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La sindrome del burnout è il fenomeno che si è scelto di indagare relativamente
alla situazione professionale dell’insegnante. Tale fenomeno, come molti che
costituiscono oggetto di studio delle scienze umane, per la sua complessità non
può esser fatto rientrare nell’ambito di una sola disciplina. Infatti Freudenberger
(1983, p. 24), mettendo in guardia contro i danni che possono derivare alla
conoscenza del burnout dal fatto di rinchiudersi nel proprio guscio scientifico,
affermò viceversa che «se percepiamo il burnout come il riflesso di un’ampia area di
condizioni sociali e una risposta ad esse, dobbiamo incoraggiare sociologi, biologi, economisti,
psichiatri, politologi, ingegneri industriali e uomini d’affari ad assisterci nella nostra ricerca».
L’indagine sul burnout non è dunque semplice e anche in questa sede ci si
troverà di fronte alla schematizzazione di un fenomeno complesso.
Il termine inglese “burnout” può ricordare qualcosa che sta bruciando (to burn)
fuori (out). Dunque è qualcosa d’interiore che esplode all’esterno e si manifesta.
Il termine risale al 1974 per opera di Freudenberger. Ben presto questo termine
ha cominciato ad imporsi e svariati sono stati i modelli teorici elaborati nel
corso degli anni successivi (Cherniss, Maslach, Pines e Aronson, in Italia Del
Rio e Contessa, Sirigatti e Stefanile, ecc.).
Il primo capitolo della tesi sarà dedicato alla descrizione del burnout a partire dalle
definizioni e dai modelli che si sono sviluppati in questo ventennio di teoria e
ricerca internazionale e italiana. Si illustreranno le principali cause da cui deriva
la sindrome secondo la letteratura internazionale e la sintomatologia dal punto
di vista sia fisico che psicologico sull’individuo e l’ambiente in cui è inserito.
Nel secondo capitolo si farà una panoramica sulla situazione lavorativa
dell’insegnante in Italia, prendendo come riferimento tematiche quali la
condizione generale di lavoro, la retribuzione, la mobilità, diritti e doveri
dell’insegnante.
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Si parlerà più specificamente nel terzo capitolo del burnout nell’insegnante di
scuola primaria, prendendo in considerazione gli elementi di rischio relativi al
ruolo multiforme del docente d’oggi, gli elementi storico-sociali e i fattori
psicosociali tra i quali i rapporti con allievi, genitori e colleghi di lavoro.
Nella seconda parte della tesi sarà illustrata la ricerca messa in atto in 19 scuole
delle Province di Reggio Emilia e Modena, in particolare nel quarto capitolo
saranno delineati gli obiettivi della ricerca, vi sarà la descrizione della creazione
dello strumento Q.B.I. per la rilevazione del burnout, nonché del campione di
docenti indagato.
Infine nel quinto capitolo si analizzeranno i risultati della ricerca sperimentale e
saranno discusse le conclusioni dell’indagine.
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CAPITOLO I
La sindrome del burnout
1. Definizioni
La prima pubblicazione sul Burnout risale al 1974 per opera di Freudenberger,
che nel suo articolo “Staff-burnout” descrive una particolare sindrome che
sembrava caratterizzare i membri di staff che lavoravano in istituzioni socio-
sanitarie.
Per quanto l’espressione sia lontana dal rappresentare una traduzione letterale
del vocabolo inglese, il termine burnout può essere tradotto letteralmente con
cortocircuitato, scoppiato o bruciato, ma si continua ad avvalersi anche in Italia
dell’espressione in inglese, vista l’inadeguata efficacia e corrispondenza della
traduzione italiana.
Burnout è il “non farcela più”, l’insoddisfazione e l’irritazione quotidiana, la
prostrazione e lo svuotamento, il senso di delusione e di impotenza di molti
lavoratori, in particolare di quelli che operano all’interno delle cosiddette
professioni di aiuto (medici, infermieri, insegnanti, poliziotti, avvocati, ecc.),
ossia di attività nelle quali il rapporto con l’utente/cliente ha un’importanza
fondamentale in termini di significato e di lavoro in sé.
L’espressione si è diffusa molto rapidamente senza però una definizione
precisa, ma coprendo una vasta gamma di fenomeni. Molti comportamenti e
atteggiamenti del burnout erano già stati rilevati, ma è solo con l’introduzione di
questo termine che le varie parti costitutive sono state collegate e
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concettualizzate in una sindrome definita. Dopo una diffusione di letteratura
prevalentemente descrittiva sull’argomento, spesso basata su storie di vita, è
iniziata a partire dagli anni ’80 una fase di concettualizzazione e di ricerca
empirica soprattutto grazie all’introduzione del Maslach Burnout Inventory, un
questionario agile ed efficace per misurare il burnout (Maslach e Jackson, 1981).
Freudenberger aveva introdotto il termine burnout per descrivere una sindrome
che caratterizzava il personale di istituzioni socio-sanitarie. La sindrome del
burnout, infatti, riguarda in particolare le professioni di aiuto, cioè quelle in cui
si lavora sempre a contatto con utenti, come quelle di medici, infermieri,
assistenti, insegnanti. Queste professioni presentano problematiche diverse
dalle altre, poiché hanno la finalità di soddisfare bisogni e richieste di pazienti o
clienti, e questo comporta l’utilizzo non solo di competenze tecniche, ma
soprattutto il coinvolgimento di se stessi e delle proprie abilità sociali.
Il rapporto diretto con una persona che richiede aiuto, e può essere portatrice di
ansia o disperazione, suscita forti dinamiche emotive nell’operatore che deve
essere in grado di mantenere il giusto livello di coinvolgimento con l’utente.
Queste premesse possono portare alla perdita dell’equilibrio emotivo e al
ricorso a strategie difensive di distacco dagli utenti che sono distintive del
burnout. La sindrome del burnout, che all’inizio può apparire come semplice
stanchezza o tensione, si sviluppa in modo lento e graduale, ma in assenza di
interventi i suoi sintomi tendono a cronicizzarsi.
Il burnout può, quindi, essere descritto in generale come un tipo di risposta allo
stress che conduce ad una sensazione di esaurimento e si esplicita con
atteggiamenti di nervosismo, apatia e indifferenza nei confronti del proprio
lavoro. Pur essendoci definizioni diverse della sindrome del burnout gli autori
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concordano nel considerarlo non un evento, ma un processo che si sviluppa
diversamente a seconda delle peculiarità soggettive e del contesto sociale.
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2. Principali contributi
2.1. Modelli internazionali
Fin dagli inizi emergono due tendenze teoriche: una più legata alla “clinica” e
quindi con l’enfasi primariamente orientata alle dinamiche individuali
(Freudenberger, 1974); una seconda focalizzata su paradigmi psico-sociali e con
maggiore attenzione alla necessità di studi empirici. Quest’ultima si rifà ad
autori come Maslach, Cherniss e Pines, che pongono l’accento con più forza
rispetto ad altri sul ruolo degli elementi organizzativi del lavoro come causa
della depersonalizzazione nella relazione con l’utente e, in prospettiva,
dell’esaurimento dell’operatore.
2.1.1. Il modello di Maslach
Maslach, già in un contributo del 1976, parla di burnout come di una «forma di
stress interpersonale che comporta il distacco dall’utente» (Maslach, 1976, p.16) causato
dalla continua tensione emotiva del contatto con persone che portano una
richiesta di aiuto. Pur precisando che il burnout non colpisce soltanto i soggetti
impegnati in specifiche professioni socio-sanitarie, ma tutti coloro che lavorano
a stretto contatto con persone per lunghi periodi di tempo, ne sottolinea,
tuttavia, la specificità per tutte le professioni d’aiuto (Maslach, 1982). La sua
rielaborazione costituisce l’approccio che oggi sembra influenzare
maggiormente i ricercatori. Successivamente la definizione viene trasformata
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operazionalmente e ricondotta ad un costrutto multifattoriale costituito da tre
dimensioni tra loro relativamente indipendenti:
L’esaurimento emotivo, cioè la sensazione di essere in continua tensione,
emotivamente inariditi dal rapporto con gli altri. È dovuto alla percezione delle
richieste come eccessive rispetto alle risorse disponibili. L’operatore si sente
come svuotato delle risorse emotive e personali, e con l’impressione di non
avere più nulla da offrire a livello psicologico. L’esaurimento emotivo è, quindi,
la sensazione di aver oltrepassato i propri limiti sia fisici sia emotivi, sentendosi
incapaci di rilassarsi e recuperare e ormai privi dell’energia per affrontare nuovi
progetti o persone. L’esaurimento emotivo è la caratteristica centrale del
burnout e la manifestazione più ovvia di questa complessa sindrome.
Quest’aspetto riflette la dimensione di “stress” del burnout, coglie gli aspetti
critici della relazione che le persone hanno con il proprio lavoro. L’esaurimento
non è semplicemente un vissuto, piuttosto spinge ad allontanarsi dal punto di
vista emotivo e cognitivo dalla professione, presumibilmente un modo per far
fronte al carico di lavoro (Maslach, Schaufeli e Leiter, 2001).
La depersonalizzazione, cioè la risposta negativa nei confronti delle persone che
ricevono la prestazione professionale; costituisce un modo per porre una
distanza tra sé e i destinatari del servizio, ignorando attivamente le qualità che li
rendono unici. Le richieste di queste persone sono maggiormente gestibili
quando queste ultime vengono considerate oggetti impersonali. In questa
condizione l’operatore cerca di evitare il coinvolgimento emotivo con un
atteggiamento burocratico e distaccato, e con comportamenti di rifiuto o
palese indifferenza verso l’utente. Questi atteggiamenti negativi di distacco,
cinismo, freddezza e ostilità costituiscono il tentativo di proteggere se stessi
dall’esaurimento e dalla delusione, riducendo al minimo il proprio
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coinvolgimento nel lavoro. Una frequente conseguenza della
depersonalizzazione è la percezione del senso di colpa da parte dell’operatore.
La ridotta realizzazione personale, cioè la sensazione che nel lavoro a contatto con
gli altri la propria competenza e il proprio desiderio di successo stiano venendo
meno. L’operatore si percepisce come inadeguato e incompetente sul lavoro e
perde la fiducia nelle proprie capacità di realizzare qualcosa di valido. La
motivazione al successo cala drasticamente, l’autostima diminuisce e possono
emergere sintomi di depressione. In questa condizione è possibile che il
soggetto si rivolga alla psicoterapia oppure decida di cambiare lavoro. Questo
costrutto ha una relazione complessa con gli altri due: sembra sia una funzione
di entrambi, oppure una combinazione dei due. Una situazione lavorativa
caratterizzata da richieste croniche e opprimenti che contribuiscono
all’esaurimento e al “cinismo” è probabile possa erodere il senso di efficacia
dell’individuo. Ancora, esaurimento e depersonalizzazione interferiscono con
l’efficacia: è difficile raggiungere un senso di realizzazione quando ci si sente
esauriti o si aiuta persone verso le quali si prova indifferenza. Comunque, in
altri contesti lavorativi, l’inefficacia sembra svilupparsi parallelamente con gli
altri due aspetti del burnout, piuttosto che in maniera sequenziale (Leiter, 1993).
La mancanza di efficacia sembra derivare più chiaramente da una mancanza di
risorse, mentre l’esaurimento e il cinismo emergono dalla presenza di
sovraccarico lavorativo e conflitto sociale.
Le tre dimensioni sono valutabili con il “Maslach Burnout Inventory”, un
questionario di 22 item sviluppato da Maslach e Jackson nel 1981. Il
questionario era in principio rivolto all’uso per le professioni di aiuto, ma in
risposta all’interesse per il burnout da parte degli insegnanti, fu in seguito
prodotta una versione per le professioni educative. Negli anni Novanta il
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concetto di burnout fu esteso ad occupazioni al di là delle professioni d’aiuto e
educative (ad es. tecnologia del computer, militare, manageriale).
Raffrontando il modello con gli studi precedenti sull’argomento, Maslach e
collaboratori rilevano che la depersonalizzazione appare come la dimensione
distintiva del burnout, ma anche la meno analizzata nelle ricerche sullo stress.
Nei vari studi sullo stress sono stati invece più ampiamente considerati gli
aspetti dell’esaurimento emotivo e della realizzazione personale, analizzata
soprattutto nei termini di autostima e self-efficacy. Questo porta a concludere
che ciò che rende il burnout una sindrome specifica, e distinta dallo stress, non
sono tanto le sue cause e le reazioni di tensione o insoddisfazione, quanto i
sintomi legati ai rapporti interpersonali che si creano nelle relazioni d’aiuto,
come il distacco dagli utenti o l’indifferenza. Secondo il modello di Maslach
vanno di conseguenza considerate di primaria importanza le caratteristiche di
questa relazione dal punto di vista sia quantitativo, come la frequenza, la durata,
il numero degli utenti, sia qualitativo, come l’intimità e la distanza
interpersonale, senza infine dimenticare le caratteristiche degli utenti (età, classe
sociale e tipo di problematica). Maslach descrive così le caratteristiche dei
soggetti più vulnerabili al burnout: deboli, remissivi, con serie difficoltà a
tracciare i confini tra sé e gli utenti, incapaci di esercitare un controllo sulla
situazione, rassegnati passivamente alle richieste del lavoro senza tentare di
ridimensionarle. I vari stressor della situazione lavorativa, come il sovraccarico o
l’ambiguità di ruolo, possono interagire con queste caratteristiche personali
portando allo sviluppo del burnout.
Più recentemente Folgheraiter (1994) introduce un quarto elemento descritto
come perdita della capacità del controllo, vale a dire smarrimento di quel senso
critico che consente di attribuire all’esperienza lavorativa la giusta dimensione.
La professione finisce per assumere un’importanza smisurata nell’ambito della
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vita di relazione e l’individuo non riesce a “staccare” mentalmente tendendo a
lasciarsi andare anche a reazioni emotive, impulsive e violente.
Un altro modello recentemente elaborato (Maslach, 1997) ordina le cause
oggettive del burnout in sei classi, rispettivamente relative a: carico di lavoro,
autonomia decisionale, gratificazioni, senso di appartenenza, equità, valori. Nel
medesimo lavoro l’autrice perviene alla conclusione che il burnout è dovuto
principalmente ai fattori oggettivi dello stress professionale, relegando a
secondo piano le cause soggettive.
2.1.2. Il modello di Cherniss
Cherniss definisce burnout una strategia di adattamento che ha ripercussioni
negative sia per la persona sia per l’organizzazione; si tratta di una modalità
errata di adattamento allo stress lavorativo, messa in atto da operatori che non
dispongono delle risorse appropriate per fronteggiarlo; è una sorta di “ritirata
psicologica” dal lavoro, in risposta ad un eccessivo stress o insoddisfazione, per
cui ciò che un tempo era sentito come “vocazione” diventa soltanto un lavoro.
Non si vive più per il lavoro, ma si lavora unicamente per vivere: vi è, quindi,
una perdita di entusiasmo, interesse e senso di responsabilità per la propria
professione (Cherniss, 1983). Questa incapacità a fronteggiare lo stress è
determinata sia da elementi personali, sia da variabili riguardanti il lavoro in sé e
la sua organizzazione.
Le possibili manifestazioni del burnout secondo Cherniss (1980b) possono
essere divise in quattro gruppi:
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Sintomi fisici: fatica e senso di stanchezza, frequenti mal di testa e disturbi
gastrointestinali, raffreddori e influenze, cambiamenti delle abitudini alimentari,
insonnia e uso di farmaci.
Sintomi psicologici quali senso di colpa, negativismo, sensazioni di fallimento
ed immobilismo, alterazioni dell’umore, irritabilità, scarsa fiducia in sé, scarse
empatia e capacità d’ascolto.
Reazioni comportamentali come alta resistenza ad andare al lavoro, assenteismo
e ritardi, tendenza ad evitare o rimandare i contatti con gli utenti, ricorso a
procedure standardizzate.
Cambiamenti di atteggiamento con gli utenti, cui si dimostra chiusura difensiva
ai contatti, cinismo, perdita di disponibilità all’ascolto, distacco emotivo,
indifferenza, colpevolizzazione; utilizzo di misure del controllo del
comportamento come l’uso di tranquillanti; atteggiamenti sospettosi o
paranoidi. Anche con i colleghi si sviluppano atteggiamenti di evitamento dei
contatti e di risentimento.
Questi sintomi si configurano, secondo la definizione di Cherniss (1980b, p.18),
come la «risposta data ad una situazione di lavoro sentita come intollerabile». Secondo
questo autore il burnout è la reazione ad uno stato di tensione e insoddisfazione
che inizia a svilupparsi quando il soggetto crede che lo stress che sta provando
non possa essere sgravato con una soluzione attiva dei problemi che deve
fronteggiare. Il risultato di questa convinzione è il tentativo di fuggire
psicologicamente dalla situazione e di allontanare ulteriori tensioni e disagi
attraverso atteggiamenti di distacco e comportamenti di evitamento.