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perché Marks, sulla base delle osservazioni tratte dallo studio della sinestesia sensoriale, ha
messo a punto un modello teorico in grado di interpretare le metafore sinestetiche del
linguaggio poetico, che ha poi applicato ad alcune metafore sinestetiche, scritte
prevalentemente da poeti di lingua inglese come Shelley, Poe, Kipling, Aiken. Questo è il
modello che ho utilizzato per interpretare alcune delle metafore sinestetiche scritte da un poeta
di lingua italiana: Montale. A questo punto, è necessario fare alcune precisazioni. Il modello di
Marks non è del tutto rigoroso, in effetti si tratta più che altro di uno schema di riferimento.
Anche l'uso che Marks ne fa non può essere certo definito sistematico: egli non prende in
considerazione tutte le metafore sinestetiche di un dato poeta oppure tutte le metafore
sinestetiche di una data raccolta, semplicemente si limita ad interpretarne alcune per
esemplificare alcuni passaggi del suo discorso teorico. In sintesi, se il lavoro di Marks sulla
sinestesia sensoriale è di tipo riassuntivo, quello sulle metafore sinestetiche è di tipo
esplorativo. Il presente lavoro ha cercato di introdurre un elemento di sistematicità scegliendo
di considerare tutte le metafore sinestetiche presenti in una specifica raccolta di poesie, non
solo quelle più significative o più facili da interpretare. Rimane comunque un lavoro di tipo
esplorativo, perché muove i primi passi in un'area ancora poco studiata, che si situa in una
zona di confine tra poesia e psicologia.
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IL FENOMENO DELLA SINESTESIA
Etimologia, definizione, caratteristiche
La parola "sinestesia" deriva dal greco sun-aisqanomai che significa "percepire insieme".
Se ci atteniamo al significato etimologico del termine possiamo considerare, in generale, ogni
attività percettiva come un'attività sinestetica; infatti, anche se le diverse modalità sensoriali
vengono di solito studiate separatamente, in realtà la percezione avviene per lo più
sinesteticamente, in quanto la maggior parte degli stimoli, che colpiscono o che attivano la
nostra attenzione, eccitano più di un canale sensoriale e ognuno di noi "percepisce insieme"
suoni, colori, odori e sapori.
"Annusare mangiando, ascoltare gustando, toccare fiutando sono semplici atti combinati di tutti
i giorni e per ognuno di essi è lecito parlare di sinestesia: sinestesia che presenta veri e propri
elementi pragmatici diretti a più di un senso" (Pignotti, 1993, pp. 18-30).
Il termine sinestesia, però, designa anche un fenomeno psicologico più circoscritto, che
sembra riguardare una percentuale piuttosto limitata di esseri umani e di cui si rintraccia una
definizione di base nell'Enciclopedia medica italiana: "la sinestesia è quel fenomeno per cui la
stimolazione di un canale sensoriale produce, oltre alla percezione specifica del canale attivato,
anche la percezione di un altro o più canali. Si ha più spesso la sinestesia acustico-ottica,
come nell'audizione colorata, per la quale uno stimolo sonoro determina nel soggetto,
associata alla percezione specifica del suono, la percezione di un colore; in questo caso, di
solito, l'azione induttrice è espletata dai singoli fonemi, da sillabe o da parole e le immagini
indotte consistono in visioni di luci, di varia forma e colore (si ha, allora, il cosiddetto fotismo)
oppure di figure complesse, più o meno definite, di oggetti e persone. Sono per altro descritte
sinestesie nelle stimolazioni sensoriali specifiche del canale ottico (sinopsie): associate alle
immagini ottiche si verificano percezioni acustiche, tattili, termiche o dolorifiche" (AA.VV.,
4
1950, pp. 375-376). Inoltre, "sulla base dei resoconti dei soggetti sinestetici, le principali
caratteristiche con cui il fenomeno si presenta sarebbero le seguenti:
1. l'esperienza è involontaria ed automatica, cioè sorge contemporaneamente allo stimolo,
come una specie di riflesso.
2. la sensazione ha carattere di realtà, cioè è percepita come proveniente dallo stimolo e non
come frutto della fantasia.
3. la sensazione è altamente consistente, cioè si riproduce identica
a distanza di tempo.
4. generalmente la sensazione è rigida ed unidirezionale, cioè l'associazione si stabilisce tra
una data modalità sensoriale (ad esempio acustica) ed un'altra (ad esempio visiva) ma non
viceversa" (Dogana, 1993, p. 20).
Se lavoriamo con uno schema di 7 sensi, schema che comprende non solo la vista, l'udito, il
gusto, l'olfatto ed il tatto, ma anche la temperatura e il dolore, in quanto la stimolazione dei
recettori cutanei non produce solo sensazioni tattili, ma anche termiche e dolorifiche, in teoria
dovremmo aspettarci 21 paia di possibili combinazioni o meglio 42 paia, considerando che la
sinestesia è, come si è detto, unidirezionale. In ogni caso, dovremmo aspettarci un gran
numero di combinazioni. Invece, curiosamente, si scopre che la maggioranza dei casi di
sinestesia riguarda solo un tipo di relazione, quella fra l'udito e la vista. Inoltre, di tutti i tipi di
suoni che esistono nell'ambiente, i suoni del linguaggio risultano essere gli stimoli più potenti
nel risvegliare queste immagini visive. Infine, nell'ambito dei suoni linguistici, tendono a
dominare i suoni delle vocali.
Per questo motivo, coloro che per primi si occuparono della sinestesia e cioè medici e
fisiologi, si dedicarono soprattutto alla sinestesia auditivo-visiva e in modo particolare
all'audizione colorata.
La prima testimonianza di un caso di sinestesia sembra essere quella del filosofo inglese Locke
(1690) che descrisse un curioso episodio di cui era venuto a conoscenza: un giorno, un cieco
si era vantato con un amico di essere in grado di capire cosa fosse il colore rosso. Quando
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l'amico gli aveva chiesto di spiegarsi meglio, egli aveva risposto che il rosso era come il suono
di una tromba. Andando avanti nel tempo, troviamo anche il caso, riportato dall'oftalmologo
inglese Woolhouse (cit. in Castel, 1735), di un uomo cieco che diceva di avere delle
esperienze visive quando udiva dei suoni. In ogni modo, Tornitore (1986), in un libro che
racconta le origini e la storia dell'audizione colorata in ambito scientifico fissa il punto di
partenza di questo percorso in una tesi di laurea in medicina, sull'albinismo, ad opera di Sachs
(1812). Sachs, descrivendo l'albinismo suo e della sorella, menzionò anche dei fenomeni di
audizione colorata a cui entrambi andavano soggetti: i numeri, le lettere dell'alfabeto, gli
intervalli della scala musicale, i suoni degli strumenti musicali suscitavano in loro
rappresentazioni colorate coatte e costanti. Era il 1812 e la sinestesia, nella forma
dell'audizione colorata, entrava per la prima volta nella letteratura scientifica. Dopo Sachs si
occuparono dell'argomento, in questo primo periodo, anche Cornaz (1848), Perroud (1863),
Chabalier (1864), Lussana (1873), Pedrono (1882), de Rochas (1885), Clavière (1889),
Coriat (1913). Una gran parte di questi studi considerava la sinestesia come una bizzarria o
persino come una patologia (Clavière, 1889). Secondo questo punto di vista la sinestesia
sarebbe dovuta ad un'eccitazione incrociata dei centri cerebrali sensoriali. Pedrono (1882) e
de Rochas (1885), proposero proprio una teoria di questo tipo, che implicherebbe, in sintesi,
una sorta di corto circuito fra neuroni appartenenti a due o più sistemi sensoriali diversi. Affine
a questa teoria è l'ipotesi di Coriat (1913) di una differenziazione fisiologica incompleta: " i
sensi dei sinestetici, in altri termini, sarebbero 'fusi' a causa di uno scarso isolamento delle reti
neuronali" (Dogana, 1993, p. 24).
"Durante il diciannovesimo secolo cominciarono ad aumentare le prove a sostegno del fatto
che la sinestesia non è tanto una perversità fisiologica, quanto un fenomeno psicologico, non
comune, ma in ogni modo interessante ed importante" (Marks, 1975, p. 304). Gli studi di
Galton (1883) sulle varie forme di sinestesia, fra cui l'audizione colorata e quelli di Bleuler e
Lehmann (1881), che fornirono una prima quantificazione del fenomeno attraverso un'inchiesta
di ampie proporzioni (su 596 soggetti ben 76 risultarono audiocoloristi), contribuirono a
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rendere l'argomento più "rispettabile" (Marks, 1975). Non è difficile comprendere perché la
sinestesia sia stata considerata una stranezza: nelle esperienze sinestetiche c'è infatti molto di
idiosincratico e di individuale; chi vuole seguirne le tracce entra in un labirinto pieno di
meraviglie dove, però, corre il rischio di perdersi e di non trovare il filo che connette fra di loro
degli eventi che sembrano così squisitamente soggettivi. Le idiosincrasie maggiori si
riscontrano nelle sinestesie che riguardano i cosiddetti "sensi meno differenziati" e cioè il gusto,
l'olfatto, il tatto, la temperatura ed il dolore. Queste sinestesie sono, come si è già detto, molto
più rare rispetto a quelle che riguardano la vista e l'udito e sono, quindi, state studiate in misura
minore, tuttavia è possibile, anche in quest'ambito, rendere conto di alcuni risultati, che, tra
l'altro, sono veramente suggestivi.
Gusto ed olfatto
Il gusto colorato non presenta alcuna regolarità. Downey (1911) riportò un caso di gusto
colorato in cui un soggetto percepiva il sapore dolce come nero, il sapore amaro come rosso e
l'acido come verde. D'altro canto, Ginsberg (1923), parlando della propria sinestesia,
descrisse queste corrispondenze: dolce con rosso, salato con blu, acido con verde, amaro con
nero. La rassegna più completa di resoconti sulla sinestesia gustativa è quella di Bleuler e
Lehmann (1881): solo 10 dei 76 soggetti sinestetici riportarono delle esperienze di gusto
colorato e c'era un accordo molto modesto fra loro. Qualche volta gli stimoli sonori possono
indurre delle risposte complesse, un'amalgama di sapori e di odori. Pierce (1907) raccontò il
caso di una donna in cui la parola "Francis" induceva l'immagine gustativa ed olfattiva dei
fagioli al forno, la parola "French" l'immagine dell'insalata russa e la parola "Italy" quella delle
cipolline sottaceto.
Dolore
Per quanto i resoconti di dolore colorato siano davvero molto pochi, comunque esso esiste.
La rassegna di Bleuler e Lehmann (1881) include 4 casi diversi : una donna vedeva il dolore
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come giallo, altre due vedevano rosso il dolore del mal di denti e un uomo, invece, il mal di
denti lo vedeva giallo. Per Bleuler stesso anch'egli sinestetico (la maggior parte di coloro che,
per primi, si occuparono di questo fenomeno erano individui sinestetici) i dolori più forti sono
bianchi, con l'eccezione del mal di denti che è nero.
Temperatura
Quando è la temperatura il termine evocatore di altre sensazioni, di solito sensazioni visive di
colori, si assiste ad un disaccordo praticamente completo. Ginsberg (1923) notò che in lui il
caldo e il freddo intensi suscitavano il colore nero. Collins (1929) riportò casi di persone in
cui, invece, il freddo induceva il colore bianco e il caldo il colore rosso. I soggetti di Bleuler e
Lehmann (1881) si distribuirono in questo modo: due, quando sentivano freddo vedevano il
colore nero, uno, quando sentiva caldo vedeva il rosso, un altro il giallo ed un altro ancora il
bianco.
E' innegabile, dunque, che nella sinestesia sia presente un'aspetto di forte soggettività; esiste,
però, anche un'altra faccia della medaglia: c'è, infatti, un nucleo di somiglianze nelle esperienze
sinestetiche ed i percettori sinestetici sono d'accordo su molte relazioni inter-sensoriali,
soprattutto se queste nascono nell'ambito visivo-auditivo (Marks, 1975). In effetti "la
sinestesia comprende sia il generale che lo specifico, sia l'universale che l'individuale" (Marks,
1984, p. 429).
Prima di considerare alcuni esempi che mettono in luce le regolarità presenti nella sinestesia,
occorre distinguere tra le dimensioni fisiche degli stimoli visivi ed auditivi e le percezioni
psicologiche degli stessi. Infatti, le esperienze sinestetiche protagoniste di questi esempi (e di
tutti quelli successivi) verranno descritte facendo riferimento alle percezioni psicologiche degli
stimoli, più che alle loro caratteristiche fisiche. Le dimensioni fisiche della luce sono l'intensità e
la lunghezza d'onda, le dimensione psicologiche corrispondenti sono invece la luminosità ed il
colore; le dimensioni fisiche del suono sono l'intensità e la frequenza, mentre quelle
psicologiche sono l'intensità sonora soggettiva e l'altezza. Anche se ci sono delle
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corrispondenze fra i due generi di variabili, queste non sono di tipo lineare; variando la
frequenza del suono, ad esempio, si influisce non solo sull'altezza percepita, ma anche
sull'intensità sonora soggettiva percepita (Lindsay & Norman, 1983).
Consideriamo ora, in primo luogo, il caso dei sinestetici in cui determinate note musicali
risvegliano determinati colori.
Anche se è difficile trovare due sinestetici d'accordo nel dire quali colori siano suscitati da quali
note, infatti il do centrale può sembrare rosso ad una persona, verde ad in'altra, viola ad
un'altra ancora, tutti, però, sono d'accordo su di un punto: come una nota sale di un'ottava, ad
esempio si passa da un do centrale ad un do acuto, il colore, qualunque esso sia, diviene più
luminoso. Anche il suono degli strumenti musicali, come quello delle note musicali, è spesso
protagonista di fenomeni di audizione colorata: Locke (1690) descrisse, come si è già detto, il
caso di un cieco per il quale il rosso equivaleva al suono della tromba ed il pittore Kandinsky
(1912), così come il poeta Tieck (1828), vedeva blu il suono del flauto. Nuovamente, anche
se i colori degli strumenti si rivelano capricciosi (ad esempio, non tutte le testimonianze
confermano che il suono della tromba è rosso: per alcuni è giallo e per altri è verde-blu), è
possibile trovare un elemento di regolarità, facendo riferimento alla luminosità dei fotismi
evocati dai suoni. Infatti, un'indagine sistematica di Mudge (1920) scoprì che i suoni
tipicamente alti del flauto e del clarinetto sono, di solito, visti come luminosi, mentre i suoni più
bassi emessi dal trombone sono considerati scuri. La sinestesia auditivo-visiva presenta alcune
regolarità persino in un caso particolare come quello delle immagini suscitate dall'ascolto
musicale. Qui non si tratta più di una corrispondenza puntuale nota-colore, la musica è una
forma d'arte complessa e non è sorprendente scoprire che le immagini, così risvegliate,
mostrino anch'esse una notevole complessità. Quando i sinestetici ascoltano la musica le loro
risposte visive - la forma, i colori, i movimenti - possono mutare, fluire e defluire a seconda
della chiave musicale, della configurazione sonora, della progressione ritmica. Eppure, anche in
una situazione tanto complessa si può ritrovare la traccia di un ordine; le immagini, infatti,
tendono ad essere più luminose quando i suoni sono alti e forti e più grandi quando i suoni
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sono bassi e forti. Inoltre, Karwosky ed Odbert (1938) scoprirono una relazione sistematica
anche tra le forme visive ed il ritmo musicale: quando la musica è più veloce, le immagini visive
sono più aguzze ed angolose.
Forse, però, la forma di audizione colorata in cui si possono riscontrare più chiaramente delle
correlazioni costanti è quella delle vocali colorate, fenomeno che ha fornito, tra l'altro, a
Rimbaud lo spunto per scrivere il famoso sonetto "Vocali", che inizia così: "A nera E bianca I
rossa U verde O blu, vocali, / io dirò un giorno i vostri ascosi nascimenti" (Rimbaud, "Vocali",
1983, p. II / 8). Su questo argomento esiste un numero enorme di studi, da cui Marks (1978)
ha estratto e messo a confronto le testimonianze di 400 soggetti sinestetici, riuscendo, in
questo modo, a porre in evidenza alcune relazioni ricorrenti. La vocale A di solito provoca
immagini rosse e blu, la E immagini bianche e gialle, come pure la I, mentre la O è associata al
rosso e al nero e la U ai colori scuri (blu notte, marrone e nero). E' interessante notare, oltre
alle regolarità che riguardano i colori, anche come varia la luminosità: le vocali alte (I, E)
tendono ad evocare luminosità, quelle basse (O, U) tendono ad evocare oscurità. L'audizione
colorata, inoltre, è caratterizzata anche da un'altra forma di regolarità, che riguarda la
grandezza dei fotismi colorati indotti dai suoni. Infatti, quando i suoni sono alti le immagini
visive indotte sono piccole, quando i suoni sono bassi le immagini visive indotte sono grandi.
Riggs e Karwoski (1934) descrivono, fra gli altri, il caso esemplare di una bambina sinestetica
di 7 anni e 1/2 per la quale la grandezza delle immagini colorate dipendeva dall'altezza dei
suoni. I suoni prodotti dai tasti intermedi del pianoforte suscitavano in lei immagini grandi da 3
a 7 cm, mentre i suoni prodotti da un fischietto suscitavano in lei immagini piccole come un
pisello. Anche la forma delle immagini visive indotte cambia con l'altezza del suono: i suoni alti
tendono a produrre immagini appuntite ed angolose, mentre i suoni bassi immagini arrotondate
e massicce (Marks, 1979). Ci sono poi altri fatti da tenere a mente. Parecchi studi
sostengono, infatti, che la luminosità e la grandezza dei fotismi non dipendano solo dall'altezza
sonora, ma anche dall'intensità sonora soggettiva, per cui più il suono è forte e più il fotismo è
luminoso e allo stesso modo più il suono è forte e più il fotismo è grande (Marks, 1975).
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In tutti questi esempi di sinestesia, sia in quelli in cui sono coinvolti i suoni musicali sia in quelli
in cui sono implicati dei suoni linguistici, si riscontra sempre la presenza delle stesse semplici
relazioni, fra alcune dimensioni sonore ed alcune dimensioni visive. Infatti, "la sinestesia non
consiste in un'associazione casuale fra dimensioni isolate che appartengono a due dominii
sensoriali diversi, ma esprime piuttosto l'esistenza di una correlazione fra tali dimensioni"
(Marks, 1975, p. 308).
Nella sinestesia auditivo-visiva rileviamo, dunque, l'esistenza delle seguenti correlazioni:
1. I suoni alti corrispondono ad immagini luminose, quelli bassi ad immagini poco
luminose;
2. I suoni forti suscitano immagini luminose, quelli deboli immagini poco luminose;
3. I suoni alti corrispondono ad immagini piccole, appuntite, angolose, quelli bassi ad
immagini grandi, massicce, arrotondate;
4. I suoni forti suscitano piccolezza ed angolosità, mentre quelli deboli evocano vastità e
rotondità;
5. I ritmi musicali rapidi e sincopati evocano immagini aguzze ed irregolari.
Queste corrispondenze si possono, naturalmente, presentare insieme, col risultato di ottenere
un effetto sinestetico più evidente; ad esempio un suono alto e forte dà luogo ad un fotismo più
luminoso di quello indotto da un suono semplicemente alto o semplicemente forte, ma sono
state elencate una ad una, in un modo un po' ripetitivo, per sottolineare il fatto che possono,
comunque, manifestarsi anche separatamente.
C'è da sottolineare, a questo punto, un aspetto molto interessante e di importanza
fondamentale: anche fra i soggetti non-sinestetici, fra le persone "normali", si può riscontrare la
presenza di queste correlazioni fra dimensioni visive ed auditive. Ad esempio,"se si fa alla
gente la domanda: 'è più luminoso un colpo di tosse o uno sternuto?' tutti, di solito, rispondono
uno 'sternuto', anche se non sanno spiegare il motivo della loro risposta. Questa risposta
deriva, probabilmente, dal fatto che le persone sono, in qualche modo, consapevoli
dell'esistenza di relazioni sinestetiche tra l'esperienza auditiva e quella visiva; gli sternuti hanno
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tipicamente un'altezza maggiore dei colpi di tosse ed i suoni alti corrispondono, come si è visto
in precedenza, ad immagini luminose" (Marks, 1984 p. 427). Conferme ulteriori dell'esistenza
di correlazioni tipiche della sinestesia in soggetti normali ci provengono da una serie di studi
condotti nell'ambito del fonosimbolismo. In generale, gli studi sul fonosimbolismo mettono in
evidenza il fatto che i suoni elementari del linguaggio parlato, qualche volta, evocano dei
significati, come se i suoni che costituiscono una parola facessero parte del suo contenuto
semantico; qui ci occuperemo di un settore specifico del fonosimbolismo e cioè dei modi in cui
i suoni del linguaggio possono convogliare dei significati sensoriali (Marks, 1978). Ad
esempio, sembra che la vocale A (suono relativamente basso) suggerisca oggetti più grandi
di quanto non faccia la vocale I (suono decisamente alto). Sapir (1929) costruì delle sillabe
senza senso che contenevano vocali differenti e chiese ai soggetti se queste pseudo-parole
suggerivano oggetti grandi o piccoli; scoprì che, effettivamente, le pseudo-parole contenenti
la vocale A evocavano oggetti più grandi di quelli evocati dalle pseudo-parole contenenti la
vocale I. In seguito, Newman (1933), replicò l'esperimento di Sapir, confermandone i risultati
ed investigando anche il simbolismo della luminosità suscitata dalle vocali; arrivò così alla
conclusione che le vocali alte sono associate alla luminosità, quelle basse all'oscurità. Queste
regole del fonosimbolismo sono risultate valide per svariati linguaggi (Marks, 1984). Inoltre,
svariate ricerche lessicali e sperimentali, condotte in ambiti linguistici diversi, concordano
nell'affermare che "le vocali anteriori e alte che, come si è visto colpiscono l'orecchio con le
note acute dello strillo e del grido e che designano ciò che è fine e sottile, rendono
sinesteticamente l'idea di ciò che è appuntito, spigoloso, che punge; le vocali posteriori e
basse, al contrario, entrano più spesso nella designazione di ciò che è piatto, arrotondato
visivamente o comunque colpisce la sensazione in forma meno 'pungente'" (Dogana, 1983, p.
179).
Sono interessanti, al fine di sottolineare la presenza in soggetti non sinestetici di comportamenti
analoghi a quelli dei sinestetici, anche alcuni risultati ottenuti da Marks (1974) con una tecnica
nota come cross-modality matching, espressione che in italiano si può tradurre con
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accoppiamento inter-modale o anche con confronto incrociato. L'accoppiamento inter-
modale è una tecnica di misurazione usata in psicofisica in cui "le valutazioni degli eventi
soggettivi avvengono mediante la manipolazione di altri stimoli ed evitando l'uso dei numeri"
(Pedon, 1987, p.85). Ad esempio, in una prova di accoppiamento inter-modale dell'intensità
sensoriale di uno stimolo sonoro e di uno stimolo visivo si chiede ai soggetti di far combaciare
l'intensità delle due sensazioni cioè di far combaciare l'intensità sonora soggettiva con la
luminosità. Marks (1974) chiese a soggetti non-sinestetici di scegliere dei suoni che
combaciassero con delle diverse sfumature di grigio. I risultati mostrarono una tendenza
generale ad associare i suoni bassi con il nero ed i suoni alti con il bianco; inoltre la maggior
parte dei soggetti appaiava il bianco con i suoni forti ed il nero con i suoni deboli. Poiché le
corrispondenze ottenute erano uguali a quelle caratteristiche della sinestesia, Marks scrive che
"la sinestesia costituisce una forma di accoppiamento inter-modale sistematico" (Marks, 1975,
p. 304).
Sembra, infine, che sia possibile trovare, nei soggetti non-sinestetici, anche qualcosa di simile
alla relazione sinestetica scoperta da Karwosky ed Odbert (1938) nell'ambito degli aspetti
temporali della percezione musicale. Infatti, Willmann (1944) chiese ad alcuni studenti di
composizione musicale di scrivere una serie di musiche, ognuna di esse ispirata da un tema
visivo. C'erano parecchi soggetti visivi: linee a zig-zag, forme quadrate, tonde, schiacciate.
Ogni tema suscitò composizioni diverse nei diversi studenti, ma si ravvisarono anche alcuni
elementi comuni: le linee angolose ed irregolari suscitavano suoni più forti, ritmi più rapidi e
sincopati.
Tutte queste somiglianze fra soggetti sinestetici e soggetti normali non sono così sorprendenti
se si considera la sinestesia "non come un'entità distinta ed anormale, ma come il punto finale
di un continuum lungo il quale le corrispondenze sensoriali variano in intensità e vividezza"
(Marks, 1975, p. 316). In realtà "i soggetti dotati di capacità sinestetiche avvertono
chiaramente ciò che tutti noi avvertiamo in maniera confusa" (Marks, 1979, p. 29).
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Possiamo considerare le corrispondenze inter-modali presenti in tutte le persone normali come
manifestazioni di una forma di sinestesia "debole" e quelle più sensazionali, presenti nei soggetti
sinestetici, come manifestazioni di una sinestesia "forte".
E' necessario, però, mettere in rilievo non solo le somiglianze tra sinestesia "forte" e "debole",
ma anche le differenze: se è vero che le corrispondenze sono le stesse, è anche vero che i
sinestetici percepiscono realmente le immagini, i suoni, gli odori evocati, mentre i soggetti
normali si limitano a stabilire delle associazioni.
La sinestesia "forte" è sempre una sinestesia sensoriale, quella "debole" è una sinestesia
sensoriale nel caso in cui i soggetti stiano manipolando degli stimoli sensoriali, come negli
esperimenti di accoppiamento inter-modale, ed è una sinestesia verbale quando i soggetti non
hanno a che fare direttamente con luci, suoni o colori e quindi con le qualità sensoriali stesse,
ma con parole che descrivono luci, suoni, colori e quindi con i concetti verbali delle qualità
sensoriali, come nella metafora sinestetica, di cui si parlerà diffusamente in seguito. La
sinestesia che compare negli esperimenti di fonosimbolismo è una sinestesia "debole"
sensoriale negli esperimenti in cui si usano sillabe senza senso, pseudo-parole e pseudo-versi,
poiché tutti questi stimoli sono semplicemente degli stimoli auditivi a cui è sottoposto il
soggetto, ed è una sinestesia "debole" sensorio-verbale negli studi in cui si usano parole
dotate di significato, poiché in questo caso non si considera solo l'aspetto auditivo degli stimoli,
ma anche quello concettuale.
La vividezza dell'esperienza non è l'unico tipo di differenza: la sinestesia "forte" è caratterizzata
anche da una maggior rigidità ed automaticità; le associazioni inter-modali che si riscontrano
nelle persone normali seguono le stesse regole della percezione sinestetica, ma non lo fanno
sempre in modo rigido. Ad esempio, la maggioranza dei soggetti non-sinestetici tende a far
combaciare un suono forte con il bianco, ma alcuni di loro possono farlo combaciare con il
nero ed altri ancora, in alcune occasioni, possono farlo combaciare con il bianco, in altre
occasioni, con il nero (Marks, 1974). Inoltre, è vero che la maggior parte delle persone alla
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domanda "è più luminoso un colpo di tosse od uno sternuto?" risponde "uno sternuto", ma è
perfettamente possibile che qualcuno risponda "un colpo di tosse".
Questa regola, che definisce la sinestesia "debole" come più incostante e mutevole, è però
caratterizzata da un'importante eccezione, la quale riguarda la relazione tra temperatura e
colore. Mentre i casi di temperatura colorata sono, come tutte le sinestesie dei cosiddetti sensi
più bassi, veramente idiosincratiche ed inaffidabili, esistono delle relazioni inter-modali
"deboli", tra le sensazioni termiche ed i colori, che sono abbastanza stabili. Tutti, infatti,
conoscono la dicotomia tra colori caldi e colori freddi: i gialli, i rossi, gli arancioni sono
considerati caldi, i verdi ed i blu sono considerati freddi. Inoltre, a tutti può capitare di parlare
del caldo colore giallo, ad esempio, di un girasole, senza provare, in realtà, alcuna sensazione
di calore. Questo è un caso di sinestesia solo verbale; si tratta, infatti, di una metafora
sinestetica.
L'elenco delle correlazioni regolari riscontrate nella sinestesia si arricchisce, quindi, di un nuovo
punto.
Le persone non-sinestetiche, comunque, in particolari condizioni, possono sperimentare anche
percezioni sinestetiche "forti"; questo avviene sotto l'effetto di alcune droghe come la mescalina
e l'hashish, che abitualmente alterano gli stati di coscienza. Probabilmente queste droghe
portano alla luce, enfatizzandole, delle potenzialità latenti (Marks, 1979).
Una conferma a quest'ipotesi ci viene dal mondo della letteratura. Nella Parigi del secolo
scorso, all'hotel Pimodan in via St. Louis, un gruppo di artisti, tra cui Charles Baudelaire e
Théophile Gautier, aveva dato vita al cosiddetto "hashish club" o "club dei mangiatori di
hashish". L'uso della droga in quel contesto va interpretato come un tentativo di fuga da una
realtà vissuta come estranea, il poeta si sente un esiliato, un angelo caduto: "il poeta che,
avvezzo alla tempesta / si ride dell'arciere: ma esiliato / sulla terra, fra scherni, camminare / non
può per le sue ali di gigante" (Baudelaire, "L'albatro", 1983, p. II / 6). Si spiega così il ricorso
ai "paradisi artificiali" della droga o a qualsiasi altra sollecitazione che permetta di abbandonarsi
a nuove sensazioni di colori, di musiche, di profumi. Una descrizione esemplare delle
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conseguenze dell'assunzione di hashish ce la offre Gautier: "Il mio udito si era prodigiosamente
sviluppato; sentivo il rumore dei colori. Suoni verdi, rossi, blu, gialli mi arrivavano in onde
perfettamente distinte. Un bicchiere rovesciato, uno scricchiolio della poltrona, una parola
pronunciata a bassa voce, vibravano e si trattenevano in me come rombi di tuono. Ogni
oggetto sfiorato mi provocava una nota di armonica o di arpa eolica"(cit. in Marks, 1984, p.
428). Secondo Baudelaire questi fenomeni provocati dall'hashish non sono veramente strani
ed insoliti, ma rappresentano piuttosto forme più vivide di percezioni normali. Baudelaire
infatti scrisse: " I suoni si ammantano di colori e i colori racchiudono la musica, eppure la
mente di ogni poeta, in uno stato normale e sano, concepisce facilmente queste analogie" (cit.
in Marks, 1984, p. 428). Con queste considerazioni Baudelaire dà prova di un considerevole
intuito psicologico.
Sottolineare che il fenomeno della sinestesia non è ristretto solo ad alcuni individui particolari,
ma coinvolge, praticamente, anche tutti gli individui normali, sia attraverso esperienze
sinestetiche "deboli" universalmente diffuse, sia attraverso esperienze sinestetiche "forti" indotte
da droghe è, forse, il modo migliore per confutare l'ipotesi di una sinestesia patologica. Come
dice Marks: "Alcuni ritengono che la sinestesia sia una patologia. Forse. E forse tutti noi siamo
pazzi" (Marks, 1975, p. 323).
Volendo mantenere il fuoco dell'attenzione sulla diffusione del fenomeno, vale la pena di
ricordare che la sinestesia potrebbe riguardare anche il mondo animale. Si può citare a questo
proposito un eccentrico esperimento di Schiller (1935). L'esperimento si svolse in questo
modo: alcuni pesci vennero condizionati a distinguere tra una cavità oscura ed una illuminata;
dopo che ebbero appreso il compito, lo sperimentatore diede loro la possibilità di scegliere tra
due cavità, entrambe non illuminate, ma contenenti odori diversi. Uno di questi due aromi, il
muschio, in soggetti umani evoca immagini chiare, l'altro, l'odore di indolo (un composto
cristallino bianco o giallo, usato spesso come aromatizzante nei prodotti farmaceutici), richiama
immagini scure. Ebbene, i pesci condizionati a scegliere la cavità illuminata mostrarono una