterizzava poi le medie imprese (tra le cento e le duecento
persone occupate) in misura del 70%, fino ad arrivare ai quattro quinti
delle realtà societarie medio-grandi (tra i duecento e i mille occupati) ed
alla stragrande maggioranza delle grandi società (oltre mille dipendenti)55.
Di particolare interesse è il dato fattuale, aggiornato al 2003, fornito
dall‟Istituto nazionale di statistica (in seguito abbr. in Istat) sui gruppi di
imprese in Italia e riguardante tutte le società di capitali, quotate e non
quotate su mercati regolamentati56. In base a tale studio, nel 2003 i gruppi
di imprese si assestano su un numero di oltre 59 mila unità (+14% rispetto
al 2002), comprendenti più di 138 mila imprese attive residenti, le quali
danno occupazione a oltre 5,1 milioni di dipendenti (+4% rispetto all‟anno
prima)57. Nell‟ambito dell‟Archivio statistico delle imprese attive (in
seguito abbr. in Asia), i gruppi coinvolgono il 3,2 % delle unità attive, circa
un terzo degli occupati e del volume di affari58. L‟incidenza è però maggiore
guardando alle sole società di capitali: i gruppi rappresentano il 20%,
pesando sull‟occupazione di oltre il 57%.
54
Cfr. P. DI TORO, Governance, etica e controllo, Cedam, Milano, 2000, p. 139 ss, che arriva a considerare in
una chiave originale il relativo “nanismo” che caratterizza le piccole imprese italiane: “In effetti, se […] si
considerassero i gruppi come aziende unitarie ma multidivisionali, saremmo di fronte a un numero ben
maggiore di grandi società; d‟altra parte, a livello di dimensione, solo considerando i gruppi comprendenti
società quotate, occorrerebbe moltiplicare la «grandezza» di queste ultime per decine e decine di volte sì
da avere reale conoscenza della loro portata”.
55
Cfr. M. BIANCO, L. CANNARI, R. CESARI, C. GOLA, G. MANITTA, G. SALVO, L. F. SIGNORINI,
Assetti proprietari e mercato delle imprese. Proprietà, modelli di controllo e riallocazione nelle imprese industriali italiane,
vol. I, Il Mulino, Bologna, 1994, cap. 5.
56
ISTAT, Statistiche in Breve: I gruppi di imprese in Italia – Anno 2003, 3 marzo 2006. Le informazioni sono
tratte dall‟Archivio statistico dei gruppi di imprese, costruito in base ai Regolamenti europei nn. 2186/93
e 696/93 e realizzato integrando fonti amministrative (Archivio Soci delle Camere di commercio, Bilanci
Civilistici e Consolidati e archivio delle Partecipazioni Rilevanti della Consob) e fonti statistiche. Per
gruppo di imprese, il Regolamento europeo n. 696/93, intende “un‟associazione di imprese retta da legami
di tipo finanziario e non”, avente “diversi centri decisionali, in particolare per quel che concerne la
politica della produzione, della vendita, degli utili” e in grado di “unificare alcuni aspetti della gestione
finanziaria e della fiscalità”. Il gruppo si caratterizza come “l‟entità economica che può effettuare scelte
con particolare riguardo alle unità alleate che lo compongono”.
57
ISTAT, Statistiche in Breve: I gruppi di imprese in Italia – Anno 2002, 21 aprile 2005: nel 2002 i gruppi erano
oltre 52 mila (+ 1,6% rispetto all‟anno precedente), comprendendo 123 mila imprese attive residenti ed
occupando oltre 4,9 milioni di addetti (+ 2,7% rispetto al 2001).
58
ISTAT, 2003, op. cit., p. 1, n. 4: tali statistiche circa il volume d‟affari non contemplano le imprese che
operano nel settore dell‟Intermediazione monetaria e finanziaria.
12
La struttura dei gruppi italiani è fortemente polarizzata: nel nostro sistema
economico convivono pochi gruppi di grandi dimensioni, dal rilevante peso
economico, e molti gruppi di piccola e piccolissima dimensione59.
Tabella 1. OCCUPATI NEI GRUPPI60
Classi di
addetti
n. gruppi % n.
imprese %
n. addetti %
1-19 38.045 63,4 65.155 46,9 239.226 4,7
20-99 15.599 26,0 36.394 26,2 691.950 13,5
100-499 5.016 8,4 18.755 13,5 1.019.649 19,9
500-4999 1.216 2,0 12.513 9,0 1.513.669 29,5
≥ 5000 87 0,1 6.115 4,4 1.658.631 32,4
TOTALE 59.963 100,0 138.932 100,0 5.123.125 100,0
Guardando invece al numero di imprese attive all‟interno del gruppo, si
può notare come nel 38% dei casi, vi sia un‟unica impresa attiva. Ciò è
dovuto a due cause principali: vincoli di controllo con unità legali non
appartenenti al campo di osservazione di Asia oppure con unità non
residenti sul territorio nazionale. I gruppi che hanno due imprese attive al
proprio interno sono il 40,2% del totale. Circa l‟80% dei gruppi è composto
da strutture molto elementari, di cui fanno parte oltre 70 mila imprese, più
della metà di quelle appartenenti ai gruppi. I gruppi con un numero
maggiore di imprese che li compongono sono pochi: il 4,1% hanno da 5 a 9
imprese attive, interessano il 10,8% delle imprese e presentano un peso
occupazionale contenuto (16,4%). I gruppi con una struttura più
complessa sono una esigua minoranza (poco più dell‟1%), riguardano il 15%
circa delle imprese soggette a tale modello organizzativo, ma hanno un
ruolo decisivo in termini di occupazione, pari al 38,2% degli addetti.
59
Cfr. P. MONTALENTI, Società quotata e gruppi, in Le società quotate, vol. IV, tomo II del Trattato di diritto
commerciale, diretto da COTTINO G., Cedam, Padova, 2004, p. 354, fotografa il fenomeno di gruppo, sia in
Borsa, sia nell‟area della piccola e della media impresa.
60
ISTAT, 2003, op. cit., p. 2, tavola n. 1, Gruppi, imprese e addetti appartenenti a gruppi per classi di addetti - Anno
2003 (valori assoluti e quote percentuali).
13
Tabella 2. NUMERO DI IMPRESE PER GRUPPO61
n.
imprese
attive nei
gruppi
n. gruppi % n.
imprese % n. addetti %
1 22.799 38,0 22.799 16,4 631.833 12,3
2 24.116 40,2 48.232 34,7 864.685 16,9
3-4 9.852 16,4 31.942 23,0 829.308 16,2
5-9 2.472 4,1 14.968 10,8 839.705 16,4
10-49 652 1,1 11.025 7,9 1.133.322 22,1
50 e oltre 72 0,1 9.966 7,2 824.272 16,1
TOTALE 59.963 100,0 138.932 100,0 5.123.125 100,0
L‟importanza del fenomeno dei gruppi con una sola impresa attiva
residente è sottolineata da più fattori: nel 17,9% dei casi si tratta di imprese
residenti in Italia ma sottoposte a controllo estero62, la cui dimensione
media è di 27,7 addetti, più elevata in maniera significativa di quella dei
gruppi composti da 2 a 4 imprese (pari a 17,9 e 25,2 addetti). L‟indice di
asimmetria dimensionale63 delle imprese nei gruppi assume in queste due
classi valori compresi tra 50 e 70. Notevolmente più contenuta risulta,
invece, la percentuale (3 e 4,1%) di gruppi a controllo estero con una sola
impresa o con imprese da 2 a 4.
I gruppi composti da 5 a 9 imprese presentano in media 6,1 imprese
di piccola dimensione (53,3 addetti) ed occupano complessivamente 339,7
addetti. L‟indice di asimmetria dimensionale in questo caso è pari a 82,9, ad
indicare una crescente disomogeneità dimensionale tra le imprese
all‟interno dei gruppi. La percentuale a controllo estero sale all‟8,7% mentre
soltanto il 2,7% è quotato.
I gruppi della classe da 10 a 49 imprese sono composti da imprese
di dimensione media (91,6 addetti) e presentano un ulteriore valore
crescente dell‟indice di asimmetria dimensionale. Essi assorbono in media
1.738,2 addetti. Sono soggetti ad un controllo estero nel 13,2% dei casi,
mentre il 14,9% è quotato.
Infine i gruppi con 50 imprese e oltre sono strutture di grandi
dimensioni (11.448,2 addetti in media) organizzate in un numero elevato di
imprese, relativamente più piccole rispetto alla classe precedente (138,4
61
Ibid.
62
Questi gruppi vengono indicati, con terminologia Eurostat, pseudo-gruppi e costituiscono unità che
devono essere registrate nell‟archivio. Si veda: Business Registers Recommendation Manual, Charter 21 (Eurostat).
63
ISTAT, op. cit., p. 2, n. 6: tale indice di dispersione è costruito confrontando la dimensione media,
calcolata secondo la media aritmetica e quella calcolata secondo la media entropica, delle imprese
all‟interno del gruppo. La media entropica è data da: ME=exp(∑jLij/LilogLij), dove Li è il numero di addetti
totali del gruppo i esimo e Lij è la quota di occupazione dell‟impresa jesima appartenente al gruppo
iesimo. L‟indice di dispersione è: J = (1 MA/ME)) *100, dove MA è la media aritmetica e ME la media
entropica. Dunque, un valore prossimo a 100 indica la presenza di una o poche imprese di grandi
dimensioni e di più unità di dimensioni relativamente ridotte, mentre un valore tendente a zero attesta
l‟esistenza di gruppi di imprese perfettamente omogenei sotto il profilo dimensionale.
14
imprese di dimensione intorno ai 90 addetti). Ciò presuppone l‟esistenza di
poche grandi unità fulcro dell‟attività del gruppo e di altre con
dimensioni significativamente più ridotte che svolgono attività ausiliarie e
di supporto. L‟indice di asimmetria dimensionale, assumendo un valore
vicino al massimo (98,9), mette in risalto la maggiore parcellizzazione delle
attività in imprese solo formalmente autonome. Questa classe di gruppi
risulta a controllo estero in misura minore rispetto alla precedente(4,2%).
Significativo è invece il numero di gruppi quotati in borsa (48,6 %).
Tabella 3. DIMENSIONE MEDIA DEI GRUPPI64
n. imprese
attive nei
gruppi
in termini
di
imprese
(a)
media
addetti
nelle
imprese
(b)
in
termini
di addetti
(c)
indice di
asimmetria
(d)
%
gruppi a
controllo
estero
%
gruppi
quotati
1 1,0 27,7 27,7 0,0 17,9 0,1
2 2,0 17,9 35,9 50,0 3,0 0,1
3-4 3,2 25,2 84,2 68,7 4,1 0,5
5-9 6,1 53,3 339,7 82,9 8,7 2,7
10-49 16,9 91,6 1.738,2 93,0 13,2 14,9
50 e oltre 138,4 90,3 11.448,2 98,9 4,2 48,6
TOTALE 2,3 25,2 85,4 35,9 9,2 0,5
Considerando la forma giuridica del vertice dei gruppi, classificati in base
al numero di addetti occupati, si può osservare che le due classi minori
presentano caratteristiche simili. In entrambe domina, con percentuali
analoghe, rispettivamente nel 44,7 e nel 39,4% dei casi, la forma al vertice
della persona fisica. Le Spa al vertice sono in numeri limitati (appena il 7,8
ed il 16,3%). La quota di controllo pubblico non è significativa. In media,
essi svolgono soltanto da 1,4 a 1,7 attività diverse e sono presenti in una sola
regione.
I gruppi di dimensione molto grande (5000 addetti e oltre), invece,
confermano la loro maggiore articolazione organizzativa anche riguardo al
numero di attività svolte (10,8) e di regioni in cui operano (5,9). I vertici
costituiti in forma di Sapa raggiungono, rispetto alle altre classi, una
percentuale rilevante, pari al 3,4%. La forma giuridica della Spa ha
particolare fortuna, per il vertice del gruppo, nelle classe media (100-499
addetti) e in quelle grandi (da 500 addetti), pur perdendo terreno, nella
classe più grande, in favore del tipo reale della Sapa e del controllo
pubblico (16,1%)65.
64
Ivi, p. 4, tavola n. 2, Indicatori dimensionali e sulla struttura organizzativa dei gruppi - Anno 2003 (quote
percentuali).
65
Cfr. Ivi, p. 4 s., tavola n. 3, Imprese e addetti appartenenti a gruppi a controllo pubblico e a partecipazione congiunta
di più soggetti pubblici, per settore di attività economica - Anno 2003 (valori assoluti).
15
Tabella 4 FORMA GIURIDICA DEI VERTICI66
Classe di
addetti
nei
gruppi
%
Sapa
%
Spa
%
Persona
fisica
67
%
a
controllo
pubblico
n. medio di
attività
economiche
svolte dal
gruppo68
n. medio
di regioni
in cui
opera il
gruppo
1-19 0,1 7,8 44,7 1,0 1,4 1,1
20-99 0,2 16,3 39,4 0,9 1,7 1,1
100-499 0,5 30,2 25,4 1,8 2,2 1,4
500-4999 0,8 30,4 16,3 2,6 3,8 2,3
≥ 5000 3,4 24,1 9,2 16,1 10,8 5,9
Totale 0,2 12,4 41,1 1,1 1,6 1,1
Abbiamo visto sopra come il numero dei gruppi sia aumentato dal 2002 al
2003 del 14%. Tale incremento è da attribuire prevalentemente ai gruppi di
piccolissima dimensione (da 1 a 19 addetti) per un totale di 5.087 nuovi
gruppi (il 15,4 per cento in più rispetto all‟anno precedente e che
costituisce più della metà dei nuovi gruppi). Occorre evidenziare poi una
sostanziale stabilità dei gruppi economicamente significativi: nella classe
dimensionale maggiore (5000 addetti ed oltre) la variazione percentuale
assume un valore negativo, alla quale però corrisponde una riduzione di
scarsissima rilevanza, sia in termini di numero di gruppi, sia in termini di
addetti.
Consideriamo quindi solo i gruppi aventi almeno due imprese
attive, pari a 37.164, che coinvolgono però 4.491.292 addetti. Tra questi solo
2.685 gruppi hanno una espansione multinazionale, cioè hanno imprese
controllate localizzate anche all‟estero (pari al 7,2%, con una incidenza del
42% sul totale degli addetti). I gruppi costituiti da imprese, cioè centri
decisionali, presenti in più ripartizioni ma non all‟estero, sono 3.411 gruppi
(9,2% del totale) ed occupano il 22,8% degli addetti, mentre quelli attivi
nell‟ambito di una sola ripartizione sono 1.257 (3,4% con il 3,9% di
addetti). La maggior parte dei gruppi (29.811) ha invece imprese localizzate
nel territorio di una sola regione (80,2%, con un peso occupazionale pari al
31,3%). I gruppi con il vertice nell‟Italia settentrionale evidenziano una
propensione all‟espansione multinazionale superiore alla media nazionale:
nel Nord ovest è la Lombardia ad avere il maggior numero di gruppi
multinazionali (9,7% e 56,7% di addetti) mentre nel Nord est il primato
spetta al Friuli (11,9%, con un peso occupazionale pari al 53,2%)69. Le altre
regioni, come è facile dedurre, presentano invece una propensione
all‟espansione multinazionale inferiore alla media nazionale. Nell‟Italia
66
Vedi n. 64.
67
Sono stati riuniti i vertici persona fisica non costituiti in forma di unità legale e i vertici persona fisica
costituiti in forma di impresa individuale.
68
A livello di Divisione della classificazione Ateco 2002.
69
I gruppi situati in Piemonte sono però di dimensioni più rilevanti (74,5% in termini di addetti).