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INTRODUZIONE
Tutti conosciamo il personaggio di Peter Pan, protagonista dell’opera teatrale
scritta da James Matthiew Barrie nel 1904 che narra le avventure di un bambino
che, dopo aver sentito parlare i propri genitori circa quella che sarebbe stata la sua
vita una volta divenuto adulto, decide di scappare e di restare bimbo per sempre.
La mamma si dimentica di lui e, tornando tempo dopo e guardando da fuori
attraverso la finestra della sua camera, vede il suo letto occupato da un altro
bambino, il suo sostituto. Torna all’Isola-che-non-c’è, il posto in cui sono mandati
i bimbi che cadono dalla carrozzina quando le bambinaie non stanno attente a
loro, e ne diventa il capo. Passa le giornate raccontando storie che lo riguardano
compiacendosene, a giocare e scherzare, ed è protagonista di entusiasmanti
avventure. Ma non è felice. Si sente solo e non può fare a meno di essere
insoddisfatto.
Peter Pan ci dice qualcosa di inquietante: abbiamo perso i genitori, saldi punti di
riferimento, siamo stati abbandonati a noi stessi e la conclusione è che è molto piø
semplice fermarsi sulla soglia e restare bambini anzichØ crescere ed affrontare il
mondo (Cataluccio, 2003).
Proprio questo personaggio, senza volerlo, è l’archetipo dell’infantilismo che
dilaga nel mondo moderno, rappresentandone la tragedia dato che non è possibile,
se non pagando un prezzo altissimo, restare bambini nØ tanto meno tornare
all’infanzia.
Per rimanere in tema, un'altra figura ha colpito la nostra attenzione: quella di
Narciso.
Il Mito di Narciso fa parte della mitologia greco-romana e rappresenta il simbolo
dell’amore di sØ, del potere dell’ego, dell’orgoglio smisurato (Morel, 2006).
Narciso è un giovane bellissimo e molte ninfe languono d’amore per lui anche se
il giovane adolescente, resta impassibile alle loro avances. Eco, lo ama talmente
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tanto che, dopo esserne stata respinta, si consuma lentamente d’amore e diventa
un’ ombra.
Le altre ninfe, indignate dall’indifferenza di Narciso si recano dalla dea della
Vendetta, Nemesi, e le chiedono di punirlo.
La dea, conoscendo la predizione che il veggente Tiresia ha fatto riguardo a
Narciso, secondo la quale il giovane sarebbe vissuto fino a quando non avesse
visto il suo riflesso, spinge Narciso a guardarsi nell’acqua di una sorgente. Il
giovane, osservando la sua immagine, se ne innamora a tal punto di dimenticarsi
di mangiare e di bere. Completamente assorbito dalla contemplazione del suo
riflesso, mette le radici e, lentamente, si trasforma in un fiore.
La leggenda di Narciso ci illustra il dramma della perdita del SØ, quella del
Disturbo Narcisistico. Narciso è innamorato della sua immagine ideale, ma non è
capace di amare veramente se stesso, ciò che lui è (Miller, 2008).
Abbiamo illustrato questi due personaggi, Peter Pan e Narciso, per introdurre i
due disturbi di cui ci siamo occupati nel corso di questo lavoro, rispettivamente la
Sindrome di Peter Pan ed il Disturbo Narcisistico di Personalità.
Ci sembra, infatti, che i “Peter Pan” ed i “Narcisi” di oggi presentino delle
analogie nelle caratteristiche che determinano la loro personalità e ci è sembrato
interessante svolgere una ricerca per cercare di coglierle attentamente.
Il lavoro che segue è stato strutturato nel modo seguente.
Nel Capitolo Primo abbiamo tentato di dare una definizione a quel complesso che
prende il nome di Sindrome di Peter Pan. Nonostante tale fenomeno sia infatti
conosciuto e discusso nella pratica, non si è verificato un forte impulso
nell’analisi e nell’ approfondimento di studi tesi ad indagarne il costrutto.
Abbiamo illustrato i punti di vista di due autori, Charlton (2006, 2007) e Kiley
(1983), che hanno cercato di introdurre l’argomento ipotizzando le cause e
individuandole in due aspetti differenti su cui ci siamo soffermati.
Nel Capitolo Secondo sono state illustrate le caratteristiche principali del Disturbo
Narcisistico di Personalità con riferimento anche ai criteri diagnostici riportati nel
DSM-IV-R (APA, 2000) e le caratteristiche socio-demografiche dei soggetti
colpiti nonchØ l’ eziopatogenesi individuata dai diversi autori che si sono
interessati all’argomento.
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In conclusione al capitolo sono stati messi in risalto i maggiori punti in comune
tra il Disturbo Narcisistico e la Sindrome di Peter Pan.
Il Capitolo Terzo descrive il Metodo; sono state distinte quattro sezioni:
Partecipanti, in cui vengono descritte le caratteristiche socio-demografiche del
campione oggetto della nostra indagine; Strumenti, in cui si descrivono i
questionari utilizzati nella presente ricerca: Peter Pan Scale (PPS), Big Five
Adjectives (BFA; Costa & McCrae, 1992; McCrae & Costa, 1987, 1996, 1999;
Goldberg, 1989, 1990), The Rosenberg Self-Esteem Scale (RSES; Rosenberg,
1965), Locus of Control Scale (Rotter, 1966) e Psychological Treatment Inventory
(PTI; Gori, Giannini e Schuldberg, 2008); Procedura, in cui vengono descritte le
modalità di somministrazione di tali questionari e Analisi dei dati che illustra le
modalità di elaborazione dei dati ottenuti dall’indagine.
Nel Capitolo Quarto sono riportati i risultati emersi dallo studio effettuato.
Infine, il Capitolo Quinto propone una discussione sul lavoro svolto cercando di
fornirne le conclusioni.
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CAPITOLO PRIMO
LA SINDROME DI PETER PAN
1.1 Alla ricerca di una definizione.
Non esiste in letteratura una vera e propria definizione di ciò che si intende col
termine “Sindrome di Peter Pan” essendo questo un disagio che, seppur sempre
piø diffuso, non ha ancora trovata una collocazione all’interno di alcuna categoria
nosografica.
In generale possiamo dire che col termine Sindrome di Peter Pan si fa riferimento
ad una tendenza consistente nel rifiuto di crescere e di assumersi le proprie
responsabilità, in espansione nelle società occidentali contemporanee; non sembra
infatti che nei secoli precedenti si possa riscontrare un desiderio così chiaro e
ostinato di non crescere da parte degli uomini (Cataluccio, 2003).
Tale tendenza è comunemente nota, ma di studi specifici a riguardo ne esistono
ben pochi, quindi si diffonde come una specie di sapere profano a cui mancano,
però, le basi teoriche e scientifiche che ne definiscano le caratteristiche per
descriverlo.
Sono evidenti i grandi cambiamenti a cui stanno andando incontro le società
odierne, cambiamenti che si esprimono relativamente a diversi aspetti della vita
quotidiana e che, inevitabilmente si ripercuotono nelle tendenze comportamentali
delle persone. Cambiamenti determinati, in prima istanza, dal processo di
modernizzazione
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che è in atto ormai da diversi decenni. E’ chiaro come ciò
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Col termine modernizzazione si fa riferimento a tutti quei processi che determinano mutamenti su
larga scala al fine di modificare la struttura e l’organizzazione sociale. Tali modificazioni, si
presentano a diversi livelli: economico, politico, sociale, culturale ed hanno lo scopo principale di
determinare una continua evoluzione e innovazione della società, discostandosi il piø possibile dai
modelli passati.
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incida in maniera forte sugli stili di vita, sulle abitudini, sulle tradizioni delle
persone e come tali metamorfosi stiano avvenendo in tempi sempre piø rapidi.
Gli stili sociali odierni si sono modificati molto già facendo riferimento al
decennio scorso.
Si evidenzia chiaramente come ormai i giovani impieghino molto piø tempo a
diventare indipendenti, da un punto di vista economico ma anche emotivo, quanto
assumano atteggiamenti adolescenziali anche in età adulta, quanto non avvertano
l’esigenza di costruirsi autonomamente la propria vita, si mostrino infantili anche
nell’aspetto fisico (Cataluccio, 2003) e siano contrari all’assumersi le proprie
responsabilità.
Ciò determina chiare conseguenze negli andamenti generali della società: si
osservano lavoratori sempre piø precari, genitori sempre meno giovani, legami
affettivi sempre piø instabili.
Nonostante l’allarmismo generale che questa tendenza provoca, a livello pratico
non si sta facendo molto. Come accennato sopra, sono pochi gli esperti che si
sono occupati di affrontare l’argomento, illustrandolo, approfondendolo e
cercando soprattutto di spiegarne l’origine.
1.2 Uno sguardo alla Letteratura.
Nel 2006 è stata compiuta una ricerca dallo psichiatra inglese Charlton presso la
School of Biology dell’ università di Newcastle upon Tyne, il quale ha introdotto il
termine di “psycological neoteny” (neotenia psicologica) per riferirsi al
mantenimento di caratteristiche infantili, sia fisiche che psichiche, in età adulta.
La causa principale è per lui da attribuire alla diffusione, a partire dagli anni ’90,
di professioni sempre piø mobili che portano le persone ad adottare stili di vita
flessibili; ma mentre la flessibilità è una caratteristica spontanea nei piø giovani,
essa viene acquisita per necessità dai piø maturi al fine di adattarsi ai ritmi della
società attuale e ciò, ovviamente, costituisce un ostacolo alla maturità.
Lo psichiatra sottolinea come la problematica riguarda prevalentemente un target
di persone appartenenti al sesso maschile, socialmente attive e di livelli di
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istruzione piø elevati, in quanto proseguire a lungo gli studi ostacola il processo di
indipendenza ed autonomizzazione dalla famiglia di origine (Charlton, 2007).
Secondo questo punto di vista l’eziologia è attribuibile esclusivamente
all’influenza della società contemporanea, la quale è caratterizzata da ritmi
frenetici e tempi di scolarizzazione lunghi ai quali l’individuo deve adattarsi e ciò
lo conduce ad un’ inevitabile dipendenza dalle figure genitoriali e ad una
maggiore permanenza nella famiglia d’origine con conseguente infantilizzazione
del soggetto che, troppo a lungo, viene trattato come il piccolo di casa,
sfruttandone gli indubbi vantaggi (Charlton 2006).
In una posizione diversa si colloca invece lo psicologo americano Kiley che,
nel 1983 , ha scritto un’opera intitolata “The Peter Pan Syndrome” (tradotta in
italiano da Rizzoli come “Gli uomini che hanno paura di crescere”, 1985)
introducendo un termine che, nel giro di qualche anno, avrebbe indicato una
tendenza sempre piø diffusa e conosciuta.
Secondo questo autore, la Sindrome di Peter Pan (SPP) è un trauma che blocca la
vita emotiva del soggetto quando egli è ancora un bambino.
La persona va incontro ad uno sviluppo normale da un punto di vista intellettivo,
ma la sua personalità resta bloccata nell’ infanzia; il disturbo conclamato si
osserva solo in età adulta quando il soggetto manifesta un evidente rifiuto a
prendersi le proprie responsabilità.
Le cause, in questo caso, vanno ricercate nella primissima infanzia, fase in cui
ogni individuo costruisce il proprio equilibrio emotivo, generalmente sulla base
dell’amore trasmesso dai propri genitori. Una carenza affettiva potrebbe essere,
secondo tale punto di vista, alla base della Sindrome in quanto chi non riceve
amore da bambino sviluppa un malessere che lo porta, una volta adulto, a
percepirsi indifeso di fronte al mondo e angosciato dagli ostacoli che cercherà,
quindi, di evitare.
Secondo Kiley la problematica non deve essere sottovalutata ed intesa come un
problema di poco conto perchØ le persone colpite esperiscono una chiara
sofferenza emotiva che determina effetti devastanti sul benessere psicologico
dell’individuo e della sua famiglia ( talvolta, seppur raramente, porta anche ad atti
suicidi).