2
La matrice di sogno sociale è uno strumento di conoscenza del contesto attraverso
i sogni delle persone che lo abitano, ed un modello operativo trasformativo del pensiero
attraverso le libere associazioni e le amplificazioni tematiche. Non è un gruppo
terapeutico, bensì uno strumento che permette, in prima istanza, l’osservazione del
funzionamento mentale di un gruppo attraverso l’esplorazione dei sogni. Così come la
mente è un processo che riflette una struttura, i sogni riflettono la realtà nella quale il
sognatore è inserito. Il Social Dreaming rappresenta la possibilità di studiare la
funzione sociale dei sogni, e di utilizzare il pensiero associativo col compito di originare
un pensare originale, che sia il frutto di una co-creazione collettiva.
Le “esperienze” oniriche rappresentano il punto di unione tra l’individuo e il
gruppo. Entrambi sono influenzati dall’atmosfera nella matrice, che, a loro volta,
contribuiscono a formare attraverso il racconto dei sogni, lasciandosi andare alle
associazioni ed alle amplificazioni tematiche. Tutto ciò viene riflesso nei sogni, in un
processo circolare che viene presentificato nell’hic et nunc della matrice. Per spiegare
cos’è la matrice sociale dei sogni, si può cominciare col fare riferimento all’etimologia
della Social Dreaming Matrix. Con “Social” si intende un taglio sociale della tecnica, o
anche un atteggiamento teso verso tematiche sociali. Con “Dreaming” si fa accenno al
processo onirico che avviene nel gruppo, e che costituisce il “motore” della tecnica. Con
“Matrix” si intende indicare un luogo “altro”, nuovo e predisposto alla nascita di
qualcosa che prima non c’era, disponibile alla creatività. La matrice permette di “vedere
i riflessi” dell’ambiente sociale nei sogni dei partecipanti. La Social Dreaming Matrix è
uno spazio che W. Gordon Lawrence definisce “multiverso”, dove i riferimenti spazio-
temporali sono rivoluzionati dai luoghi eterni dei sogni, in una dialettica scandita dalle
associazioni fulminee che i partecipanti lasciano “accadere” sulla scia delle immagini
narrate. L’amplificazione tematica crea nuovi possibili “sensi”, che sono sia “sensi di
marcia” e quindi direzioni nel percorso di scoperta, che sensi ermeneutici e quindi
trasformazioni dei processi di pensiero.
Il taglio e la modalità con cui sono stati affrontati ed esaminati i vari aspetti
teorici della Social Dreaming Matrix sono relativi alle finalità di questa tesi, ossia la
presentazione di una particolare tecnica di lavoro con (e su) sogni e associazioni,
nonché amplificazioni dei sogni. La trattazione teorica degli argomenti non è né
completa per ampiezza né esaustiva per approfondimento, poiché la tecnica oggetto di
questa tesi è in attuale e veloce formulazione e sviluppo.
3
Nel primo capitolo si tenta un excursus storico-antropologico sull’argomento
“sogno”, con la consapevolezza che la letteratura, scientifica e non, su tale tema, è così
ampia da scoraggiare ogni tentativo, compiuto nel corso di una tesi di laurea, di fornirne
una panoramica esauriente. Molti lavori più o meno recenti sui sogni saranno inoltre
trascurati per focalizzare lo studio sulle ricerche neuroscientifiche che possono essere
messe in relazione al sogno sociale.
Anche la storia della considerazione che i sogni hanno avuto nei secoli, è parziale
in quanto orientata principalmente verso quei fenomeni religiosi e culturali, politico ed
ambientali che, più di altri, sembrano essere correlati con la tecnica oggetto di questa
tesi. Il criterio usato nella scelta del materiale storico è quello della rilevanza sociale
data ai sogni negli usi e costumi dell’antichità. Per quel che riguarda il materiale teorico
sui sogni, la scelta è stata focalizzata su quegli autori che lo stesso Gordon Lawrence
(2003) ha indicato nei suoi testi, autori che ne hanno influenzato la formazione ed il
lavoro. Nel presentare queste opere ho inteso fornire le basi teoriche dalle quali il Social
Dreaming si è poi sviluppato.
Il secondo capitolo inizia con l’esposizione degli approcci al sogno di Freud, Jung
e Bion. Prosegue con la descrizione dettagliata del modello della Social Dreaming
Matrix di W. Gordon Lawrence, con particolare riferimento al setting, alle finalità della
tecnica ed ai suoi utilizzi nelle istituzioni e nelle organizzazioni come strumento di
ricerca nell’azione.
Nel terzo capitolo vengono osservati alcuni particolari fenomeni del Social
Dreaming a partire dal vertice dell’approccio olistico, con riferimento alla Teoria del
Caos. Fra i fenomeni spiegati a partire da questa prospettiva vi è quello del “Butterfly
effect” e dell’importanza che le condizioni iniziali assumono nei sistemi complessi. Si è
fatta l’ipotesi, basata sull’osservazione dell’importanza dei primi sogni portati ad un
Social Dreaming, che la matrice sia altamente sensibile alle condizioni in cui si trova il
gruppo a inizio seduta.
Nel quarto capitolo viene delineato il piano di ricerca, la progettazione, la
costruzione e la somministrazione degli strumenti di indagine. Obiettivo della ricerca è
l’indagine qualitativa delle caratteristiche del modello della Social Dreaming Matrix. I
soggetti indagati sono 31 studenti di psicologia e 5 conduttori esperti di Social
Dreaming. La principale ipotesi che la ricerca tenta di verificare riguarda la correlazione
4
tra i contenuti tematici e la struttura narrativa dei sogni, e l’ambiente di vita del
sognatore.
Nel capitolo quinto viene svolta l’analisi qualitativa e quantitativa dei dati ricavati
dai questionari e dalla scala di atteggiamento somministrate agli studenti che hanno
partecipato alla Social Dreaming Matrix. I risultati così ottenuti vengono discussi in
rapporto ai fini della ricerca.
Nei risultati del sesto capitolo viene trovato un approfondimento ideale al
modello della Social Dreaming Matrix così come è stato descritto nel secondo capitolo.
Vengono analizzate le risposte fornite dai conduttori nelle interviste somministrate nei
mesi di ottobre e novembre del 2004. Vengono altresì riportate le osservazioni compiute
sull’E.P.G.
1
a Torino nell’a.a. 2002/2003, sviluppandole con l’analisi dei temi dei sogni.
Le osservazioni sul fenomeno sogno e sulla sua funzione sociale hanno tenuto conto
dalle seguenti dimensioni: storica, etno-antropologica, interpretativa, ontologica e
culturale-creativa.
Nel settimo ed ultimo capitolo vengono discussi i risultati della ricerca,
delineando gli aspetti conclusivi della tesi.
Nella realizzazione di questo lavoro sono grato al Prof. M. Gasseau per avermi
trasmesso un atteggiamento di Umiltà davanti ai sogni. Devo i miei ringraziamenti al
Dott. Omar Fassio per la competenza offertami nel lungo lavoro di analisi dei dati.
Ringrazio la Dott.ssa Lilia Baglioni e la Dott.ssa Franca Fubini per le preziose matrici
di Social Dreaming che convocano mensilmente a Roma, ad alcune delle quali ho
partecipato e continuerò a partecipare con vivo interesse. A W. Gordon Lawrence il mio
vivo ringraziamento per l’interessamento mostrato fin da subito alla ricerca. Ringrazio
per la disponibilità la Dott.ssa Giovanna Cantarella, la Dott.ssa Wilma Scategni e la
Dott.ssa Angela Sordano. Ringrazio per la possibilità ad un confronto originale l’Ing.
Deben Salemme, l’Ing. Paolo Merci ed il Dott. Enrico Pastore. Ringrazio inoltre, per
l’attenta rilettura della tesi, Sandra, Giancarlo, Erica, Claudia, Oriana e Manuela.
Ringrazio inoltre i miei genitori, i miei amici di Robilante ed il mio gruppo di
psicodramma di Torino per il sostegno affettivo; Maura Franchino e Leandra Perrotta
per l’appoggio fraterno. Il mio ringraziamento va, infine, a coloro ai quali ho dedicato
questa tesi: i sogni, con i loro sognatori.
1
L’esperienza pratica guidata è un’attività formativa di tipo seminariale prevista nello statuto del
Corso di laurea in Psicologia del Vecchio Ordinamento.
5
CAPITOLO I
PROSPETTIVE STORICHE E SOCIOCULTURALI
DELLA SOCIAL DREAMING MATRIX
«Un giorno ho scoperto che la storia personale
non mi era più necessaria e l’ho abbandonata».
Carlos Castaneda
Questo capitolo ha lo scopo di rintracciare le possibili radici del sogno sociale
nella storia. A questo proposito verranno ripercorse alcune importanti tappe dello
sviluppo dell’Uomo, a partire dalle tradizioni orali dei primitivi, fino a giungere alle
prime forme scritte di cultura e di religione, con un breve accenno alla più recente
letteratura.
1.1 Gli albori del sogno
Ogni epoca della civiltà umana possiede un proprio modo di concepire e spiegare
i fenomeni dell’esistenza, fenomeni ai quali appartiene anche l’attività onirica. Il modo
in cui l’uomo si è avvicinato alle manifestazioni psichiche ha determinato il modo in cui
ha concepito e studiato il mondo onirico. Da sempre l’uomo si chiede come mai egli
abbia bisogno ogni giorno di dormire e sognare e come ciò avvenga. I precedenti storici
di tali bisogni si trovano nei documenti più antichi della letteratura e della scienza, quali
i poemi omerici, gli scritti dei pre-socratici, di Platone, Ippocrate, Galeno, i documenti
della Scuola salernitana, le riflessioni di Cartesio, fino a giungere alle ipotesi di Pavlov.
Le popolazioni arcaiche consideravano le esperienze fatte in sogno al pari di
quelle diurne, ritenendo che la vita non iniziasse nel momento in cui vengono aperti gli
occhi dopo aver trascorso una notte di sonno, né che si interrompesse, seppur
momentaneamente, nell’attimo in cui li si richiudono andando a dormire. La concezione
del sogno per i popoli primitivi, dove l’inconscio prevale sulla coscienza, segue
concettualmente quella dell’energia che essi credevano animasse tutte le cose. Per
questo la vita era considerata come un flusso continuo di eventi vissuti in stati di
coscienza differenti, ma non auto-escludentisi. Nel suo libro Il ramo d’oro, il
pionieristico antropologo scozzese James Frazer osservò che al risveglio dopo un sogno,
6
un indio del Brasile sarebbe stato fermamente convinto che, la sua anima, era andata via
dal suo corpo durante il sonno, a fare quello che aveva vissuto in sogno. Da ciò derivava
una fiducia nei sogni tale da far prendere decisioni basate sulle visioni oniriche, come
quella di abbandonare il villaggio se qualcuno aveva sognato che i nemici stavano per
attaccare. Quando un individuo lascia il corpo per vivere delle esperienze su altri piani,
secondo gli indios dell’Amazzonia, talvolta combatte contro altri esseri e le ferite che
vengono subite durante questo combattimento sono riportate “al di qua”, indicando così
che non esiste una vera separazione tra lo stato di veglia e quello di sonno. Secondo
questa antica concezione, il flusso della vita è continuo e non si interrompe nel
momento di chiudere gli occhi. Allo stesso modo la fase onirica è uno stato alterato di
coscienza dove si continuano a fare esperienze che possono concorrere alla crescita e
all’evoluzione di tutta l’umanità. L’identificazione del sogno come differente vibrazione
dello stato di veglia si basa su di una concezione della realtà che non coincide con
quella della verità. Quello che l’uomo vede non viene considerato essere la verità
assoluta, ma solamente una realtà relativa al suo vertice di osservazione. C’è una
sostanziale diversità tra la verità e la realtà, perché la verità è una realtà oggettiva che
coglie l’essenza della cosa in questione, mentre la realtà comune è qualcosa di
soggettivo che si coglie in base a un modo di decodificare dei segnali.
Un’esperienza vicina alla concezione sciamanica, ed estranea alla mentalità
dell’uomo occidentale del XX secolo, la si ritrova nelle opere dell’etnologo e
antropologo peruviano Carlos Castaneda (1972). Le rivelazioni esoteriche dello
sciamano protagonista di Viaggio a Ixtlan vanno nella direzione della possibilità di
attingere ad arcane energie dello spirito che la razionalità del mondo occidentale ha
soffocato e ormai dimenticato. Secondo tale visione, il sogno, se sapientemente
indirizzato e coltivato, permetterebbe una condizione di distacco da tutto quanto è
terreno e materiale, per inoltrarsi in dimensioni diverse. In ciascun individuo, secondo
lo sciamanesimo, giace nascosta un’altra consapevolezza: la consapevolezza dell’altro
io, che permette un’apertura a nuove percezioni e, di conseguenza, a nuovi modi di
esperire il mondo della vita quotidiana. Jodorowsky, inventore della “psicomagia” e del
teatro “panico”, scrive:
“Non siamo noi a sognare, non chi dorme né chi sta sveglio nel sogno, ma è l’Io
collettivo che sogna, è l’essere cosmico che ci usa come canale per far evolvere la
coscienza umana” (Jodorowsky, 2004, p. 194).
7
Effetto di tali acquisizioni è la ridefinizione dei concetti di sogno e realtà.
Quest’ultima, essendo una descrizione insegnata ai bambini dagli adulti, diverrebbe
passibile di trasformazione attraverso i sogni stessi.
Gli aborigeni dell’Australia parlano del tempo della creazione come del Tempo
del Sogno. Va subito rilevata l’analogia della filosofia aborigena sul sogno con quella di
Gordon Lawrence, che procede nella trattazione della tecnica del Social Dreaming a
partire dall’ipotesi che, prima, ci sia il sognare:
“Sto ipotizzando che cognizione e coscienza nascono dal pensiero, che avrà
la sua base nel sognare” (W. Gordon Lawrence, 2004, p. 343).
G. Ròheim (1952), studiando sul campo gli Aranda australiani, riporta come
costante comune di miti e sogni il fatto che l’ambiente venga considerato il frutto
dell’attività dell’uomo. Secondo Ròheim i miti australiani operano con gli stessi
meccanismi del sogno. Sarebbe questo il motivo per cui il sogno stesso è alla base della
creazione della mitologia australiana. Nei riti il racconto dei miti equivale quindi al
racconto dei sogni, essendoci un rapporto reciproco fra gli stessi.
Il pensiero immaginario, secondo il giudizio di Ròheim, è nato nella mente umana
primitiva con il tradursi di immagini sensoriali provenienti dal mondo esterno in un
mondo interno simbolico caratterizzato non più dall’attività del cosmo, ma dall’attività
dell’Io. Il simbolo, svolgendo una funzione mediatrice fra l’inconscio e la coscienza,
può operare come agente trasformatore della natura stessa dell’uomo, conducendolo ad
individuarsi sempre più articolatamente come un Io. Quest’ultimo si manifesta come
proiezione delle immagini interne sull’ambiente.
“[…] Nel passato qualcuno, spinto da un imperioso bisogno di comunicare,
raccontò per primo un sogno ad occhi aperti, probabilmente intessuto di reali
elementi onirici. Poi questa storia fu sottoposta a un processo di rielaborazione
fantastica da parte di alcune generazioni, e altre, successivamente, hanno, per così
dire, storicizzato di nuovo questi prodotti fantastici traducendoli in comportamento
pratico.” (Ròheim, 1972, p. 40).
Grazie all’attività di produzione dei simboli, l’uomo primitivo riuscì a trasferire
l’energia psichica da manifestazioni pulsionali immediate, a manifestazioni mediate,
orientate verso fini creativi e, in tal modo, effettuò la transizione dal piano della natura a
quello della cultura.
Secondo Jung (1916) i simboli che hanno una ricorrenza universale (gli
archetipi), sono modelli e possibilità di rappresentazioni, ossia disposizioni a riprodurre
8
forme e immagini virtuali, tipiche del mondo e della vita, le quali corrispondono alle
esperienze compiute dall’umanità nello sviluppo della coscienza. Essi si trasmettono
ereditariamente e rappresentano una sorta di memoria dell’umanità, espressioni
dell’inconscio collettivo, di cui si possono ritrovare le tracce nei miti e nei sogni, le
“raprésentations colletives” di Lévy-Bruhl (1910).
L’uomo primitivo, intendendo così anche coloro che vivono ancora in una società
“primitiva”, ha una maggiore inclinazione a pensare per simboli. Le tradizioni tribali
sono il mezzo attraverso il quale acquisire una conoscenza mitologica e simbolica, che
avvicina la vita quotidiana al mondo dei sogni, portando l’individuo ad avere una
relazione più profonda con la sua vita interiore e istintiva.
Ipotizzando una corrispondenza tra sviluppo filogenetico e sviluppo ontogenetico,
dove quest’ultimo sarebbe una ricapitolazione del primo, è interessante descrivere ciò
che avviene agli albori della coscienza individuale. L’immagine come rappresentazione
intrapsichica, secondo Piaget (1937), non esisterebbe come immagine indipendente
dalla percezione dell’oggetto corrispondente all’inizio della vita del neonato. Studi
sperimentali gli hanno permesso di stabilire che solo dopo i primi nove mesi di vita il
bimbo è in grado di rappresentarsi un oggetto anche quando esso è assente dal campo
percettivo. Il concetto che un oggetto esiste continuativamente nello spazio e nel tempo
anche quando non è in vista e, più in generale, la facoltà di formare concetti astratti,
dipendono dalla capacità fondamentale di archiviare rappresentazioni del mondo esterno
e di reagire ad esse anche quando gli oggetti reali non sono presenti. Si comincia a
pensare per immagini legate alle esperienze delle sensazioni tattili, acustiche e visive.
All’inizio non c’è il verbo, ma l’immagine, che deve essere distinta dalla pura
sensazione visiva, perché indice di una capacità di organizzazione psichica più
complessa. Il bambino recepisce un numero incalcolabile di sensazioni che seleziona ed
elabora sulla base della continuità e della ripetitività dell’oggetto. Dal momento che
riesce a formare le immagini, il bambino comincia a crearne di nuove ed a giocarci: il
sogno può essere visto come continuazione di questa attività ludica. Su un piano
evolutivo culturale, si può paragonare il sogno alla scrittura ideografica che è più
universale, ma meno definita di quella fonetica. L’immagine fornisce infatti
informazioni più rapide e sintetiche, ma anche meno definite e precise.
Come sostenuto dall’antropologo Robin Horton (1982), le visioni del mondo sono
tentativi di spiegare le esperienze ricorrendo a metafore, fra le quali tre si sono
9
contraddistinte come “chiavi” ufficiali nella storia. La prima è la metafora sociale,
retaggio di popoli extraoccidentali, presso i quali le relazioni sociali sono fonte di
ordine, regolarità e prevedibilità. La seconda “chiave” alla realtà è la metafora organica,
che applica l’immagine del corpo a strutture e istituzioni sociali. L’ultima “chiave” è la
metafora tecnologica, che utilizza gli oggetti fabbricati dall’uomo come predicati
metaforici. Le visioni scientifiche del mondo occidentale sono frutto della metafora
tecnologica. Ogni “chiave” implica un diverso processo di costruzione delle visioni del
mondo, dove particolari immagini della realtà divengono la visione “ufficiale” di una
certa cultura.
Dagli studi degli antropologi (C. Geertz, 1973, V. Turner, 1969) emerge che la
maggior parte delle culture primitive si sono affidate ai sogni per la loro struttura
sociale e per decisioni importanti riguardanti la comunità. Tali decisioni avvenivano in
rituali che contemplavano delle sequenze ordinate di danze e narrazioni, che si
modellavano dialetticamente a vicenda. Gli antropologi, nello studio delle concezioni
culturali arcaiche, distinguono due tipi di sogni: quelli ‘individuali’ o ‘liberi’, e quelli
formati dai ‘modelli di cultura’ (culture pattern dreams). I primi rispecchiano la vita e le
preoccupazioni dell’esistenza quotidiana del sognatore, i secondi sono prescritti dal
costume ed indotti da rituali speciali. In entrambi i casi, la convinzione di fondo è che
l’anima (principio vitale) durante il sonno si distacchi dal corpo e vaghi in viaggi
onirici.
Semplificative al riguardo le parole di Lévy-Bruhl a proposito dei nativi
americani:
“Il punto di vista del pellirossa è molto pratico. Egli crede che l’uomo abbia
due anime, di cui una è semplicemente il principio vitale del corpo che muore con
esso, mentre l’altra dimora nel corpo ma lo abbandona alla sua morte. Quest’ultima
è il suo angelo custode, il suo protettore, il suo dio personale, il suo genio, da cui
egli dipende. Egli è perciò responsabile di ciò che la sua anima fa nei sogni” (Lévy-
Bruhl, 1910, p. 86).
Secondo la psicologia dei primitivi vivere significa sognare e sognare significa
vivere, o meglio, agire secondo i sogni. Le due realtà sono così strettamente
interdipendenti che il mondo onirico non è isolato e separato dalla realtà quotidiana, ma
costituisce un polo di un unico continuum che va dalla veglia al sogno e viceversa.
Così come i nativi americani, anche i Senoi della Malaysia incoraggiano sin dalla
più tenera età i propri figli a non avere timore dei sogni, convinti che tutte le emozioni
10
debbano essere vissute profondamente e senza alcuna repressione sociale. Qualunque
incubo può essere fonte di gioia, dietro qualunque mostro si nasconde un demone
benefico. Sia i Senoi che gli Iroquois raccontano pubblicamente i loro sogni, dai quali si
sviluppano discussioni su temi politico-sociali nonché ambientali
2
. Molti aspetti della
loro vita e del loro comportamento sociale sono orientati sui sogni.
La funzione di comunicazione gruppale del sogno è preservata nelle culture tribali
e in quelle civiltà che prevedono appositi rituali dove i sogni sono i protagonisti. In tali
rituali collettivi i sogni vengono raccontati e decifrati secondo i simboli della cultura
che li produce e raccoglie. I significati indicano strade da seguire o da evitare per la
comunità tutta.
Un esempio di comunità che attribuisce ancora oggi massima importanza al
raccogliere, condividere e rielaborare i sogni dei suoi membri, fino a farne una
religione, è quella degli Innu
3
, fino a pochi decenni fa conosciuti come “Montagnais”
oppure “Naskapi”. Vivono nel nord-est del Canada, tra il Québec e la penisola del
Labrador. La religione ufficiale è una modalità semplice di esistenza basata sui sogni,
sui rituali per rappresentarli, sui canti tribali e sui dipinti da essi ispirati. Ciò che
nell’odierna società occidentale sembra più intimo e privato, il sogno, è il collante più
sociale per gli Innu. Intimità è sinonimo di con-senso umano, un rintracciare l’identico –
che rende l’uomo un “animale sociale” – dal dissimile, che lo rende soggetto mai
pienamente conoscibile. La appartenenza al gruppo si basa sui comuni legami al mondo
onirico. Ciò permette il recupero di aspetti della personalità resi visibili dalla narrazione
dei sogni e dal racconto delle identità assunte nei sogni: nuovi modi di essere. Dal senso
condiviso discende la possibilità di operare attivamente nella realtà mostrata dai sogni, e
viceversa: operare, tramite i sogni, sulla realtà, rendendo operativi i suggerimenti
provenienti dal mondo onirico.
Il sogno sociale, come spiegazione magica, opera sottraendo al soggetto la realtà
negativa, destorificandola, per trasferirla su di un piano meno soggettivo. L’entità
gruppale agisce su un piano metastorico, che dona un senso ulteriore, connesso ad
un’epoca. Il sogno sociale può svincolare il soggetto dallo smarrimento personale
mostrandogli una via sociale, una direzione che potrà scegliere con maggiore coscienza.
2
Le radici del Social Dreaming possono essere ritrovate in queste discussioni pubbliche. Esse infatti
erano il prosieguo del racconto di immagini e sensazioni viste e provate nei sogni, nonché delle
indicazioni derivanti da intuizioni ed emozioni sperimentate durante il sonno.
3
Le informazioni sugli Innu sono state tratte on-line, dal sito internet:
http://www.cisi.unito.it/eidetica/riscatto/innu.htm
11
1.1.1 L’interpretazione religiosa e profana dei sogni: un excursus
storico
Le prime testimonianze scritte del sonno e dell’attività onirica ad esso collegata
risalgono al III-II millennio a.C., da un poema epico assiro-babilonese scritto in caratteri
cuneiformi, ricavato da un centinaio di tavolette di argilla ritrovate a Ninive. Il poema
prende il nome dal protagonista, Gilgamesh, che affronta avventure di ogni genere alla
ricerca del segreto dell’immortalità. In tale componimento appare evidente la funzione
che il sogno aveva di messaggero di disegni divini. La decifrazione dei piani degli Dei
da parte dei sacerdoti della comunità inaugurava
4
discussioni pubbliche che avrebbero
portato a cambiamenti sociali in funzione del contenuto dei messaggi. Nel poema di
Gilgamesh le immagini oniriche sono considerate delle risposte alle invocazioni al Dio
del sole affinché comunichi profeticamente, attraverso i sogni, le conseguenze
all’eventualità di attaccare o meno il nemico. I sogni venivano di conseguenza trattati
come responsi da intendere in chiave divinatoria. L’oniromanzia (dal greco “oneiros”,
sogno, e “manteia”, divinazione) è forse la più antica arte divinatoria dell’umanità.
Nell’antico Egitto i sogni erano importanti ed esisteva una oneirocritica tesa a
rilevare il loro carattere simbolico. La più antica “chiave ai sogni” è quella egizia,
inclusa nel papiro Chester-Beatty III. Data 2000 a.C. il Libro dei sogni ieratico, redatto
in Egitto al fine di fornire una spiegazione ai sogni più comuni in quel tempo. Da tale
“dizionario” dei sogni si potevano trarre indicazioni di auto-cura, usando le immagini
oniriche quali indicatori dello stato psicofisico del sognatore. Nasce infatti in Egitto
quella che può essere denominata come “medicina onirica”, affidata al sha’ilou, un
sacerdote che conosceva le formule per far inviare o per evitare certi sogni.
Aristotele (nato nel 384 a.C.) fu forse il primo a fare del sogno un problema
psicologico, considerandolo, nel De divinatione, una naturale attività di pensiero
durante il sonno. Non riteneva il sogno di origine divina, ma naturale. Concludeva
quindi che, il Dio che parlava nei sogni, altro non era che il "demone" interiore.
Ma è opera di Artemidoro di Daldi (135-200 d.C.), medico nativo di Efeso,
l’opera più famosa sui sogni. La sua Oneirocritica proponeva l’ipotesi secondo cui i
sogni potessero essere un appagamento notturno dei desideri del giorno – ipotesi che
venne poi ripresa da Freud a distanza di molti secoli. Artemidoro distingueva cinque tipi
di sogni: i sogni simbolici, le visioni diurne, i sogni oracolari contenenti rivelazioni
4
Questo può essere considerato come un esempio di come i sogni possono modificare la realtà
quotidiana nel momento in cui ad essi viene data importanza.
12
divine, le fantasie e gli incubi. Il suo metodo può essere definito “profano” in quanto
non considerava i sogni come messaggeri divini, ma come un linguaggio cifrato. In
sostanza usava il principio dell’associazione della magia: secondo tale principio
l’interpretazione del sogno viene guidata da ciò che gli elementi stessi del racconto del
sogno evocano in chi li ascolta.
Secondo Macrobio (V secolo d.C.), i sogni si distinguono in tre categorie. In
primo luogo c’è il somnium, o sogno simbolico, caratterizzato da un linguaggio
enigmatico che deve essere interpretato: si tratta dello stesso tipo di sogno di cui si
occuperà anche la celebre Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud (1899), nella
quale si riallacciò esplicitamente ai trattati di onirocritica dell’antichità. Segue poi
l’oraculum, ovvero l’apparizione di un personaggio che enuncia una profezia sul futuro
del sognatore: in questo caso il linguaggio non è enigmatico, ma esplicito e diretto. Per
terza viene la visio, ovvero una manifestazione, non mediata dal racconto o dalla
profezia di nessuno, di ciò che accadrà al sognatore.
In alcuni templi greci, consacrati al mitico Dio dell’arte medica, Esculapio, si
curavano le malattie con i sogni. E’ particolarmente famosa Epidauro, che accoglieva
un gran numero di visitatori. Questi, dopo aver compiuto riti purificatori e sacrifici
preliminari, attendevano il sogno che li avrebbe guariti. Nel “sogno guaritore” sarebbe
comparso Esculapio, sotto forma di cane o di serpente.
Nel Talmud babilonese, complesso di dottrine ebraiche scritto tra il II e il V
secolo a.C., si apprende che a Gerusalemme vi fossero ventiquattro interpreti di sogni; il
rabbino Chisda, tra i più importanti interpreti dell’epoca, sosteneva che ogni sogno
avesse un significato, salvo quello provocato dal digiuno. Inoltre, un sogno non
interpretato era paragonato metaforicamente ad una lettera non letta.
Nella religione musulmana, nella Notte Del Destino (610 del mese di ramadan),
si racconta di quando a Maometto apparve in sogno l’angelo Gabriele per comunicargli
l’investitura ad eletto di Allah. Da tale episodio prese avvio Il Corano.
Nell’Induismo molto materiale sui sogni è rinvenibile sul Brhadaranyaka (testo
sacro del bramanesimo), con la presenza di due teorie per spiegare le rappresentazioni
oniriche: la prima afferma che l’anima viene nutrita dai sogni; la seconda, che l’anima
stessa, durante il sonno, abbandona il corpo e s’aggira vagabonda.
Nella Bibbia è per mezzo dei sogni che Dio parla agli uomini. In essa si trovano
svariate testimonianze di sogni, come quello del Faraone interpretato dal biblico
13
Giuseppe, secondo cui le sette vacche magre che si avvicendano a quelle grasse sono
un’immagine profetica che predice una futura carestia per tutto il popolo. Giuseppe
tratta il sogno con un metodo che prende in considerazione la globalità del significato
contenuto in esso. La sua interpretazione consiste nel tradurre il “sette” in “sette anni”.
Egli infatti dice:
“Le sette vacche belle sono sette anni […] E le sette vacche magre e brutte che
salivano dopo quelle altre, sono sette anni” (Bibbia, Gen. 41:26,27).
Quattordici anni dopo aver fatto questo sogno, Faraone sarà il padrone dell’intera
terra d’Egitto.
Nella Bibbia è riportato anche il metodo che usò un sapiente di nome Daniele per
interpretare i sogni che Nebucanesar, re di Babilonia, aveva fatto una notte. Il re era
stato turbato dalle “visioni notturne”, senza però conservarne il ricordo al mattino.
Daniele, chiamato a rammentargli il sogno, aveva sognato a sua volta le visioni del re,
che aveva riferito il mattino seguente. Ecco l’inizio del sogno di Daniele:
“Tu, o re, stavi guardando ed ecco una grande immagine. Questa immagine
immensa e di splendore straordinario si ergeva davanti a te, e il suo aspetto era
terribile. Or questa è l’immagine: la sua testa era di oro buono […]” (Bibbia,
Daniele 2:31,36).
In quel “Tu, o re, stavi guardando” c’è il senso della visione “su commissione” di
Daniele. Egli sogna il sogno del re, e glielo riferisce. Questo è il primo esempio di un
sogno portato come associazione ad un altro sogno
5
, un’associazione che ne è al
contempo amplificazione ed interpretazione.
Nella mitologia indiana il mondo inizia con il sogno di Brama. In India si ritiene
che la "vera conoscenza" non sia raggiungibile attraverso processi razionali, anzi, la
"ragione" distoglie, satura
6
la possibilità di conoscere. La vera realtà è avvicinabile solo
distanziandosi dallo stato di veglia, immergendosi in una dimensione meditativa,
contemplativa della mente, più vicina a quella del sogno. Lo stato di “sogno”, nella
cultura indiana, è quindi uno stato intermedio tra il “sonno profondo” e quello della
“veglia”.
5
Questo sogno di Nebucanesar, “ri-sognato” da Daniele, fa pensare alla tecnica del Social Dreaming,
con la quale i sogni raccontati sono come “risognati” nella matrice.
6
Allo stesso modo una matrice satura non permetterebbe nulla di nuovo. Il termine “insaturo”, unito
al concetto di matrice, è particolarmente fecondo. Si veda, a tale proposito, quanto scritto da S.H. Foulkes
in Dynamic Processes in the Group Analytic Situation, nel 1968.
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Per i monaci buddisti il controllo dei sogni fa parte dell’istruzione religiosa. Essi
devono esercitarsi a mantenere una consapevolezza ininterrotta sia nella veglia che nel
sonno, poiché una pratica continua li aiuterà a non restare sgomenti durante il ciclo delle
rinascite.
In Tibet e nelle scuole d’impostazione tibetana, esiste tuttora una pratica
conosciuta con il nome di “Dream Yoga”, che consiste nell’interpretazione dei sogni in
chiave diagnostica e premonitrice. I buddisti tibetani, praticando lo yoga del sogno (R.
Gyatrul, 1993), hanno da secoli elaborato una tecnica di sogno lucido. Sognare lucido
vuol dire avventurarsi nei propri sogni conservando la lucidità della coscienza sveglia.
Questa possibilità è stata negata dalla cultura occidentale in base a studi neuroscientifici
che verranno approfonditi più avanti in questo capitolo.
1.1.2 Sogno e società
La concezione del sogno è qualitativamente differente tra oriente e occidente.
Mentre nella cultura orientale i sogni vengono ancora oggi considerati quali portatori
dell’energia che pervade tutto – il Ch’i cinese e il Ki giapponese – in occidente il
carattere profetico dei sogni viene guardato con sospetto fin dal medioevo, quando la
divinazione per mezzo dei sogni venne condannata dalla chiesa. La religione Cristiana
infatti considerava l’oneiromanzia come un ramo della magia, e quindi un pericolo per
la vita religiosa, perché tali arti “magiche” portavano ad un interesse verso il mondo di
Satana.
L’interpretazione dei sogni, nel Rinascimento occidentale, venne basata
sull’analogia del sonno con la morte. Tale affinità allontanò di fatto la vita diurna da
quella notturna, ponendo una spaccatura incolmabile tra le due.
Fu tuttavia il secolo dei Lumi a togliere decisamente importanza all’attività
onirica, considerata troppo distante dalla luce della ragione. Il mondo della veglia,
infatti, è molto più uniforme di quello dei sogni, del quale si conservano spesso scarsa
consapevolezza e ricordi discontinui. Anche per questo il sonno venne considerato
come uno stato passivo, caratterizzato da una assenza di coscienza.
Come presentato in questa breve ricostruzione della considerazione che il
binomio sonno-sogno ha avuto nel corso della storia, si può affermare che il suo
prestigio ha attraversato fasi alterne. Da messaggero degli Dei e da una interpretazione
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in chiave profetica si giunge, nel XIX secolo, alla convinzione che i sogni siano il puro
frutto di sensazioni cinestesiche del corpo e dell’immagine retinica durante il sonno.
Il passaggio dall’interpretazione religiosa a quella profana dei sogni, ne decreta
una rilevante perdita di importanza. Sarà compito del Romanticismo, con la sua
attenzione all’attività fantastica, operare una sua prima rivalutazione. Non cito i poeti
della Scuola Romantica, perché andrebbe oltre gli scopi di questa tesi presentare una
rassegna dei lavori letterari basati sull’uso dei sogni. Mi limito a citare un grande
filosofo come Nietzsche, che ne La nascita della tragedia (1872), si schierò
decisamente dalla parte del sogno in quanto specchio fedele della realtà. Nietzsche
associò il sogno all’istinto, all’oscurità e al divenire, opposti alla ragione, alla luce e alla
stasi di un mondo finito
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. Bisognerà aspettare l’opera di Freud del 1900,
L’interpretazione dei sogni, affinché il sogno, rivalutato prima dai poeti, sia
riconosciuto, anche dal mondo scientifico occidentale, come attributo fondamentale
dell’uomo.
In oriente invece, come detto sopra, il sogno non ha mai subito un discredito
simile a quello patito in occidente. Si può trovare una visione simile a quella del sogno
freudiano addirittura molti secoli prima, nei monaci tibetani. Anche secondo costoro i
sogni nascono dai desideri (come dirà Freud, 1899), che essi chiamano “attaccamenti”.
La psicologia lamaista asserisce che i sogni servono prima di tutto ad appagare i
desideri, ma, a differenza dei seguaci delle teorie freudiane, considerano il sesso solo
uno dei possibili “attaccamenti”. Scopo dei sogni è guidare il sognatore alla liberazione
dai desideri/attaccamenti. Attraverso tale liberazione si giungerebbe ad un traguardo,
riferito alla totalità dell’esistenza, che assomiglia molto al Sé di Jung (1945).
La “psicologia” lamaista distingue i sogni in due categorie: “karmici” (in questo
caso il termine “karma” va inteso come “conseguenza” di pensieri o azioni) e “di
chiarezza della mente”. I primi vengono generati da “semi karmici” che sono, appunto,
gli attaccamenti, ma possono essere anche traumi emotivi, problemi di difficile
soluzione o, addirittura, tracce karmiche di vite precedenti. I secondi sono i sogni che
nascono dalla consapevolezza dell’illusorietà della realtà e cioè quando si è raggiunta la
“chiarezza della mente”. Il distacco dagli attaccamenti viene raggiunto lentamente, fin
che si sarà saziato completamente ogni desiderio.
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Un secolo dopo W.Gordon Lawrence contrapporrà il “finito” all’ “infinito”, intendendo per “finito”
il conscio e per “infinito” l’inconscio.