Vedremo come le polemiche e i contrasti emergenti da una situazione locale come il Caso Bologna
riflettano le ben più vaste tematiche globali attualmente in corso riguardo la sindrome ADHD: il
problema della tradizione psicodinamica rispetto a quella neurobiologica, il discusso utilizzo di
psicofarmaci in età infantile, la necessità di prove organiche per la validità ontologica della
patologia psichiatrica, il gap esplicativo delle neuroscienze, la medicalizzazione del comportamento
deviante, il ruolo del bambino come recente categoria antropologica e tante altre prospettive emerse
nel corso dei colloqui con gli attori sociali coinvolti dal Caso Bologna.
Uno degli scopi più rilevanti di questo breve studio è quello di mostrare come l'analisi di eventi
significativi su scala locale, come la realtà di Bologna, possa essere utile nel comprendere che la
gestione e l'utilizzo di una categoria diagnostica e del trattamento relativo possano prendere forma
da specifici contesti culturali, attitudini e pratiche sociali proprie di un determinato paese.
CAPITOLO 1
La nascita del bambino iperattivo e disattento:
breve storia di una categoria medica.
“-Ma se voi sapete bene chi è Dio, perchè non ne parlate loro?- domandò il Selvaggio indignato.-
Perchè non date loro questi libri su Dio?-
-Per la stessa ragione per cui non diamo loro Otello: sono vecchi, rispetto a Dio sono indietro cento anni.
Non è il Dio d'adesso.-
-Ma Dio non muta.-
-Gli uomini si però.-”
A. Huxley, Il mondo nuovo.
Il punto d'inizio per delineare il percorso storico di formazione della “Sindrome da Disattenzione e
Iperattività” è una serie di conferenze tenute dal medico George Frederic Still nel marzo del 1902
presso il Royal College of Physicians in Inghilterra. Le sue osservazioni furono pubblicate su
un'autorevole rivista di medicina, “Lancet”, dove Still descriveva il comportamento di venti
bambini incontrati nella pratica clinica come aggressivi, resistenti alla disciplina, eccessivamente
emotivi o “passionali” , bambini che mostravano basso controllo inibitorio, mancato rispetto delle
regole, disonestà (T. Armstrong 1997). Still sosteneva che questi bambini condividessero un difetto
di “controllo morale” di base, che probabilmente risultava essere ereditario in alcuni casi e
secondario a traumi pre o post natali in altri. Ipotizzava, inoltre, l'esistenza di una correlazione tra
auto controllo e l'abilità biologica per poter rispondere in modo adeguato alle richieste morali
dell'ambiente in cui il bambino viveva: “Il controllo morale può esistere solamente dove è in atto
una relazione cognitiva con l'ambiente”, per Still la moralità individuale è quindi un fenomeno in
continuo sviluppo che emerge dalle funzioni organiche cerebrali. Per ogni età evolutiva esistono
degli standard biologici per il “controllo morale” e avere meno “controllo morale” in una
determinata fascia d'età è un segnale per sospettare una condizione patologica. Still esclude il
ritardo mentale da questo tipo di condizione; i bambini con inadeguato controllo morale non devono
essere confusi con quelli con inferiorità intellettuale. Infatti i bambini individuati non erano troppo
“stupidi” per capire le regole di comportamento morale che la società chiedeva loro, essi avevano
una chiara comprensione dell'ambiente e delle sue regole e volontariamente decidevano di
infrangerle (A. Rafalovich 2004). Senza una categoria che li identificasse nella medicina del tempo
questi bambini erano troppo intelligenti per poter essere definiti “idioti” e troppo giovani per poter
essere definiti “menti criminali”.
Il lavoro di Still va compreso e contestualizzato entro i margini della letteratura dominante della sua
epoca; le sue conferenze si svolsero in un periodo storico in cui il dibattito medico sull'origine
biologica dei comportamenti immorali, in particolare del comportamento criminale, era già avviato
(alcune caratteristiche morfologiche del corpo erano studiate per creare tipologie di identificazione
di criminali). Ciò che distinse l'approccio di Still fu l'attenzione che egli pose sull'origine
strettamente neurologica del comportamento non convenzionale dei bambini ; l'assunzione che la
causa di questi “comportamenti immorali” risiedesse nella mente dei bambini e che andasse
ricercato con urgenza il meccanismo sottostante a questo malfunzionamento cognitivo.
Questa causalità tra i problemi di ordine comportamentale dei bambini e le relative origini
organiche ha ricevuto un forte impulso durante la grande ondata epidemica di encefalite che colpì
un gran numero di bambini appena dopo la prima guerra mondiale. Il dibattito medico attorno
all'encefalite letargica (EL) durante gli anni '20 è considerato uno dei primi traguardi nella
discussione degli specifici sintomi che in seguito sarebbero stati attribuiti alla sindrome ADHD.
Inizialmente l'encefalite era una patologia sconosciuta alla medicina dell'epoca ma in tempi
brevissimi occupò una posizione centrale nell'interesse medico. Le sequele dell'encefalite si
manifestavano in così varie forme che diventò comune per i neurologi riferirsi a essi come ad una
sindrome. L' EL si manifestava con all'incirca ventisette sintomi diversi, tra i quali: irritabilità,
ostinazione, basso controllo motorio, instabilità emotiva, disturbi del sonno, tendenza a mentire e a
rubare, tics, depressione, generale iperattività, problemi di memoria e attenzione.
L'EL è particolarmente significativa perchè segna una frontiera in cui le difficoltà sul piano
scolastico e morale sono comprese attraverso categorie di disturbi somatici, rimpiazzando
motivazioni moralistiche con argomentazioni fermamente radicate sul terreno della fisiologia.
L'opinione che l'iperattività, i problemi di memoria e altri sintomi seguenti l'infezione encefalitica
rappresentassero una disfunzione fisiologica rimane tutt'oggi la prospettiva dominante dei
ricercatori che appoggiano la corrente neurologica; l'ADHD è una sindrome comprendente una
varietà di comportamenti aventi una causa neurologica. Il dibattito sull'encefalite letargica fu
importante non solo per aver sostenuto la connessione causale tra funzionamento neurologico e
comportamento ma soprattutto per aver problematizzato una grande varietà di sintomi, molti dei
quali non chiaramente collegati tra loro, riunendoli sotto la medesima categoria medica. Oggi molti
di questi sintomi sono rivendicati dai neurologi e piazzati sotto il nome di ADHD. Dal punto, nella
storia della salute mentale, in cui l'EL prendeva il posto di causa dell''immoralità persistente dei
bambini, fino ai giorni nostri con la sindrome ADHD, la psichiatria infantile si appoggia alla
credenza che un comportamento persistentemente deviante nell'infanzia rappresenti una disfunzione
fisiologica, una patologia.
Nel 1937, il dottor Charles Bradley osservò che le anfetamine avevano un effetto sorprendente nei
bambini che mostravano disordini del comportamento o disturbi dell'apprendimento. Bradley definì
questo effetto paradossale perchè si aspettava che le anfetamine stimolassero i bambini come del
resto avveniva somministrandole agli adulti. Terminata la somministrazione il comportamento dei
bambini tornava ai livelli precedenti l'assunzione (P. Conrad 1988). Questa scoperta diede impulso
alle ricerche su tale disturbo e contribuì allo sviluppo di scale e questionari di valutazione atti a
predire o stimare gli effetti dei farmaci (Rapaport, Ismond 2000). Questa fu una tappa importante
nella storia della sindrome, poiché, come vedremo in seguito, l'efficacia del trattamento
farmacologico influenzerà in modo significativo i percorsi di diagnosi e di gestione del disturbo.
Nel frattempo, presso la Wayne County Training School a Northville nel Michigan, venne dato il
contributo significativo a sostegno della causalità organica, grazie ai ricercatori A.A. Strauss e
Lethtinen che nel 1947 pubblicarono “Psicopathology and Education of the Brain Injuried Child”.
Essi riscontrarono comportamenti anomali (inclusa l'ipercinesia) in bambini post-encefalitici
sofferenti di quello che in seguito fu chiamato “Danno cerebrale minimo” (“Minimal brain injury”).
Altri ricercatori americani ipotizzarono che la spiegazione più plausibile fosse da ricercare , non in
una lesione vera e propria, ma in una intossicazione da piombo, da traumi pre o post natali o da
infezioni cerebrali. Questi studi portarono all'affermazione negli anni '50 e '60 dei termini
“Minimal brain dynsfuction” e “Minimal brain disease” o semplicemente “MBD” per indicare i
bambini con questi tipi di comportamenti. Questi termini caddero presto in disuso poiché oggi si
preferisce utilizzare categorie nosografiche che trascurino i criteri patogenetici concentrandosi sulle
descrizioni fenomenologiche, dato che non esistono prove certe che indichino che cervello e
sistema nervoso siano i loci certi del funzionamento mentale. Di questo “gap esplicativo” (J.
Horgan 1999), che interessa la psichiatria in toto, si parlerà più approfonditamente in seguito.
Questo disturbo rimase quindi in una sorta di ambiguità nominativa e non fu presentato come una
specifica categoria diagnostica fino a quando Maurice W. Laufer nel 1957 descrisse una
costellazione di sintomi riguardanti il comportamento e l'attenzione che non avevano chiara storia
di organicità proponendo la diagnosi di “Disturbo da Impulso Ipercinetico” riportando il fatto che
“le caratteristiche salienti del pattern di comportamento... sono sorprendentemente simili a quelle
derivanti da chiari danni organici” (C. Malacrida 2003). Si continuò quindi a descrivere un disturbo
senza una chiara evidenza di organicità presentando comunque la possibilità che fosse legato ad un
danno cerebrale.
Intanto, nel 1952 comparve la prima edizione del DSM (Diagnostic and Statistic Manual) il quale
prevedeva due sole categorie di disturbi psichiatrici infantili; la Schizofrenia e il Disturbo di
Adattamento. Per leggere sulle pagine del DSM la descrizione del bambino iperattivo si sarebbe
dovuto attendere il 1968.
Nel frattempo verso la metà degli anni '50 fu sintetizzato un nuovo farmaco: il Ritalin, uno
stimolante avente molte delle proprietà delle anfetamine senza però molti degli effetti collaterali.
Nel 1961 questo farmaco fu approvato dalla FDA (Food and Drug Amministration) per essere
utilizzato sui bambini. Da questo momento in poi furono pubblicate moltissime ricerche sull'utilizzo
del Ritalin nel trattamento dei bambini ipercinetici. Allo stesso tempo i mass media iniziarono a
incrementare lo spazio dedicato alla conoscenza del disturbo. Gli articoli scientifici riguardanti il
disturbo ipercinetico iniziarono ad aumentare anno per anno fino ai giorni nostri a ritmi
esponenziali: da 1 pubblicazione nel 1968, si passò alle 40 tra il 1970 e il 1974 fino ai 1053 articoli
e 97 revisioni solo nel 2007.
Negli anni '60 e '70 la diagnosi e le prescrizioni di farmaci stimolanti divennero pratiche comuni tra
i pediatri negli U.S.A., mentre (aspetto che sarà approfondito nei prossimi capitoli) rimasero eventi
rari in Europa, dove l'uso dei farmaci era considerato con sospetto dagli operatori della salute
mentale (M. Delbue 2002).
Nella seconda edizione del DSM, nel 1968, ci fu la consacrazione del precursore della diagnosi
dell'ADHD; “Reazione ipercinetica del bambino”, riconosciuto dall'APA (American Psichiatric
Association) come un disturbo a tutti gli effetti.
Una svolta importante nella comprensione di questo disturbo avvenne negli anni '70, quando la
dottoressa Virginia Douglas (McGee University, in Canada) propose la tesi che il bambino
iperattivo soffrisse principalmente di un deficit di regolazione attentiva (G.Marzocchi 2003).
Questo fu un punto cruciale nella storia del disturbo poiché da quel momento in poi l'interesse dei
ricercatori si rivolse allo studio dei deficit cognitivi, con la conseguente riduzione delle indagini nei
confronti degli aspetti comportamentali. Come approfondirò in seguito, l'affermarsi della corrente
cognitivista in psichiatria, parallelamente all'arrivo della seconda psichiatria biologica negli anni '70
(E. Shorter 2000), crearono il terreno ideale per l'affermazione dell'ADHD come un disturbo
cognitivo trattabile con psicofarmaci.
Nel 1980 L'APA introdusse “Il disturbo da deficit d'attenzione” (ADD) con o senza iperattività
nella terza edizione del DSM. Il cambiamento da “Reazione ipercinetica” a “Disturbo da Deficit
dell'Attenzione” presupponeva un mutamento nella lettura della sindrome, con una maggiore
attenzione per gli aspetti cognitivi rispetto a quelli comportamentali. Inoltre, con il DSM 3 ci fu
una svolta nel modo di fare diagnosi in ambito psichiatrico; si cominciò a tenere conto anche di
altre variabili trascurate in passato, tra cui il livello di inserimento sociale.
Nel 1987 fu pubblicata la revisione della terza edizione del DSM (DSM3-R) in cui fu introdotta
l'attuale etichetta “Disturbo da deficit di attenzione e iperattività” , furono eliminati i sottotipi,
furono rimosse le tre categorie di sintomi (disattenzione, iperattività, impulsività ) a favore di un'
unica lista di 14 comportamenti in cui disattenzione, impulsività e iperattività erano considerati di
pari importanza.
Oltre al manuale DSM coordinato dall'APA dobbiamo ricordare l'altro punto di riferimento della
diagnostica psichiatrica : l'ICD (International Classification of Disease), a cura dell'Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS), più popolare tra gli stati della comunità europea. Di quest'ultimo nel
1992 fu pubblicata la decima edizione, L'ICD 10, in cui furono elencati 18 sintomi per riconoscere
la “Sindrome Ipercinetica”, sintomi che sono stati ripresi, organizzati e pubblicati nella quarta
edizione del DSM, nel 1994, per formulare i tre sottotipi: Disattento, Iperattivo-Impulsivo,
Combinato. Il motivo per cui l'etichetta diagnostica nell'ICD10 è diversa rispetto a quella usata dal
DSM 4 è frutto della maggior rilevanza attribuita al sintomo iperattività, dovuta alla scarsa
intelligibilità dei dati provenienti dalle ricerche sui processi mentali che determinerebbero la
sindrome (OMS,1992). Questa diversità riscontrabile nei due testi di riferimento diagnostico sarà
approfondita successivamente nell'ambito delle diversità di approccio esistenti tra America ed
Europa e, all'interno del nostro stesso paese, tra le diverse regioni italiane.
Attualmente, ogni anno in tutto il mondo vengono condotti centinaia di studi per scoprire le
dinamiche sottostanti il disturbo e al momento l'opinione più condivisa nel mondo medico, in cui il
modello neuropsicologico rimane quello più accreditato, è che la “Sindrome da Disattenzione e
Iperattività” sia una conseguenza di un deficit dei circuiti attentivi. Russell Barkley, uno degli
esperti della sindrome più autorevoli nell'ambito della realtà medica internazionale, sostiene che
esista un deficit del controllo inibitorio dei comportamenti inappropriati, da cui derivi la
compromissione di altri sistemi secondari quali la memoria di lavoro, la vigilanza, e la capacità di
analisi e sintesi degli eventi vissuti in prima persona. Seguendo i modelli neuropsicologici, che nel
mondo medico rimangono quelli maggiormente accreditati (Russell Barkley, Sergeant), possiamo
concludere che l'ADHD sia caratterizzato sia da una compromissione delle funzione esecutive (in
particolare del sistema di inibizione) che dei processi cognitivi legati alla motivazione.
L'incidenza del disturbo è tutt'ora un dato controverso: le stime epidemiologiche Nord Americane e
Nord Europee riferiscono un 4% della popolazione infantile (un alunno per ogni ipotetica classe di
25 individui) ma questa stima è tutt'altro che certa in quanto in relazione alla regione studiata, alle
modalità utilizzate per il rilevamento, e al manuale diagnostico adottato si giunge ad una gamma di
frequenza compresa tra l'1 % e il 10%. L'incertezza e la variabilità riscontrabili nella prevalenza,
nell'eziologia e nei criteri diagnostici, pongono questa sindrome al centro di un acceso dibattito,
creando un' immagine dell'ADHD tutt'altro che chiara e accettata; un' immagine decisamente fragile
agli attacchi sulla legittimità o meno della sua realtà di patologia.
L'ADHD è attualmente la patologia psichiatrica infantile più studiata, conseguentemente ogni anno
vengono destinate ingenti somme per finanziare ricerche sull'eziologia e il trattamento di questo
disturbo. Inoltre, anche al di fuori della professione medica, figure come gli educatori, gli
insegnanti e i genitori stessi sembrano aver sviluppato una conoscenza “clinica” del disturbo e,
considerando la varietà e quantità di pubblicazioni sull'argomento facilmente reperibili, si
presentano come attori sociali informati e preparati sulle caratteristiche di questa sindrome.
Dismessi i panni di un vago e poco delineato disturbo, in due decadi la “Sindrome da Disattenzione
e Iperattività” ha assunto le forme potenti e definite di una vera e propria categoria diagnostica,
presentandosi oggi come uno dei più conosciuti e studiati disturbi clinici psichiatrici.